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L'ultimo canto
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L'ultimo canto
E-book780 pagine8 ore

L'ultimo canto

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Info su questo ebook

Chiedete dello strano abate di Rennes-le-Château e del suo segreto, di quelle misteriose pergamene, di una collina incantata circondata dalle nebbie dove dimenticata è la potente fanciulla. Chiedete di quel misterioso quadro che racconta un’altra verità e del segno impresso su quattro antichissime abbazie; di un perduto canto e del messaggio che ha varcato le porte del tempo. Qual è stato l’inganno e che volto ha l’oscuro ingannatore? Ascoltate, osservate, perché la storia non sarà più la stessa, il momento è giunto. Ogni fatto, ogni vicenda è stata ricercata e trovata.” Ecco il nuovo romanzo esoterico di Enrico Tassetti che ci porta nei meandri di una storia nascosta, di scoperte che sconvolgono il sapere comune. Un libro dove l’invenzione letteraria è un tocco di penna sottile volto ad unire il frutto di anni di ricerche su misteri e leggende che celano incredibili verità.
LinguaItaliano
Data di uscita14 apr 2021
ISBN9788831381574
L'ultimo canto

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    Anteprima del libro

    L'ultimo canto - Enrico Tassetti

    Enrico Tassetti

    V - L'ultimo Canto

    ISBN: 9788831381574

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Dedica

    GROTTE DEL VATICANO

    ROMA, CHIESA DI SANT’EUSTACHIO

    UN INSIGNIFICANTE PARTICOLARE

    BIANCA APPARTENENZA

    NEL MOMENTO DELLA MADRE

    UNA VISITA INASPETTATA

    INTRIGHI

    IL NOME CHE UCCIDE

    CARCASSONE

    L’APPESO DI RENNES-LE-CHÂTEAU

    IL SOGNO DELLA RAGIONE

    UN MALINCONICO CAVALIERE

    LE LIVRE DE LA SIBYLLE

    CHI TRAMA NELL’OMBRA?

    IL SENSO NASCOSTO DELLE COSE

    L’EREDITÀ DEI MUSICISTI

    L’ANTICO CANTO

    IN FUGA

    SUL SENTIERO DELLA CROCE

    NEL MONDO DELLE OMBRE

    IL SUONO DI SAINT SULPICE

    IL LORO SEGRETO

    IL PRIORATO DI SION

    NELLA NEBBIA TRA LE MELE

    A CHI SERVE IL GRAAL?

    NOSTRA SIGNORA

    LA VENERABILE E POTENTE FANCIULLA

    LA STORIA NASCOSTA DI OTTO RAHN

    LE MISTERIOSE PERGAMENE DI SAUNIÈRE

    LA SPOSA CELATA

    UN SINISTRO NOME E GLI INCONTRI LORETANI

    LE STELLE DEL MARE

    UN AIUTO INASPETTATO

    LO SPIRITO GUIDA

    QUELLA CHE SPERAVA NELLA DEA

    L’ERA DELLO SPIRITO

    IL TAGLIO DELL’OLMO

    GLI ULTIMI TEMPLARI

    UN ANGOSCIANTE RISVEGLIO

    LA PIETRA DEL QUINTO CAVALIERE

    GLI ACTA DEI FRATELLI DELLA CROCE DI VENERE

    LA CROCE DELL’ANNUNZIATA

    PARZIVAL

    LÀ DOVE L’ACQUA RAGGIUNGE LA MAGDALA

    LA SPADA DI PETRA

    LA PAPESSA

    RA CUM BONA

    IL SENTIERO DEI MORTI

    IL GRANDE SEGRETO DI RAMBONA

    NELLA TANA DEL SERPENTE

    LA VERITÀ ULTIMA

    IL VANGELO SEGRETO

    CANTUM EVANGELICUM 157 (PARTE I)

    IL MALEDETTO CAINO

    ENOCH

    LA GRANDE ACQUA

    L’ERA DI HORUS

    LA REGINA DEI ME

    L’UOMO FEMORE

    L’INNO DEL SOLE DI AKHENATON E NEFERTITI

    LA BAMBINA DELL’AMORE, LA SUA… FEDE.

    LE QUATTRO NOTE DI DIO: IL SUO NOME

    CANTUM EVANGELICUM 164 (PARTE II)

    L’INNO CHE AMA

    LA CHIESA SEGRETA

    IL VIAGGIO DELLE TRE MARIE

    L’INNOMINABILE E IL SUO INGANNEVOLE CANTO

    LA SALVEZZA DEL RITORNO

    RINGRAZIAMENTI

    Collana esoterica - Edizioni Nisroch

    Note

    Il mio nome è… nessuno!

    (Odissea, IX Canto)

    Dedica

    Tu figlio di Dio e della Dea

    Conoscenza dell’universo

    Portatore della parola divina

    Guerriero di pace e amore

    Possessore della spada della giustizia e del perdono

    Fratello delle sacerdotesse e sposo della corona

    Il tuo simbolo, la croce,

    Il tuo cuore di luce che emana guarigione

    Splende in tutto il cosmo,

    Risuonando un eco che dice il tuo nome:

    Gesù Cristo figlio di tutte le conoscenze.

    GROTTE DEL VATICANO

    « Roma locuta, causa audita… » Il primo dei tre assisi su troni d’ebano nell’umida stanza illuminata dal fuoco delle torce aprì la riunione.

    «A cosa serve il potere delle chiavi di Petrus? La Chiesa non può mai avere torto, e ora la Trimurti, come il nostro credo ha decretato, ha preso possesso delle mura corporali e spirituali dell’ecclesia dei fedeli.»

    Quelle parole si aprirono la strada come squilli di tromba, tanta era la foga di chi le aveva pronunciate. Il grido d’acclamazione che ne seguì, ovattato dai cappucci neri indossati dai confratelli, risuonò sinistramente nella sala.

    «Fratelli» continuò quello, imponendo con le mani il silenzio, «la Chiesa è come uno Stato, che si serve della forza del potere per ristabilire l’ordine. Troppo molle, troppo flaccida, finora. Il comando, l’autorità che ci viene dalla Storia lo richiede, lo auspica, lo impone. La Chiesa non è una potenza di progresso né di regresso. Essa è una potenza eterna che esige l’obbedienza dei suoi figli!» disse alzando la mano destra in segno benedicente.

    I tre assisi vestiti con paramenti sacri di colore viola, in testa la mitria papale e il volto celato da una maschera squamata dalla sagoma draconica, aspettarono alcuni minuti, come per dar tempo alle parole di costruire nella psiche dei presenti la forma voluta. Poi quello seduto alla sinistra prese la parola:

    «Il dogma è l’essenza, la verifica, la certezza… e come disse Leone X: la favola di Gesù ci ha giovato. Le prove, quali prove? Niente può essere provato definitivamente, e questa è l’essenza della nostra fede, il potere che ci siamo conquistati in secoli, millenni di lotte e contrasti, sostenuti solamente dal nostro braccio che impugnava una spada. Dall’eresia all’inquisizione, da Galileo alle scoperte della scienza quantistica… Noi siamo, noi ci siamo ancora come baluardo di persuasione, fermezza mai conciliante, dura e ferrea vincitrice dell’inedia e della facile compassione.

    Mitra nacque da una vergine il 25 dicembre in una grotta davanti alla quale dei pastori offrivano doni;

    Mitra era ritenuto un grande predicatore itinerante, dodici compagni o apostoli lo seguivano;

    Mitra prometteva l’immortalità;

    Mitra compiva miracoli;

    Mitra come grande toro del sole si sacrificò per la pace del mondo;

    Mitra venne sepolto in una tomba e resuscitò dopo tre giorni;

    Mitra era conosciuto come il buon pastore e i suoi simboli erano anche l’agnello e il leone;

    La domenica era il suo sacro giorno e la principale festività a lui dedicata divenne la Pasqua.

    Mitra era celebrato con una cena in cui le sante parole andavano pronunciate: Chi non mangerà del mio corpo e non berrà del mio sangue, in modo da non confondersi con me ed io con lui, non parteciperà alla salvezza.

    Mitra, il Signore, la via, la verità e la luce; il Logos, il redentore, il Messia, il salvatore… [¹] » declamò come se stesse cantando. I presenti risposero salmodiando un:

    « Et nos servasti aeternali sanguigne fuso (tu hai salvato anche noi versando il sangue eterno).»

    Poi il terzo, dopo essersi alzato dal trono centrale, prese la parola.

    « Pater sacrorum e Pater patrum… nama patribus ab oriente ad occidentem tutela Saturni [²] .

    I Padri ci proteggono, il vero padre della Chiesa e suo figlio Seth, ci guardano…ciò che doveva essere fatto è stato iniziato.

    Il falso padre è stato destituito, il suo fedele servitore, monsignor Vesprini, eliminato; il potere è ora nelle complete mani della santa Trimurti; manca solo un passaggio per diventare eterni, per raggiungere la divinità. L’ultimo impedimento deve essere tolto, assicurato alle nostre sapienti mani, per trasformare in nostro favore la sua puerile energia. Fratelli, noi cambieremo la Chiesa, ristabiliremo la verità, ogni ordine e grado risponderà ai nostri voleri, perché noi rappresentiamo la volontà finale, il credo supremo. I primi non possono essere gli ultimi… Il nostro destino è il comando, la forza della spada.

    Andate in guerra fratelli, ogni opposizione dovrà essere spazzata, soppressa come morbo che inquina l’aria. Andate, vostro padre Seth veglia sui vostri passi.

    Nama Niceforo leoni

    ROMA, CHIESA DI SANT’EUSTACHIO

    Una figura camminava nel più assoluto silenzio, ogni suo passo ed espressione erano attentamente valutati.

    Occhiate e leggeri spostamenti del collo come a osservare nei riflessi di volti e pietre ogni incertezza, ciò che poteva rendere presente anche il più recondito pensiero.

    Attraversò la piazza nella più assoluta normalità di un giorno qualunque.

    La preoccupazione di qualche occhio indiscreto s’insinuò nel suo animo ma, si disse, non era nessuno, non era ciò che chi trama nell’ombra si sarebbe aspettato che fosse.

    Un abito civile poteva essere sufficiente?

    Una vita normale, fuori da ogni attesa, poteva bastare?

    Quel giorno era arrivato, il tempo era giunto.

    No. Non poteva e non doveva cedere proprio ora. Avevano addestrato la sua persona per quel compito. Una persona sola e silente in quelle ore fatidiche.

    La chiesa, con la sua facciata settecentesca, tra lesene e colonne, era arricchita da un campanile romanico, una delle poche vestigia del suo passato medioevale. L’insolita testa di cervo in pietra in cima alla facciata sembrava scrutare con circospezione, attendendo i suoi passi. Avrebbe varcato la soglia della casa di Dio senza lasciarsi intimidire, nella certezza di trovare ciò che cercava.

    Terzo confessionale a sinistra dell’unica navata, vicino alla cappella più grande di San Michele Arcangelo; erano le istruzioni ricevute. Le richiamò alla memoria una volta giunta negli ombrosi interni, voltandosi verso la vetrata raffigurante la Maddalena penitente.

    Chos Oblias le parole che avrebbero identificato nella risposta Nasi Chol-ha Edah il capo dell’intera Chiesa.

    Non faticò molto a individuarlo.

    Il suo cuore batté più velocemente quando, chiudendo gli occhi e sospirando con le mani giunte a preghiera, ascoltò quelle parole come le prime e ultime di un’era giunta alla sua indegna conclusione.

    «Non c’è tempo, deve andare, nel mio zaino ci sono i vestiti che lei…» ebbe un attimo d’incertezza, «che lei Santo Padre deve mettere.»

    «Allora è tutto deciso… che il Signore abbia pietà di noi. Il mio amico, il cardinale Vesprini?»

    «Morto, santità. L’hanno ammazzato senza farsi scrupoli, alludendo poi a un fatale incidente per alcuni suoi vizi non troppo ortodossi. La Trimurti sa come e dove colpire.»

    «E ora?»

    «Santo Padre, lei deve sparire, abdicare, probabilmente opteranno per questa seconda scelta, non è la prima volta. Ma loro non devono sapere, nessun luogo della Chiesa è sicuro, nessuno può aiutarla, nemmeno io. Lascerei sempre qualche traccia, e l’unico modo per essere invisibili è mimetizzarsi tra la gente comune, comprende?»

    «La capisco…»

    «Le lascerò lo zaino qui dentro. Passaporto, carta d’identità, soldi in contanti… vietato fare bancomat, potrebbero rintracciarla. Alcuni vestiti nuovi. Poi magari potrà contare sui centri d’accoglienza, la Caritas. È importante che lei, Santo Padre, non compia passi falsi, in fin dei conti chi può riconoscerla se lei ritorna alle origini? Povero tra i poveri.»

    «Madre Chiesa… devo ritornare… aspettare.» Il sussurro dalla grata del confessionale tradì insicurezza.

    «Santo Padre, non dovrei essere io a suggerirglielo, ma lei deve avere fede. Il cardinale Vesprini, prima di morire, aveva ordinato di avviare la ricerca. Ora siamo nelle mani di Dio, i tempi della fine, come quelli della rinascita, sono maturi…»

    «Ha ragione, non tutto può essere stato obliato, c’è sempre una speranza, sempre…»

    La figura abbozzò un sorriso malinconico. «Buona fortuna, Santo Padre.»

    «Grazie, che il Signore l’assista. Quanto a me, lasciamo stare il santo: un umile servo del Signore, un povero tra gli ultimi io sono. Che questo tempo abbia inizio, mio Signore: Fiat mihi secundum verbum tuum

    UN INSIGNIFICANTE PARTICOLARE

    Parti di metallo, fasce e curve dai colori ombrati che aspirano a essere identificate in quel mondo fatto di numeri e prestazioni.

    Un ammasso di elementi meccanici come testimoni, come riflesso di un abbandono, di un lascito generazionale fatto di moda e costume, di un progresso sempre e troppo addomesticato.

    Lui che di auto, ferro e ruggine sapeva, con l’ingegno delle sue mani, valutare, consacrare o consegnare all’origine del tempo.

    Lui che aveva imparato a conoscere gli stimoli di ogni automobilista: dall’evidente arroganza alla partecipata emozione nel sinistro stridore di lamiere contorte.

    Nessuna lacrima, non sarebbe umano, ma solo quel sorriso amaro, mentre osservava il suo colore brillante, facendo rombare il motore, ancora nel pieno delle forze. Un peccato, un vero spregio alla civiltà, perdere tutta quella vigorosa appartenenza pensò, sfiorando avidamente il lucente biancore delle sue forme, annuendo al proprietario che, con lo sguardo perso nel vuoto, era stato fermo e deciso: «Deve essere demolita, completamente!» aveva affermato come se niente dovesse sopravvivere, nemmeno il ricordo, quasi che lo stigma di una maledizione si fosse impossessato di quell’abitacolo.

    Ne aveva conosciuti di automobilisti o funzionari di motorizzazioni e concessionarie; di meccanici e carrozzieri che sapevano di ogni elemento meccanico: olio, benzina e di quell’odore acre di metallo e vernice; poi, come a margine di un palcoscenico contorto e stanco, qualcuno che rimaneva lì, fermo e immobile sotto lo sferzare del vento, in un grigio e uggioso pomeriggio, semplicemente a guardare, a dare l’ultimo saluto.

    Ne aveva visti di volti ed espressioni, ma quell’uomo possedeva nei riflessi malinconici del viso, nel luccichio degli occhi, la pesantezza delle movenze. Il suo non era uno stravagante e superfluo desiderio, tutt’altro: sembrava rivolgere alla pressa meccanica che strava stringendo tra le sue fauci l’automobile da demolire, una supplica.

    Si avvicinò ancora una volta all’auto, dando una sfuggente occhiata al suo interno: la vista di un seggiolino per bambini lo colpì. Ecco spiegato il motivo, la fine di un amore, la disputa di una rivendicazione matrimoniale, pensò lo sfasciacarrozze sconsolato. Auto e donne… e poi i figli come campo di battaglia. Ma lui non era un prete o un avvocato, né tantomeno un perbenista in vena di critiche. Il suo era un lavoro freddo, per certi versi privo di curiosità: pile di metallo e gomme che lasciavano immaginare un futuro arreso al superfluo. Non c’era spazio e non c’era tempo per riflessioni sterili, l’uomo si differenzia sempre dalla macchina… Dondolò la testa amaramente, poco convinto. Bastava spingere un bottone e tutto sarebbe finito, ma quella volta il suo fu uno sguardo prolungato, catturato da un luccichio del seggiolino.

    Che male c’è, che danno potrà provocare? si chiese nel momento in cui, dopo essersi voltato per appurare la distanza dal proprietario, apriva lo sportello e allungava la mano all’interno: non un’azione furtiva, solamente la volontà di preservare, di dare a quella strana e particolare richiesta l’alto senso del ricordo.

    Poi via, che il macabro spettacolo avesse inizio.

    Quando riaprì la mano, lo sorprese una catenella terminante in un ciondolo argentato con la strana forma di un doppio cuore su cui era cesellato un volto angelico e, sotto, un nome: Veronica.

    Si voltò indietro una seconda volta, ma quel suo strano cliente era sparito, perso nella nebbia che, scendendo dai colli, aveva avvolto tutta la valle.

    BIANCA APPARTENENZA

    «Mi dispiace signor Ruperti, ma questa, purtroppo, è la realtà.»

    «Una realtà difficile da accettare» rispose abbassando la testa, guardando le linee delle sue mani. «Dottore, dunque quando mi resta?»

    Il dottore, alto e dall’aspetto attempato ma con un’espressione che trasmetteva autorevolezza, lo guardò con i suoi occhi vispi incorniciati da folte sopracciglia grigiastre che quasi si toccavano, dando l’apparenza di un viso ciclopico.

    «La sua malattia… questa malattia, non sempre rispetta delle regole ferree, il decorso può essere lento o a volte anche veloce» disse con schiettezza.

    «Quanto veloce?»

    Il medico sospirò. «È troppo presto per dirlo, tra un mese potremo avere un quadro più delineato. Gli esami cui l’abbiamo sottoposta ci forniranno sicuramente delle risposte più attendibili, dandoci anche l’esatto confine di una diagnosi, per adesso rivolta solo all’individuazione della patologia.»

    Per un attimo chiuse gli occhi.

    Il suo mondo, quel mondo fatto di volti, parole e immagini, stava finendo, restringendo il proprio raggio d’azione. Ogni attimo restava ancorato al passato, a quel tempo che, veloce, aveva consumato ogni dinamico slancio creativo.

    Erano passati alcuni anni da quando si era trasferito al Nord per lavoro.

    Sì, per lavoro, ma anche per dimenticare; per confondersi la mente, annebbiata come quei fusi che salgono su dalla grigia acqua che bagna la città, alla confluenza del Po con la Dora Riparia.

    Abbassando la testa, provò a porre l’inevitabile domanda: «Ma possibile che non ci sia una cura?»

    Il dottore sospirò. «Signor Ruperti, deve avere coraggio, in questo momento possiamo solo limitare i danni, attenuare il dolore… Quando è acuto prenda le pillole che le ho prescritto, faranno subito effetto. Ma, mi raccomando, non ne abusi, perché potrebbero dar luogo ad altre complicanze. Un uso moderato, ne faccia un uso moderato, almeno in questo mese. Poi con una diagnosi più accurata potremo fornirle una terapia di contenimento accorta, mirata. Ecco, le fisso un nuovo appuntamento per il 16 dicembre, va bene?»

    Le parole del medico rimbombarono nella sua testa come echi lontani di sfocati sogni. Assentì, rassegnato.

    Era ora di alzarsi da quella sedia, doveva lasciare quella bianca stanza, uscire dai muri del male… con le ali. Volare: avrebbe voluto volare via, dileguarsi il più lontano possibile, più in là di ogni orizzonte… scappare.

    Ma poteva scappare? Una folle idea , si disse mentre salutava.

    Uscendo dalla clinica, un amaro sorriso si stampò sul suo viso, specchiato nelle vetrate esterne degli ambulatori. Si passò la mano sui capelli castano chiaro striati di bianco sulle tempie. L’espressione delicata del suo volto, con una barba sfatta di qualche giorno come per cingere d’assedio la malinconia di occhi dal colore quasi indecifrabile, che dal verde sfumavano nel giallo, insieme alla sua corporatura anonima, gli davano un aspetto ascetico.

    Sospirò.

    Dove posso rifugiarmi, ora? si chiese incrociando anonimi sguardi sotto la volta di un cielo luminoso.

    Là fuori ogni particolare continuava a scorrere come se niente fosse accaduto.

    NEL MOMENTO DELLA MADRE

    Torino è una città magica.

    Assume sembianze sonnacchiose, stanche, contornata dalle Alpi maestose. I suoi centri nevralgici, collegati tra loro da vie e strade come vere arterie, sono facilmente riconducibili, da osservatori esperti, alle categorie del magico e dell’esoterico.

    Quando più di un decennio prima, dopo il successo del suo romanzo Il segreto della Sibilla Pastora, Ivano Ruperti aveva accettato il ruolo di collaboratore della casa editrice, Torino era stata la sua fuga. Nelle Marche, dove era nato, aveva lasciato un compromesso post-divorzio e il dolore per la scomparsa della figlia: entrambi l’avevano condotto a occuparsi di libri, come forma di sopravvivenza che, non poteva nasconderlo, per certi versi alimentò il suo ego, ignorando quanto fosse, invece, essenziale una visione ontologica della realtà: non aveva avuto cura del suo più grande tesoro, e dalla concentrata gioia nacque la profonda amarezza.

    Ogni gelido inverno solo apparentemente narcotizzava i suoi sensi di colpa, e quel viso innocente si rifletteva in ogni angolo, condensandosi nella frizzante aria mattutina come nella spettrale notte.

    Non aveva paura della morte. L’idea era di accettarla come una liberazione, la fine di un tormento.

    Ogni venerdì da due anni, pur non coltivando una visione ortodossa della religione, amava ritirarsi nel silenzio della Grande Madre. Quella strana chiesa, dei primi decenni dell’Ottocento, aveva attirato la sua attenzione e lui vi si era abbandonato come su un seno materno che dona pace e riposo.

    Le statue sul sagrato osservavano, ammonivano, interpretavano l’esistenza.

    Due figure femminili in trono, una a destra, l’altra a sinistra della scalinata, rappresentavano la Carità e la Fede: la prima con le mani che alzano una coppa e tengono un libro aperto, la seconda che impugna una croce; ambedue affiancate da un angelo: uno inginocchiato davanti alla Fede con la tavola della legge, l’altro in piedi, mirando lo sguardo della Carità, rivolto verso l’immensità del cielo.

    Ogni cosa, qualsiasi pulviscolo emozionale che sconvolgeva l’istante, così compresso e denso, si agitava nel suo petto mentre, come se non vivesse quel tempo, lentamente poggiava i suoi piedi su quei gradini in un’insolita ascesa verso un orizzonte coperto.

    Chiuse gli occhi per un profondo respiro: chissà cosa e dove l’avrebbe portato quel suo arrivo?

    A una velocità quasi innaturale aveva perso tutto. Quante inutili riflessioni, quanti accorati pensieri per la soluzione di poche e vere emozioni.

    Chiudere gli occhi e rivedere…ieri.

    Un nuovo lavoro, un’altra avventura prima del disastro, della fine di una vita.

    Beh, aveva smesso di capire e di essere compreso, non si era mai perdonato quella sua superficiale visione dell’esistenza, non aveva vissuto né sorriso nella velocità di gocce esperienziali; consapevole del tutto non lo era mai stato, ma non voleva alzare gli scudi in una scusa, né tantomeno una rivalsa. Soltanto una modesta riflessione votata alla comprensione. Ma si può comprendere, può essere compreso? domandò più volte a quella figura di donna, di Madre, che una volta entrato sembrò trafiggerlo coi suoi occhi immobili.

    In quella sua solitudine, in quella sua statica osservazione, ogni punto di vista, dal più profondo al più veniale, sembrava perdere di consistenza, ridursi in un niente primordiale, adombrare la luce, pur riflettendo in quel ventre materno una piccola parvenza di speranza. Da alcuni – così gli avevano raccontato – la cupola vista dall’interno era interpretata come una coppa rovesciata, il vaso del Graal, il contenitore sacro che accolse il vino dell’ultima cena e il sangue della crocifissione. Non poteva escluderlo, eppure in quell’istante la cupola sembrava contenere il suo, di sangue, un sangue umano fatto a immagine e somiglianza di Dio.

    I suoi passi risuonarono nel silenzio di pietra e spirito.

    Si sedette su un banco centrale della navata, le parole del dottore rimbalzarono nella sua testa e la visione di un volto delicato e innocente squarciò in due il suo petto, provocandogli una fitta al fianco destro.

    Strinse i pugni battendoli sulle ginocchia. Avrebbe voluto strapparsi di dosso la carne, quella colpa che straziava le membra del suo spirito. Tutto si assottigliava, si riduceva a un preciso momento.

    Si passò le mani sugli occhi, massaggiandosi le tempie, l’acqua che ne uscì non era consolazione ma nemmeno disperazione. Come il mare era salata, eppure il suo sapore aveva anche un che di dolciastro, come se fosse stata edulcorata dalla sofferenza. Era umano, era bene e male. Una dualità che, marcando i confini, spingeva ad amare e a odiare; e lui, nello stesso tempo, odiava e amava sé stesso.

    Un attimo, una scusa, il tempo di un sospiro e poi il ritorno.

    Una voce alle sue spalle pronunciò il suo nome.

    UNA VISITA INASPETTATA

    «Signor Ruperti?»

    Si voltò sorpreso. Davanti a lui un viso angelico: una giovane dai biondi ricci vaporosi che scendevano fino alle spalle incorniciando un viso roseo, a cuore, dove espressivi occhi celesti sembravano anticipare ogni richiesta.

    «Ci conosciamo?» chiese, stupito. Il suo volto gli ricordava vagamente qualcuno.

    «Non proprio» rispose lei con evidente imbarazzo porgendogli la mano. «Mi chiamo Irene e l’ho cercata a casa… La sua vicina d’appartamento mi ha detto che ogni venerdì mattina non disdegna di far visita a questa chiesa.»

    Lui ammiccò. «La signora Gravina non riesce proprio a essere discreta, ma è una simpatica vicina» affermò sorridendo. «Allora, per cosa mi cercava? E poi come faceva a sapere dove abito?»

    «Per mio padre, lei conosceva mio padre.»

    «Suo padre? Non capisco…»

    «Sì, mio padre, l’architetto Giuliani.»

    Alzò le sopracciglia, stupito. «Ecco perché il suo viso mi rammentava qualcuno, ha i suoi stessi occhi… Roberto, il brioso Roberto. Ma certo, è un carissimo amico, come sta?»

    L’espressione della ragazza s’immalinconì. «È vero, ci assomigliavamo…»

    La guardò turbato. «Ma perché parla al passato, c’è qualcosa che devo sapere?» chiese con apprensione, intuendo.

    La ragazza si passò una mano sulla fronte. «Mio padre è morto.»

    Il cuore di Ivano perse un colpo. «È morto…» ripeté incredulo.

    «Alcuni giorni fa il suo appartamento a Carcassonne, in Francia, dove da alcuni anni viveva per lavoro, è andato a fuoco.»

    «Per la miseria!» esclamò sgomento. «Ma come? Perché? Non si sa altro?»

    Lei lo guardò con occhi velati dal dolore. «Sto andando là per saperlo, sono stata convocata dalla stazione di polizia.»

    «Mi dispiace enormemente signorina, suo padre era un mio carissimo amico, ci siamo conosciuti sei anni fa dopo l’uscita del mio libro. Mi aveva proposto di accompagnarlo a Rennes per delle ricerche…»

    «Rennes-le-Château» puntualizzò lei. «Stava continuando quelle ricerche.»

    «Non lo sapevo. Per la verità è più di un anno che non lo sentivo. Ma non capisco cosa possa fare io, oltre ad aggiungere altro dolore. Le mie più profonde condoglianze Irene» disse, rendendosi subito conto di aver espresso quel pensiero con troppa sufficienza, provando subito a rimediare. «Mi perdoni, ma oggi quest’amara notizia mi conferma che non è proprio una giornata per la quale…»

    Lei non parve badare alle sue parole. La sua attenzione sembrava spingersi oltre.

    «Signor Ruperti, a essere sincera mi sono fermata a Torino per chiederle di accompagnarmi in Francia.»

    Quelle parole lo colpirono come una stilettata al fianco, lasciandolo basito, ma lei non si fermò: «Conosceva bene mio padre. Di lei si fidava. Non so perché, ma la sua morte, l’incidente che l’ha provocata, non mi convince.»

    «Cosa glielo fa credere?»

    La ragazza tirò fuori il cellulare dalla tasca del piumino color panna e, dopo averlo sbloccato, glielo porse. «Legga cosa c’è scritto.»

    Fece come gli era stato chiesto: Figlia mia, sono molte le cose che mi devi perdonare… le mie assenze… ma ogni scelta è dettata dalla divina provvidenza. Comunque, non mi resta molto, quel che è fatto è fatto, non si può tornare indietro. Non so se riuscirò a finire la ricerca, il mio lavoro, ma sappi che ti voglio bene.

    «Che lavoro?» chiese sorpreso, alzando la testa.

    Lei sospirò: «Mio padre aveva ricevuto un importante incarico dal Vaticano, dove lavorava. Poi più niente, non è nemmeno venuto alla mia tesi di laurea… Lo assorbiva completamente, tanto da mettere in crisi il rapporto con mia madre...»

    Lui annuì dispiaciuto. «Anche se ci fossero dei sospetti, non vedo come potrei aiutarla… e poi, le ripeto, questo per me non è un buon momento. Dunque, pur a malincuore, credo che potrei solamente spingermi ad accompagnarla alla stazione. Se è venuta col treno, la mia auto non è lontana.»

    Lei sorrise tristemente. «Signor Ruperti, assomiglia a mio padre: il calcolo, il ragionamento prima di tutto… eppure lei è uno scrittore.»

    «Lo ero… lo ero, signorina» si affrettò a interromperla, con un sospiro di disappunto.

    «L’emozione: dovrebbe essere l’emozione a guidarla» non si arrese lei.

    «È da un po’ che non mi emoziono» ribatté lui.

    «Dunque, non mi vuole accompagnare, preferisce lasciarmi sola col mio dolore? La capisco: io giungo qua inaspettatamente a farle una richiesta assurda… e lei ha il suo lavoro, la sua vita, le sue occupazioni. Ma mi permetto perché non sono io a chiederglielo, ma mio padre.»

    Ivano contrasse il viso, rimanendo alcuni attimi a scrutarla. Si massaggiò le palpebre, non sapeva come riuscire a evadere, a fuggire da qualcosa che, pur addolorandolo, stava scivolando via come pioggia sulla sua pelle permeata da un altro dolore: il suo.

    Che cosa poteva risponderle? Qual era la sua oggettiva realtà? A cosa mai poteva essere utile?

    Cercò di assumere un contegno discreto, sforzandosi di evitare un fraintendimento.

    Roberto per lui era stato un’anima gentile, avevano condiviso degli appassionati attimi di ricerca. Momenti in cui il suo ego aveva raggiunto il massimo del suo splendore. Erano giunti alla convinzione che le loro ricerche li avrebbero portati a qualcosa di grande, di eccezionalmente portentoso. Che illusi! Almeno lui. Quello strano frullio d’esaltazione è sempre una cortina di fumo che occlude la realtà, dolce o amara che sia; una scommessa con il destino, un lancio di dadi.

    Doveva essere veramente abile per svincolarsi da quell’imbarazzante situazione.

    «Sono desolato, mi dispiace enormemente. Ma mi creda, anche volessi, per motivi strettamente personali non potrei aiutarla, glielo dico con tutta la sincerità e il dolore che alberga nel mio cuore.»

    Le sue parole avevano tremato con sconforto mentre riconsegnava il telefonino.

    «Aspetti» disse lei cambiando la schermata, «legga ancora.»

    Il suo sguardo s’irrigidì: Ivano, caro amico, Angelina è viva!

    INTRIGHI

    Era confuso, cosa stava accadendo? Qual era il senso di tutto ciò?

    La morte del suo amico e quelle allusioni riguardo ciò in cui si erano imbattuti alcuni anni prima in quel paesino dei Pirenei, salito alla ribalta della cronaca misterica attraverso il favoloso tesoro scoperto dall’abate Saunière, avevano destabilizzato ogni sua convinzione, acuito l’angoscia di un male che oltre al fisico aveva minato anche l’anima.

    Così prese la decisione di continuare il discorso a casa. Non abitava lontano dalla Chiesa della Grande Madre, un quarto d’ora d’auto; quando varcarono la soglia dell’appartamento, l’ansia di approfondire il discorso gli fece dimenticare tutto il resto.

    «Irene, si metta comoda. Le posso offrire un caffè?»

    «Volentieri.»

    «Immagino che lei desideri che le spieghi il significato di quella frase sibillina. Sa, suo padre amava porre indovinelli. La sua morte, come le ho detto in auto, mi ha lasciato costernato.»

    Lei fece un profondo sospiro. «Vedevo poco mio padre. Era molto assente, soprattutto dopo la separazione con mia madre e, per dirla tutta, non è che ci prendevamo molto. Lui aveva un’educazione rigidamente cattolica mentre io, beh, sono stata una ribelle.»

    «Ricordo quando sei anni fui invitato dalla mia casa editrice ad accompagnare suo padre a Rennes, la vicenda dell’abate Saunière, con quelle misteriose pergamene, aveva suscitato l’interesse del Vaticano; ma anche il mio libro in un certo qual modo era sotto osservazione. Questo suo padre non l’ha voluto mai ammettere, per lui le trame oscure clericali erano sempre dettate da Dio.»

    «Come non darle ragione» assentì lei. «Per lui l’obbedienza all’istituzione era fondamentale. Un prete mancato, gli dicevo per sfotterlo. E forse tutta quest’ortodossia, come le ho detto, ha fatto nascere in me uno spirito contraddittorio. Mia madre, ad esempio, ha una visione progressista, aperta, completamente diversa da quella di mio padre: se non fosse stato per lei, non sarei mai andata a studiare Lettere e Filosofia a Firenze. Comunque, non l’ho voluta incontrare per raccontarle la mia vita ma, appunto, per chiederle di accompagnarmi in Francia.»

    «E io, le ripeto, non vedo come potrei aiutarla» ribatté mentre versava il caffè nelle tazzine. «E scusi se glielo chiedo, ma perché sua madre non è venuta con lei? Per l’espletamento delle pratiche del decesso credo ci sia bisogno dei familiari più stretti.»

    Lei dondolò sconsolata la testa. «Mia madre è allergica ai viaggi, soffre di attacchi di panico e non è voluta mai entrare negli affari di mio padre. La Santa Sede ha già mandato un suo rappresentante. L’incendio sembra plausibile, ma a me non convince, voglio vederci chiaro, e lei, signor Ruperti, poiché conosceva parte del lavoro di mio padre, mi potrebbe dare una grossa mano.»

    «Vorrei aiutarla ma…»

    «Ma» intervenne lei decisa, «pochi minuti fa, in chiesa, quando ha letto l’ultimo messaggio, il suo viso ha cambiato espressione. Quello che mio padre ha scritto l’ha colpita, vero? Non mi dica di no.»

    Lui non rispose, limitandosi ad annuire.

    «L’avevo intuito, il suo silenzio in macchina è stato eloquente. Lo speravo, ho bisogno d’aiuto, signor Ruperti, spero che non me lo negherà.» I suoi occhi supplichevoli avrebbero intenerito anche il più insensibile dei cuori.

    «Non è questo il punto» disse Ivano, sistemando le tazzine. «Anche se quello che ho letto non mi ha lasciato indifferente…»

    Il viso della ragazza s’illuminò. «Mi fa piacere, andare in Francia da sola mi spaventava.»

    «Non le ho detto che accetto, solo che ci sto pensando» affermò, prendendo la zuccheriera.

    «Per me senza zucchero, grazie.»

    «A me, invece, piace abbondare» disse, mettendo tre cucchiaini nella tazzina. «Eppure suo padre, insomma Roberto, stava ancora investigando su Rennes?»

    Lei alzò le spalle. «E chi può dirlo. Ufficialmente aveva avuto un incarico a Parigi, poi negli ultimi mesi ha cambiato obiettivo, affittando un appartamento a Carcassone, nel sud della Francia, non lontano da quel paesino del mistero che più volte ha nominato, mi sembra…»

    «Parigi e Carcassone, il Re contro i Perfetti…»

    «Cosa?»

    «Niente signorina, soltanto una riflessione sulla crociata del XIII secolo, promossa dal papa Innocenzo III e dal re di Francia contro i Catari della Francia meridionale, una terra, appunto, di eresie.»

    «Sì, ne ho sentito parlare.»

    «La Provenza, l’antica Linguadoca» continuò Ivano «è stata una regione dal libero pensiero, dove convivevano più fedi, e la libertà è sempre un’aspirazione che qualcuno mira a mettere in prigione… Ma non perdiamoci in chiacchiere, mi dica piuttosto: ha qualche altro elemento che potrebbe aiutarci a capire che genere d’incarico era stato affidato a suo padre?»

    Lei sospirò affranta. «Non ha seguito i Tg in questi giorni?»

    «Sinceramente no, ho avuto altri pensieri.»

    «Allora non è informato su ciò che è accaduto in Vaticano, in altre parole del suicidio del cardinale Vesprini, il braccio destro del papa. Sembra fosse coinvolto nello scandalo scoppiato alcuni mesi fa con l’arresto di un faccendiere, un certo Donati. Donati era a capo di una vera e propria organizzazione criminale che reclutava ragazze, anche minorenni, per festini a base di sesso e droga, che si tenevano in alcuni appartamenti della Roma bene, ai quali avrebbero partecipato anche alcuni uomini di Chiesa.»

    «Niente di nuovo sotto il sole, o meglio sotto la cupola…» commentò lui sarcastico.

    «Ha ragione» continuò Irene, «il Maligno ha tentato più volte la Chiesa in passato, ma il punto è che il cardinale Vesprini conosceva molto bene mio padre. Anzi, a dirla tutta, temo che l’incarico di tornare in Francia sia venuto proprio da lui.»

    Lui si accigliò: «Come fa a dirlo?»

    «La scorsa Pasqua, mentre ero dai miei, poco prima di pranzo mio padre si è chiuso in studio con lui per una mezzoretta. Quando sono usciti mio padre sembrava invecchiato di qualche anno: sul suo viso era calato un velo di preoccupazione. Ovviamente ha cercato di minimizzare, alludendo ai soliti problemi della curia con tutte queste nuove tendenze spirituali sempre in cerca di proseliti anche all’interno della Chiesa. Dopo un mese, è partito per la Francia.»

    «Le accuse a questo cardinale Vesprini secondo lei sono plausibili?»

    «Perché me lo chiede?»

    «Perché, appunto, ho conosciuto suo padre, e da quello che ho potuto capire del suo carattere e della sua etica lavorativa, l’onestà per lui era essenziale. Non credo possa essersi messo in combutta con qualche corrente criminogena in seno alla Chiesa.»

    Lei provò a sorridere. «La sua, signor Ruperti, è una mente astuta. Lei ha colto nel segno: è proprio questo il mio timore, la possibilità che anche la memoria di mio padre venga infangata. Per dirla tutta, l’odierno Papa sta operando una pulizia all’interno della Chiesa. Pulizia che ha creato qualche malumore. Il cardinale Vesprini, prima dello scandalo, era stato sempre ligio alla volontà del Santo Padre.»

    «Dunque c’è qualcosa che non torna» suggerì Ivano.

    «Potrebbe, ma a me interessa sopratutto far chiarezza sulla morte di mio padre» affermò lei decisa. «Detto ciò, mi dica di questa Angelina: un nome, da quello che ho potuto constatare, che la sconvolge» disse poi incrociando le braccia.

    «È una storia lunga…»

    «Quanto lunga? Abbiamo del tempo, il primo treno è per questa notte. Ho qui due biglietti» disse mostrandoglieli.

    «Due?» chiese lui stupito.

    «Beh, lei mi accompagna, vero?» insistette con un sorriso sornione.

    Ivano fece finta di non aver sentito e incominciò il racconto.

    IL NOME CHE UCCIDE

    «La casa editrice, volendo dare risonanza al mio libro Il segreto della Sibilla Pastora, che stava avendo un buon successo anche all’estero, nell’estate del 2020 mi propose di partecipare come membro esterno alla commissione di esperti presieduta da suo padre per indagare il mistero di Rennes-le-Château: un villaggio arroccato sui contrafforti dei Pirenei orientali nella regione del Razes della Linguadoca, a una quarantina di chilometri da Carcassone» iniziò mentre metteva via le tazzine. «Il parroco del posto, Bérenger Saunière, alla fine dell’Ottocento, durante i lavori di ristrutturazione della chiesa dedicata a Maria Maddalena, scoprì qualcosa all’interno di uno dei pilastri visigoti che sorreggevano l’altare maggiore. Si parla di un tesoro o di antiche pergamene che in qualche modo fruttarono un tesoro. Insomma, su questo ipotetico ritrovamento sono stati scritti fiumi di parole: saggi e romanzi che hanno speculato in ogni modo su una vicenda enigmatica ma anche ricca di mistificazione, che spazia dalla discendenza cristica dei Merovingi tramite la Maddalena, al tesoro del tempio di Salomone portato a Roma da Tito; tesoro poi finito nel Razes con i Visigoti dopo il sacco di Roma nel 400 d.C. Insomma, di tutto e di più. Fino ad arrivare alla seconda metà del Novecento, quando questa vicenda salì alla ribalta con delle pubblicazioni che fecero scalpore. Da allora il mistero si è sempre più infittito, anche oltre i confini francesi, inglobando cospirazioni e intrighi internazionali che hanno creato fastidio e imbarazzo a importanti istituzioni, in primis la chiesa cattolica, ma non solo…»

    «Ecco perché interessava a mio padre» lo interruppe Irene, «lui veniva sempre chiamato in causa quando ai suoi amici preti ronzavano le orecchie.»

    Ivano la guardò sospettoso: «Comunque la commissione, pur essendo composta da studiosi di varie discipline e Paesi europei, era presieduta da un funzionario del Vaticano, e dunque istituzionalizzata dalla Santa Sede. Lo scopo era di far chiarezza e io, pur avendo scritto un romanzo da alcuni definito controverso e suscettibile di scomunica, fui subito preso in simpatia da suo padre, che mi volle far partecipe di ogni aspetto dell’indagine. Per farla breve diventai il suo più intimo confidente proprio perché libero da qualsiasi pregiudizio, sia religioso che accademico.»

    «E cosa avete appreso?»

    «Ci colpì un fatto tragico che comprovava la pericolosità della scoperta del parroco Saunière: l’omicidio di Antoine Gélis, parroco di Coustassa, villaggio di antiche origini catare posto di fronte a Rennes-le-Château, compiuto nella notte tra il 31 ottobre e il primo novembre del 1897. Il corpo del poveruomo fu ritrovato al mattino dal nipote in un lago di sangue nel presbiterio: era stato ucciso a colpi d’ascia che gli avevano sfondato il cranio. Cosa insolita, nonostante lo scempio: l’assassino si era preoccupato di ricomporre il cadavere.»

    «Terribile.»

    «Già, pensi che l’unico indizio che l’assassino si era lasciato sfuggire fu un pacchetto di cartine per sigarette di marca Tzar sul quale erano scritte a matita due parole.» Si fermò per osservare la ragazza, che sembrava ascoltare con estrema attenzione.

    «Quali?» incalzò lei.

    «Viva Angelina.»

    Lei rimase di sasso. «Non può essere. Cosa c’entra quella morte con il mistero di Rennes?»

    Ivano si pizzicò il mento non rasato. «Il parroco Gélis era molto amico di Saunière, e per avere un quadro più chiaro dobbiamo per forza di cose andare al momento chiave del ritrovamento di quelle famose pergamene.» Prima di continuare prese da uno scaffale della credenza un taccuino di pelle marroncino. «Qui ci sono tutti gli appunti di quegli anni, ascolti bene:

    La chiesa di Rennes-le-Château dedicata a Santa Maria Maddalena, fino a pochi anni prima dell’arrivo di Saunière era la semplice cappella della famiglia nobiliare degli Hautpoul de Blanchefort, un tempo signora di Rennes. Assurgerà a ruolo parrocchiale solo nel 1827. L’edificio però è vetusto, e sorge sulle rovine di un tempio pagano costruito dai Visigoti nel V secolo d.C., o da chi nei secoli li aveva preceduti: le tribù di Galli che avevano tenuto in scacco Cesare, le quali consideravano sacro quel luogo.»

    «Interessante» commentò Irene, «dunque un luogo carico di energia…»

    «Possiamo dire così» ribatté Ivano, «infatti, come attestano le iscrizioni votive dedicate alla Madre di Dio e la statua di Iside scoperte a Rennes-les-Bains insieme al cimitero neolitico di Rennes-le-Château, tutta la regione conserva un’aura religiosa importante. Ma la prego, i miei occhi sono affaticati, continui a leggere lei.»

    Irene prese il taccuino e continuò dal punto che Ivano le segnalò.

    Bérenger Saunière fu nominato curato di Rennes nel 1885. Le sue simpatie per la monarchia, che non disdegnava di esternare durante le prediche, pur attirandogli gli strali del partito Repubblicano, gli permisero di ottenere diverse e fruttuose donazioni per il restauro della chiesa.

    Nel 1887 i lavori erano già incominciati, e molto probabilmente in quell’anno o nel 1886 furono ritrovate le misteriose pergamene.

    Esistono diverse versioni in merito al rinvenimento:

    1886-1887

    Durante i lavori di restauro della Chiesa Saunière scopre gli le pergamene degli Hautpoul, nascosti in una balaustra di legno all’interno della chiesa dall’abate Bigou (cappellano di famiglia e parroco di Rennes-le-Château). Le misteriose pergamene avevano il sigillo della Regina Bianca di Castiglia. Si parlò anche di un vaso, in occitana ola, ricolmo di oggetti metallici e di due scheletri, ma sono voci di popolo…

    In seguito a questo ritrovamento sorgono degli attriti con il sindaco del comune sulla destinazione delle pergamene. Il parroco vuole accertarsi del loro valore, il sindaco le reclama per gli archivi comunali. Così Saunière rivendica la necessità di far tradurre il testo scritto in un latino antico, premurandosi però, su richiesta del sindaco, di fare lui stesso delle copie da consegnare alla custodia del comune. Fatto ciò si reca dal suo vescovo a Carcassone, il suo diretto superiore, monsignor Felix Arsene Billard, il quale lo invia subito a Parigi, al seminario di Saint Sulpice, con la missione di decifrare le enigmatiche scritture.

    Saunière si ferma a Parigi tre settimane, il tempo per la decifrazione delle pergamene effettuata dal nipote dell’abate, Emile Hoffet, esperto di alfabeti antichi e cultore d’arti esoteriche, nonché di pratiche occulte.

    1887-1891

    Continuano i lavori ma anche le escursioni insolite che il parroco, insieme alla governante e confidente Marie Dénarnaud, compie nella Valle de Bals, dove scorre il torrente Des Couleurs, in prossimità del quale si trova la Grotta della Maddalena, un luogo alquanto impervio dove il prete aveva voluto collocare una statua di Maria Maddalena inginocchiata in preghiera (la finestra sudoccidentale della torre di Magdala è orientata verso questa grotta), apparentemente alla ricerca di pietre, sassi e rocce per costruire, nel cimitero di Rennes, una grotta che ricordi quella ben più celebre di Lourdes.

    Ma quello che più conta è ciò che il parroco annotò sul suo diario:

    Settembre 1891 giorno 21: lettera da Granes, scoperta di una tomba, pioggia verso sera.

    Giorno 29: incontrato il curato di Névian. Da Gélis. Da Carrière. Visto Cros e Segreto.

    Nel periodo che va dal 1892 al 1897, il prete si assenta con frequenza dalla parrocchia, anche per più giorni di fila.

    Nel 1892 la giovane Marie diventa ufficialmente la sua perpetua. Saunière, insieme con lei, in quegli anni comincia a scavare di notte all’interno della chiesa e nel piccolo cimitero annesso, devastandolo e irritando così gli abitanti del villaggio. Le antiche lastre tombali sono rimosse, le ossa e i resti raccolti nell’ossario generale che il parroco aveva fatto costruire apposta.

    Ricapitolando: Saunière trovò delle pergamene che portò a visionare a Parigi.

    Il loro contenuto era così drammatico da metterlo in guardia, convincendolo a eliminare tutte le prove che potevano far sorgere dei sospetti, come le due lapidi di Marie Nègre.

    Le lapidi furono fatte dall’abate Bigou, probabilmente perché depositario del segreto della Marchesa de Nègre, la quale era di antica stirpe catara.

    Saunière nel 1891 trovò una tomba con l’aiuto dei suoi amici parroci.

    L’amico Gélis sarà ucciso come monito a non andare avanti, mentre gli altri suoi amici e colleghi di fede vengono lasciati in vita ma isolati, dato che ucciderli avrebbe attirato sospetti nonché ulteriori e approfondite indagini da parte della polizia.

    «La tomba trovata da Saunière era il segreto» riprese a quel punto Ivano.

    «C’è da perdere la ragione» commentò Irene. «E siete arrivati a capire a chi appartenesse la tomba? Insomma, questo benedetto segreto?»

    «Purtroppo, nessuno l’ha mai scoperto veramente. Ma sia io che suo padre eravamo convinti che la soluzione di una buona parte di esso fosse da ricercare nell’omicidio dell’amico di Saunière, Gélis; altrimenti perché lasciare quella strana frase, viva Angelina, sul luogo del delitto?»

    Lei lo guardò stupita. «Vero, perché?»

    Ivano la invitò a voltare pagina. «Abbiamo raccolto tutti gli indizi possibili, quelli che all’epoca erano rintracciabili, e soprattutto valutato tutte le contraddizioni: ad esempio il fatto che quella marca di cartine per sigarette non si vendeva in zona e poteva far pensare che l’assassino venisse da fuori, da molto lontano. La strana scritta vergata in maniera piuttosto grezza fece intuire agli investigatori che l’assassino fosse una persona non avvezza a tenere spesso una penna in mano, e che in qualche modo il delitto potesse ricondurre a qualche losco affare del prete, probabilmente legato al mondo della prostituzione, esercitata in una casa di tolleranza di Narbonne da una certa Angelina, risultata comunque del tutto estranea al fatto.

    «Fu sospettato perfino il nipote della vittima, però l’accusa cadde per mancanza di prove formali. Insomma, si brancolava nel buio sennonché, a seguito di un’approfondita perquisizione alla casa del sacerdote, fu ritrovato un piccolo tesoro: una quantità di denaro davvero insolita per un modesto curato di campagna. Soldi dappertutto: in due casseforti nel presbiterio e in sacrestia erano conservati tredicimila franchi; sotto il pavimento e in un muro della stanza erano stati nascosti altri settemila franchi, altri si troveranno sotto le piastrelle, in mezzo ai libri della biblioteca, nel camino, nelle assi dei mobili della stanza da letto, in solaio e, addirittura, nel gabinetto. Però, a quanto sembrava, all’assassino i soldi non interessavano, dato che la casa non era stata rovistata e nei cassetti della stanza dove era stato barbaramente ucciso il prete i settecento franchi a disposizione di un eventuale ladro-assassino non erano stati toccati.

    «La nipote che viveva insieme a lui raccontò che lo zio non permetteva a nessuno di andarlo a trovare, salvo i suoi due confratelli di Rennes-le-Château e Rennes-les-Bains, ma stranamente la sera del 31 ottobre lo vide nella cucina del presbiterio in compagnia di una persona che era voltata di spalle. Gélis le disse di lasciarli soli, perche si trattava di un amico.

    «Ecco, le nostre indagini finirono lì, l’affare di Rennes terminò, almeno per noi, con il ritorno in Italia verso la fine dell’anno. Ma, a quanto pare, da quello che lei signorina

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