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La Rosa Bianca
La Rosa Bianca
La Rosa Bianca
E-book401 pagine6 ore

La Rosa Bianca

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Info su questo ebook

Da quando è morta Myrien le azioni di Kilian, capitano pirata, sembrano guidate dalla follia. Segue rotte misteriose e si lancia in avventure pericolose che mettono sempre più a rischio i suoi uomini, fino quando non perde la fiducia dell’equipaggio. L’ammutinamento segna la fine dei suoi giorni da capitano, ma forse la Rosa Bianca li ha già portati dove voleva: in un altro mondo, all’inizio di una nuova avventura per ricondurre a casa la sua amata.
LinguaItaliano
Data di uscita21 set 2020
ISBN9788898585939
La Rosa Bianca

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    Anteprima del libro

    La Rosa Bianca - Barbara Poscolieri

    lui.

    Capitolo 2

    La prima cosa che fece Veith come nuovo Capitano della Rosa Bianca fu prendere possesso della sua cabina.

    Fermo sull’uscio, osservava il dipinto sulla parete di fondo, proprio sopra lo scrittoio, con il viso tirato, la mascella contratta e gli occhi accesi da una luce che poteva essere tanto d’euforia quanto di follia. I volti che lo guardavano erano sorridenti, figli di un tempo passato che la giovinezza aveva reso felice. Myrien e Kilian erano seduti vicini, mentre Veith stava in piedi dietro di loro e teneva una mano sulla spalla dell’amico.

    Avrebbe dato qualunque cosa per poter tornare a quei giorni, quando lui e Kilian avevano appena iniziato a solcare i mari e la Rosa Bianca odorava ancora di legno nuovo e vernice fresca, quando Myrien sorrideva a entrambi senza sapere di aver già conquistato i loro cuori. Soprattutto, avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare a un tempo in cui nemmeno l’amore di una donna era una ragione valida per voltare le spalle a un amico.

    Chiuse la porta e subito il tepore della cabina, decisamente in contrasto con il gelo che aveva dentro, lo avvolse in un confortante abbraccio. La Rosa Bianca lo accoglieva nelle sue stanze più intime, lo accettava come Capitano e aspettava che lui la riconducesse in acque sicure, fuori dal pericolo, fuori dal delirio che l’aveva portata lontano attraverso rotte sconosciute. Solo il mare sapeva se quella nave e l’equipaggio non avevano di nuovo bisogno di una guida. Una guida vera, non un pazzo. E lui era pronto a essere la guida di cui c’era bisogno, anche a costo di tradire in un colpo solo il suo Capitano, il suo migliore amico e il suo onore.

    «Dove ci ha portato la tua follia, Kilian?» chiese all’uomo del ritratto, poi lasciò l’immagine di lui per contemplare la bellezza di Myrien. Il dolore per la sua morte non era diventato più sopportabile con il passare del tempo e Veith sospettava che non sarebbe mai diminuito. Si costrinse a distogliere lo sguardo e a smettere dipensare a quello che aveva fatto, poi si diresse con passo sicuro verso lo scrittoio. Sul ripiano, tenuta ferma ai lati da pesanti tomi, era stesa una mappa ingiallita. In più punti la carta di pergamena aveva ceduto al tempo, mentre in altri troppe mani avevano sovrapposto rotte che non portavano in nessun luogo e tracciato segni che non avevano alcun significato, ma nel complesso il disegno era ancora leggibile. Peccato che non avesse senso: Veith era certo che quelle non fossero le Lande Perdute.

    Seguì il tratto di Kilian, le croci su quelli che dovevano essere punti di scalo, le annotazioni che aveva riportato con la sua grafia piccola e nervosa: niente di tutto quello che vedeva corrispondeva a quello che avevano fatto. Le rive che avevano costeggiato non seguivano i contorni di quelle sulla mappa, le isole su cui erano approdati non si trovavano dove erano segnate, le distanze percorse non erano quelle stimate. Eppure i calcoli, gli appunti, gli studi fatti da Kilian con tanta perizia sembravano quelli di sempre, precisi e attenti, difficilmente attribuibili a una mente che non sapeva quel che stava facendo. Estremamente lucido oppure estremamente pazzo: erano le uniche due risposte che Veith riusciva a dare all’enigma di quella mappa e al comportamento di Kilian. Per come erano andate le cose, era evidente che si trattava della seconda.

    Scosse la testa, rinunciando per ora a risolvere quel rompicapo. La mano si mosse a grattare la mascella, dove la barba, di un rosso appena più argentato di quello dei capelli, era ricresciuta selvaggia in quegli ultimi giorni di navigazione forsennata, complotti e sofferte decisioni.

    Forse avrebbe scoperto qualcosa leggendo il diario di bordo, pensò all’improvviso. Una spiegazione, un indizio o qualunque altra cosa suggerisse che non stavano procedendo totalmente a caso, ma che Kilian aveva almeno una vaga idea di dove si trovassero. Nel profondo del cuore, Veith sapeva che se avesse trovato qualcosa del genere avrebbe voluto dire che aveva sbagliato tutto: l’ammutinamento, l’asse, la sua nomina a Capitano. Se avesse trovato delle buone ragioni per spiegare le azioni di Kilian, lui non avrebbe avuto scusanti. Sarebbe stato l’assassino che aveva ucciso il Capitano per prenderne il posto. Lo spettro del dubbio passò nei suoi occhi azzurri: era forse possibile che, senza neanche rendersene conto, fosse stato proprio questo a guidare le sue decisioni?

    Veith respirò a fondo, abbassò le palpebre e si prese tempo per riflettere.

    Quando lui e Kilian avevano messo in mare la Rosa Bianca per la prima volta e avevano issato la bandiera nera autoproclamandosi pirati, era stato Veith stesso a proporre l’amico come Capitano, ritenendosi più adatto a ruoli d’azione che di comando. Non aveva mai rimpianto quella scelta, non aveva mai invidiato Kilian per la posizione che ricopriva sulla nave o per l’obbedienza della ciurma, quando finalmente ne avevano avuta una. Non lo aveva mai invidiato nemmeno per Myrien, né gli aveva serbato rancore quando lei lo aveva preferito a lui. Aveva semplicemente continuato ad amarla, in silenzio come aveva sempre fatto. No, non aveva agito per sottrargli la nave, non aveva agito per invidia o per rancore, non aveva agito neanche per amore o per vendetta. Alla fine, come unica motivazione del suo tradimento, rimase solo la Rosa Bianca, splendente come la Stella del Nord che guidava i marinai.

    Era per la Rosa Bianca che si era macchiato le mani del sangue del suo migliore amico.

    Era per la Rosa Bianca e per quelli che ora erano i suoi uomini che aveva fatto ciò che andava fatto.

    E nessuno più di lui ne aveva sofferto, neanche Stan, neanche Thanae, che pure aveva versato lacrime silenziose mentre il corpo di Kilian sprofondava in mare.

    Gli occhi si riaprirono scacciando quei pensieri, si posarono di nuovo sul dipinto, poi tornarono a guardare lo scrittoio con le sue carte in apparente disordine. Veith esaminò i voluminosi tomi ai lati della mappa, ma erano per lo più trattati e atlanti. Si abbassò allora ad aprire i cassetti della scrivania, ma ci trovò solo inchiostri e qualche pezzo di grafite, carte di pergamena, alcuni pennini e i compassi con cui venivano tracciate le rotte. Guardò infine verso la branda.

    Tra le coperte ammassate c’erano due libri rilegati in tela. Uno aveva la copertina di colore rosso scuro e Veith non lo degnò di un solo sguardo: era il libricino che aveva recuperato nella cella di Kilian, su cui l’amico scriveva le sue note personali. L’altro, blu come il mare profondo, era il diario di bordo su cui il nuovo Capitano della Rosa Bianca contava di trovare la via della salvezza per sé e per l’equipaggio.

    Sedette sulla branda di Kilian e scorse rapidamente le pagine del diario di bordo. Come al solito, l’amico era stato scrupoloso nel riportare ogni evento legato alla navigazione: precedute dall’orario e dalla distanza percorsa dall’ultimo approdo, erano state segnalate tutte le variazioni di rotta e di clima, a ogni scalo era stato scritto il nome di chiunque fosse salito o sceso dalla nave, erano stati registrati i rifornimenti effettuati e, a cadenza settimanale, era stato aggiornato il conteggio dei viveri, delle munizioni e dei beni di prima necessità. Al termine di ogni annotazione giornaliera c’era la frase preferita di Kilian: che il mare sia buono.

    Veith la rilesse più volte e si ritrovò a sperare anche lui che il mare fosse stato buono con Kilian, che non avesse permesso ai suoi predatori di violarne il corpo ancora caldo di vita e che lo avesse invece accolto sul suo soffice fondale per cullarlo in eterno.

    Voltò la pagina, imprecando quando si ritrovò a posare gli occhi su facciate vuote che, al pari di quelle appena lette, non davano risposte a nessuna delle sue domande.

    Niente. In pagine e pagine di dettagliato resoconto dell’intero viaggio non c’era assolutamente niente di utile. Niente che rivelasse dove fossero, niente che mettesse in relazione la loro attuale posizione con quella segnata sulla mappa, niente che facesse anche solo supporre che la rotta intrapresa portasse in qualche luogo.

    Niente.

    Lanciò con disappunto il diario di bordo sul letto, poi lasciò scivolare la testa tra le mani e ogni residua speranza nel mare della frustrazione. Come avrebbero fatto ora a tornare indietro? Quale guida avrebbero seguito? Le rotte di Kilian si erano rivelate sbagliate, le sue mappe fasulle e persino le stelle, fedeli e immutabili, li avevano abbandonati, lasciando che astri sconosciuti prendessero il loro posto e disegnando nuove immagini nel firmamento. Erano alla deriva. E Veith non era il tipo d’uomo che nascondeva la testa sotto la sabbia per non vedere la realtà. Con un lungo sospiro che gli costò più energie di quanto credeva possibile, rialzò la testa, convinto ormai dell’unica scelta possibile: radunare l’equipaggio sul ponte per dire che non sarebbero mai tornati a casa.

    Fu allora che lo sguardo gli cadde sul secondo libretto, quello con la copertina rosso scuro.

    Spinto più dalla curiosità che dalla necessità, lo prese tra le mani, esitando un istante prima di aprirlo. Ne lesse le prime righe e subito si pentì di non aver approfittato di quell’esitazione e lasciato che le parole di Kilian restassero non lette dove lui le aveva scritte, nel suo diario personale.

    «Sembri trovarti bene nella tua nuova sistemazione, Capitano.» Una voce di donna ancorò al presente i pensieri di Veith prima che potessero essere trascinati nelle acque turbinose del passato di Kilian.

    Thanae era ferma sull’uscio, appoggiata a braccia conserte contro lo stipite. Con sguardo indagatore, osservava gli inutili sforzi dell’uomo, che cercava di riprendere il controllo di sé. «Eccetto per il pallore, s’intende. Sembra che tu abbia visto un fantasma.»

    Veith richiuse il diario e lo ripose sulla branda, ma le poche parole lette indugiavano ancora sulla soglia della memoria.

    «Un fantasma che credevo di aver scacciato.»

    «Sarà in buona compagnia, perché anche il fantasma di Kilian verrà presto a tormentarti.» Thanae volse gli occhi al dipinto, fissandoli in quelli di Kilian. «E farà lo stesso con me» aggiunse con un filo di voce.

    Veith lasciò che quelle parole aleggiassero ancora per pochi istanti nel silenzio della cabina. Quando si alzò, sovrastando in altezza la donna di almeno venti centimetri, ogni traccia di rimpianto o ripensamento era svanita dal viso.

    «Kilian non era più in grado di guidarci. Avremmo potuto lasciarlo marcire in cella nella sua stessa nave e invece gli abbiamo dato una morte onorevole. Una morte da pirata.» Si avvicinò a Thanae, tanto da costringerla ad arretrare di un passo. «Qualcuno doveva prendersi la responsabilità di forzare l’ammutinamento per evitare che l’equipaggio si spezzasse e noi lo abbiamo fatto. Non sarà uno spiritello a farmi dubitare della mia decisione. Come non dovrebbe far dubitare te.»

    Punta nell’orgoglio, Thanae riguadagnò lo spazio perduto, arrivando tanto vicino a Veith da sentirne il respiro sul volto.

    «Che differenza vuoi che faccia per me un fantasma in più o in meno?»

    Il nuovo Capitano della Rosa sorrise compiaciuto e attirò a sé la donna stringendole la vita.

    «Siamo pirati» sentenziò, come fosse la spiegazione di tutto.

    Thanae ricambiò il sorriso e i suoi occhi azzurri brillarono fissandosi in quelli appena più chiari di Veith. Un istante dopo la lama di un pugnale si posò sul collo dell’uomo.

    «Appunto, siamo pirati.» Il sorriso di Thanae si fece minaccioso. «E ora toglimi le mani di dosso se non vuoi che i tuoi giorni da Capitano finiscano prima ancora di iniziare.»

    Per nulla intimorito, Veith esplose in una breve risata che, quando si spense, gettò la cabina in un silenzio carico di tensione. Solo allora Thanae sentì aumentare la pressione della pistola rivolta chissà da quanto tempo contro il suo addome.

    I due pirati si lanciarono un ultimo sguardo diffidente e si allontanarono nello stesso momento l’uno dall’altra, abbassando le armi. Poi Thanae si voltò e si incamminò verso la porta, senza timore che Veith le piantasse una pallottola nella schiena.

    «Thanae», la fermò il Capitano un attimo prima che lei varcasse la soglia. La donna si girò appena. «Tu non ti fidi di me come io non mi fido di te, ma dobbiamo collaborare se vogliamo andarcene da queste acque.»

    Thanae annuì. «Hai bisogno di me.»

    «E tu di me. Può non piacerti, ma almeno per il momento il mio ascendente sull’equipaggio è superiore al tuo.»

    La donna tornò a guardare davanti a sé.

    «Il fondale è irregolare qui, forse ci sono delle secche o un qualche altro rilievo. Presto sarà difficile proseguire.» L’ascendente di Veith sull’equipaggio poteva essere superiore a quello di Thanae, ma il modo in cui lei gli parlò somigliava molto a un ordine. «Raggiungimi tra un’ora al timone, condurrò la Rosa al sicuro.»

    A Veith non piacque neanche un po’.

    Capitolo 3

    Thanae camminava sottocoperta mentre i suoi occhi, fissi sul corridoio, vedevano il fondale del mare che si alzava e abbassava a centinaia di metri dalla chiglia. Ormai quel potere non la spaventava più, era parte di lei, ciò che la rendeva unica. Ed era anche quello di cui Veith aveva bisogno. Forse con la sua capacità innata di percepire i cambiamenti dei fondali e di trovare rotte sicure avrebbero avuto qualche possibilità di tornare a casa. Di certo, era il motivo per cui Veith la voleva al suo fianco. Thanae non era tanto ingenua da non sapere che era anche il motivo per cui il nuovo Capitano della Rosa Bianca la temeva, considerandola forse una rivale pericolosa per il comando della nave, ma a lei non interessava spodestare Veith così come non le era interessato spodestare Kilian, lei voleva solo riportare tutti sani e salvi in mari conosciuti.

    Thanae sobbalzò per la sorpresa quando un pugnale si conficcò a una spanna dai suoi piedi. I rilievi del fondale lasciarono il posto alle assi levigate del corridoio e alla lama che spariva nel legno. Con in mano una bottiglia di rum, Stan la fissava.

    «I traditori non dovrebbero andarsene in giro da soli.» L’uomo si teneva in piedi appoggiandosi alla paratia mentre avanzava barcollando verso di lei. «Non si sa mai che a qualche pazzo ubriaco non scivoli un coltello di mano.»

    Thanae serrò i denti per contenere la rabbia, ma non riuscì a impedire che i pugni le tremassero lungo i fianchi e che la sua voce risultasse aspra. «E così ora mi minacci, Stan? Non eravamo amici?»

    Il pirata le si portò di fronte. Nonostante non fosse molto possente, la sua ombra avvolse la donna gettandola in un cono di buio. Thanae sentì distintamente tutto il disprezzo che fuoriusciva dalle sue labbra, mescolato all’odore pungente del rum e a quello dolciastro del tabacco.

    «Amici? Che la mareggiata mi prenda! Davvero vieni a parlarmi di amicizia dopo aver tradito Kilian nonostante quello che ha fatto per te? Lui ti ha preso a bordo, ti ha dato una famiglia, ti ha amato come una figlia.»

    Stan la conosceva bene e le sue parole graffiarono su una ferita che non si sarebbe mai rimarginata. Thanae sapeva di dovere tutto a Kilian: averle dato un posto dove stare, più confortevole e più sicuro della strada, era stato solo il primo gesto d’affetto che quel pirata, allora senza neanche un accenno di barba o di grigio tra i capelli, le aveva dimostrato. Era stato solo grazie a lui se Thanae era riuscita a superare il senso di colpa.

    Stan bevve un altro sorso. I suoi occhi erano lucidi, la voce impastata. «Kilian ha creduto in te quando nemmeno tu avevi il coraggio di farlo.»

    «Smettila, Stan, sei ubriaco e non sai quello che dici.»

    «Lo so benissimo, invece. E lo sai anche tu.»

    Certo che Thanae sapeva cosa sottintendevano le parole del pirata. Per anni aveva avuto il terrore di tornare a usare il suo strano potere, nel timore che potesse fallire di nuovo. Ma Kilian l’aveva assolta dalle colpe che si era addossata per l’affondamento del peschereccio della sua famiglia e le era stato accanto mentre lei richiamava dagli abissi di sé quel dono a cui aveva creduto di dover rinunciare. E con il tempo e l’aiuto di Kilian lo affinò, finché non si sentì abbastanza sicura da guidare la Rosa Bianca per le asperità del mare.

    Stan aveva ragione: doveva tutto a Kilian.

    «Tu e Veith avreste dovuto stargli accanto dopo la morte di Myrien. Lui vi amava e voi non avete esitato a portargli via ogni cosa. Siete le ultime persone su questa nave a poter parlare di amicizia.» Barcollò lontano da lei. «E fareste bene a guardarvi le spalle a vicenda perché non tutti sono dei traditori come voi.»

    Thanae comprendeva il risentimento del compagno: dopotutto era stata lei a stringere i nodi attorno ai polsi di Kilian. Era qualcosa con cui avrebbe dovuto convivere per sempre, un rimorso che si sarebbe aggiunto a quello per i suoi genitori, ma Kilian non le aveva lasciato altra scelta: lui aveva reso la Rosa Bianca la sua casa e l’equipaggio la sua famiglia, Thanae non poteva fare altro che difenderli da tutto e da tutti. Anche da un Capitano che li stava portando alla deriva.

    «Non ho bisogno di protezione sulla mia nave!» ribatté.

    Stan tornò ad accasciarsi contro la parete.

    «Potenti mareggiate! La tua nave?»

    Bevve un lungo sorso dalla bottiglia, si asciugò la bocca con la manica della camicia e la guardò con infinita tristezza. Più delle parole che le aveva detto finora, fu quello sguardo a ferirla.

    «Stan» mormorò, ma lui l’aveva già superata con la sua andatura pericolante.

    «Mi fidavo di te, Thanae. Kilian si fidava di te» disse.

    Thanae rimase a guardarlo finché non sparì alla vista, immerso nel buio del corridoio.

    Laggiù, dove le lanterne emettevano solo una debole luce spettrale, si delineò lentamente un’immagine proveniente dal suo passato, il ricordo di uno di quei giorni tutti uguali in cui era rimasta a fissare il mare nella speranza che le restituisse la famiglia che lei aveva distrutto. Un ragazzo le si era inginocchiato accanto sul pontile.

    «Che il mare sia buono» aveva pregato assieme a lei. Le aveva teso una mano e Thanae si era lanciata tra le braccia di Kilian piangendo tutte le lacrime che finora aveva trattenuto. Lui l’aveva cullata con dolcezza, calmandola con il suono della voce e con la regolarità del suo respiro. Solo quando Thanae si era scostata, si era rialzato in piedi sorridente. Di nuovo, le aveva teso la mano.

    «Vieni con me e riavrai quello che hai perso» aveva detto.

    Dopo un attimo di incertezza, Thanae si era voltata ancora a guardare il mare, lasciando nelle onde la propria disperazione. Quando aveva afferrato la mano del giovane, si era accorta di poter sorridere ancora.

    «Mi chiamo Thanae.»

    Il sorriso di lui si era allargato a illuminargli il volto.

    «Io sono Kilian.»

    Accanto a loro, imponente e bellissima, si ergeva la Rosa Bianca.

    L’immagine svanì e Thanae si ritrovò a contemplare di nuovo le ombre del corridoio sottocoperta. Il peso del suo tradimento la opprimeva quanto il dolore che aveva provato quando si era resa conto di essere l’unica superstite del naufragio che non era riuscita a evitare. Provò a farsi coraggio ricordando a se stessa di aver legato i polsi di Kilian con nodi che lui era in grado di sciogliere con facilità, ma questo non sarebbe servito se lui non se ne fosse accorto e non avesse lottato per restare in vita.

    Le accuse colme di disprezzo di Stan le risuonarono nella mente, ma Thanae si limitò a scacciarle mentre riprendeva il suo cammino verso il ponte della nave, dove il suo dono avrebbe condotto in salvo la Rosa Bianca e, che Stan ci credesse o meno, quello che restava della sua famiglia.

    Arrivò sul ponte che la luna era alta, simile eppure diversa dalla luna piena di sempre. Restò a guardarla per un momento, chiedendosi se non fosse l’insolita cornice di stelle a cambiarne il volto.

    Quando Veith fece la sua comparsa, l’equipaggio era pronto a ricevere gli ordini dal suo nuovo Capitano.

    «Thanae ha individuato degli ostacoli lungo la rotta, dovremo procedere con estrema cautela.» Attese che tutti capissero cosa si aspettava da loro: cieca obbedienza e nessuna domanda. Poi si rivolse all’ufficiale dalle spalle larghe e il viso incorniciato da una rada barba scura. «Geth, tu sarai al timone e seguirai le mie indicazioni. Mentre tu, Roedric,» proseguì voltandosi verso un giovane di bell’aspetto dal fisico slanciato «tu sarai di vedetta. Voglio i tuoi occhi fissi sul mare.»

    Il ragazzo alzò le spalle con fare distratto. «Non credo serviranno i miei occhi se a guidarci sono quelli di Thanae, ma salgo sempre volentieri sull’albero di maestra.» Disse le ultime parole mentre già si arrampicava sul sartiame, balzando da una corda all’altra con l’agilità di una scimmia e l’eleganza di un danzatore.

    «Tu sei pronta?» chiese infine il Capitano a Thanae.

    La donna avanzò verso prua e si protese oltre la murata della nave. Immobile e assorta a contemplare il mare la si sarebbe potuta scambiare per la polena della Rosa Bianca, non fosse stato per i capelli che si agitavano ribelli nel vento. Percepiva la ridotta distanza dal fondale come una variazione del proprio stato, nello stesso modo in cui un’altra persona avrebbe potuto accorgersi del cambiamento della propria posizione nello spazio o quello dello spazio rispetto alla propria posizione. Era una capacità innata che le permetteva di sentire la nave come parte di sé e sé come parte della nave, e con la Rosa Bianca quella sensazione era tanto più forte che sembrava avessero un nucleo comune fatto di legno e carne, nervi e funi.

    Chiuse gli occhi, cercando la concentrazione nel suono del mare.

    Pian piano dal buio della sua mente presero forma le irregolarità del fondale, dapprima come picchi di energia e poi come profili di rilievi rocciosi sempre più definiti: terre per il momento sommerse che presto, o forse tra millenni, sarebbero diventate isole. Thanae si spinse ancora più in profondità, scandagliò sporgenze e anfratti, speroni e vallate, raggiunse il fondo di roccia incandescente che si raffreddava al contatto con il gelo degli abissi.

    «Quindici gradi a dritta» decise senza esitazioni. Appena dietro di lei, Veith trasmise il comando a poppa, dove Geth ruotò il timore per una dolce virata.

    Il volto di Thanae si contrasse in una smorfia quando vide la poca distanza tra le rocce e lo scafo.

    «Dobbiamo ridurre la velocità.»

    Veith annuì, poi raggiunse a grandi passi il centro del ponte e gridò a pieni polmoni. «Ammainate le vele! Tutti ai remi!»

    I pirati si mossero ciascuno verso la propria postazione come fossero un’unica entità.

    Lentamente, con l’estrema cautela richiesta da Veith, la nave si insinuava tra gli scogli. Alcuni affioravano quasi in superficie, quel tanto che bastava per tingere il mare nero della notte di increspature argentee. Lavorarono insieme per ore, rischiarati dalla luce della luna e cullati dalle onde del mare. Thanae individuava gli ostacoli, Veith regolava la rotta e Geth eseguiva le manovre con impareggiabile maestria, mentre il resto dell’equipaggio si piegava ritmicamente sui remi facendo avanzare la Rosa Bianca a forza di braccia. Alle prime luci dell’alba, il banco di terre sommerse era ormai alle spalle.

    «Ottimo lavoro» gridò Veith ai suoi uomini, che finalmente poterono ritirare i remi e procedere di nuovo con il favore del vento. «Vale anche per te, Thanae» aggiunse a voce più bassa.

    Provata dalla fatica di mantenere così a lungo la concentrazione necessaria, la donna rispose con un lieve sorriso, che subito le morì sulle labbra quando un nuovo fremito le pervase le membra.

    «Cosa succede?» chiese preoccupato Veith. «Altri scogli?»

    Thanae si voltò di scatto verso tribordo, sentendo ridurre a grande velocità la distanza che separava la chiglia della nave da qualcosa di enorme e decisamente diverso da uno scoglio.

    Un attimo dopo, Roedric diede l’allarme.

    Capitolo 4

    «Sta arrivando qualcosa! Guardate là!» urlò Roedric indicando un punto in mezzo al mare.

    «Qualunque cosa sia è gigantesca e sta venendo verso di noi a una velocità spaventosa» disse Veith quando finalmente scorse quello che Roedric e Thanae avevano già visto.

    «È un enorme… mostro. Con code e braccia grosse come tronchi d’albero. O forse sono tentacoli» sussurrò Thanae, rivolta più a se stessa che agli altri, mentre tentava di dare una forma a ciò che li stava puntando.

    Veith sentì il commento della donna e un brivido gli corse lungo la schiena. Per un istante il pirata pensò che l’ulteriore peggioramento della situazione in cui si trovavano fosse l’effetto di quel che avevano fatto, una punizione per l’ammutinamento, per la sua sfrontata idea e l’avventatezza che aveva dimostrato nel metterla in pratica. Poi il Capitano della Rosa Bianca riprese il controllo di sé, conscio che, se avesse fallito, nessun membro dell’equipaggio sarebbe rimasto in vita abbastanza a lungo da rinfacciargli eventuali errori.

    «Ai posti di combattimento!» urlò. «Stan, ai cannoni! Faryr e Rugh, i fucili!» Poi, più a bassa voce. «Thanae, aiuta Geth al timone.»

    Estrasse spada e pistola spostandosi rapidamente davanti all’albero maestro: avrebbe difeso la sua nave anche a costo della vita.

    Faryr e Rugh gli passarono davanti con i fucili sulle spalle e sacchette piene di munizioni. Il primo corse sull’albero di prua, mentre l’altro salì su quello centrale. Intanto sottocoperta Stan aveva già fatto caricare i cannoni di tribordo ed era pronto al primo boato dello scontro.

    «Fuoco!» ordinò Stan.

    I cannoni rombarono e violenti getti d’acqua si alzarono nel punto in cui si trovava la creatura. Ricaddero sulla superficie increspata in uno scroscio di pioggia dal quale il mostro riemerse senza nessun danno apparente.

    Non appena il bersaglio fu di nuovo visibile, Faryr sparò il primo colpo di fucile e Rugh lo imitò. Un attimo dopo anche le pistole fecero fuoco, saturando l’aria dell’odore di polvere da sparo.

    Nonostante la risposta pronta dei pirati, l’attacco del mostro li colse impreparati per rapidità e violenza. Quando il sole si levò dal mare, la creatura era già troppo vicina per i cannoni e sembrava farsi beffe dei proiettili. Somigliava a una piovra enorme, con gli innumerevoli tentacoli protesi verso la Rosa Bianca. Si avvinghiò alla prua con gran parte di essi e iniziò a stringere, mentre con gli altri prese di mira i pirati che affollavano il ponte.

    Non era più il tempo dei cannoni, era il tempo delle spade.

    Veith teneva a bada gli attacchi diretti contro di lui, attento anche a impedire che raggiungessero Thanae, Geth e il timone della nave. La sua spada colpì più volte, ma la pelle della piovra era dura come cuoio lavorato e uno spesso strato di muscoli e grasso rendeva difficile recidere i tentacoli.

    «Neelos, Diat, Delanil! Venite a darmi una mano!»

    Delanil fu subito al suo fianco, davanti all’albero di maestra, mentre Neelos e Diat andarono a sistemarsi in cima alle due scalinate del castello di poppa, dove spararono gli ultimi colpi prima di lasciar cadere le pistole e sguainare le spade. Riz corse a recuperare le armi da fuoco e le aggiunse alla pila che l’altro mozzo Gaer si affrettava a smaltire ricaricando più in fretta che poteva.

    Dall’albero di prua, sopra tutti loro, Faryr continuava a sparare al corpo della piovra. Sull’albero di maestra Rugh condivideva con Roedric la più comoda postazione di vedetta, ma da lì non aveva una visuale buona quanto quella di Faryr, perciò doveva accontentarsi di mirare alla base dei tentacoli che risalivano dalla chiglia. Roedric lo lasciò al suo fucile, si calò velocemente dal pennone della nave e cercò di avvicinarsi il più possibile librandosi con una fune. Atterrò in piedi sul parapetto, estrasse due coltellacci e riuscì ad affondarli nelle carni più vulnerabili della testa del mostro. Come un equilibrista, corse lungo il parapetto con l’intento di avvicinarsi ancora: riusciva a scorgere gli occhi della piovra, grandi e acquosi occhi viola che fissavano il lauto banchetto.

    Veith colpì con la lama un tentacolo che stava per abbattersi contro l’albero. «Fateci muovere da qui! Avanti, dobbiamo spostarci e toglierci di dosso questa bestiaccia!» urlò verso Thanae e Geth. Se non trovavano una via d’uscita, tra gli scogli, le secche e il mostro di cui erano preda, non ne sarebbero mai usciti vivi.

    «Oh no, lasciate pure che ci stia attaccata come una sanguisuga.» Stan riemerse sul ponte con in mano un barilotto di polvere da sparo.

    Si diresse verso prua. Il suo passo era insolitamente fermo e c’era lucidità nel suo sguardo, anche se quello che si apprestava a fare somigliava molto al gesto folle di un ubriaco. O a quello estremo di un disperato. Il rischio di danneggiare la Rosa e ferire i membri dell’equipaggio facendo saltare in aria quella bestia, ora che era così attaccata alla prua, era altissimo.

    Il problema era che, se non correva quel rischio, presto non ci sarebbero più stati né la Rosa né l’equipaggio.

    Si inginocchiò, posò a terra il barilotto e preparò la miccia. Un tentacolo volò a meno di una spanna dalla sua testa. Un altro si allungava alle sue spalle.

    «Attento Stan!» gridò Riz. Sfilò dalle mani di Gaer una pistola che il mozzo aveva appena caricato e fece fuoco quasi alla cieca. Il proiettile non andò a segno, ma Stan riuscì lo stesso a evitare l’attacco. Riz, con ancora la pistola fumante in mano, non si avvide però del colpo che stava arrivando. Fu afferrato per una caviglia e scaraventato contro il parapetto della nave. Scivolò contro una cassa, con un rivolo di sangue che gli colava dalla bocca e un polso piegato in maniera innaturale.

    Intanto Veith continuava a difendere albero e timone supportato da Delanil e, più a poppa, da Diat e Neelos.

    Schivò l’assalto di un tentacolo largo quanto il suo petto, ma un altro più sottile riuscì a raggiungerlo e a farlo finire a gambe all’aria. Steso sul ponte, vide un altro grosso tentacolo abbattere Diat e volare nell’aria dritto verso Geth e Thanae.

    «Geth!»

    Il gigante al timone allontanò Thanae dalla traiettoria del tentacolo con una spinta, mentre con l’altra mano sollevò l’ascia che portava al fianco. Non appena l’arto del mostro fu alla sua portata, fece partire un fendente che ne dilaniò le carni. Quando Neelos giunse in suo aiuto, il tentacolo era stato quasi mozzato e insieme i due riuscirono a reciderlo completamente. L’ammasso informe cadde con un tonfo sul ponte della nave e un tremendo lamento animalesco si levò dalla bocca della bestia.

    Poi l’attacco riprese, ancora più feroce dei precedenti.

    I due pirati non ebbero che un istante per fissarsi negli occhi e scambiarsi un cenno d’intesa prima di riprendere a difendere il timone che

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