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Gloria (eLit): eLit
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E-book374 pagine5 ore

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Info su questo ebook

ROMANZO INEDITO

Ignara degli squallidi segreti che cela la sua famiglia, Gloria sembra avere l'esistenza segnata. Vittima di una madre possessiva e crudele che vuole imporle le sue regole, trova però la forza di ribellarsi. E con l'aiuto di un uomo, dotato della sua stessa determinazione, riesce a liberarsi del marchio infame che ogni donna del suo casato è costretta a portarsi addosso e a dimostrare che con il coraggio si possono infrangere le convenzioni sociali e con la determinazione un semplice bruco può trasformarsi in una splendida farfalla.
LinguaItaliano
Data di uscita31 ago 2018
ISBN9788858989708
Gloria (eLit): eLit
Autore

Erica Spindler

Prolifica autrice di noir, ha ricevuto numerosi riconoscimenti e scala sempre la classifica dei bestseller del New York Times, aggiudicandosi i primi posti .Harlequin Mondadori ha pubblicato Gloria, Farfalle, I sogni di Red, Il cacciatore, Angelo nero, Collezionista di anime, Il grande freddo, Jane deve morire, Sette, Giochi pericolosi e Rosa Shocking.

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    Anteprima del libro

    Gloria (eLit) - Erica Spindler

    successivo.

    Prologo

    Vacherie, Louisiana

    1959

    Hope Pierron sedeva accanto alla finestra della sua camera da letto al secondo piano, lo sguardo fisso sul fiume Mississippi. Sorrise tra sé, compiaciuta per i suoi progetti, controllando con risolutezza l'inquietudine e l'eccitazione che la pervadevano. Aveva da sempre atteso quel giorno, e adesso che l'ora era giunta, non si sarebbe tradita mostrandosi troppo impaziente.

    Accostò una mano al vetro riscaldato dal sole, desiderando di poterlo rompere, per poi balzare fuori e volare verso la libertà. Quante volte nel corso di quei quattordici anni trascorsi nella prigione delle mura rosse di quella casa lei aveva formulato quello stesso desiderio? Essere un uccello, spiccare il volo dalla finestra e lanciarsi verso la libertà.

    A partire dall'indomani, lei non avrebbe più dovuto sognare un paio di ali. A partire dall'indomani, lei sarebbe stata lontana da quella casa. Lontana dallo stigma del peccato. Lontana da sua madre e da tutti coloro che lei aveva conosciuto.

    Quel giorno lei sarebbe nata a una nuova vita.

    Hope chiuse gli occhi e pensò al futuro, ma ad affiorare nella sua mente erano immagini del passato e di quella casa tanto odiata. La residenza dei Pierron in River Road era stata una sorta di punto di riferimento, una parte della cultura della Louisiana meridionale dall'estate del 1917, da quando sua nonna Camelia, la prima tenutaria della famiglia, si era trasferita con sua figlia e le sue ragazze in quel luogo.

    Sorprendentemente, né proteste clamorose né grida si erano levate allora, nemmeno quando i gentiluomini avevano cominciato a frequentare la casa. E tanti anni dopo, quel luogo e le attività che vi si svolgevano erano ancora accettati, allo stesso modo del caldo e delle zanzare nel mese di agosto.

    Hope supponeva che non ci si potesse aspettare un atteggiamento diverso; dopotutto, quella era la Louisiana, una terra dove il mangiare, il bere e altre attività capaci di inebriare i sensi facevano parte della vita quotidiana come la messa e la confessione. Gli abitanti accettavano la loro penitenza con la stessa joie de vivre con cui prendevano i loro piaceri; e comprendevano che la casa dei Pierron incarnava entrambi.

    L'edificio stesso, realizzato in uno stile che evocava quello dell'antica Grecia, era una meraviglia architettonica, con le sue ventotto imponenti colonne doriche e i portici che ne percorrevano il perimetro. Ironicamente, quando il sole pomeridiano la illuminava da una certa angolazione, la casa risplendeva di un bianco verginale, quasi sacro. Al tramonto, tuttavia, l'illusione di santità cessava. La casa si animava di musica, le stanze risonavano delle risa degli uomini che venivano a gustare il frutto proibito e delle donne che lo vendevano.

    Ogni sera della sua vita Hope era stata costretta a sentire quelle risate, ad assistere all'incessante processione delle ragazze di sua madre che conducevano i loro clienti su per lo scalone. Col suo tappeto rosso sangue peccaminosamente lussuoso, quella scala portava alle sei grandi camere del primo piano, camere arredate con sete, broccati e grandi letti soffici.

    Letti creati per far sentire un uomo simile a un re o, in serate particolarmente favorevoli, a un dio.

    Per quanto poteva ricordare, Hope aveva sempre saputo cosa accadeva in quelle stanze. Proprio come aveva saputo chi e cosa era lei - la figlia della prostituta, macchiata dal peccato.

    Da nascondigli segreti e piccoli spioncini che sfuggivano alla vista, Hope aveva osservato con un misto di incanto e orrore le azioni che uomini e donne compivano insieme. E talvolta, mentre la coppia si torceva sul letto, lei si dondolava avanti e indietro, le cosce premute l'una contro l'altra, il respiro affannoso.

    Quelle erano le occasioni in cui Il Male la teneva in suo potere, reclamando un sacrilego sfogo.

    In seguito, colpevole e piena di vergogna, Hope puntualmente puniva se stessa. Il modo in cui si toccava, gli atti cui assisteva, erano riprovevoli. Peccaminosi. Lei era venuta a conoscenza del suo peccato alla messa e al catechismo, dove sedeva sola sul banco poiché nessuno degli altri bambini voleva starle vicino. Eppure, fuori delle mura della chiesa e dentro quella casa, un simile comportamento era apprezzato - in particolar modo dagli uomini che si divertivano di notte e sviavano lo sguardo di giorno.

    Sentendo scricchiolare le scale che portavano alla sua camera, Hope si girò verso la porta. Un attimo dopo, sua madre apparve sulla soglia.

    Lily Pierron era una creatura di straordinaria bellezza, come lo erano state tutte le donne della famiglia Pierron. Il suo viso e la sua figura sembravano non essere invecchiati con gli anni; i capelli conservavano la loro lucente tonalità di nero brunito. Le altre prostitute facevano commenti alle spalle di sua madre; Hope le aveva sentite mormorare. Secondo loro, Lily e tutte le donne della famiglia avevano stipulato un patto con il diavolo.

    Tutte tranne Hope. Lei non era bella quanto sua madre - i suoi capelli erano di un banale castano scuro, gli occhi azzurri non avevano la luminosità che rendeva irresistibili quelli di Lily, e i suoi lineamenti erano troppo marcati.

    «Buongiorno, mamma» mormorò, stampandosi un mesto sorriso sulle labbra.

    Lily sorrise con aria malinconica e avanzò di un passo nella stanza. «D'un tratto mi sembri così grande. Per un attimo, non ti ho quasi riconosciuta.»

    «Sono la stessa di sempre, mamma.»

    Sua madre rise sommessamente e scosse la testa. «Lo so. Ma sembra ieri che eri ancora una bambina.»

    E sembrava una eternità che lei era prigioniera in quella casa. «Anche a me, mamma.»

    Lily si avvicinò al letto, dominando a fatica la commozione, e Hope si chiese come avrebbe reagito se avesse saputo la verità, se avesse saputo che la sua unica figlia aveva intenzione di non rivederla mai più.

    «Questa è l'ultima?» domandò Lily, indicando la valigia ancora aperta. «L'auto arriverà tra poco.»

    «Sì. Ho già portato da basso le altre.»

    Sua madre mise nella valigia i pochi oggetti che restavano, poi la chiuse e allacciò le cinghie. «Ecco fatto.» Sollevò lo sguardo umido di lacrime. «Pronta a... partire.» L'ultima parola uscì dalle sue labbra con un suono strozzato.

    Hope si impose di avvicinarsi a lei. Le prese le mani e se le accostò alla guancia. «Andrà tutto bene, mamma. Memphis non è poi così lontana.»

    «Lo so. È solo che...» Lily sospirò. «Come farò senza di te? Tu sei la cosa più bella... la sola cosa buona nella mia esistenza. Mi mancherai terribilmente.»

    Hope le serrò le braccia attorno alla vita, e per celare un sorriso premette il volto contro la sua spalla. «Anche tu mi mancherai. Tantissimo. Forse non dovrei partire. Forse dovrei restare qui e...»

    «No!» Sua madre le prese il viso tra le mani. «Tu non finirai come me. Non lo permetterò, mi hai sentita? Questa è la tua occasione di sottrarti a un simile destino. È ciò che io ho sempre voluto per te.» La pressione delle sue dita divenne più forte. «Tu sei sempre stata la mia speranza per il futuro. Non devi restare qui.»

    Questa volta Hope non riuscì a reprimere un sorriso. «Ti renderò orgogliosa di me, mamma. Vedrai.»

    «So che lo farai.» Lily abbassò le mani. «È tutto organizzato. La St. Mary's Academy aspetta di accoglierti. Tu sei di Meridian, nel Mississippi, figlia unica di una coppia benestante.»

    «In viaggio all'estero» aggiunse lei. Intrecciò le dita, d'un tratto nervosa. «E se qualcuno dovesse scoprire la verità? E se una delle mie compagne di classe venisse da Meridian? E se...»

    «Nessuno scoprirà la verità. Il mio amico ha provveduto a tutto quanto. Nessun'altra ragazza del Mississippi frequenta il collegio. Perfino la direttrice crede che tu sia Hope Penelope Perkins. Nessuno dubiterà mai della tua storia. Ti senti meglio adesso?»

    Lei scrutò il volto di Lily, poi annuì. Sapeva bene che l'amico di sua madre era il governatore del Tennessee. La loro amicizia era di vecchia data; Lily conosceva molti dei segreti più oscuri dell'uomo. Segreti che lei avrebbe portato sino alla tomba. Naturalmente, una simile lealtà talvolta esigeva di essere ricambiata sotto forma di favori.

    Il suono di un clacson lacerò la pesante aria dell'umido pomeriggio. Hope sentì un tuffo al cuore e si precipitò alla finestra. L'auto che l'avrebbe condotta all'aeroporto era ferma sul viale e Tom, l'uomo tuttofare, stava aiutando l'autista a caricare i bagagli.

    Lily le si avvicinò. «Mio Dio, è già ora.» Le posò le mani sulle spalle, la guancia contro i suoi capelli. «Non so come riuscirò a sopportare questo.»

    Lei prese un respiro profondo, la sua gioia quasi incontenibile. La libertà era vicina. Ancora pochi minuti e poi non avrebbe mai più rivisto sua madre o quella casa tanto detestata. Dovette fare uno sforzo per non scoppiare a ridere.

    Lily sospirò, lasciò cadere le braccia e si staccò da lei. «Sarà meglio andare.»

    «Sì, mamma.»

    Hope prese la valigia, poi con sua madre si avviò verso le scale. Le ragazze erano radunate nell'atrio. Ciascuna di loro la abbracciò e la baciò, ciascuna le augurò ogni bene e le fece promettere di scrivere.

    La più giovane del gruppo, una ragazza che aveva solo pochi anni più di lei, le porse una mela, turgida e rossa. «Nel caso che ti venga fame durante il viaggio» le disse dolcemente, gli occhi lucidi di lacrime.

    Hope accettò il dono benché il frutto le bruciasse come acido nella mano. Aveva voglia di buttarlo via e scappare, ma si impose di sorridere, guardando la prostituta negli occhi. «Grazie, Georgie. Sei stata gentile.»

    Poi uscì sul portico, con sua madre sempre al fianco. La brezza che soffiava dal fiume era calda e quasi soffocante, ma pur sempre gradevole perché sembrava purificarla dal puzzo della casa e dalla storia di quel luogo. Una storia che era anche la sua.

    Lily la prese tra le braccia e si strinse con forza a lei. «Mio tesoro, bambina mia, mi mancherai moltissimo.»

    Hope resistette all'impulso di staccarsi brutalmente da sua madre e correre verso l'auto in attesa. Lasciò che Lily la baciasse un'ultima volta, giurando a se stessa che non avrebbe dovuto sopportare mai più di essere toccata da quelle mani immonde.

    Immonde come il peccato.

    L'autista si schiarì la gola. Lei gli rivolse un muto ringraziamento e si sciolse dalla stretta di sua madre.

    «Devo andare, mamma.»

    «Lo so» sospirò Lily. «Telefonami quando arrivi.»

    «Senz'altro» mentì lei. «Lo prometto.» Si avviò verso l'auto, contando i passi. E a ogni passo che faceva, aveva la sensazione che un altro pezzo del suo passato stesse scivolando via, come lo strato di un sudario fradicio e imputridito che la soffocasse e la imprigionasse.

    L'autista aprì la portiera. Hope fece per salire, poi si fermò e si voltò indietro a guardare la casa, sua madre ferma sul portico, le prostitute raccolte sulla soglia. Le sue labbra si piegarono in un sorriso compiaciuto.

    Quello era il giorno della sua rinascita come Hope Penelope Perkins. Quello era il giorno in cui si sarebbe liberata dal Male. Lasciando scivolare la mela dalle dita, si girò e salì sull'auto.

    1

    New Orleans, Louisiana

    1967

    Il profumo dei fiori saturava l'aria, quasi opprimente nella sua dolce intensità. Si mescolava in maniera strana con quelli del reparto maternità, creando un effluvio che risultava al tempo stesso gradevole e rivoltante. Ma le composizioni floreali non cessavano di arrivare, entusiastici omaggi inviati per accogliere la nascita del primo figlio di Philip St. Germaine III.

    L'entusiasmo era comprensibile. Dopotutto, quella creatura sarebbe stata l'erede del patrimonio e del prestigio della famiglia, quella creatura sarebbe stata l'erede del venerabile St. Charles, il piccolo albergo di lusso costruito nel 1908 dal primo Philip St. Germaine.

    Per quella creatura, nulla era eccessivo.

    Hope abbassò lo sguardo sulla culla sistemata accanto al suo letto. Sconforto e delusione, così brucianti che le impedivano di pensare con lucidità, la dominavano. Lei aveva pregato Dio di darle un maschio. Aveva recitato il rosario, fatto penitenza. Era stata così sicura che le sue preghiere sarebbero state esaudite che si era perfino rifiutata di pensare alla scelta di un nome femminile.

    Le sue preghiere invece non erano state ascoltate, e la maledizione aveva colpito di nuovo.

    Lei aveva partorito una femmina, non un maschio. Proprio come sua madre e sua nonna, proprio come ogni donna della famiglia prima di lei aveva fatto per generazioni.

    Hope prese un respiro profondo, la bile che le saliva come veleno nella gola. Non si era sottratta alla eredità dei Pierron, dopotutto. Per qualche tempo si era convinta di esserci riuscita. Negli otto anni trascorsi da quando aveva abbandonato la casa di River Road, lei aveva portato a compimento ciascuno dei suoi piani: si era lasciata alle spalle Lily e il marchio di figlia della prostituta; aveva sposato Philip St. Germaine III, un uomo ricco, con un'irreprensibile e illustre famiglia; era diventata una delle signore più in vista di New Orleans.

    Ma quel giorno lei aveva capito che tutto ciò non era servito a nulla. La maledizione dei Pierron l'aveva seguita.

    La bambina era già una bellezza, con carnagione chiara, vivaci occhi azzurri e setosi capelli scuri. Al pari di tutte le donne della famiglia, anche lei avrebbe posseduto la capacità di ammaliare e rendere schiavi gli uomini; anche lei avrebbe portato quell'oscura presenza dentro di sé. La presenza che l'avrebbe condannata a una vita di peccato e alla dannazione eterna.

    Hope rabbrividì. Il Male non era forse anche dentro di lei? Non doveva forse subirne talvolta le ribellioni improvvise, malgrado i suoi sforzi per sottometterlo?

    Philip entrò nella stanza, il suo volto illuminato da un sorriso gioioso, le braccia che a malapena riuscivano a cingere un enorme mazzo di rose. «Amore mio. È bellissima. Perfetta.» Posò i fiori sul letto e si chinò per darle un delicato bacio sulla fronte, badando di non disturbare sua figlia che dormiva. «Sono così orgoglioso di te.»

    Hope si girò dall'altra parte, temendo che suo marito potesse riconoscere i suoi veri sentimenti, la profondità della sua disperazione e della sua ripugnanza.

    Philip si sedette sulla sponda del letto. «Che cosa c'è? Hope, tesoro...» Le prese il mento e la costrinse a guardarlo. Studiò il suo volto, l'espressione ansiosa. «So che desideravi darmi un maschio, ma non ha importanza. La nostra piccolina è la creatura più perfetta che sia mai venuta al mondo.»

    Lei sbatté le palpebre per trattenere il pianto, ma una lacrima sfuggì al suo severo controllo e le colò lungo la guancia.

    «Oh, amore, non piangere.» Philip la attirò contro il suo torace. «Non ha davvero nessuna importanza. Non capisci? Inoltre, noi avremo altri figli. Molti altri.»

    La sua pena divenne quasi insopportabile. Lei sapeva ciò che suo marito ignorava: non ci sarebbero stati altri figli per loro. Lei, al pari delle sue antenate, non sarebbe più riuscita a portare a termine un'altra gravidanza. Faceva parte della maledizione, alle donne della famiglia Pierron era concesso soltanto un figlio, sempre una femmina. A quella creatura avrebbero lasciato in eredità la casa e il marchio del peccato.

    Hope serrò le dita sul morbido tessuto della giacca di suo marito. Sentiva un disperato bisogno di aprirsi con lui, ma sapeva che Philip avrebbe provato soltanto indignazione e orrore nello scoprire la verità sul conto della sua sposa perfetta. La stessa verità che ora riguardava anche la sua figlia perfetta.

    Lui non avrebbe mai dovuto sapere. Hope cercò di ricacciare indietro il nodo che le chiudeva la gola e abbandonò il viso sulla sua spalla, inspirando l'odore della pioggia che la sua giacca conservava, preferendolo al nauseante profumo della stanza. Nessuno avrebbe mai dovuto sapere.

    «Vorrei soltanto» sussurrò, sforzandosi di mettere nel suo tono la giusta nota di afflizione e tristezza, «che i miei genitori fossero ancora vivi per vederla. È così ingiusto. A volte il dolore è talmente profondo che io... io quasi non resisto.»

    «Lo so, mio tesoro.» Per parecchi secondi, Philip la tenne stretta contro il suo petto, poi la allontanò dolcemente, le sue labbra che accennavano un piccolo sorriso. «Ho qualcosa per te.» Dalla tasca della giacca sfilò un sottile astuccio rivestito in pelle blu scuro. Impresso sul coperchio c'era il nome del più prestigioso gioielliere di New Orleans.

    Con dita tremanti, Hope aprì l'astuccio. All'interno, adagiato sul velluto bianco, c'era un filo di perle. «Oh, Philip.» Sollevò la collana e se la accostò alla guancia. Le perle erano fredde e lisce contro la sua pelle. «Sono splendide.»

    Lui spostò lo sguardo sulla bambina, che stava cominciando a muoversi. «Saranno sue un giorno. Mi sembrava appropriato.»

    La gioia che Hope aveva provato nel ricevere quel dono svanì all'istante, e lei rimise la collana nell'astuccio. Philip già adorava sua figlia, si disse, seguendo la direzione del suo sguardo. Lui era stato stregato, intrappolato dal Male. E lo sciocco nemmeno lo sapeva.

    «Nostra figlia ha suscitato scalpore nella nursery» continuò Philip, senza staccare gli occhi dalla culla. «Infermiere di tutti i reparti hanno sentito parlare di lei, della sua bellezza, e hanno voluto vederla. Questa piccolina ha provocato una specie di ingorgo davanti alla vetrata.» Tornò a voltarsi verso di lei, prendendole una mano in maniera rassicurante. «Sono l'uomo più fortunato del mondo.»

    La bambina cominciò a piagnucolare. Hope si ritrasse, consapevole di ciò che il suo ruolo di madre le imponeva, ma incapace di tollerare il pensiero di stringere sua figlia al seno.

    Le proteste della piccola, al principio piccoli lamenti, divennero acuti e irosi strilli.

    Philip aggrottò le sopracciglia, evidentemente perplesso. «Hope, tesoro... la bambina ha fame. Devi allattarla.»

    Lei scosse la testa, rannicchiandosi contro i cuscini. Con orrore, dai seni gonfi e doloranti vide fuoriuscire del latte. Il volto della bambina divenne paonazzo col crescere della sua furia, i lineamenti contorti in una maschera spaventosa. La stessa che popolava gli incubi di Hope.

    Il Male. Oh, Signore, quella creatura ne era già schiava.

    Philip strinse le dita attorno alle sue. «Tesoro... nostra figlia ha bisogno di te. Devi darle da mangiare.» Poiché lei non si mosse, sollevò la piccola e la cullò goffamente, ma le sue grida non diminuirono. Allora la tese verso di lei. «Devi farlo.»

    Hope si guardò attorno affannosamente in cerca di una via d'uscita. Dovunque i suoi occhi si posassero, lei vedeva Il Male. Ogni cosa le ricordava la sua stoltezza.

    Lei non si era sottratta alla maledizione dei Pierron. E mai ci sarebbe riuscita.

    Prigioniera, pensò, mentre una convulsa disperazione si agitava nel suo animo. Lei era prigioniera. Proprio come lo era stata tanti anni prima.

    «Non posso» si lamentò, riconoscendo la nota isterica nella sua voce.

    «Tesoro...»

    «Signora St. Germaine?» L'infermiera entrò di corsa nella stanza. «Cosa c'è che non va?»

    «Mia moglie non vuole allattare la bambina» spiegò Philip, voltandosi verso la donna. «Non so che cosa fare.»

    «Signora St. Germaine» le disse l'infermiera con un tono che non ammetteva nessuna disobbedienza, «sua figlia ha fame. Lei deve darle da mangiare. Smetterà di piangere nell'attimo...»

    «No!» Hope si tirò il lenzuolo fino al mento, il panico che ormai le scuoteva l'intero corpo. «Non posso.» Guardò suo marito, le lacrime che le rigavano le guance. «Ti prego, Philip, non costringermi. Non posso. Non lo farò.»

    Lui la fissò come se le fossero spuntate delle corna sulla testa. «Hope? Che ti succede? Amore, questa è nostra figlia, la nostra bambina. Lei ha bisogno di te.»

    «Tu non capisci... tu non...» Un singhiozzo le troncò la frase e lei nascose il viso contro i cuscini. «Andate... via. Per favore, lasciatemi in pace.»

    2

    Hope si svegliò di soprassalto. Col cuore in gola, madida di sudore, lasciò vagare lo sguardo nella stanza immersa nella penombra, aspettandosi di vedere i mobili della sua camera da letto di ragazza al secondo piano della grande casa. Invece, trovò il semplice e funzionale arredamento di una stanza d'ospedale.

    Fu subito sommersa da un'ondata di sollievo. Lei era a New Orleans; lei era Hope St. Germaine. La casa di River Road era lontana, parte di una vita precedente, la vita di qualcun altro.

    Hope respirò a fondo, incapace di scacciare dalla mente le immagini dell'incubo, simili ad artigli conficcati nella sua anima. Nel sogno lei si era ritrovata nella casa di sua madre, rannicchiata a spiare una coppia come spesso aveva fatto. Solo che questa volta c'era stata sua figlia sul letto a compiere quegli osceni atti sessuali.

    Tuttavia, quando la sua bambina-prostituta aveva lanciato un'occhiata al di sopra della propria spalla, quasi che avesse avvertito la sua presenza, era stato il suo stesso volto che Hope aveva visto.

    Con un gemito di smarrimento, lei si levò a sedere, serrando il lenzuolo contro il corpo. Sapeva bene cosa le stava accadendo; sapeva bene per quale motivo, notte dopo notte, veniva tormentata da incubi di quel passato che si era lasciata dietro.

    Il Male le stava addosso, a schernirla e sfidarla. Credeva di avere già la vittoria in pugno.

    No! Hope si premette le mani tremanti sul viso. Non poteva accettare che Il Male vincesse. Dopo tanti sforzi, non poteva permettere che quanto aveva realizzato andasse distrutto ora.

    Si serrò le gambe contro il torace e prese a dondolarsi con la testa piegata sulle ginocchia, nel cervello un turbinio di pensieri. A chi si sarebbe potuta rivolgere in cerca di aiuto? Di chi poteva fidarsi? Philip stava cominciando a perdere la pazienza con lei. Parenti e amici si comportavano in maniera strana, distaccata e sospettosa. Lei riconosceva gli interrogativi e la disapprovazione nei loro occhi. Quanto tempo sarebbe trascorso prima che qualcuno scoprisse la verità riguardo al suo passato? Prima che la nuova esistenza che si era costruita si sgretolasse sotto i suoi piedi?

    Lei doveva accettare sua figlia; doveva comportarsi come una madre piena d'amore. Doveva fingere di non vedere l'oscuro marchio dell'abiezione nella piccola, di non accorgersi che il frutto era guastato dai vermi.

    Lacrime, calde e amare, le scivolarono lungo le guance. Nel momento in cui fosse stata costretta a tenere in braccio sua figlia, come sarebbe riuscita a nascondere il disgusto? Come sarebbe riuscita a celare la sua disperazione e a simulare un affetto che non provava? Era impossibile. Lei già sapeva che non ne avrebbe avuto la capacità.

    Hope gettò indietro le coperte e si alzò dal letto. Doveva andarsene da quel luogo, si disse, d'un tratto assalita da un frenetico bisogno di fuggire. Doveva uscire a respirare una boccata d'aria fresca; doveva allontanarsi dall'incessante curiosità indiscreta e dall'insopportabile compassione del personale ospedaliero. Doveva trovare qualcuno che fosse in grado di capirla e aiutarla.

    La Chiesa. Lei si sarebbe potuta rivolgere alla Chiesa. Un sacerdote l'avrebbe aiutata. Lui avrebbe capito.

    E nell'anonimato del confessionale, lei non avrebbe corso rischi. Il suo segreto sarebbe stato al sicuro.

    Hope avanzò alla cieca fino all'armadio. Frugò per un attimo all'interno, poi tirò fuori gli abiti con i quali era giunta in ospedale e li indossò in fretta e furia, i movimenti maldestri nella premura. Per tutto l'arco della sua vita la Chiesa era stata il suo conforto, la sua ancora di salvezza nei momenti di crisi e turbamento. Di sicuro anche questa volta non sarebbe stato diverso, il sacerdote avrebbe saputo dirle cosa doveva fare.

    Hope andò al telefono e a bassa voce chiamò un taxi. Poi prese la sua borsetta e in punta di piedi si avvicinò alla porta. La aprì senza fare rumore. La fortuna sembrava assisterla - la postazione delle infermiere era deserta. Sorridendo tra sé, uscì dalla stanza e si avviò verso l'ascensore. Non voleva che Philip fosse avvisato che lei stava lasciando l'ospedale. Suo marito e il personale avrebbero cercato di fermarla. Nessuno di loro capiva.

    Come aveva sperato, l'ascensore era libero. In un attimo raggiunse l'atrio, uscì dalla cabina e si avviò verso le porte a vetri dell'ingresso. Un addetto alla vigilanza era fermo al banco delle informazioni, a flirtare con la receptionist. I due le riservarono un'occhiata distratta.

    Hope uscì. L'aria della sera, carica di umidità, la avvolse. Lei inspirò a fondo, felice di essere libera.

    «Mi benedica, Padre, perché ho peccato. Sono passate due settimane da quando mi sono confessata l'ultima volta.»

    «Che peccati devi confessare, figliola?»

    Al di là della grata, Hope riusciva a distinguere la sagoma del sacerdote, ma non i suoi lineamenti. Proprio come l'uomo non poteva vedere lei. Si torse nervosamente le mani. Il cuore le martellava con tanta forza che le risultava difficile perfino respirare. «Padre, io... io mi sono presentata a lei con un pretesto. Non sono qui per confessare i miei peccati, bensì per chiederle consiglio. Vede, io...» Le parole rimasero imprigionate nella gola, mentre paura e disperazione tornavano a dilatarsi in lei, minacciando di inghiottirla. «Non ho nessun altro posto dove andare, Padre. Nessuno a cui rivolgermi. Se lei non potrà aiutarmi, non so cosa farò. Sarò perduta.» Si coprì la bocca con le mani e cominciò a piangere. «La prego, Padre. La prego, mi aiuti.»

    «Calma, figliola. Ti aiuterò. Dimmi cosa ti affligge.»

    Lei rabbrividì. «Le donne della mia famiglia sono immorali e dissolute, Padre. Sono peccatrici... vendono i loro corpi. È sempre stato così nella mia famiglia, noi siamo donne segnate da una maledizione.» Si asciugò le lacrime dalle guance con il dorso della mano. «Io mi sono sottratta a quel destino, ma ora temo per l'anima della mia bambina appena nata. Temo che anche lei crescendo diventerà immorale e dissoluta. Riconosco la presenza del Male in lei, Padre, e ho tanta paura.»

    Per un attimo, il sacerdote rimase in silenzio. Poi cominciò a parlare, sommessamente ma con una fermezza e con una convinzione che calmarono Hope.

    «Il male è in ognuno di noi, figliola. Eva offrì ad Adamo la mela, lui prese il Frutto Proibito e con quell'atto nacque il Peccato Originale. Ciascuno di noi entra in questo mondo macchiato da quell'antica colpa. Ma Dio ha mandato il proprio figlio a morire per noi, per il nostro peccato. Cristo è la nostra promessa di salvezza.»

    Il sacerdote cambiò posizione sulla sedia; Hope sentì il fruscio delle vesti e il picchiettio dei grani del rosario.

    «Tu devi aiutare tua figlia. Devi indicarle la retta via. Devi insegnarle a combattere il Demonio.»

    «Ma come, Padre?» Hope si piegò verso la grata. «In che modo posso aiutarla?»

    «Tu sei sua madre. Hai il potere di plasmare questa creatura e farne una donna di grande virtù morale. Soltanto tu hai questa possibilità. Tu le indicherai la strada, le insegnerai la differenza tra il bene e il male, tra il puro e l'impuro. Il Signore ti ha dato questa bambina per metterti alla prova. Per mettere alla prova la tua forza morale e la tua fede.

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