Appuntamento con l'amore: Harmony Collezione
Di Connie Lane
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Connie Lane
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Appuntamento con l'amore - Connie Lane
successivo.
1
Laurel Barton pensava di sapere tutto ciò che c'era da sapere sul Rifugio di Cupido, il bed and breakfast che sua nonna, con un autentico colpo di genio, aveva aperto a South Bass Island, una delle isole del Lago Erie. Laurel vi passava tutto il suo tempo libero e lo conosceva come le sue tasche.
Sapeva quante bottiglie di champagne ci volevano per riempire le fontane barocche delle quattro camere a tema, ognuna delle quali aveva un nome particolare; quanti flaconi di bagnoschiuma venivano usati nelle vasche a forma di cuore, e quali candele profumate preferivano gli ospiti abituali. Sapeva che le piante nella stanza Paradiso Terrestre dovevano essere innaffiate il lunedì e il giovedì, che le bottiglie di Martini in Tocco di Classe andavano rimpiazzate almeno una volta al mese, che le tende di velluto rosso in Vicino al Mio Cuore erano un'autentica seccatura da lavare, e che in Love me Tender non dovevano mai mancare i souvenir di Elvis.
E, pur non avendo un'idea precisa, perché sua nonna Maisie la considerava un'informazione riservata, Laurel immaginava che il negozio accanto alla reception rendesse bene. C'era stato un aumento nelle vendite di biancheria sexy, di oli per massaggi, di discreti giocattoli erotici e di tisane che, giurava Maisie, avevano poteri afrodisiaci.
Laurel conosceva bene ogni angolo del Rifugio di Cupido, dalla cantina alla soffitta, ma ignorava che la villa fosse infestata dai fantasmi.
Rimase inchiodata ai piedi della scala, con lo stomaco in fiamme. La persona che stava chiacchierando con sua nonna non poteva essere Noah Cunningham, quindi doveva essere un fantasma.
«Respira profondamente» si disse sottovoce, «come consigli alle pazienti in travaglio. Respiri lenti e profondi.» Chiuse gli occhi, sicura di essere stata vittima di un'allucinazione.
Invece si sbagliava, perché quando li riaprì il fantasma del suo passato era sempre lì.
Laurel strinse al petto la pila di asciugamani appena lavati, sperando che impedissero al suo cuore di balzarle fuori dal petto. Meno male che Noah e Maisie non l'avevano vista: lui era appoggiato al bancone della reception, lei era troppo occupata a flirtare e ridacchiare per accorgersi della sua presenza.
Così Laurel aveva un momentaneo vantaggio: non solo poteva pensare a una mossa strategica, ma anche osservare l'uomo che aveva cercato di dimenticare negli ultimi quattro anni.
Era sempre bellissimo e sexy da morire. I capelli castani erano un po' più corti, quindi non sembrava che si fosse appena alzato dal letto, come una volta. Quel taglio era un po' troppo giovanile per la sua età e per la sua posizione professionale, ma rispecchiava la sua personalità. E se era vero quanto Laurel aveva sentito dai colleghi, che si ostinavano a raccontarle cose che lei preferiva non sentire, la sua pettinatura aveva lanciato una nuova moda fra gli studenti di medicina che andavano alle sue conferenze. Tipico di Noah: innovatore in tutto, persino nel taglio di capelli.
Laurel ignorò l'ondata di risentimento che minacciava di distruggere l'ultima briciola di controllo che le restava. Non doveva rimpiangere il passato, ma concentrarsi sul presente, cioè proprio su Noah, che aveva lasciato quattro anni prima, giurando che non l'avrebbe rivisto mai più.
Il profilo era lo stesso: mento deciso, naso un po' storto a causa di una partita di rugby, fisico atletico. Evidentemente Noah faceva ancora jogging ogni giorno. Il completo di cachemire blu fatto su misura gli stava a pennello, soprattutto sul sedere.
Datti una regolata! Il sedere di Noah non era più affar suo, ma Laurel distolse lo sguardo a fatica. La mascella quadrata era indice di testardaggine, difetto che lei aveva scoperto quando ormai era troppo tardi, perché con il suo sorriso, capace di illuminare una stanza e di far sentire chiunque parlasse con lui l'unica persona al mondo, Noah era in grado di far dimenticare qualunque cosa.
Per un paio di mesi incredibili quel sorriso era stata la prima cosa che Laurel vedeva al mattino e l'ultima prima di addormentarsi. Era ciò che le era rimasto maggiormente impresso, oltre al dolore che aveva provato quando aveva scoperto che quel sorriso era falso quanto Noah.
Certo che le vecchie ferite si riaprivano facilmente, pensò Laurel respingendo le lacrime. Maisie continuava a civettare, ma del resto lei e Noah erano sempre andati d'accordo. Meno male che il famoso sorriso funzionava ancora, così lei aveva tempo di riprendersi.
Laurel calcolò la distanza che la separava dalla porta che dava sul prato digradante verso il lago. Poteva scappare di lì senza farsi sentire. Era un comportamento un po' vigliacco, ma meglio passare da vigliacca che fare la figura dell'idiota balbettante, cosa che sicuramente sarebbe successa se Noah si fosse girato e l'avesse vista.
Era quasi arrivata alla porta quando Maisie gridò: «Eccola lì! Laurel, Laurel, vieni qui, tesoro, guarda chi è venuto a trovarci!».
Laurel strinse i denti, s'impresse in faccia un sorriso del tipo Peccato che io non abbia tempo di fermarmi a chiacchierare e avanzò verso l'uomo che quattro anni prima le aveva spezzato il cuore in mille frantumi che non si erano ancora ricomposti.
Si accorse che Noah era sorpreso quanto lei. Vide al rallentatore la sua bocca spalancata e lo sguardo allibito che lanciò prima a Maisie, poi a lei.
«Ma...» fu lui a balbettare, «ma aveva detto...»
«Lo so, avevo detto che Laurel era in crociera.» Maisie sorrise e annuì, e i riccioli candidi le danzarono attorno al viso. «In effetti stava...»
«Ero in barca a vela sul lago» intervenne Laurel per trarla d'impaccio. «La chiami crociera, nonna?»
Ma Maisie non si arrendeva neanche davanti all'evidenza. «In effetti, tecnicamente...»
«Lascia perdere.» Laurel posò sul tavolo gli asciugamani e si voltò a salutare Noah, ma non riuscì a porgergli la mano né a guardarlo negli occhi. Poteva guardargli la bocca? No, troppi ricordi. Allora si concentrò sulla cravatta italiana da duecento dollari, di seta gialla e rossa.
«Ciao, Noah» esclamò. «Qual buon vento ti porta al Rifugio di Cupido?»
Si pentì subito della domanda, temendo di ricevere una risposta sgradita. Si guardò attorno, ma Noah doveva essere solo. Che cos'avrebbe fatto se fosse stato con una donna con cui voleva passare un paio d'ore piacevoli in vasche a forma di cuore con oli per massaggio chiamati Piccoli morsi d'amore?
«È venuto a trovarci, naturalmente» lo anticipò Maisie, trascinandolo nel salotto dove il fuoco ardeva nel camino, e tè e biscotti erano sempre pronti. «Non è una bella sorpresa?»
Non lo era, ma Laurel ebbe il buon gusto di non farglielo notare.
«Adesso ci prendiamo un tè» continuò Maisie, «poi chiamo Meg, così ci preparerà una bella cenetta.»
«Maisie!» esclamarono Noah e Laurel all'unisono, guardandosi negli occhi per la prima volta. Fu lui a continuare. Ovvio, era sempre il vincitore, in tutto.
«Temo di non avere tempo per la cena» affermò, e udendo quella voce familiare Laurel fu scossa da un brivido.
Dandosi della stupida, lanciò alla nonna l'occhiata che usava con i bambini piagnucolosi e gli anziani che facevano storie al momento del vaccino antinfluenzale. «Hai sentito? Non ha tempo» ripeté, cercando di convincersi che quella conversazione fosse perfettamente normale. «Come mai? E in ogni caso, che cosa ci fai qui?»
«Devo prendere...» Noah si accorse di parlare con la persona sbagliata e si rivolse a Maisie. «Se potesse portarmela lei... Domani ho una riunione a Chicago, prendo il volo da Cleveland stasera.»
«Stasera?» Il sorriso di Maisie svanì. «Oh, santo cielo» sussurrò, guardando la nipote in cerca d'aiuto.
«Sono le sette e quarantacinque» sospirò Laurel. «L'ultimo traghetto è partito tre quarti d'ora fa.»
«Mi state dicendo...?» esordì Noah, inchiodando con lo sguardo Maisie, che si rivolse a Laurel disperata.
Lei, sentendosi come un'interprete incapace di fare comunicare due persone, completò: «Che non puoi partire, a meno che» s'illuminò, «non noleggi un aereo».
«Ma no, tesoro!» Maisie cercò di nascondere un sorriso trionfante. «Frank è partito per festeggiare il compleanno della nipotina e l'aeroporto è chiuso.»
Noah non credeva alle sue orecchie.
«Quindi passerai la notte qui!» concluse Maisie vittoriosa.
Ma Laurel sapeva che Noah non si sarebbe arreso facilmente, visto che arrendersi significava restare sull'isola.
Per la seconda volta i ricordi minacciarono di travolgerla. Che Maisie se ne accorgesse pure, che cosa le importava? Più tardi le avrebbe detto il fatto suo per aver simpatizzato con il nemico, ma sarebbe morta piuttosto di fare capire a Noah quanto il suo arrivo l'avesse sconvolta.
Doveva assolutamente stare un po' da sola per assimilare tutto ciò che stava succedendo. Stringendo al petto gli asciugamani andò nella stanza della biancheria e li riordinò con cura. Non stava certo prendendo tempo! Le mani le tremavano, le ginocchia non la reggevano e il cuore le batteva impazzito solo perché c'era in giro l'influenza.
In un breve sprazzo di lucidità capì che non poteva continuare a nascondersi e tornò sui suoi passi, lisciandosi il golf verde acqua.
«Nell'albergo vicino al porto non ci sono camere libere.» Maisie scosse la testa desolata. «È pieno di pescatori.»
«Ci sarà pure un altro bed and breakfast» azzardò Noah, poi si rese conto di avere fatto una gaffe. «Non che questo non mi piaccia, anzi, ma mi sembra chiuso e non voglio che lei si disturbi solo per me.»
«Nessun disturbo!» proclamò Maisie con un sorriso da Gatto Mammone. «Hai ragione, non ci sono altri ospiti, così puoi scegliere la camera che preferisci. Allora, vediamo, che cosa ti serve?»
Naturalmente Noah non aveva bagaglio, visto che non intendeva fermarsi sull'isola.
«Spazzolino? Dentifricio? Pettine? Collutorio?» elencò Maisie. «Nel nostro negozio c'è di tutto. Inutile dire che i vecchi amici non devono pagare.»
«Lui non è un vecchio amico» obiettò Laurel.
«Non sono un vecchio amico» replicò Noah nello stesso istante.
La risata argentina di Maisie si perse verso il soffitto dal quale, in un cielo azzurro, facevano capolino dei cherubini. «Invece sì» dichiarò, lanciando a Noah un sorriso affascinante, mentre le sue guance diventavano rosa quanto il golfino d'angora che indossava. «Sei un mio vecchio amico, spero che non te ne sia dimenticato, quindi sei mio ospite, e non discutere» aggiunse quando Noah aprì bocca per rispondere. «Per giunta hai perso il traghetto per colpa mia, avrei dovuto dirti che ormai è in vigore l'orario autunnale. Il minimo che io possa fare è offrirti un posto per la notte e una bella colazione domani mattina. Laurel, tesoro, porta Noah in negozio e dagli tutto ciò che gli serve, poi accompagnalo in camera.»
Negozio? Camera?
Laurel si era illusa di avere recuperato una parvenza di controllo. Aveva parlato con Noah a un metro di distanza senza perdere l'autostima che aveva impiegato quattro anni a ricostruire. Ma adesso Maisie le chiedeva l'impossibile: il negozio esponeva biancheria commestibile, manette di pelliccia, négligé trasparenti. Le bastò pensarci per avvampare. Sarebbe entrata in quel negozio con chiunque, ma non con Noah! Era come entrare nel parco di Yellowstone con un cartello appeso al collo che diceva: Salve, orsi! Ho un sacco di cibo per voi.
«Nonna, io...» Ma prima che Laurel potesse aggiungere altro si udì una voce familiare: «Dov'è il mio pasticcino alla crema?».
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