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Arpaïs: La memoria della anime imperfette
Arpaïs: La memoria della anime imperfette
Arpaïs: La memoria della anime imperfette
E-book263 pagine3 ore

Arpaïs: La memoria della anime imperfette

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Info su questo ebook

Anno Domini 1209. L’Occitania soccombe alle spade dei crociati. In nome della Chiesa, il re di Parigi conquista i territori del Sud e li annette al regno di Francia. Le roccaforti della resistenza bruciano insieme ai roghi appiccati dall’arcivescovo di Narbona.
Anno Domini 1244, trentacinque anni dopo, l’orgoglio del Midi resiste asserragliato sulla vetta pirenaica di Montségur. Il pog, 1200 metri di altezza, trapezio di granito; la sinagoga di Satana per Roma, montagna sacra per la comunità catara, simbolo di una terra che non vuole arrendersi, rifugio dei bons hommes. Tra di loro, Arpaïs. La vita al villaggio, le speranze di un popolo attraverso gli occhi di una bambina che cresce tra le rovine del proprio mondo. Con sé, porta un segreto da custodire a costo della vita: la memoria di un antico manoscritto.
Quando tutto sembra perduto, il canto de Lo boier vibra ai piedi di Montsègur, tra le acque di Fontestorbes e si propaga come un eco in ogni grotta del Sabarthez, in ogni anfratto, fiume, lago, foresta; come l’ululato del lupo, si innalza al cielo per indicare agli esuli, il cammino della rinascita. Su sentieri calpestati nei secoli da celti, romani, iberici e visigoti, il pensiero dei bons hommes si dipana come un filo invisibile, oltre il tempo, per svelare alle generazioni future la verità celata da secoli di menzogne.
LinguaItaliano
Data di uscita2 set 2020
ISBN9788833466859
Arpaïs: La memoria della anime imperfette

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    Anteprima del libro

    Arpaïs - Sabrina Ceni

    arpais_fronte.jpg

    Arpaïs. La memoria delle anime imperfette

    di Sabrina Ceni

    Direttore di Redazione: Jason R. Forbus

    ISBN 9788833466859

    Pubblicato da Ali Ribelli Edizioni, Gaeta 2020©

    Narrativa – Maree

    www.aliribelli.com – redazione@aliribelli.com

    È severamente vietato riprodurre, in parte o nella sua interezza, il testo riportato in questo libro senza l’espressa autorizzazione dell’Editore.

    ARPAÏS

    La memoria delle anime imperfette

    Sabrina Ceni

    AliRibelli

    Indice

    Personaggi storici

    Prologo

    Capitolo I

    Il pog

    Capitolo II

    Interrogatio Johannis

    Capitolo III

    Raimond D’Alfaro

    Capitolo IV

    Il giglio bianco

    Capitolo V

    Lu barban custode e legislatore del mondo

    Capitolo VI

    Il cavaliere

    Capitolo VII

    A l’intrada d’abril

    Capitolo VIII

    In nome de la gleiza e de lo rei

    Capitolo IX

    Presa del primo punto strategico: il Roc de la Tour

    Capitolo X

    Arnaude

    Capitolo XI

    Imparerai il libre?

    Capitolo XII

    Una missiva da cremona

    Capitolo XIII

    La memoria

    Capitolo XIV

    L’oro del fleur de-lys

    Capitolo XV

    La tregua

    Capitolo XVI

    Femnas

    Capitolo XVII

    Dimenge – Domenica

    Capitolo XVIII

    Mardi dèrnier – L’ultimo martedì

    Capitolo XIX

    Dimercres (dies mercuri): lo lenhiér – Mercoledì: il rogo

    Capitolo XX

    L’initio da la fin – L’inizio dalla fine

    Antefatto

    Glossario

    Ai miei compagni di viaggio.

    Matilda, Teo e Nicola

    Personaggi storici

    Comunità cistercense di Aywières, Ducato di Brabante, odierno confine tra Belgio e Paesi Bassi

    Lutgarda de Tongres: monaca e mistica (1182 - 1246)

    Innocenzo III: papa e promotore della crociata albigese (1198 -1216)

    Ariége: odierno confine tra Francia e Spagna, regione dei Pirenei

    Raimond de Péreille, cavalier faidit e signore di Montségur

    Marquése Unaud de Lanta, parfaite e suocera di Raimond, consolata dal parfait Bertrand Marti nel 1234. Gestisce un atelier di filatura e tessitura.

    Corba Hunaud de Lanta, parfaite e consorte di Raimond

    Jourdain filh minore di Raimond e Corba

    Esclarmonde, filha di Raimond e Corba

    Félipa, figlia di Raimond e Corba; consorte di Pierre Roger de Mirepoix e madre di Esquieu

    André (Arnaud**) Roger de Mirepoix, cavalier faidit, fratello del conte Raimond de Péreille. Fa parte della scorta che accompagna i credentes a visitare i parfaits e le parfaites.

    Pierre Roger de Mirepoix, cavalier faidit e comandante delle truppe di Montségur dal 1237. Scorta

    Esquieu, filh di Pierre Roger di Mirepoix e Félipa de Péreille (4 anni nel marzo 1244)

    Arnaud Rouquier de Belpech (Aude): medico personale di Pierre Roger de Mirepoix

    Arnaude, consorte di Arnaud Rouquier de Belpech e madre di Arpaïs

    Arpaïs: figlia di Arnaud Rouquier de Belpech (Aude) e di Arnaude

    Bérenger de Lavelanet, cavalier faidit imparentato con Péreille, si trasferisce a Montségur nel 1213, insieme alla famiglia. Scorta.

    Lombarde e Bernarde, filhas di Bérenger de Lavelanet

    Arnaud Olivier, filh de Bérenger (10 anni nel marzo 1244)

    Gallard du Congost, cavalier, faidit, nipote di André (Arnaud**) - Roger de Mirepoix Scorta

    Bertrand de Bardenac, cavalier, faidit. Scorta

    Guihlabert de Castres, perfetto attivo a Fanjeaux, Pamiers Pieusse. Muore a Montségur nel 1240.

    Bertrand Marti, parfait-vescovo di Montségur, successore di Guilhabert de Castres (1240)

    Matthieu, parfait

    Laurent Peytavi, parfait

    Amiel Aicard, parfait

    Huc Domergue, parfait

    Jean Rey de Saint-Paul-Cap-de-Joux, messaggero della comunità catara di Cremona, Lombardia

    Guillaume Arnaud, inquisitore

    Etienne de Saint-Thibery, inquisitore

    Hugh de Arcis, siniscalco reale stanziato a Carcassona

    Pierre Amiel, arcivescovo di Narbona

    Guilhem*, soldato, nipote di Laureta

    na Laureta*, nonna di Guilhem e parfaite

    Note:

    * Personaggi di fantasia.

    ** Vero nome: Arnaud (sostituito con André per problemi di omonimia nel racconto)

    Prologo

    Anno Anno Domini 1216 adì 17 del mese di aprile

    Comunità cistercense di Aywières, Ducato di Brabante,

    Odierno confine tra Belgio e Paesi Bassi

    «Aiuto! Vi prego… aiutatemi!»

    La porta della chiesa si spalancò, la luce filtrò violenta e squarciò la penombra della navata centrale. Le suore, sedute in preghiera, scattarono dalle panche e si voltarono verso l’uscita.

    Un velo nero ondeggiò al vento e un volto pallido apparve tra le sagome di pietra del loggiato.

    «Louise, il voto di silenzio!» tuonò suor Anne dall’altare.

    La novizia piantò le mani sulle ginocchia e, ansimando, levò lo sguardo sulle consorelle ammutolite. Scosse la testa e, incurante del rimprovero, fece un passo indietro «Vi prego, venite, venite a vedere!».

    Il viso di suor Anne si indurì: «Calmati, in nome dell’Altissimo! Ricorda dove ti trovi!».

    Louise scosse la testa e scoppiò in lacrime: «Madre, non c’è tempo!».

    Un eco di passi riempì la navata. La superiora corrucciò lo sguardo e raggiunse la novizia «Adesso basta, Louise! Di cosa vai farneticando?».

    «Suor Lutgarda, l’ho vista, Reverendissima Madre. Distesa per terra! Io, ecco, ho avuto paura, lei… sembra morta!»

    Le consorelle si fecero il segno della croce e iniziarono a piangere.

    «Silenzio!» gridò la superiora «State calme e rimanete al vostro posto». Poi, rivolta a Louise, ordinò: «Portami da lei!».

    Pochi istanti prima

    Quando quella mattina la priora Lutgarda aveva raggiunto le consorelle in chiesa per le Lodi, non immaginava che, tra le missive del vescovo, ce ne sarebbe stata una simile. La notizia della morte di papa Innocenzo III era piombata sul convento come un drappo nero e opprimente. A sorprendere Lutgarda non era stata la reazione sconvolta delle altre, ma la sua. Un forte mal di testa l’aveva colta all’improvviso, come non le era mai accaduto prima. Dopo Sesta aveva deciso di fare una passeggiata per trovare un po’ di sollievo e, solo adesso, si accorgeva che fosse già tempo dei Vespri. Doveva affrettarsi: le orazioni in suffragio del Santo Padre stavano per iniziare e sarebbero andate avanti per tutta la notte. La giornata era stata calda, ma verso sera si era alzata una leggera brezza che aveva purificato l’aria dall’afa. Lutgarda si asciugò la fronte imperlata di sudore e sistemò il soggolo di lino attorno al volto.

    Se almeno il vento avesse potuto portar via la tristezza che aveva avvolto il monastero¬.

    Accelerò il passo verso la cappella: i piedi scivolavano svelti sotto la tonaca di lana nera. Le rondini gorgheggiavano nell’aria e lei levò gli occhi grigi al cielo: le piccole code appuntite planavano a bassa quota in volteggi acrobatici e riprendevano le correnti ascensionali per allontanarsi da terra. Il calore sul volto era piacevole e lei sentì un lieve sorriso affiorarle sulle labbra. Ripensò alla casa di pietra di fronte al mare. C’era un cancello di legno che cigolava a ogni passaggio. C’erano aiuole di ortensie dalle grandi corolle color malva a incorniciare la porta. Da piccola amava quel posto, il bosco dietro l’orto con gli alberi spettinati dal vento, lo sciabordio del mare in lontananza, i nidi sotto al tetto che si svuotavano a fine estate per vibrare di nuovo con l’arrivo della primavera. C’era un viottolo che scendeva fino alla spiaggia e scivolava tra le dune, tra arbusti di lentisco e ginepro. Al tramonto restava a fissare l’orizzonte, i piedi immersi nella sabbia tiepida, le conchiglie dai gusci di madreperla sottratte alla schiuma delle onde e raccolte nel grembiule. Poi era arrivata la carestia, i suoi si erano ammalati del male degli ardenti ed erano morti dopo un anno di sofferenze. E per lei era venuto il tempo del convento.

    Abbassò lo sguardo e l’espressione sul volto tornò cupa. Con le mani in preghiera percorse i colonnati e, arrivata al chiostro, si soffermò a osservare la siepe che delimitava il prato: piccole foglioline verdi le scivolarono fresche sotto le dita. Inspirò le note intense di resina e muschio che si diffondevano dal bosco e la tensione si fece più lieve.

    Stava per entrare sotto al loggiato davanti alla cappella, quando le rondini smisero di cinguettare. Il vento si placò e l’aria si fece di nuovo calda e irrespirabile.

    Non adesso, si disse mentre un silenzio opprimente calava sul convento.

    Serrò le mani una sull’altra per fermare il tremore: il primo dei segni, poi sarebbe toccato al respiro, prima che il dolore la portasse al limite. Non poteva più avanzare, paralizzata davanti a una muraglia invisibile. Provò a fare un passo in avanti e il piede destro si contorse su sé stesso, come stretto in una morsa. Dal silenzio ovattato si levò un mormorio cupo; la luce del pomeriggio si fece flebile, risucchiata da una penombra che si gonfiava e risaliva dalle pietre del lastricato.

    Lutgarda cadde sulle ginocchia e portò le mani davanti agli occhi, non voleva guardare. Provò ad alzarsi aggrappandosi alle aiuole, ma le mani erano come macigni: scivolò più giù e le unghie si incrinarono nella terra incotta dal sole. Il mormorio esplose in un sibilo e lei seppe di non avere scelta; doveva alzare lo sguardo e mettere fine a quel tormento. L’aria si impregnò dell’odore acre di carne bruciata e lei cedette; sollevò le palpebre: a pochi passi, un fuoco ardeva violento, vibrava alimentato da energia propria. Tra le fiamme una figura dalle fattezze umane prese forma, ansimava e si contorceva su sé stessa come in una lotta. Il volto dell’orribile creatura si volse verso la chiesa e, in quell’istante, serpenti di fuoco strisciarono dal rogo verso l’entrata e si levarono come una marea pronta a inghiottire il mondo.

    Lutgarda riuscì ad alzarsi e a sbarrare il passaggio. La figura arretrò e le fiamme si acquietarono ai suoi piedi come braci ardenti in un quieto focolare; con le braccia lungo i fianchi serrò i pugni e, senza opporre resistenza, come un eretico condannato al rogo, lasciò che il calore si propagasse divorando ossa e carne. La bocca era spalancata, tesa come in un grido, ma non emetteva alcun suono; eppure dallo sguardo mostruoso pareva urlare lamenti indicibili.

    Il fetore di zolfo aveva ammorbato l’aria e Lutgarda sentiva la gola ardere, quasi il fuoco avesse avvolto anche lei nella sua spirale. Fece ruotare la vera sull’anulare: «Signore, ti prego, dammi la forza». Avanzò con gli occhi aperti sulla mostruosità che la sovrastava e, quando fu abbastanza vicina, si rese conto che indossava una preziosa veste di lana bianca. Pur sopraffatto dalle fiamme, il tessuto non si consumava e rimaneva candido sotto al mantello porpora. Se era mai stata in vita, quella torcia umana, doveva aver rivestito un alto grado all’interno della Chiesa. D’un tratto, la creatura levò le sopracciglia e sgranò occhi lattiginosi, socchiuse le labbra e un rantolo straziante riempì l’aria: «Chi sei?».

    Lutgarda trattenne un grido «Solo un’umile serva del Signore. E voi ditemi, ve ne prego, perché un tale tormento vi affligge?»

    La creatura gonfiò il petto e un digrignare di denti echeggiò nel loggiato «L’Onnipotente mi punisce per i miei peccati. Mi abbandona in questo abisso per le mie colpe!».

    «Quali colpe?»

    La figura levò un braccio e con la mano stretta sul manico di un pastorale le fece cenno di avanzare. La religiosa si fece coraggio e ubbidì: ora che era così vicina da sentire il calore delle fiamme sul viso, notò il copricapo alto e appuntito e si accorse che una striscia di lana bianca avvolgeva il prezioso mantello vermiglio. Possibile che fosse lui?

    Un vento caldo alitò sul volto di cera e Lutgarda scattò indietro. «Voi!»

    Quella non era una semplice veste bianca, né lo era il mantello, né tanto meno il copricapo: quella creatura indossava una dalmatica e una lunga stola porporina ricoperta da un pallio di pregevole fattura. In tutti quegli anni, una sola volta le era capitato di vedere una mitria simile.

    L’essere si gonfiò sopra di lei e un rantolo si levò dalla sua bocca: «Ora mi riconosci, donna? Ecco ciò che rimane di me! L’ira di Dio non mi abbandonerà mai, né io, mi pentirò per le loro vite!

    «Quali vite, Santità?» sussurrò Lutgarda con le poche forze rimaste.

    Innocenzo III si erse in tutta la sua ferocia: «Donne, bambini, eretici immondi. La spada infuocata dell’esercito crociato ha messo fine alle loro misere vite! Io ho ordinato la guerra, io ho rifiutato le loro confessioni… volevo il loro pentimento, la loro redenzione! Non c’erano più tempo né speranza per le loro anime di peccatori; solo il martirio!».

    Lutgarda si fece il segno della croce e arretrò inorridita «Quali peccatori, Santo Padre?».

    Una luce biancastra s’accese negli occhi del pontefice «Quei bons hommes, così si fanno chiamare. Catari immondi! Il demonio ristagna nei loro corpi. Le loro parole trasudano peccato, veleno che si spande sui cristiani inermi. Proprio adesso, mentre noi parliamo, lo spirito laido cacciato dalla Chiesa è tornato e giace nella dimora da cui l’avevamo spazzato via. Dobbiamo scovare ogni nascondiglio, ogni complice, ogni barlume di eresia da questo mondo corrotto! Dobbiamo radere al suolo le loro fortezze, dobbiamo annientarli tutti! Ora!».

    Lutgarda, pietrificata dalla paura, fissava Innocenzo III innalzarsi fiero, quasi vivo sopra un mare di ossa: flutti vermigli si infrangevano su di lei; teschi sospinti dalle onde, come ciottoli su fondali sabbiosi, gorgheggiavano ai suoi piedi i loro canti di morte.

    «Basta, mio Dio. Basta. Pietà!»

    D’un tratto, qualcosa si mosse alle spalle del pontefice: una figura esile, minuta, dai contorni quasi impercettibili, pareva una bambina. Lutgarda si sporse di lato e incrociò due occhi scuri come la notte su un volto di luna, occhi velati di lacrime. Quando lei allungò la mano, la sagoma di un lupo balzò davanti a quel profilo etereo e la costrinse a indietreggiare. La bambina accarezzò il dorso della bestia, e quando schiuse le labbra, una cantilena si librò nell’aria, dolce come una canzone: «Conoscerete la verità. E la verità vi farà liberi». Poi, così come era apparsa, la bambina svanì nel nulla insieme al lupo. Un vento caldo si alzò improvviso. Lutgarda era di nuovo sola, davanti al pontefice. «Conoscerete la verità. E la verità vi farà liberi» ripeté riconoscendo il Vangelo di Giovanni.

    Innoceno III agitò il pastorale in aria e lo piantò tra le braci: le fiamme ripresero vigore «Dobbiamo scovare ogni nascondiglio, ogni complice, ogni barlume di eresia da questo mondo corrotto! Dobbiamo radere al suolo la loro fortezza: Montségur! Dobbiamo annientarli tutti! Tu devi…» Le parole rimasero sospese tra le labbra aride, serrate in un ghigno. Improvviso, il fuoco si alzò vorace e avvolse il pontefice in una morsa incandescente.

    Lutgarda crollò a terra e fissò la nuvola di fumo che, imperlata da scintille roventi, risaliva verso l’alto. Portò i palmi delle mani sugli occhi e tutto fu calma e silenzio. Distesa dietro le siepi di bosso, le parve di udire in lontananza il proprio nome: qualcuno la stava chiamando. A poco a poco, la voce si fece più vicina, più netta, insistente e il dolore la scosse: le ginocchia le facevano male e non riusciva a muovere le mani. La tonaca di lana era intrisa di sudore e zolfo e, per un attimo, temette di essere ancora prigioniera della visione. Riaprì gli occhi e respirò, avida di aria, quasi quello fosse il suo primo respiro. Suor Anne era davanti a lei e le stava accarezzando la fronte.

    Lacrime silenziose le rigarono il viso e scivolarono via veloci.

    Le consorelle l’aiutarono ad alzarsi.

    Come un ricordo lontano, una parola si fece spazio nella sua mente: Montségur, Montségur. Non aveva mai sentito quel nome prima di allora, eppure quella voce nella testa la fece trasalire. Un cupo presentimento, la sensazione che qualcosa di terribile sarebbe accaduto. Ma quando e, soprattutto, dove?

    Rivide la figura esile che era sorta dal nulla e nel nulla era sparita. Chi era quella bambina e perché era apparsa alle spalle del pontefice al fianco di un lupo, perché aveva pronunciato il Vangelo di Giovanni? Se fosse stata una delle novizie, di certo lei l’avrebbe riconosciuta.

    Nel loggiato davanti alla chiesa, nessuno parlava. Le suore osservavano la consorella, nell’attesa che rivelasse loro la visione. I segni sul suo corpo non lasciavano dubbi: ancora una volta, la volontà dell’Onnipotente si era manifestata attraverso di lei.

    Lutgarda osservò sopra di sé le rondini che avevano ripreso i loro volteggi: il cielo era di nuovo limpido, pieno dei loro cinguettii e il profumo di fiori aleggiava nel convento, portato dalla brezza della sera che, fresca e decisa, aveva ripreso a soffiare.

    Volse lo sguardo verso le consorelle, le mani unite a palmo a palmo: «Preghiamo, sorelle, per l’anima del nostro Santo Padre».

    Le religiose presero a bisbigliare tra loro poi, sotto lo sguardo austero di suor Anne, fecero silenzio e si inginocchiarono sull’erba: «Pater Noster qui es in caelis: sanctificétur Nomen Tuum; advéniat Regnum Tuum; fiat volúntas Tua, sicut in cælo, et in terra. Panem nostrum cotidianum da nobis hódie; et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris… Amen».

    PRIMA PARTE

    Il cielo del dio straniero principe di questo mondo

    «Qui incomincia il libro segreto degli eretici. Io, Giovanni

    vostro fratello e partecipe nella tribolazione per potere aver

    parte nel regno dei cieli, mentre ero reclinato sul petto del Signore

    nostro Gesù Cristo, gli dissi: – Signore, chi sarà colui che ti tradirà?»

    Redazione di Carcassonne, in «La Cena Segreta, trattati e rituali catari»,

    a cura di F. Zambon, Ed. Adelphi, pag. 107

    Capitolo I

    Il pog

    ¹

    L’an du Seigneur 1242, le 10 dal mes de mai

    Ariége, Foresta entre Bélesta e Montségur

    Vint-e-sieis ans après

    «Rien qu’en regardant cette terre, et quand meme on n’en connaitrait pas le passé, on y voit la marque d’une blessure.»

    «Guardando questa terra anche senza conoscerne il passato, vi si vede il marchio di una

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