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Dopo questa notte
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E-book255 pagine3 ore

Dopo questa notte

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Info su questo ebook

Seductive Nights Series

Dall'autrice bestseller di New York Times, USA Today e Wall Street Journal

Troppi segreti li dividono, ma Clay Nichols non riesce a togliersi Julia Bell dalla testa. L’attrazione è troppo forte e il ricordo delle loro notti insieme troppo eccitante, tanto da impedirgli di concentrarsi sul lavoro e sugli affari. Nella mente c’è solo lei. Che però lo sta facendo impazzire con i suoi continui alti e bassi. Ma Julia ha valide ragioni per tenerlo a distanza, visto che deve fare i conti con i problemi del suo passato e con il mondo criminale in cui l’ha trascinata il suo ex. Se solo riuscisse a liberarsi dai guai, potrebbe accogliere nella sua vita l’uomo che l’accende di desiderio più di quanto credeva possibile e concedersi interamente a lui. Perché Clay non è uno che si accontenta. Da lei pretende tutto. Anima, corpo, mente. Ma soprattutto pretende la verità. 

«La passione, la chimica, la suspense sono incredibili in Dopo questa notte. Il racconto perfetto di due personaggi che abbiamo imparato ad amare.»
Lauren Blakely
è autrice bestseller di «New York Times», «USA Today» e «Wall Street Journal» e con i suoi libri ha venduto più di un milione di copie. Le sue storie romantiche sono piene di cuore e umorismo. La Newton Compton sta pubblicando la serie di successo Seductive Nights.
LinguaItaliano
Data di uscita23 mar 2017
ISBN9788822705273
Dopo questa notte
Autore

Lauren Blakely

A #1 New York Times Bestselling author, and #1 Wall Street Journal Bestselling author, Lauren Blakely is known for her contemporary romance style that's hot, sweet and sexy. She lives in California with her family and has plotted entire novels while walking her dogs. With fourteen New York Times bestsellers, her titles have appeared on the New York Times, USA Today, and Wall Street Journal Bestseller Lists more than 100 times, and she's sold more than 2.5 million books. To receive an email when Lauren releases a new book, sign up for her newsletter! laurenblakely.com/newsletter

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    Anteprima del libro

    Dopo questa notte - Lauren Blakely

    Capitolo uno

    L’abito era così perfetto che le fece venire le lacrime agli occhi.

    «Rimarrà senza fiato quando ti vedrà camminare lungo la navata», riuscì a dire Julia strofinandosi una mano sulla guancia.

    McKenna, sua sorella, si rigirò per guardarsi la schiena davanti allo specchio a tre ante di Cara’s Bridal Boutique nel cuore della Noe Valley, e ammirare l’abito tea length, stile anni ’50, scelto per il matrimonio che si sarebbe tenuto di lì a qualche settimana. L’abito rispecchiava bene McKenna, con la gonna in satin e la sottogonna a balze in taffetà.

    «È così sbarazzino e bello allo stesso tempo», disse Julia.

    «A proposito di cose belle, continua a piacerti il tuo abito?»

    «Certo», rispose con un ampio sorriso, rivolta al morbido vestito nero lucido da damigella d’onore che indossava e che McKenna aveva scelto per lei.

    «È assolutamente perfetto per te. Volevo che avessi un abito da poter indossare anche in altre occasioni. Forse per un appuntamento? Una serata elegante?».

    Alle sue orecchie quelle parole risuonarono come vuote e senza senso. Perché non poteva più sperare di uscire con l’uomo che le piaceva da morire.

    Quella mattina Clay l’aveva lasciata in mezzo alla strada, lì a San Francisco, ponendo fine alla loro breve storia d’amore e allontanandosi su un’auto di lusso. Non poteva dare a lui la colpa per essersene andato. Lei non poteva dargli quello che lui voleva – che lei non avesse più segreti. Era quello che Clay desiderava più di qualsiasi altra cosa. Più del suo corpo, più della chimica che c’era tra loro, perfino più delle notti senza fine passate insieme. Lei però non poteva dirgli la verità sul perché avesse mentito a quel tipo con la pistola che quella mattina la stava aspettando sulla porta quando erano rincasati dopo colazione. Cosa avrebbe potuto dire? Quell’uomo armato è il mafioso che mi sta alle costole per essere sicuri che io paghi un debito che non è neppure mio? Se lo avesse detto a Clay, anche lui sarebbe diventato un bersaglio, perché quello era il modo in cui certe persone operavano: ti ronzavano attorno e ti chiudevano in trappola finché anche le persone che amavi finivano nel loro mirino.

    Ecco perché aveva detto che Clay non era altro che un tizio incontrato casualmente in un bar, e non l’avvocato di successo specializzato in diritto dello spettacolo che aveva una lista di clienti ancor più di successo. Aveva voluto proteggere la sua identità per evitare che fosse sotto tiro.

    «E lo indosserò in altre occasioni. E in altre e in altre ancora, te lo prometto», disse, stringendo McKenna in un caldo abbraccio, pur non avendo la minima idea di quando o dove avrebbe indossato un vestito del genere.

    Sfilatisi gli abiti di dosso, McKenna pagò quanto restava ancora da saldare per entrambi, sbattendo la carta di credito sul bancone senza pensarci due volte. Julia provò una punta d’invidia per la facilità con cui la sorella poteva permettersi di gestire i soldi. Quale imprenditrice scaltra, McKenna aveva trasformato il suo blog che si occupava di moda in un vero e proprio impero. Se avesse avuto un grosso debito, importante, lo avrebbe potuto ripagare all’istante grazie al cospicuo conto corrente che possedeva. Se glielo avesse chiesto, McKenna avrebbe saldato anche il debito di Julia, dandole i soldi in un attimo. Ma lei non aveva intenzione di coinvolgere la sorella, perché all’inizio era stato così che quel problema era diventato suo – le era stato passato, come fosse una malattia.

    «Chris ha detto che l’incontro con Clay è andato molto bene oggi», osservò McKenna mentre uscivano dal negozio e si incamminavano per strada in mezzo alla folla pullulante di passanti di metà pomeriggio: mamme che spingevano i passeggini ed entravano nelle caffetterie e giovani hipster che tornavano al lavoro dopo aver pranzato in bar dai menù bio.

    «L’incontro, che splendida notizia», disse Julia, il più disinvolta possibile.

    «Te l’ha raccontato lui?»

    «Chris? Perché avrei dovuto parlargli?».

    McKenna le diede una spinta per gioco. «Uhm, no. Quel tipo figo per il quale sei andata a New York e so che ti interessa parecchio. Pensi di vederlo mentre sarà in città?».

    Scrollò le spalle e distolse lo sguardo, e alla sorella bastò la sincronia di quei due movimenti per fermarsi di colpo e piazzarsi le mani sui fianchi. «Aspetta un po’. Che succede?».

    E così cominciò ad allentarsi il nodo che le stringeva lo stomaco. Forse non poteva parlare alla sorella dei problemi economici che aveva, ma poteva almeno farle sapere che stava soffrendo per quell’uomo.

    «In effetti l’ho visto ieri sera. Non penso che possa funzionare tra noi», disse, senza preoccuparsi di celare nella voce la frustrazione, o la tristezza residua. Un singhiozzo minacciò di rimanerle intrappolato in gola e di trasformarsi in un attacco di pianto senza senso. Ma arrendersi alle lacrime equivaleva a prendere a calci un muro di mattoni. Non serviva a nulla, e soprattutto ti lasciava un dolore lancinante alle dita dei piedi.

    «Oh no. Perché dici questo?»

    «Sta a New York quindi è troppo lontano. Io sono impegnata qui. E lui è tutto preso dal lavoro».

    «Questa cosa proprio non mi va giù», disse McKenna, e batté un piede sul marciapiedi. Quel gesto fu così infantile che Julia non poté fare a meno di ridere. «Comunque non eri già tanto coinvolta?», disse, con gli occhi pieni di speranza, mettendo un braccio sulle spalle della sorella.

    Julia ebbe la tentazione di rassicurarla. Di dirle che non era stato nulla, solo una notte qui, un fine settimana là. Ma non era così. Lui era stato più di questo, molto di più.

    «Veramente, mi piaceva davvero tanto, quindi è un po’ un peccato».

    «E allora dobbiamo affogare i nostri dispiaceri in patatine fritte e torta. Ti invito fuori», propose McKenna.

    Julia accettò, e sebbene le patatine fritte fossero buonissime, non furono sufficienti, nemmeno lontanamente, a farle dimenticare l’uomo che non poteva avere. Il problema era che non c’era posto per lui nella sua vita, e se gli avesse permesso di restarle ancora un po’ nel cuore, di sicuro quella sera avrebbe perso la partita.

    E invece quella sera doveva vincere.

    Capitolo due

    Era tornato il venture capitalist dal sorriso rivelatore, che passò la maggior parte della partita a fissare Julia. Ma Hunter doveva aver avuto una dritta per sfoderare quel sorriso dal suo repertorio perché la prima volta che sogghignò Julia puntò tutto, e perse la bellezza di mille dollari. Lui aveva davvero tre re. Niente bluff.

    Probabilmente aveva rimediato un insegnante di poker, un ex giocatore professionista che adesso preparava aspiranti bari avidi di imparare le regole del gioco, o un attempato esperto che aveva bisogno di guadagnare qualche spicciolo una volta andato in pensione. Lo aveva notato in precedenza tra giocatori che avevano avuto successo. Un cambio repentino qui, un’impennata là – tutti ulteriori segnali che stavano prendendo lezioni. E che pensavano di essere dei fenomeni.

    Lui non lo era. Nessuno lo era.

    «Gioco», disse, spingendo una fiche nera nel piatto, gli occhi puntati su di lei per tutto il tempo. Come se lei fosse la sua preda.

    Assolutamente sbagliato.

    Lei era il predatore. Tutti loro erano nemici, tutti nessuno escluso, e solo perché aveva perso una mano non significava che avrebbe perso la partita. Sfregò l’indice sulla fiche nera, controllò di nuovo le carte, poi scrutò il volto di Hunter. Carnagione chiara, butterata a causa dell’acne spuntata forse solo qualche anno prima quando era al liceo, e un bel naso, dritto. Aveva gli occhi azzurri fissi su di lei, e quello era un altro indizio che aveva assunto un insegnante. Probabilmente gli era stato detto di fissarla per intimidirla, perché era convinzione del tutor che così facendo lei avrebbe giocato al di sotto delle sue consuete capacità.

    Non funzionava. In generale, e sicuramente non quella sera, in cui tutta la rabbia di cui aveva fatto il pieno la spingeva ad andare avanti. Era incazzata con Dillon, era incazzata con Stevie, era incazzata con Charlie, incazzata con Hunter, e soprattutto, era incazzata con Clay che non le credeva. Se solo l’avesse vista in quel momento, si sarebbe sentito un dannato bastardo per aver sollevato così tanti dubbi su di lei. Si era comportato come se fosse una drogata bugiarda, come la sua ex. Ah, niente di più lontano dal vero. Avrebbe voluto poter filmare quella partita con una telecamera nascosta e mostrargliela. "Ecco. Visto? Sono il ringer¹ di questo stronzo finché il debito che ho con lui non sarà saldato. Contento adesso?".

    Vaffanculo lui e la sua mancanza di fiducia. Vaffanculo Hunter e i suoi segni rivelatori inutili. Vaffanculo l’insegnante che gli dava lezioni. ’Fanculo tutti. Lei aveva più palle di Hunter, e avrebbe usato tutte le sue armi. Cazzo.

    Aveva due dieci e contava su quelli.

    «Vedo i tuoi cinquecento dollari e rilancio di mille», disse, spingendo nel mucchio una fiche con l’unghia lunga laccata di rosso, e solo dopo ne fece scivolare altre due, secondo il metodo cui era abituata.

    Per qualche secondo lui non mostrò alcuna reazione, come se stesse cercando di trattenersi. Poi mosse le sopracciglia, e lei ebbe voglia di alzare il pugno in aria in segno di vittoria. Era stato un nuovo segno rivelatore, forse?

    Il resto della compagnia non aveva rilanciato. Il proprietario del negozio di articoli sportivi si appoggiò allo schienale della sedia, e nel frattempo spostò velocemente lo sguardo da Julia a Hunter e viceversa. Era un giocatore fisso, e un infiltrato. Un po’ vinceva, un po’ perdeva, e di solito partecipava per equilibrare la partita. C’era anche un ragazzo dagli zigomi squadrati e i capelli mossi che guidava una delle limousine di Charlie. Tutti lì per rendere il piatto più consistente.

    In cucina, Stevie Skunk, il Balordo, stava sistemando con cura un piatto di biscotti appena sfornati, e intanto ne divorava un altro. Lei non aveva idea di chi avesse infornato dei biscotti per una partita a carte truccata, ma forse era stata la mamma o la moglie di lui. O forse il suo compare. Infatti c’era un tipo nuovo con lui, un ragazzo dal viso da bambino, di nome Max, con gli occhi grigi e il fisico simile a una botte. Forse era uno degli apprendisti di Skunk, aveva riflettuto Julia quando lo aveva incontrato prima della partita. Ancora nessuna pistola alla caviglia, però. Forse la nascondeva da qualche altra parte.

    Hunter la sorprese afferrando due fiche e gettandole nel mucchio. «È ora di scoprire le carte. Coppia di sette», disse con un ampio sorriso sghembo, diventando all’improvviso assolutamente sicuro di sé e spavaldo. Julia si chiese se il suo insegnante gli avrebbe dato una pacca sulla schiena per quella mossa, e se si sarebbe complimentato con lui. Si chiese se le importasse davvero cosa pensava quell’insegnante. Decisamente no. L’unica cosa che voleva erano i soldi, e così intensamente che stava quasi per mettersi a sbavare per averli. Quel mucchio di meraviglie nere l’avrebbero avvicinata un pizzico di più alla realizzazione del suo desiderio: esser libera dalle intimidazioni di Charlie, dal suo coltello, e dallo scagnozzo che le stava alle costole armato.

    Abbassò la mano, mostrando la coppia di dieci. Hunter annuì una volta, lo sguardo glaciale e indifferente all’inizio. Ma quando Julia tirò le fiche verso l’angolo del tavolo in cui si trovava, le puntò un dito contro. Lei sollevò lo sguardo, vagamente incuriosita.

    Inizialmente Hunter non disse una parola. Lei però fu in grado di vedere gli ingranaggi del suo cervello che lavoravano, mentre sommava, moltiplicava e divideva.

    «Non giochi come gli altri», disse con un tono di voce piatto.

    «Da non crederci», replicò, impassibile.

    «Giochi come una che sta barando. Lo vedo nei tuoi occhi. Conosco quello sguardo. Sono un venture capitalist e ho quello stesso sguardo tutti i giorni quando fornisco capitali di rischio. Tu sei uguale a me».

    «Allora chiamami semplicemente vc», disse lei mentre impilava le fiche, mantenendo le mani ferme sebbene il cuore le martellasse in petto.

    «Non sei una semplice giocatrice», le disse, socchiudendo gli occhi.

    «Chiamami giocatrice. Non chiamarmi giocatrice. Non mi interessa. Perché non ti limiti a dare la nuova mano di carte?», fece, cercando di mantenersi il più calma possibile.

    All’udire tutte quelle chiacchiere Skunk sollevò lo sguardo dai biscotti. In quel genere di partite di solito si parlava molto di meno.

    «No», disse, scuotendo la testa e mettendosi in piedi. «Non darò le carte. Sei un fottuto ringer, vero?».

    Stevie prese in mano le redini della situazione. Si avvicinò al tavolo a passo lento e premette le grosse mani sul legno. «Che succede? Giochiamo tutti pulito?»

    «No. Lei è un ringer e questa è una partita truccata. Già la prima volta pensavo ci fosse qualcosa che non andava, ma adesso lo so per certo», disse, puntando il dito in modo accusatorio contro quell’omone. Max si avvicinò mantenendosi comunque a una certa distanza, per osservare quel che sarebbe accaduto.

    Julia sentì che il sangue cominciava a scorrerle più veloce nelle vene e intanto le saliva il panico. Aveva timore di quel che sarebbe seguito, e aveva ragione. Skunk allungò la mano per afferrare la pistola a una velocità che lei non si sarebbe mai immaginata da un uomo così corpulento. «Vattene da qui», disse calmo a Hunter. «E non sei il benvenuto neppure al ristorante».

    «Avevo ragione», disse Hunter, e all’improvviso fece trapelare tutta la sua dirittura morale.

    Julia serrò le labbra per non urlargli: Cosa pensavi fosse? Che accidenti poteva essere altrimenti questa partita?.

    «Charlie mi aveva detto che si trattava di una partita tra uomini d’affari, ma non è così», insistette e doveva essere il venture capitalist con più attributi della Valley perché ancora non se n’era andato.

    Stevie agitò la pistola. «C’è qualcosa che non è chiaro in quel che ho detto? Perché a me non sembra. Ma se hai problemi di udito, sono contento di andare di filato al distretto di polizia della zona per essere sicuro che i miei amici in divisa sappiano che hai messo le tue fottute mani addosso a questa signora qui», disse, stringendo la spalla di Julia con la zampa che aveva libera, un gesto che appariva stranamente protettivo e assolutamente invadente. «E ho dei testimoni che garantiranno per me, giusto?».

    Il tipo con gli zigomi squadrati annuì e con lui anche il proprietario del negozio di articoli sportivi.

    A lei si rizzò la sottile peluria della nuca, e intanto si sentì stranamente grata a Skunk, e allo stesso tempo disgustata. L’aveva protetta, anche se in effetti aveva protetto i soldi investiti da Charlie. E lo aveva fatto nello stesso modo in cui Charlie l’aveva fatta cedere usandola per i suoi scopi – basandosi sul fatto che era una donna. Scommettendo sul fatto che gli uomini la sottovalutavano a carte, e adesso insinuando che fosse una povera donna indifesa che era stata maltrattata.

    Hunter afferrò le poche fiche che gli rimanevano. «Prendo i miei soldi».

    «No. Te ne vai. È lo scotto da pagare per aver interrotto la partita. Fuori», disse Skunk con un tono di voce basso e potente, indicando la porta.

    Hunter alzò le mani, e sbuffò. «Non vi darò più alcun fastidio».

    Uscì, e l’eco dei suoi passi risuonò pesantemente mentre scendeva le scale.

    Charlie le lanciò un’occhiata. «Cosa gli hai detto?»

    «Non ho detto nulla».

    «Cos’hai detto per far sì che mangiasse la foglia?», insistette Charlie, lasciando cadere le bacchette accanto al piatto di ravioli di maiale nel ristorante cinese sotto l’appartamento dove si teneva la partita. Il ristorante era vuoto. Aveva chiuso un’ora prima.

    «Te l’ho detto. Nulla».

    «Non voglio che tutti i venture capitalists sappiano che le nostre partite sono truccate. Lui e i suoi amici vengono nel mio ristorante a pranzo tutti i venerdì. Anche i loro impiegati mangiano qui», disse, picchiando il dito sul tavolo. «Alla prossima partita dovevano venire alcuni dei suoi amici della Steiner Hawkins. Hanno appena venduto una startup per social media che avevano finanziato con cinquanta milioni di dollari. Sono ricchi sfondati. Sai cosa significa questo?».

    Julia negò con la testa, e subito si sentì invadere da un’ondata di terrore. «No».

    Charlie si scostò dal tavolo e si alzò. Si diresse verso Julia, le si fece sempre più vicino, costringendola a mettere la schiena contro il muro. La schiacciò senza lasciarle neppure un po’ di spazio per muoversi e le imprigionò la testa tra le mani.

    «Lascia che ti spieghi cosa significa, Rossa», disse, sputandole le parole sul viso. «Significa che non verranno. Che non parteciperanno alla mia partita. Significa che non avrò i loro soldi. E significa anche che la prossima volta che giocherai, perderai».

    «Cosa?». Aggrottò le sopracciglia incredula. «Come può esserci utile una cosa simile?»

    «Farà circolare la voce che le mie partite sono pulite. Devi perdere. E continua il debito che hai con me, Rossa».

    «Stasera ho vinto», disse, cercando di insistere. «Ho vinto seimila dollari. Sono vicina. Sono quasi arrivata».

    «Non hai vinto seimila dollari», disse lui respirandole in faccia. L’odore del maiale fritto che uscì da quella bocca le fece rivoltare lo stomaco. «Mi sei costata seimila dollari».

    Aveva voglia di sprofondare, di accovacciarsi e abbracciarsi le ginocchia e raggomitolarsi in un angolo. Si sentiva come se fosse stata schiacciata da un’incudine. Tutte le volte che si avvicinava un po’, lui spostava il traguardo da raggiungere.

    «Non è nemmeno un debito mio», disse, la voce che sfiorava il tono di una supplica.

    «È un debito tuo invece. Ho visto il tuo grazioso bar, con i tuoi gentili clienti, e i miei cari soldi che ci hai messo dentro. Lascia quindi che ti ricordi che cosa succederebbe se ti dovessi mai dimenticare che mi sei debitrice».

    L’afferrò per i capelli e la strattonò. Lei trattenne un grido, e le balenarono nella mente sensazioni ben diverse ovvero quelle che aveva provato quando Clay l’aveva presa per i capelli o l’aveva bloccata addosso al muro. Quando le aveva fatto quelle cose, era stato bello ed era stato voluto, perché aveva fatto parte del modo in cui giocavano insieme. Con Charlie, invece, non era un gioco. Lui agiva così per farle male, e le strinse i capelli talmente forte che lo credette capace di strapparglieli dalla testa.

    A forza di strattonate la trascinò per il ristorante vuoto, poi uscì nella notte nebbiosa e continuò così per tutto l’isolato, fino ad arrivare davanti a un pub dove si fermò. Le lasciò andare i capelli, e lei ebbe voglia di piangere dal sollievo. «Questo bar? Vedi questo bar? Supponiamo che sia tuo. È il Cubic Z, e se entro la fine del prossimo mese non

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