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Farfalle (eLit): eLit
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E-book373 pagine5 ore

Farfalle (eLit): eLit

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Info su questo ebook

ROMANZO INEDITO Skye Dearborne ha un desiderio: dimenticare il suo passato doloroso, dimenticare le persone che ha amato e che l'hanno abbandonata, e trovare qualcuno che resti con lei e l'ami per sempre. L'affascinante Griffen Monarch sembra inviato dal destino. È ricco, bello, potente, e si innamora pazzamente di Skye. Anzi, l'ama talmente che non tollera ostacoli tra loro, e sembra deciso a controllare nei minimi dettagli la vita di lei. A poco a poco, l'amore di Griffen diventa simile a un'ossessione. Il sogno di Skye si è realizzato... ma non sarà invece un incubo?
LinguaItaliano
Data di uscita28 set 2018
ISBN9788858990124
Farfalle (eLit): eLit
Autore

Erica Spindler

Prolifica autrice di noir, ha ricevuto numerosi riconoscimenti e scala sempre la classifica dei bestseller del New York Times, aggiudicandosi i primi posti .Harlequin Mondadori ha pubblicato Gloria, Farfalle, I sogni di Red, Il cacciatore, Angelo nero, Collezionista di anime, Il grande freddo, Jane deve morire, Sette, Giochi pericolosi e Rosa Shocking.

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    Anteprima del libro

    Farfalle (eLit) - Erica Spindler

    successivo.

    1

    Il sole illuminava la nursery proiettando sul pavimento fasci di luce variopinta. Il grande angelo dalle ali spiegate raffigurato sulla vetrata istoriata aveva finalmente una nuova bimba da vegliare: due settimane prima era nata Grace Elizabeth, e la famiglia Monarch aveva festeggiato il suo arrivo con grande gioia. Grace avrebbe cambiato la vita di tutti. Ma specialmente quella di sua madre.

    Madeline Monarch entrò nella nursery e si avvicinò alla culla per contemplare la sua bambina. Era così bella, così perfetta che lei ancora stentava a credere che fosse vera. Che aveva fatto per meritarsi una simile benedizione? La presenza di Grace era un miracolo, e anche la sua nascita, avvenuta dopo un travaglio di un'ora soltanto, era stata quasi miracolosa. Madeline scosse la testa, incapace di credere a tanta improvvisa fortuna. Lei era una di quelle persone destinate a sbagliare, a fare sempre le scelte meno adatte, a soffrire... e invece ecco che adesso aveva messo al mondo quella perfetta, assoluta meraviglia! Accarezzò i soffici capelli setosi della bimba, con un nodo in gola. Amava Grace più della sua stessa vita, e sentiva che avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggerla e renderla felice.

    La porta della nursery si aprì. Madeline si volse e vide il suo figliastro seienne, Griffen, in piedi sulla soglia con lo sguardo fisso sulla culla. Trasse un respiro profondo, cercando di vincere il disagio provocato da quegli occhi azzurrissimi, a un tempo affascinati e quasi spaventati dalla novità. Griffen era solo un bambino e aveva bisogno di lei. Non doveva dimenticarlo... Ma c'era qualcosa nel figlio di suo marito che la metteva profondamente a disagio. In sua presenza Madeline sentiva un brivido gelido lungo la schiena, ed era stato così fin dall'inizio.

    Eppure Griffen era un bellissimo bambino, intelligente, educato, a volte perfino dolce. Ma nonostante tutto lei non riusciva a trattenere un brivido ogni volta che lo guardava.

    In realtà, Madeline sapeva perché. Lei vedeva cose che gli altri non vedevano: aveva delle visioni, sapeva leggere il futuro e il passato delle persone, fin dall'infanzia. Si era sempre sforzata di non badare a quelle premonizioni, di non dar loro peso, ma dopo la nascita di Grace quella sua capacità si era acuita, e lei non riusciva più a ignorarla. E adesso, il suo sesto senso le diceva che c'era qualcosa di strano nel piccolo Griffen. Qualcosa di strano e terribile.

    Lo guardò di nuovo. Povero bambino, pensò. Sua madre era morta tre anni prima, per un'overdose accidentale di sonniferi misti a whisky, e lui era cresciuto con un padre debole e distante, un nonno ossessionato dal desiderio di avere un'erede femmina, e una nonna resa semipazza da una salute malferma che le aveva causato sette aborti spontanei. E come se non bastasse, adesso aveva una sorellastra che tutti veneravano. C'era da stupirsi che non ne fosse terribilmente geloso...

    Povero Griffen, pensò di nuovo Madeline. Doveva cercare di volergli bene... di essere una buona madre per lui. Sorrise e gli fece cenno di entrare. «Vieni, Griffen, ma non fare rumore. La bambina sta dormendo.»

    Lui annuì ed entrò in punta di piedi, poi si fermò accanto alla culla e guardò la sorellina, in silenzio.

    Non c'era da stupirsi che fosse un po' strano, considerando la bizzarra famiglia in cui era cresciuto. Madeline si era accorta troppo tardi di essere caduta in una specie di orrenda trappola, e spesso si domandava come aveva potuto non vedere i difetti di Pierce, suo marito: un uomo inflessibile, spesso addirittura spietato, e spaventosamente meschino. Il matrimonio con Pierce Monarch era stato il più grave dei suoi errori.

    Era stata accecata dal nome e dalla ricchezza dei Monarch, ecco la verità. Dalla fama della Gioielleria Monarch, fondata nel 1887 dai fratelli Anna e Marcus e assurta in breve a grande, e meritata, celebrità.

    Spesso, prima di conoscere Pierce, Madeline si era fermata davanti alle vetrine di Michigan Avenue e aveva sognato di possedere uno di quei gioielli straordinari, una collana, una spilla, un anello. Uno solo...

    Ebbene, il suo desiderio si era avverato. Pierce l'aveva presa dal suo piccolo mondo di povera commessa senza nobiltà e l'aveva trasportata nella grande casa di Astor Street, in un ambiente di lusso e raffinatezza che era simile a un sogno.

    Solo che il sogno si era presto rivelato un incubo.

    Ma adesso tutto sarebbe cambiato. Adesso era arrivata Grace, una salvezza per la famiglia e per le sorti dell'azienda, e grazie a lei tutti sembravano molto più felici.

    «La sorellina è proprio bella, vero?»

    Madeline sorrise. Griffen non era affatto geloso di Grace, anzi, sembrava affascinato da lei. Sembrava addirittura che l'adorasse. Come aveva potuto pensar male di lui?, pensò intenerita.

    «Nonno Adam dice che Grace ha il dono.»

    «Il dono?» ripeté lei interdetta.

    «Sì, quello delle donne della famiglia. Quello che aveva la prozia Anna, e ha fatto la fortuna della famiglia» spiegò Griffen in tono saccente. «Nonno Adam dice che anche Grace è speciale, e che perciò dobbiamo tenerla sempre con noi.»

    Il sorriso di Madeline si spense. Griffen ripeteva soltanto quello che aveva sentito dire, ma c'era qualcosa di agghiacciante nella sua espressione intensa. «Tesoro, Grace è speciale perché le vogliamo bene... ma non è detto che abbia questo dono. E poi, il fatto che finora siano state le donne della famiglia a creare i gioielli non vuol dire che in futuro non possa farlo anche un ragazzo, magari proprio tu!»

    Griffen scosse la testa. Sembrava un adulto annoiato dalla stupidità di un bambino. «No. Il nonno dice che solo le ragazze lo fanno. È sempre stato così, ed è per questo che Grace è tanto importante per la famiglia. Il nonno lo sa.»

    «Tu pensi che il nonno sappia proprio tutto?» domandò Madeline aggrottando la fronte.

    «Oh, sì. Il nonno è la persona più intelligente del mondo, e da grande io voglio essere come lui.» Griffen guardò di nuovo la piccola. «Posso toccarla?»

    «Sì, ma con molta attenzione. Così.» E Madeline sfiorò lievemente la guancia setosa di sua figlia.

    Griffen la imitò. «È così morbida e liscia...» disse stupito. «Come mai?»

    «Perché è nuova nuova» sorrise Madeline dondolando lievemente la culla. «Quando sarà un po' cresciuta te la farò tenere in braccio.»

    «Cresciuta quanto?»

    «Un po' più di adesso. Sai, i neonati sono delicatissimi, e con loro bisogna far molta attenzione.»

    Griffen non disse nulla per un po' e rimase accanto alla matrigna, osservando la piccola addormentata.

    «Da grande la sposerò» annunciò.

    «Chi, tesoro?»

    «Grace.»

    Madeline rise dolcemente e gli scompigliò i capelli. «Non puoi, caro. Grace è tua sorella.»

    Lui la guardò corrucciato. «Se voglio lo farò!»

    Madeline chiuse gli occhi per un attimo. Vide un pavimento macchiato di sangue, due piccole braccia che si agitavano contro un grande corpo scuro, sentì un grido di aiuto... Un gemito sfuggì dalle sue labbra, e quando riaprì gli occhi si ritrovò nella nursery inondata di sole, a guardare il viso iroso del figliastro.

    Scacciò dalla mente la visione e disse severa: «Non si può sposare la propria sorella, Griffen. Non si può!».

    Il bambino fece una smorfia di rabbia. «Se voglio lo farò!» urlò. E diede uno spintone violento alla culla che ondeggiò minacciando di rovesciarsi: la piccola venne proiettata contro il bordo di legno, batté la testolina e si svegliò con uno strillo disperato. Madeline si slanciò a prenderla in braccio e la strinse a sé, cercando di calmare i suoi singhiozzi. Per fortuna stava bene, pensò. Non si era fatta niente, solo un grande spavento. Sarebbe potuto essere peggio, molto peggio.

    Un pavimento macchiato di sangue... un disperato grido di aiuto...

    Levò gli occhi. Griffen si era ritirato sulla soglia della nursery e la guardava sorridendo, malignamente soddisfatto di sé.

    Madeline sentì le ginocchia che cedevano e si lasciò andare su una poltroncina, stringendo la bimba al petto. Ecco qual era la verità, pensò sconvolta. Griffen odiava la sorellina e avrebbe cercato in tutti i modi di farle del male. Lei doveva stare attenta. Molto attenta.

    2

    Dalla finestra della camera da letto, con il cuore in gola Madeline osservava Pierce e Adam che chiacchieravano sul vialetto. Erano lì in piedi da più di dieci minuti, e non si decidevano ad andare al lavoro.

    Lei chiuse gli occhi e pregò che se ne andassero alla svelta. Perché avevano scelto proprio quel giorno per attardarsi, proprio quel giorno di cui ogni minuto, ogni secondo era così prezioso?

    Aveva pianificato tutto con attenzione. Adam doveva partire per affari, Pierce stava andando al lavoro, Griffen era a scuola. Il giovedì la cuoca faceva la spesa per la settimana, ed era il giorno libero della governante. Nonna Monarch era malata e non lasciava mai le sue stanze... era il giorno perfetto per fuggire.

    Madeline si premette una mano sullo stomaco che doleva per la tensione. Nessuno aveva voluto crederle, né Adam né Pierce. Nessuno capiva le vere intenzioni di Griffen nei riguardi di Grace. Nei cinque anni trascorsi da quel primo incidente nella nursery, Madeline aveva tentato innumerevoli volte di metterli in guardia, ma le sue preoccupazioni erano state minimizzate e ridicolizzate. Era esagerata, era nevrotica. Griffen voleva molto bene alla sorellina. Non c'era niente di strano!

    Così, Madeline aveva osservato il morboso attaccamento di Griffen aumentare sempre più. Il ragazzo era geloso degli altri bambini con cui Grace giocava, del suo gattino, perfino dei giocattoli che potevano distrarla da lui. Era incredibilmente possessivo, seguiva la bimba dappertutto, e spesso guardava con odio gli adulti che si frapponevano tra loro due. Suo padre, la governante, perfino la stessa Madeline.

    Ma questo era ancora niente rispetto a quello che era accaduto in seguito.

    I giocattoli preferiti di Grace distrutti e mutilati. Il gattino ucciso a bastonate. Griffen addosso a Grace, una mano sulla bocca per zittirla e l'altra sotto le gonne...

    Ancora adesso, a distanza di mesi, l'orrore di quella scena vista per caso le attanagliava lo stomaco. Griffen aveva detto con un innocente sorriso che stavano facendo la lotta, ma lei sapeva bene che non era così, e ancora una volta ne aveva parlato con il marito e il suocero. Li aveva supplicati di far qualcosa, non solo per il bene di Grace ma per quello di Griffen che era malato e aveva bisogno di assistenza psicologica... ma ancora una volta era stata derisa, addirittura minacciata. Se avesse continuato con le sue farneticazioni le avrebbe tolto la bambina, aveva detto Adam. Qualsiasi giudice avrebbe convenuto che le sue storie di visioni e di premonizioni non erano un esempio sano per dei bambini. Poi le aveva mollato un ceffone violento, che l'aveva mandata a sbattere contro la parete. E Pierce era stato a guardare senza muovere un dito.

    In quel momento qualsiasi residuo di amore per il marito era definitivamente morto. Madeline l'aveva odiato con tutta l'anima, ma nei mesi successivi si era controllata, aveva finto perché doveva pensare al bene di sua figlia e sapeva che Adam poteva mettere in atto la sua minaccia. Allora, nessuno avrebbe più protetto Grace.

    Così aveva fatto marcia indietro. Non sapeva che le era preso, aveva detto. Si rendeva conto di aver esagerato nei suoi timori su Griffen. Adesso capiva di essersi sbagliata. Le dispiaceva moltissimo... E aveva recitato la parte della moglie sottomessa e adorante, della nuora perfetta, della matrigna premurosa. Intanto, progettava la fuga.

    Pierce levò gli occhi e la vide dietro i vetri. Il cuore di Madeline si fermò. Buon Dio, l'aveva sorpresa... e adesso, che avrebbe fatto?

    Poi cercò di calmarsi. Pierce non poteva sapere. Non poteva! Quella mattina, per buona misura, lei si era perfino sottoposta al suo amplesso, benché la cosa la disgustasse. Aveva lottato contro i conati di vomito e aveva sopportato, sapendo che lui sarebbe andato al lavoro tronfio e soddisfatto di sé e non avrebbe più pensato a lei per il resto della giornata.

    Forzò un sorriso e un cenno con la mano, e gli gettò addirittura un bacio. Pierce sorrise compiaciuto e tornò alla sua conversazione.

    Ecco. Lei e Grace erano salve, per il momento.

    Madeline si staccò dalla finestra pensando ai mesi trascorsi. Non era stato facile fingere che tutto andasse bene e continuare a sorvegliare Griffen senza parere. Non osava nemmeno dormire per il terrore che lui scivolasse nella camera di Grace e la violentasse. Era stato terribile, e lo sforzo per dissimulare le sue angosce le era costato molto. Era dimagrita, aveva il viso tirato e segnato, e la gente cominciava a domandarsi se non fosse seriamente ammalata. Ma lei sapeva di non essere malata né pazza. Solo che tutti gli altri fingevano di non vedere.

    Andò a controllare sotto il letto. Le valigie erano nascoste là sotto, pronte. Doveva solo terminare quella di Grace, poi sarebbe partita, anche se non aveva un posto in cui andare. Non aveva parenti, e la sua migliore amica di un tempo, Susan, era stata forzatamente allontanata dalla sua vita. Non aveva denaro suo: le sue spese erano controllate da Pierce, e lei non disponeva mai di contanti. La sorella di Adam, Dorothy, era l'unica che fosse dalla sua parte, ma fino a un certo punto. Anche lei era ossessionata dalla convinzione che Grace avesse il famoso dono e che in futuro dovesse ereditare la direzione artistica dell'azienda.

    Madeline era stata costretta a impegnare l'anello di fidanzamento, dicendo a Pierce che lo aveva mandato a restringere, e con il ricavato si era comprata una vecchia Chevrolet che aveva parcheggiato a qualche isolato di distanza. Era tutto pronto. Perché quei due non se ne andavano?

    Finalmente udì il rumore delle portiere sbattute, corse alla finestra e vide che la macchina con autista si allontanava. Scese le scale con il cuore in gola, si fermò un attimo nell'ingresso per assicurarsi che non ci fosse nessuno, poi corse nello studio e chiuse a chiave la porta.

    Sulla parete di fronte a lei, nascosta da un paesaggio, c'era la cassaforte. Per mesi aveva usato ogni scusa per essere presente quando Pierce l'apriva. Aveva spiato, osservato, annotato. E adesso sapeva la combinazione. Ti prego, Dio, fa' che sia giusta, pregò staccando il quadro. Compose la combinazione, un numero dopo l'altro... ma la cassaforte non si aprì.

    Oh, Dio, no! Senza denaro non poteva andare da nessuna parte... lei e Grace erano condannate...

    Sta' calma, Madeline. Sta' calma e riprova.

    Riprovò. Lo sportello si aprì.

    Con mani tremanti, Madeline spostò un sacchetto di velluto nero recante il logo della gioielleria, una farfalla imperiale la cui ala destra si trasformava in una M ricurva, e prese un fascio di banconote. Cinquemila dollari le sarebbero bastati per sistemarsi finché non avesse trovato un lavoro. Cacciò le banconote nella tasca del cardigan, poi guardò incuriosita il sacchetto di velluto. Chissà che cosa conteneva.

    Lo aprì d'impulso e vi affondò la mano, estraendone una manciata di gemme. Diamanti, rubini, zaffiri. Enormi, purissimi. Che ci facevano lì? Perché non erano nella cassaforte della ditta, dove sarebbero stati più al sicuro?

    Madeline rimise le pietre nel sacchetto e fece per chiudere la cassaforte. Adam e Pierce erano abili uomini d'affari, e se tenevano delle pietre preziose in casa dovevano avere le loro buone ragioni, che peraltro non la riguardavano.

    Prendile, disse una voce dentro di lei.

    Madeline scosse la testa. Se avesse obbedito al suo impulso, Adam e Pierce l'avrebbero inseguita con ferocia ancora maggiore. No, meglio lasciarle dov'erano.

    Richiuse la cassaforte e attraversò la stanza, ma a metà strada si fermò, fulminata da una delle sue visioni. Neve. Un bosco scuro e fitto. Una distesa di ghiaccio, acque gelide che inghiottivano qualcuno.

    Cominciò a tremare incontrollabilmente. Prendi le pietre, disse la voce dentro di lei. Prendile!

    Allora corse di nuovo alla cassaforte, l'aprì, afferrò il sacchetto e richiuse di furia, poi scappò via stringendo il sacchetto di velluto al petto. Ecco, l'aveva fatto. Non poteva più tornare indietro.

    Salì le scale lottando contro il panico ed entrò in camera di Grace. «Tesoro... svegliati, tesoro, è ora di alzarsi...» disse scuotendola dolcemente.

    Grace si voltò mormorando qualcosa, con il suo orsetto stretto al cuore. Poi aprì gli occhi e sorrise. «Ciao, mammina.»

    Il cuore di Madeline si gonfiò d'amore. Non si sarebbe mai stancata di guardare la sua bambina, di sentirsi chiamare mamma da quella vocina così dolce. «Coraggio, amore, alzati e vestiti. Dobbiamo partire. Sei capace di vestirti in fretta?»

    La piccola si mise a sedere sul letto, cacciandosi il pollice in bocca. «Mammina, sei arrabbiata?» domandò.

    «No, tesoro, ho solo molta fretta.»

    «Perché, dove andiamo?»

    Madeline esitò. Che poteva dire a sua figlia? Che aveva intenzione di guidare finché non fosse morta per la stanchezza? Che voleva mettere la maggiore distanza possibile tra loro e quella casa maledetta? Accarezzò la testolina di Grace e disse: «Oh, in un posto bellissimo. Vedrai come ci divertiremo, solo tu e io».

    «Papà non viene?»

    Lei scosse la testa. «Papà ha tanto da lavorare.»

    La bimba accettò la spiegazione senza protestare. Pierce vedeva sua figlia raramente, e quelle poche volte la trovava troppo rumorosa, o sporca, o capricciosa. Non parlava mai di lei se non in termini di valore per l'azienda di famiglia. Per Grace era poco più di un estraneo.

    «Neanche il nonno e la nonna?» domandò la piccola scendendo dal letto.

    «No.»

    «E Grif?»

    «No, nemmeno lui.» Lui, meno che mai. «Vedrai come sarà bello, solo tu e io!»

    «Va bene.» Grace infilò le pantofoline, e Madeline si inginocchiò accanto a lei. «Ho bisogno che mi abbracci forte» sorrise.

    La bimba cinse il collo della madre con le sue braccine paffute, e Madeline la strinse forte. «Ti voglio tanto bene, tesoro. Tanto.»

    «Anch'io, tanto tanto.»

    «Adesso finisci di vestirti. Io torno subito.»

    Madeline corse in camera, prese le valigie da sotto il letto e aprì la sua, ci mise le banconote e il sacchetto di velluto e richiuse. E raddrizzandosi ebbe come un lampo. Pierce sapeva. Sapeva, e stava per sorprenderla. Guardò verso la porta quasi aspettandosi di vederlo là, in piedi. Non c'era nessuno. La casa era vuota, anche la cuoca doveva essere già uscita.

    Eppure non riusciva a scrollarsi di dosso quell'orribile sensazione. Pierce sapeva, e se l'avesse scoperta l'avrebbe uccisa.

    Respirò a fondo un paio di volte. Doveva restare calma. Non doveva farsi prendere dal panico. Entro venti minuti lei e Grace sarebbero state fuori di lì, in macchina, pronte a cominciare una nuova vita lontano da quell'orribile famiglia. Sarebbe andato tutto bene. Tutto bene.

    Tornò nella nursery. Grace doveva aver perso tempo in bagno e non era ancora pronta. Madeline sospirò. Perdere la calma con la bimba non sarebbe servito a niente. Meglio aiutarla a vestirsi.

    «Coraggio, amore, dobbiamo sbrigarci» disse tendendole lo scamiciato.

    «Perché?»

    «Perché sì» scattò lei. Poi sorrise per temperare il tono secco della voce. Ce l'avevano quasi fatta... questione di minuti. Diede a Grace il suo orsetto e finì la sua valigia, gettandoci dentro alcuni abitini e i giocattoli preferiti.

    Qualcuno bussò alla porta della nursery. «Signora? Sto andando al supermercato, ha bisogno di qualcosa?»

    La cuoca, maledizione. Non era ancora uscita!

    Madeline tentò di rispondere, ma aveva la gola così arida che non ne uscì un suono. Accidenti, pensò. Se non le rispondeva subito, la donna si sarebbe preoccupata e magari sarebbe entrata, e così avrebbe visto le valigie!

    «Signora Monarch? Tutto bene?»

    «S... sì, Alice, non si preoccupi. Non mi serve niente, vada pure.»

    «Va bene. Ah, guardi che hanno chiamato dall'ufficio del signor Monarch. Dicono che ha dimenticato qualcosa e sta tornando a casa a prenderlo.»

    Pierce stava tornando a casa? Dio, no! Lottando contro il panico, Madeline ringraziò la donna e le ricordò che lei e Grace sarebbero state fuori perché pranzavano allo zoo con un'amichetta della bimba. Poi aspettò un poco, per essere sicura che Alice se ne fosse davvero andata. Quanto tempo le restava prima che Pierce rientrasse? Si guardò intorno, eliminando mentalmente le altre cose che voleva mettere in valigia. Non c'era tempo. Ne avrebbero fatto a meno.

    «Guarda, mammina!» esclamò Grace felice. «Che bei sassi!»

    Madeline si volse e vide che la bimba aveva aperto chissà come la sua valigia e si era rovesciata in grembo il contenuto del sacchetto di velluto. Scattò verso di lei e glielo strappò di mano. «No! Non toccare!» Le pietre rotolarono sul parquet, e Grace scoppiò a piangere.

    Madeline non alzava mai la voce con sua figlia. In cinque anni, le era accaduto forse tre volte. Abbracciò la piccola, pentita, e cercò di consolarla. «Non piangere, tesoro. Papà vuole che ci portiamo in viaggio queste belle pietre, ma sono speciali e non bisogna giocarci. Adesso, vuoi aiutarmi a raccoglierle?»

    Tirando su col naso, la bimba annuì e insieme raccolsero le gemme, le rimisero nel sacchetto, e il sacchetto in valigia. Madeline chiuse a chiave entrambe le valigie. «Coraggio, amore, è ora di andare.»

    La porta della nursery si aprì, Madeline si volse di scatto e si sentì gelare. Non era Pierce che aveva dimenticato qualcosa a casa, ma l'altro signor Monarch. Molto, molto peggio.

    Adam vide la scena, capì, e il suo volto si incupì di collera. «Sei in partenza, Madeline?»

    Lei si umettò le labbra. «Non è così. È solo che...»

    «Andiamo in viaggio» cinguettò Grace, «ma papà non viene perché deve lavorare!»

    Adam fece un passo verso di loro, livido di rabbia. «Brutta puttana, ecco che cosa stavi architettando... ecco perché eri tanto dolce e arrendevole e facevi la mogliettina perfetta. Stavi progettando di rubarmi mia nipote!»

    Con il cuore in tumulto, Madeline rispose: «È mia figlia, Adam. Mia figlia!»

    «E papà ci ha dato dei bei sassi colorati per il viaggio» disse Grace.

    Adam guardò la bimba corrugando la fronte, cercando di capire, poi si rivolse nuovamente alla nuora. «Tu non vai da nessuna parte.»

    «Non puoi impedirmelo» replicò lei raddrizzando le spalle. «È mia figlia, e io devo proteggerla. Ho cercato di mettervi in guardia, di farvi capire che Griffen...»

    «Griffen è suo fratello» l'interruppe il vecchio con la faccia paonazza. «È mio nipote, ed è un Monarch!»

    «Ma è uno squilibrato! È malato, pericoloso. Dovresti vedere come si comporta, così ci crederesti!» gridò lei.

    «Dovrei credere ai deliri di una pazza che pensa di poter predire il futuro? Ma fammi il piacere!»

    «Ma vi ho pur detto come li ho trovati, non me lo sono immaginato! Lui la teneva inchiodata sul pavimento e aveva la mano sotto le...»

    «Taci!» ululò Adam. «Sei tu che sei squilibrata, sei tu che hai bisogno di cure! Guarda, non me ne frega un accidente se te ne vai, ma mia nipote non la tocchi!»

    «Devo pensare al suo bene, e tu non puoi fermarmi» ribatté Madeline.

    «Oh, sì che posso. Lei deve star qui, appartiene alla famiglia, appartiene ai Monarch.»

    «Ma non è un oggetto!» gridò Madeline mettendosi tra lui e la bimba. «Non appartiene a nessuno, è una persona!»

    Adam scosse la testa e parlò con calma, ma i suoi occhi avevano un'allarmante luce di fanatismo che le gelò il sangue. «Grace ha il dono, Madeline. Sai bene che non posso lasciarla andare. Devo tenerla qui.»

    «Adam, sii realistico» cercò di ragionare lei. «Come sai che ha davvero il dono? Grace ha solo cinque anni... come puoi esserne sicuro?» Quell'uomo era pazzo, pensò. Ossessionato dalla convinzione assurda che il dono passasse da una all'altra delle donne di famiglia. Ossessionato dal terrore che senza Grace l'azienda sarebbe fallita. Buon Dio, era pazzo come Griffen!

    Gli diede uno spintone, con l'intenzione di afferrare la piccola e scappare comunque, ma lui l'afferrò per un braccio. «Tu non vai da nessuna parte, ho detto» sibilò.

    «Lasciami. Avrai notizie dal mio avvoc...»

    Adam le assestò un pugno sulla mascella, e lei barcollò all'indietro urtando il cassettone. La lampada di Mamma Oca cadde a terra, in briciole.

    Adam afferrò Grace e corse verso la porta. «Mamma!» urlò la bimba, scalciando disperata. «No! Voglio la mia mamma!»

    Madeline si rimise in piedi a fatica e si slanciò su di lui, artigliandogli il collo. Adam allentò un poco la presa su Grace, che cadde sul pavimento con uno strillo, e colpì di nuovo Madeline facendola crollare all'indietro sul letto. E mentre lei cercava di rimettersi a sedere, lo vide avanzare con le mani incurvate come artigli.

    Voleva ucciderla, pensò.

    Prima che si risollevasse, Adam fu su di lei e l'afferrò alla gola. «Razza di cagna maledetta! Credevi davvero di fregarci? Credevi di potercela portar via così?»

    Madeline tentò disperatamente di liberarsi, gli graffiò le mani, si dibatté, scalciò, ma lui era troppo forte. I polmoni di lei bruciavano, privi di aria. La sua testa sembrava esplodere per il dolore, gli occhi cominciavano già ad annebbiarsi. Sopra di lei, l'angelo della vetrata guardava placido la scena.

    Madeline agitò le braccia e con una mano toccò il vaso di cristallo che stava sul comodino. Un bellissimo vaso con la base d'argento, regalo di un amico di famiglia per la nascita di Grace. Lo strinse, lo sollevò e con le forze che le rimanevano lo vibrò sulla testa di Adam.

    Lui grugnì e allentò la presa sul collo di lei. L'ossigeno le affluì di nuovo nei polmoni, facendoli bruciare più di prima. Madeline sollevò di nuovo il vaso, con entrambe le mani, e colpì Adam. Questa volta, sentì un orrendo scricchiolio di ossa rotte e vide il sangue sprizzare dalla ferita. Grace urlò e urlò.

    Adam si alzò in piedi barcollando. Il sangue inondava un lato della sua faccia e gli gocciolava sulla camicia. Guardò Madeline con espressione incredula e cadde lentamente all'indietro sul pavimento. Il sangue schizzò su Grace, che continuava a gridare istericamente, uno strillo dopo l'altro, come un campanello d'allarme impazzito.

    Madeline si alzò a sua volta e si avvicinò al suocero. Adam giaceva immobile, con la faccia bianca come il gesso e una pozza di sangue che si allargava sotto la testa. Lo aveva ucciso. Aveva ucciso Adam Monarch!

    Fece per sentirgli il polso, poi si fermò di botto, agghiacciata. La sua visione. La visione che aveva avuto cinque anni addietro nella nursery, e poco prima nello studio. Macchie di sangue su un pavimento lucido... una distesa di ghiaccio, acque gelide che risucchiavano un corpo... Si portò una mano alla bocca per soffocare l'urlo che le saliva in gola. Dunque non era finita!

    Doveva andare, prima che qualcuno scoprisse quel che aveva fatto. Prima che la fermassero e le portassero via Grace.

    Madeline prese per mano la bimba urlante, afferrò le valigie e corse via.

    3

    Il panorama era punteggiato di fattorie, granai e mulini a vento. Per le strade passavano carri trainati da cavalli. L'insieme era pittoresco e bellissimo, e ogni giorno decine di turisti arrivavano fin lì per rivivere l'atmosfera dell'ottocento.

    Ma Chance McCord non ne poteva più. Se fosse vissuto ancora un giorno in quell'atmosfera antica e incontaminata dal progresso, sarebbe impazzito. Voleva mettersi i jeans, ascoltare musica rock, guardare la TV. Voleva chiacchierare con gli amici, santo Dio. Sentiva perfino la mancanza della scuola!

    Gli Amish ritenevano che a sedici anni un ragazzo dovesse smettere di andare a scuola e lavorare nei campi o nelle fattorie, e Chance si era dovuto adeguare. Dopo un anno, era arrivato a

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