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La magnolia in fiore (eLit): eLit
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E-book191 pagine2 ore

La magnolia in fiore (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Annabelle Ames vive da sola nel cuore della piantagione di famiglia, in una dimora d'altri tempi, di quelle che riportano alla mente storie romantiche del vecchio sud, che parlano di madamigelle e gentiluomini e di codici d'onore; il suo desiderio è riportarla all'antico splendore così, quando alla sua porta si presenta Rush Cousins, proprietario di una impresa edile, lei è ben felice di affidargli il lavoro di ristrutturazione. Tra di loro si instaura subito un rapporto particolare in cui la diffidenza si mescola alla potente attrazione, spesso molto difficile da nascondere. E per Rush la situazione rischia di diventare difficile da sostenere, perché lui non si trova lì solo per quel lavoro…

LinguaItaliano
Data di uscita30 dic 2015
ISBN9788858937723
La magnolia in fiore (eLit): eLit
Autore

Erica Spindler

Prolifica autrice di noir, ha ricevuto numerosi riconoscimenti e scala sempre la classifica dei bestseller del New York Times, aggiudicandosi i primi posti .Harlequin Mondadori ha pubblicato Gloria, Farfalle, I sogni di Red, Il cacciatore, Angelo nero, Collezionista di anime, Il grande freddo, Jane deve morire, Sette, Giochi pericolosi e Rosa Shocking.

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    Anteprima del libro

    La magnolia in fiore (eLit) - Erica Spindler

    Credit foto: Yuliia / iStock / Getty Images Plus

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Magnolia Dawn

    Silhouette Special Edition

    © 1993 Erica Spindler

    Traduzione di Donella Buonaccorsi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 1996 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5893-772-3

    www.harpercollins.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    Prologo

    Piccoli Miracoli occupava il primo piano di una palazzina di arenaria in Boylston Street, una delle vie più eleganti di Boston. Rush Cousins la guardò aggrottando la fronte, poi controllò di nuovo l’indirizzo. La proprietaria di Pic coli Miracoli aveva chiamato la sua ditta per avere un preventivo per la ristrutturazione del suo negozio di antiquariato, ma, almeno a giudicare dall’esterno, quella palazzina era in condizioni eccellenti. Naturalmente, poteva darsi che l’interno gli avrebbe fatto un’impressione diversa, pensò mentre saliva gli scalini che conducevano al negozio. Non aveva ancora premuto il campanello che una donnina dai capelli rossi che sembrava un incrocio fra un folletto e una fatina buona gli aprì la porta.

    «Lei dev’essere Rush!» esclamò con un sorriso smagliante. «Io sono Marla. Benvenuto a Piccoli Miracoli!»

    «Sono molto lieto di conoscerla, Marla» replicò Rush ricambiando il suo sorriso e prendendola subito in simpatia. Era uno scricciolo, ma sprizzava entusiasmo e gioia di vivere da tutti i pori.

    «Il piacere è tutto mio, mi creda! Non vedevo l’ora che arrivasse per poter finalmente cominciare! Sono talmente eccitata!»

    «Allora iniziamo subito!» replicò allegramente Rush entrando nel negozio e guardandosi intorno. «Anche se devo dire che non mi sembra che questo posto abbia bisogno di essere ristrutturato. Mi pare che vada benissimo così com’è. Comunque, mi dica quello che ha in mente e farò del mio meglio per accontentarla. A proposito, come mai si è rivolta alla mia ditta?»

    Prima di rispondergli Marla lo guardò per un lungo momento con sconcertante intensità. Aveva gli occhi più azzurri che Rush avesse mai visto. Gli ricordavano un cielo senza nuvole. O il Paradiso.

    «Oh, qualcuno mi aveva fatto il nome della Cousins Costruzioni e Ristrutturazioni tempo fa» mormorò infine lei agitando una mano con un buffo gesto che gli rammentò un battito d’ali. «E non appena si è presentata l’occasione di rivolgermi a voi, l’ho colta... al volo.» Come risposta era piuttosto evasiva, ma prima che Rush avesse il tempo di chiederle qualche precisazione, lei gli domandò: «S’intende d’antiquariato?».

    «No» le confessò lui guardandosi intorno. «Ma mi piace molto. Mi fa pensare a un tempo in cui alla gente interessava più la qualità che la quantità delle cose che possedeva. Purtroppo oggi accade l’esatto contrario.»

    «Non poteva darmi una risposta migliore!» si complimentò con lui Marla. «Bravo!»

    «Non sapevo che mi stesse sottoponendo a un esame» commentò Rush scoppiando a ridere.

    Marla si unì alla sua risata, ma subito dopo si rannuvolò in volto e osservò: «Oggi facciamo tutto di fretta. E ci dimentichiamo che tutte le cose veramente importanti della vita richiedono tempo. Il che mi ricorda che non le ho ancora offerto un caffè! Si guardi intorno, signor Cousins, mentre lo preparo».

    Si avviò verso il magazzino sul retro, ma prima di scomparire oltre la tendina che lo divideva dal resto del negozio, si voltò a guardarlo con uno scintillio divertito negli occhi e soggiunse: «Dedichi un’attenzione particolare agli oggetti che si trovano sul tavolino Chippendale alle sue spalle. Sono molto speciali».

    «Lo farò senz’altro» le assicurò Rush sorridendole. Poi si voltò pensando agli impegni che lo attendevano quel giorno. Uscito di lì, doveva andare al cantiere a parlare con uno dei suoi clienti. Ma prima doveva telefonare in ufficio per chiedere a Joe se durante la sua assenza era...

    Il filo dei suoi pensieri s’interruppe di botto, nel vedere quello che c’era sul tavolino Chippendale. In realtà, non erano degli oggetti, ma un oggetto solo: un carillon a cu pola. La cupola era di cristallo, poggiava su di una base di legno lucido decorato da motivi floreali in filigrana dorata e conteneva una statuina di porcellana che raffigurava una ragazza in costume sudista, con gonna di crinolina e cappellino, che teneva in mano un mazzo di fiori.

    I materiali di cui era fatto erano molto preziosi e nel suo genere era un piccolo capolavoro, ma non era per quello che nel vederlo Rush era rimasto impietrito.

    A mozzargli il respiro era stata una violenta e improvvisa sensazione di déjà vu.

    Non era la prima volta che vedeva quel carillon, ne era sicuro.

    Corrugando la fronte, provò a ricordare dove e quando lo avesse visto. Ma sapeva in partenza che non ci sarebbe riuscito. Perché il ricordo di quel carillon proveniva da molto lontano, dalle sue ombre, dai primi cinque anni della sua vita, anni di cui non rammentava nulla. La vita per lui cominciava il giorno in cui una donna sconosciuta lo aveva consegnato come un pacco postale alle suore dell’Orfanotrofio St. Catherine di Boston. Ma lui era certo di aver visto quel carillon prima di quella data.

    Col cuore in gola, lo prese in mano. Subito un’ondata di ricordi lo travolse. Ricordi sensoriali. Di caldo, umidità, languore. E del profumo di fiori. Un profumo dolce, intenso e inebriante.

    Cominciarono a tremargli le mani. Oh, sì! Aveva già visto quel carillon. L’aveva tenuto in mano, proprio come stava facendo in quel momento, in qualche punto e in qualche luogo del suo passato.

    Obbedendo a un irresistibile impulso, Rush girò la chiavetta del carillon. E un attimo prima che il motivetto cominciasse, le sue note gli risuonarono nella mente.

    «Accidenti!» bisbigliò con voce rauca, mentre le mani gli tremavano sempre di più e il cuore gli martellava in petto.

    Non poteva essere.

    E invece lo era.

    Nelle mani aveva un pezzo del suo passato. Di quel pozzo senza fondo le cui ombre lo tormentavano nei suoi incubi.

    Ma perché proprio adesso?, si domandò con sgomento, guardando la donnina di porcellana che ruotava sulla sua base di legno. Ormai si era abituato all’idea di essere un uomo la cui vita cominciava all’età di cinque anni. Non gli importava più del perché era stato abbandonato o da chi. Lo era stato. Quello era il solo fatto certo della sua vita. Conoscere il suo passato non l’avrebbe cambiato.

    E non avrebbe cambiato l’uomo che era diventato.

    «Ecco fatto» annunciò Marla allegramente sbucando all’improvviso da dietro la tendina e posando un vassoio con un servizio da caffè di porcellana finissima su di un tavolino Regina Anna davanti a un divano Liberty. «Oh, bene! Vedo che ha trovato il carillon.»

    «Da dove viene?» le chiese Rush accigliandosi.

    «Che cosa?»

    «Il carillon» le rispose lui cercando di dominare l’impazienza che provava. «Sa da dove viene?»

    «Ma certo» replicò gentilmente lei, come se non fosse affatto stupita dal suo interesse. «Non si preoccupi, signor Cousins» soggiunse sedendosi sul divano. «Le dirò tutto quello che vuole sapere. Ma prima...» Gli fece un altro dei suoi smaglianti sorrisi, poi concluse: «... si metta a sedere qui accanto a me e beva una tazza di caffè».

    Rush obbedì con riluttanza. Ma non appena Marla gli ebbe porto la sua tazzina di caffè trangugiò tutto di un fiato il liquido bollente e insistette: «Mi parli del carillon».

    «Sicuro! Dunque, quel carillon proviene da una piantagione del Mississippi di nome Ashland. Ne ha mai sentito parlare?» Marla aspettò che Rush scuotesse la testa prima di continuare: «È una delle più grandi piantagioni del Mississippi. E anche una delle poche ancora in possesso della famiglia d’origine. Ma gli attuali proprietari, un fratello e una sorella, non se la passano molto bene e per tenere in piedi l’edificio principale sono stati costretti a vendere gran parte del mobilio e altri cimeli di famiglia. Come quel carillon». Sospirò e dopo aver bevuto un sorso di caffè ed essersi asciugata la bocca con un tovagliolino ricamato concluse: «È una storia molto triste».

    Ashland. Rush si ripeté cinque o sei volte quel nome aspettandosi una sensazione simile a quella che aveva provato vedendo il carillon. Ma non accadde nulla.

    Soffocando la delusione chiese a Marla in tono ansioso: «Ha detto che Ashland si trova nello stato del Mississippi. Ma dove esattamente?».

    «Nei dintorni di Ames. Fra Vicksburg e Greenville, sul delta. La città ha preso il nome dai proprietari della piantagione. Usava così un tempo.»

    Anche quei nomi non gli dicevano niente. Eppure, era sicuro che aver riconosciuto quel carillon non fosse stato un frutto della sua immaginazione. A meno che... «È possibile che esista un altro carillon identico a questo?» domandò a Marla col cuore in gola.

    «Oh, cielo, no!» gli rispose lei senza un attimo di esitazione scuotendo la testa e facendo danzare contro le guance i suoi riccioli rossi. «Questo carillon è stato realizzato appositamente per la terza padrona di Ashland. È un pez zo unico.»

    Rush si appoggiò allo schienale del divano domandandosi che cos’avrebbe trovato se fosse andato laggiù, ad Ames, nel Mississippi, e alla piantagione Ashland. Avreb be finalmente scoperto che cosa gli era accaduto nei primi cinque anni della sua vita? O non avrebbe trovato nulla?

    All’improvviso i ricordi della sua infanzia, stavolta chiari come il sole e taglienti come lame, gli affollarono la mente. Ricordi del tempo in cui non aveva ancora im parato le regole. Delle volte in cui si era buttato a capofitto fra le braccia di qualcuno, con il cuore in mano e gonfio di speranza, e in cambio aveva ricevuto solo calci in faccia. Aveva promesso a se stesso che non sarebbe mai più stato tanto ingenuo!

    E solo un ingenuo avrebbe anche solo preso in considerazione l’idea di andare ad Ashland. Una volta lì, che storiella avrebbe raccontato agli attuali proprietari? Salve, ragazzi! Credo che questa un tempo fosse anche casa mia! Vi manca per caso all’appello un membro della famiglia? E loro che cosa gli avrebbero risposto? Ma certo! Accomodati pure e portati via l’argenteria di famiglia!

    No, era proprio un’idea pazzesca, pensò serrando le mani a pugno. Inoltre, non aveva nessun bisogno di conoscere il suo passato. Non gliene importava più niente. Erano anni che non desiderava più scoprire chi era e da dove veniva.

    «È davvero incredibile come nel nostro passato sia contenuto il nostro futuro» commentò Marla con un sospiro interrompendo il filo dei suoi pensieri.

    «Che cosa intende dire?» le chiese Rush accigliandosi e guardandola come ipnotizzato, catturato ancora una volta dall’incredibile azzurro dei suoi occhi.

    «Voglio dire che lei mi sembra un uomo dall’istinto infallibile, signor Cousins» gli spiegò lei sorridendo. «E penso proprio che dovrebbe seguirlo.»

    1

    Una settimana dopo Rush era davanti all’ingresso di Ashland, sotto lo spietato sole di giugno e con il fiume Mississippi che scorreva placido alle sue spalle.

    Dal cancello alla casa si allungava un viale di magnolie, i cui rami frondosi creavano un baldacchino verde. I magnifici alberi, i cui tronchi avevano un diametro di almeno un metro e mezzo, erano in piena fioritura, e il profumo dolce e intenso dei loro fiori bianchi arrivava fino a Rush, inebriandolo.

    La casa, perfettamente visibile in fondo al viale, si stagliava maestosa con le sue colonne in stile neoclassico e le sue verande, dominando lo spazio intorno a sé. Guardandola tornavano alla mente le storie romantiche del vecchio sud, che parlavano di madamigelle e gentiluomini e di codici d’onore. E anche altre storie, storie di guerre e di sangue, che non avevano nulla di romantico.

    Rush fissò la casa, mentre una dozzina di emozioni diverse lottavano dentro di lui. Timore reverenziale di fronte alla sua magnificenza. Ammirazione per la sua bellezza, perché era riuscita a sopravvivere alla guerra, alle intemperanze del clima e ai mutamenti sociali.

    Ma un senso di déjà vu? Rush scosse la testa, frustrato. Non gli pareva proprio.

    Proprio in quel momento qualcuno sbucò sulla veranda del pianterreno. Rush capì che era una donna perché il vento le aveva gonfiato la gonna intorno alle gambe, ma era troppo lontano per vedere il suo aspetto.

    Comunque, doveva trattarsi di Annabelle Ames. La padrona di Ashland. Era lì da una settimana, sotto le men tite spoglie di un vagabondo in cerca di lavoro. E, come accadeva sempre nelle piccole città, la gente del luogo aveva fatto a gara per raccontargli vita, morte e miracoli di tutti i suoi abitanti. Perciò aveva saputo molte cose sul conto di Annabelle e Lowell Ames. Non tutte lusinghiere, anzi.

    Per i suoi concittadini, Annabelle Ames era una zitella sulla quarantina, insignificante e bacchettona, ma anche gentile e laboriosa. Insegnava nella locale scuola elementare ed era molto benvoluta dai suoi alunni. S’incaponiva se non riusciva a fare a modo suo e diventava decisamente altezzosa se qualcuno le intralciava la strada.

    Ed era ossessionata dall’idea di salvare la casa in cui viveva e nella quale prima di lei avevano vissuto sei generazioni di Ames. Aveva dedicato la vita a quello scopo, spendendo ogni momento libero e ogni centesimo nella manutenzione di Ashland. Per i suoi concittadini quell’os

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