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Dracophobia
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E-book273 pagine3 ore

Dracophobia

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Info su questo ebook

I draghi sono impazziti. Da custodi della Natura e della saggezza sono divenuti belve assassine, mosse da appetiti smodati. Hanno banchettato col mondo sino a svuotarlo. Solo i clan dei nani sopravvivono, conducendo un’esistenza tormentata nelle miniere, lontani dal calore del sole e prede della dracophobia. È in questo clima di terrore che la principessa Tormento dei Draghi comanda spericolate razzie nel sopra-mondo, mentre il fratello Nurin parte per un viaggio alla ricerca degli Dei del loro popolo. Un viaggio che lo condurrà negli abissi della terra e in quelli della sua anima.
LinguaItaliano
Data di uscita23 set 2020
ISBN9788898585922
Dracophobia

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    Anteprima del libro

    Dracophobia - Andrea Zanotti

    draghi.

    Capitolo 2

    Re Daran il Legislatore

    Nurin e Tormento dei Draghi vennero ammessi alla sala del trono senza particolari cerimonie. D’altronde non era altro che una stanza scavata nella pietra, solo un po’ più grande delle altre. Era blandamente rischiarata da torce a olio e sul lato opposto all’ingresso c’era il trono di legno del Re Legislatore.

    Il sovrano leggeva una pergamena, con aria corrucciata.

    Nurin notò quanto il padre apparisse stanco e deperito. Il pallore dell’incarnato era simile al candore della lunga barba, dando ancor maggior risalto al viola delle occhiaie profonde. Il Re alzò a fatica lo sguardo sui figli, riservando un accenno di sorriso solo quando incontrò quello della sua erede, Roìmila.

    «Ben tornata, figlia mia.»

    «Padre, sono lieta di essere ancora nel mondo dei vivi. La spedizione è stata un successo.»

    Nurin non era d’accordo, ma preferì tacere. La sorella lo aveva aggiornato mentre percorrevano le gallerie che, dal varco verso il mondo esterno, li avevano condotti al cospetto del padre. Oltre ai tre nani morti ai cancelli, Roìmila ne aveva perso un altro durante la razzia.

    «E dimmi, figlia, cosa hai recuperato là fuori?»

    «Siamo arrivati a Kadonia, ai ruderi del palazzo dei lanisti.»

    «E dimmi, l’arena dei combattimenti è ancora in piedi?»

    «Sì, padre, ma noi abbiamo puntato la villa. L’abbiamo setacciata da cima a fondo. Purtroppo una stanza ci è crollata addosso e Kamli è rimasto sotto le macerie…»

    «Mi spiace, era un buon razziatore.»

    «Però siamo riusciti a trovare armi e gioielli. I lanisti dovevano fare un mucchio di soldi, addestrando gladiatori.»

    «Puoi dirlo, figlia mia prediletta. I giochi nell’arena erano uno dei passatempi più seguiti in tutte le città, non solo dal nostro popolo. Arrivavano gladiatori dai posti più disparati di Kandea. Dalle città Stato Elfiche, dalla Lega degli Umani e persino dalle Tribù selvagge del Krotos. I lanisti addestravano i campioni e con questi facevano montagne d’oro. Quand’ero un cucciolo di nano mi ci portava tuo nonno, pace all’anima sua. Era lui in qualità di capo clan ad avere il potere di salvare i gladiatori sconfitti, nel caso avessero combattuto con onore. Ah, quelli sì che erano tempi…»

    Nurin sperò che il padre non si perdesse a rimembrare quell’Era d’Oro, oramai passata e che mai più sarebbe tornata. Tempi nei quali i popoli vivevano alla luce del sole e non rinchiusi in prigioni sotterranee, costretti a nutrirsi di funghi di caverna e bere quella putrida birra di licheni fermentati. Tempi nei quali i draghi rappresentavano la saggezza e vigilavano sulle sorti del creato al fianco degli Antichi Dei nanici. Per quelli della sua generazione era difficile persino immaginare uno scenario del genere. Purtroppo però il Re aveva abbandonato la speranza di poterla ripristinare, limitandosi a crogiolarsi nei ricordi.

    «Certo padre, darei un braccio per aver vissuto quell’epoca» lo interruppe Roìmila avvicinandosi a lui. «Vi ho portato questo presente» disse estraendo un piccolo contenitore da una tasca e fermando il monologo del Re.

    Il Legislatore lo prese e, aperto il coperchio, trovò una manciata di fragole. Allungò le mani tremanti sin a raggiungere i frutti rossi e profumati.

    «Grazie figlia mia, un pensiero alquanto gradito» rispose offrendogliene una.

    Quando ebbe finito portò lo sguardo su Nurin, e l’espressione gli tornò arcigna.

    «Mi è giunta notizia che i guardiani non hanno rispettato i protocolli. E tu, Nurin, Guardiano degli Accessi, cosa hai da riferirmi? Era il tuo turno di veglia.»

    Il principe vacillò sul posto. Il Legislatore non si era conquistato quel titolo per coincidenza.

    «Quando i portali sono stati aperti, il krellen era in fuga e ferito gravemente» tentò di giustificarsi.

    «Però poi è tornato. Le leggi ci sono per non lasciare che indegni prendano decisioni errate, capaci di mettere a repentaglio la sicurezza del clan, lo capisci? Dovresti dare il buon esempio!»

    Nurin ribolliva. Mal digeriva gli eccessi del padre, che pretendeva di normare tutto, e in questo caso sapeva di non aver avuto scelta. Cosa sarebbe accaduto se la sua prediletta Roìmila fosse crepata solo perché lui non aveva ordinato l’apertura dei cancelli? Il Re lo avrebbe condannato ugualmente, ne era certo. In quel caso appellarsi alla legge non sarebbe servito a nulla.

    «Padre, indulgi sull’accaduto» intervenne Tormento dei Draghi. «Non ci sono state conseguenze per questa mancanza. Piuttosto dobbiamo organizzare una squadra, Nurin mi ha detto di aver visto un drago.»

    Il Re si mosse a disagio sullo scranno.

    «Un drago? Uno vero intendi?»

    Il fatto che il Re si rivolgesse sempre e solo alla sorella infastidiva ancora Nurin, nonostante non fosse certo una novità.

    «Sì padre, uno capace di librarsi in volo e dall’apertura alare enorme.»

    «D’accordo figlia, invia dei Pulitori, dobbiamo accertarci che non nidifichi nei dintorni. Ora però lasciatemi solo. Ho un sacco di rapporti da leggere.» Così dicendo indicò una pila di pergamene posta su un treppiede di fianco al trono.

    Roìmila annuì e fece un inchino, ma Nurin aveva altro in mente. Forse non era l’occasione giusta, anzi sicuramente, ma non poteva attendere che il Re gli concedesse una nuova udienza. Chissà quanto tempo sarebbe trascorso.

    «Mio signore, avete avuto modo di valutare la mia richiesta?»

    Sul grugno del sovrano comparve una smorfia infastidita.

    Tormento dei Draghi chiese con un cenno di poterli lasciar soli, ma il Re le impose di rimanere.

    «Vedi Roìmila, tuo fratello Nurin per l’ennesima volta si mostra ingrato, insofferente alle regole e… un maledetto sognatore!»

    Nurin vide che Roìmila lo guardava con aria interrogativa.

    «Ho chiesto di poter entrare nei Mastri di Labirinto.»

    Re Daran scattò in piedi, mostrando un’energia insospettabile.

    «Capisci figlia? Ho nominato tuo fratello capo turno dei guardiani meno di un anno fa e lui si è già stancato, poverino. E poi sarei io quello che non lo ama.»

    «Non ho mai chiesto questo lavoro, padre!»

    «Non azzardarti a mettere in discussione le mie scelte. Ti stai facendo influenzare da quel vecchio ciarlatano di Fanar.»

    Parlare così del più anziano Mastro di Labirinto ancora in vita, nonché suo maestro, era per Nurin un affronto che neppure il Re avrebbe dovuto permettersi.

    «Fanar Terzocchio è un benedetto dagli Antichi, padre, non dovresti disprezzarlo, ma ascoltarne il consiglio, semmai.»

    «Gli Antichi Dei ci hanno tradito! Svegliati figlio, hanno provato a sterminarci tutti.»

    «Senza il loro aiuto siamo comunque condannati…» azzardò il principe, ma Daran lo mise a tacere.

    «Tu non eri ancora nato, ignori la loro furia dissennata. Non sai quello che dici.»

    Chissà cosa avrebbe detto suo padre, se gli avesse confessato delle visioni avute dal Terzocchio, pensò Nurin, decidendo di tenersele per sé, così come mai gli avrebbe confessato i suoi progressi sulla via per divenire un Mastro di Labirinto. Il Re era sufficientemente alterato, meglio non indispettirlo oltre.

    «Ospito nei miei possedimenti Fanar e i suoi compari solo perché ho pena per loro. Ma la mia pazienza ha un limite e di certo non intendo consegnargli mio figlio.»

    Nurin non sopportava di essere trattato come un infante. Da un bel pezzo aveva superato l’adolescenza e, anche se non aveva ancora costruito la sua leggenda come la sorella e non si era conquistato un titolo, non intendeva recedere dalle proprie convinzioni. Pur conscio del rischio che correva passò al contrattacco.

    «Padre, il Regno è in declino. Apri gli occhi, esci da questa stanza, va alla Stazione Piazzaforte, o a Nuova Kadonia, o anche al Villaggio Mercato Grande. Guarda in faccia i tuoi sudditi!»

    Il volto del Re prese colore, inondato dalla rabbia.

    Nurin indietreggiò di un passo, conscio che oramai era tardi, si era spinto troppo oltre i confini della pazienza di suo padre.

    «E con questo cosa vorresti insinuare?» tuonò Re Daran.

    «Che non possiamo andare avanti così!»

    «Ho promulgato leggi che ci garantiranno la sopravvivenza per secoli, osi forse metterlo in dubbio?»

    Il Guardiano degli Accessi non vacillò.

    «La nostra stirpe si indebolisce di generazione in generazione, la vista si affievolisce a causa dell’oscurità in cui viviamo, la pelle sbiadisce e l’inattività fiacca i muscoli. I tuoi guerrieri muoiono per raccattare qualche cianfrusaglia dal mondo superiore! E cosa mi dici riguardo ai contatti con le altre comunità? Diminuiscono ogni giorno che passa, i mercanti sono sempre meno, l’arte della forgia viene dimenticata… persino la speranza sta svanendo dai cuori!» elencò, tutto d’un fiato.

    «Ah, quindi tu, moccioso, credi di essere più saggio del tuo Re, di tuo padre? Tu sì che avresti qualche soluzione capace di risolvere tutto!» sbottò Daran menando un calcio al mucchio di pergamene e facendole schizzare in giro per la stanza. «Ambisci a questo scranno, vero? Non immagini neppure i problemi che comporta sedercisi sopra!»

    Nurin si sentì ferito. Suo padre lo giudicava peggiore di quanto avesse mai creduto. Non gli interessava nulla rubargli il posto.

    «Non è il tuo Regno morente che desidero, ma una vita migliore per i suoi abitanti.»

    «Il salvatore dei nani, Nurin il Redentore! Vorresti che ti chiamassi così?»

    Re Daran era schiumante. Il guardiano non lo aveva mai visto in quello stato. Forse le sue parole avevano aperto una breccia nelle convinzioni granitiche del Re, ma a quale prezzo?

    «Non è questa la via. La speranza ci sta abbandonando. Ci stiamo spegnendo…»

    «Basta, fratello, andiamo, stai esagerando.»

    Roìmila lo prese per un braccio ma Nurin se la scrollò di dosso con uno strattone.

    «La dracophobia dilaga, padre, inutile fingere il contrario!»

    «Taci, figlio, non sai quello che dici!» ora il Re ne aveva abbastanza e gli andò incontro.

    «Mosur li ha visti con i propri occhi» aggiunse il principe sprezzante.

    Erano faccia a faccia, come due cani che si scrutano prima di balzarsi alla gola.

    «Mosur? Quel dannato Turbante Rosso con cui ti sbronzi tutte le sere, prima di fornicare con qualche nana del malaffare? È stato radiato dagli altri pazzi degli esploratori perché ancor più pazzo di loro, dannazione!»

    «Mosur non è pazzo!»

    Re Daran scoppiò a ridere. Anche Roìmila non riuscì a trattenere un sorriso, per poi frapporsi fa i due e stringere la spalla del fratello con la mano.

    «Senti Nurin, Mosur era un ottimo esploratore, ma ha passato troppe ore sotto il sole. Si è fritto il cervello. Capita.»

    «Ti porta a sragionare, figlio» rincarò la dose il Re. «Nel suo ultimo rapporto mi ha riferito di aver visto un branco di krellen intento a scavare. Per tutti gli Dei Antichi! E non sarebbe pazzo? I krellen sono bestie stupide e solitarie. Si mangiano fra loro, dannazione, li hai visti! Di certo non si sono mai scavati delle tane, e men che meno delle tombe.»

    Nurin attese che il padre si calmasse, o che una delle vene che gli vedeva pulsare sulla fronte deflagrasse facendogli esplodere la testa.

    «Una profezia dei Mastri di Labirinto sostiene che i nani cadranno quando gli artigli dei krellen inizieranno a scavare.»

    «Sì, a scavare nelle nostre carni, sciocco, e purtroppo hanno iniziato da un bel pezzo! Fuori, ora ne ho abbastanza delle tue corbellerie. Fuori, prima che ci ripensi e ti faccia sbattere in gabbia per non aver rispettato la procedura dei guardiani. Che non succeda mai più, o una cella diverrà la tua nuova dimora, così avrai tutto il tempo che vorrai per dedicarti alle meditazioni dei Mastri di Labirinto.»

    «Siamo già in una prigione…» bisbigliò Nurin alla sorella, prima di accennare un inchino sarcastico e voltarsi verso l’uscita.

    «No, tu Roìmila rimani ancora un istante.»

    Tormento dei Draghi indicò al fratello di attenderla fuori, non ci avrebbe messo molto.

    Nurin aspettava su una panca incassata nella parete rocciosa. L’umidità di quel luogo penetrava nelle ossa, non dando tregua. Fluiva densa nella pelle, rammollendola e cercando di decomporla anzitempo, quasi appartenesse a un cadavere.

    Come faceva suo padre a pensare che potessero vivere lì sotto per sempre?

    L’attesa sembrava non finire mai e il Guardiano si stava spazientendo. I due nani della guardia del Re, posti all’ingresso della sala del trono, erano taciturni come statue. Rimase quindi in balia dei pensieri che gli frullavano per la testa da mesi. L’unica soluzione per evitare l’estinzione della sua razza era trovare un modo per rientrare in contatto con gli Dei Antichi, ne era certo, e l’unico tramite rimasto, anche se bistrattati e considerati alla stregua di fardelli per la comunità, erano proprio i Mastri di Labirinto. Solo con l’aiuto degli Dei, i clan avrebbero potuto riprendersi il mondo, strappandolo dalle grinfie dei draghi.

    Frasi ammezzate interruppero i suoi pensieri. Tentò di concentrarsi per riuscire a carpire le parole. Il pesante drappo posto all’entrata attutiva i dialoghi provenienti dalla sala del trono, ma dal tono della discussione, Nurin capì che i due stavano litigando. Per una volta che non era lui a far infuriare il Re, decise di scoprire di che si trattava.

    Quando uscì, Roìmila aveva lo sguardo cupo. Nuove rughe si erano formate sul volto abbronzato della guerriera. Le continue razzie compiute alla luce del sole l’avevano segnata anche in quel modo, oltre che nella tempra e nel carattere.

    Nurin si alzò e le andò incontro.

    Roìmila lo abbracciò, poi si ricordò di una cosa. Frugò in una tasca della giberna ed estrasse un paio di fragole polpose.

    «Quasi dimenticavo di dartele, fratello. Sarebbe stato un peccato se le avessi spappolate. Oggi, nostro padre è riuscito a farmi infuriare.»

    «Che è successo?»

    Roìmila lo invitò ad andare avanti, incamminandosi fuori dalla portata delle orecchie delle guardie.

    «Mi spiace dovertelo dire, ma tanto lo verrai a sapere comunque.»

    Nurin non aveva mai sentito sua sorella così seria e iniziava a preoccuparsi.

    «Ha deciso di bandire i Mastri di Labirinto.»

    Il guardiano si inchiodò all’istante sul posto. Non riusciva a crederci.

    «Nostro padre è convinto che la dracophobia non sia altro che una loro invenzione e la ritiene il pericolo maggiore per il nostro popolo, capace come hai detto tu di fiaccarlo nello spirito combattivo.»

    «Ma non può farlo!»

    «Dimentichi che un centinaio d’anni fa è stato proprio lui a convincere gli altri clan a depotenziare la classe sacerdotale istituendo i Mastri di Labirinto al loro posto?»

    Nurin era più giovane ma conosceva quella storia, in quanto era stato Fanar stesso a raccontargliela, a narrargli dello scoramento che aveva pervaso lui e i suoi pari, apprendendo di aver perso la fiducia dei regnanti.

    «Be’, ma che significa bandirli?»

    Roìmila scosse la testa, sconsolata.

    «Avrebbe voluto mandarli all’esterno… ma sono riuscita a convincerlo a desistere.»

    Uno spiraglio di speranza illuminò il volto del principe mentre faceva cenno alla sorella di proseguire.

    «Non li manderà là fuori, sarebbe equivalso a una condanna a morte. Li lascerà vagare nelle viscere della terra, limitandosi a bandirli da ogni piazzaforte, avamposto e stazione. Così potranno andare a cercare i loro amati Dei nel cuore della terra…»

    Nurin era sconvolto.

    I loro Dei? I nostri Dei, pensò, rammaricato per la mancanza di fede mostrata dalla sorella.

    Quella mossa di Re Daran sarebbe stata la pietra tombale sulla speranza di una vita migliore. Sapeva che la testardaggine di suo padre non ammetteva ripensamenti, ma lui non avrebbe rinunciato all’idea di rivalsa per il popolo nanico, anche se ciò avesse comportato lo schierarsi con dei reietti, banditi da ogni Regno. Lui sarebbe diventato Mastro di Labirinto e avrebbe setacciato il mondo sotterraneo fino a trovare la tana dei loro antichi protettori, anche senza il consenso del Re.

    Capitolo 3

    I Turbanti Rossi

    Nurin era seduto su una roccia modellata a forma di sgabello in quella che pomposamente l’oste Sobur chiamava la Taverna del Gran Pollo. Certo, alla Stazione Palazzo, era la miglior bettola sul mercato, e il mezzobusto di krellen impagliato e illuminato ad arte da una torcia a olio rendeva onore al suo nome. La luce blanda che si concentrava sulla reliquia tanto osannata da Sobur permetteva al guardiano di vedere con chiarezza le ali atrofizzate del mostro. Vene grosse come cordoni erano ancora visibili sulla tela gibbosa delle piccole ali, capaci di sollevare i krellen solo per balzi ridicoli.

    I draghi-pollo, pensò malinconico Nurin. Creature deformi, una progenie distorta, destinata a divenire cibo per i loro genitori insaziabili. Eppure, nonostante la loro impotenza innanzi ai maestosi draghi, quelle bestie compivano strage dei nani che avevano l’ardore di uscire all’aria aperta.

    Il mondo stava finendo. Il loro perlomeno. Nurin ne era sicuro, ma non voleva accettare quel destino. Non certo passivamente come pareva disposto a fare suo padre.

    «Desideri altro, figlio di Re?» gli chiese Sobur, lustrando con uno straccio lercio il tavolo di pietra di fianco al suo.

    «Sì, portamene ancora» rispose indicando il boccale vuoto.

    «Agli ordini, mio giovane signore!»

    Nurin non fece caso al tono dell’oste, che oramai considerava una sorta di padre adottivo, e si perse a osservare un paio di ombre sedute poco distanti da lui. Anziani nani intenti a fumare pipe cariche dell’aroma dei funghi allucinogeni.

    Forse sono loro i più saggi.

    Il fumo denso si spargeva per tutto l’ambiente costituito da uno slargo in un moncherino, un vicolo cieco scavato nella roccia chissà quanti secoli prima, per poi essere abbandonato, fino al giorno dell’apocalisse.

    Eppure c’è chi non si arrende, pensò, osservando l’oste tornare con un carico di boccali, che distribuiva lungo il cammino agli avventori.

    «Ecco qua, mio lord» sorrise Sobur porgendogli la birra di fungo. «Segno come al solito?»

    Nurin sorrise mestamente.

    «Certo, sul conto di Tormento dei Draghi.»

    Il vociare aumentava a mano a mano che la Taverna del Gran Pollo si riempiva. Il guardiano riconosceva a prima vista i diversi avventori. C’erano razziatori, sempre circondati da molti curiosi pronti a carpirne le mirabolanti avventure nel mondo esterno; qualche esploratore, con il turbante rosso ben in mostra sulla testa e sempre prodigo a rubare la scena ai razziatori, raccontando storie ancor più incredibili, e poi la maggioranza dei restanti nani, per lo più contadini e allevatori. Provava compassione per quelle genti che avevano dovuto ridurre drasticamente il proprio campo d’azione. D’altronde nel loro regno sotterraneo non crescevano altro che funghi, muschi e licheni, e le uniche bestie d’allevamento sopravvissute erano maiali malnutriti e malati a causa della dieta ben poco variegata che conducevano.

    Voglio un cielo sopra la testa, voglio vedere il sole e la luna, a questo pensava Nurin, portandosi il boccale di peltro alle labbra per l’ennesima volta, quando venne ridestato dall’arrivo di Mosur.

    «Sempre col muso lungo?»

    Sotto sotto il principe invidiava l’ex esploratore. Nonostante gli avessero appioppato il titolo di Folle, espellendolo dalla casta dei Turbanti Rossi, riusciva sempre a mantenersi allegro e spensierato.

    Forse è veramente folle…

    «Pare ti sia morto il criceto preferito. Che diavolo ti prende?»

    Senza chiedere, Mosur gli si era piazzato al fianco e aveva indicato a Sobur di portargli un altro giro di pinte.

    Nurin era indeciso su quanta parte dei propri problemi raccontare all’amico. D’altronde con chi altro avrebbe potuto confidarsi?

    «Forza figlio di Re, sarò anche pazzo, ma riesco a riconoscere un nano sul punto di strozzarsi dalla voglia di svelare un segreto. Faccio

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