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Il Cinquecento - Filosofia (46): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 47
Il Cinquecento - Filosofia (46): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 47
Il Cinquecento - Filosofia (46): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 47
E-book294 pagine3 ore

Il Cinquecento - Filosofia (46): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 47

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Info su questo ebook

Quattrocento e Cinquecento si caratterizzano per una reazione alla filosofia delle scuole medievali: la filosofia scolastica continua a prevalere nelle scuole universitarie e si parla a buona ragione di una scolastica postriformistica che va avanti a produrre sino al Seicento avanzato e con buoni risultati sul piano della teologia o della logica. Si può dire allora che con l’umanesimo quattrocentesco l’uomo, sino ad allora periferia dell’universo, ne diviene il centro, come evidente nell’Orazione sulla dignità dell’uomo di Pico della Mirandola. Tutto il pensiero filosofico del Cinquecento non può prescindere da questa significativa svolta del pensiero come pure sarà costretto a raffrontarsi con i significativi eventi politico-sociali che si susseguono dalla fine del Quattrocento a tutto il secolo successivo: la Riforma protestante, la pubblicazione del De revolutionibus orbium coelestium di Copernico, che ribalta la visione tradizionale dell’universo, il Concilio di Trento, la nascita dei Gesuiti. In questo contesto figure centrali nella storia della filosofia del secolo sono Erasmo da Rotterdam e Thomas More, impegnati in quel confronto di dimensioni epocali, i cui risultati ci coinvolgono ancora. Questo ebook va dunque a scandagliare tutte le riflessioni filosofiche che accompagnano un secolo così decisivo per la storia europea, in cui da un lato gli Stati europei prendono forma definitiva e per la loro legittimazione o per una nuova teoria dello Stato si battono alcune delle più fervide menti dell’epoca, da Machiavelli a Bodin, da Thomas More a Campanella, e dall’altro si propongono nuove visioni della natura, con una nuova attenzione al rapporto tra anima e corpo e al primato del senso nell’osservazione delle cose naturali.
LinguaItaliano
Data di uscita12 set 2014
ISBN9788897514725
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    Anteprima del libro

    Il Cinquecento - Filosofia (46) - Umberto Eco

    copertina

    Il Cinquecento - Filosofia

    Storia della civiltà europea

    a cura di Umberto Eco

    Comitato scientifico

    Coordinatore: Umberto Eco

    Per l’Antichità

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Lucio Milano (Storia politica, economica e sociale – Vicino Oriente) Marco Bettalli (Storia politica, economica e sociale – Grecia e Roma); Maurizio Bettini (Letteratura, Mito e religione); Giuseppe Pucci (Arti visive); Pietro Corsi (Scienze e tecniche); Eva Cantarella (Diritto) Giovanni Manetti (Semiotica); Luca Marconi, Eleonora Rocconi (Musica)

    Coordinatori di sezione:

    Simone Beta (Letteratura greca); Donatella Puliga (Letteratura latina); Giovanni Di Pasquale (Scienze e tecniche); Gilberto Corbellini, Valentina Gazzaniga (Medicina)

    Consulenze: Gabriella Pironti (Mito e religione – Grecia) Francesca Prescendi (Mito e religione – Roma)

    Medioevo

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Laura Barletta (Storia politica, economica e sociale); Anna Ottani Cavina, Valentino Pace (Arti visive); Pietro Corsi (Scienze e tecniche); Luca Marconi, Cecilia Panti (Musica); Ezio Raimondi, Marco Bazzocchi, Giuseppe Ledda (Letteratura)

    Coordinatori di sezione: Dario Ippolito (Storia politica, economica e sociale); Marcella Culatti (Arte Basso Medioevo e Quattrocento); Andrea Bernardoni, Giovanni Di Pasquale (Scienze e tecniche)

    Età moderna e contemporanea

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Umberto Eco (Comunicazione); Laura Barletta, Vittorio Beonio Brocchieri (Storia politica, economica e sociale); Anna Ottani Cavina, Marcella Culatti (Arti visive); Roberto Leydi † , Luca Marconi, Lucio Spaziante (Musica); Pietro Corsi, Gilberto Corbellini, Antonio Clericuzio (Scienze e tecniche); Ezio Raimondi, Marco Antonio Bazzocchi, Gino Cervi (Letteratura e teatro); Marco de Marinis (Teatro – Novecento); Giovanna Grignaffini (Cinema - Novecento).

    © 2014 EM Publishers s.r.l, Milano

    STORIA DELLA CIVILTÀ EUROPEA

    a cura di Umberto Eco

    Il Cinquecento

    Filosofia

    logo editore

    La collana

    Un grande mosaico della Storia della civiltà europea, in 74 ebook firmati da 400 tra i più prestigiosi studiosi diretti da Umberto Eco. Un viaggio attraverso l’arte, la letteratura, i miti e le scienze che hanno forgiato la nostra identità: scegli tu il percorso, cominci dove vuoi tu, ti soffermi dove vuoi tu, cambi percorso quando vuoi tu, seguendo i tuoi interessi.

    ◼ Storia

    ◼ Scienze e tecniche

    ◼ Filosofia

    ◼ Mito e religione

    ◼ Arti visive

    ◼ Letteratura

    ◼ Musica

    Ogni ebook della collana tratta una specifica disciplina in un determinato periodo ed è quindi completo in se stesso.

    Ogni capitolo è in collegamento con la totalità dell’opera grazie a un gran numero di link che rimandano sia ad altri capitoli dello stesso ebook, sia a capitoli degli altri ebook della collana. Un insieme organico totalmente interdisciplinare, perché ogni storia è tutte le storie.

    Introduzione

    Introduzione alla filosofia del Cinquecento

    Umberto Eco

    Periodizzazioni

    Le periodizzazioni storiche cambiano a seconda delle discipline. Nelle arti un concetto come quello di Rinascimento certamente copre buona parte dell’arte del Quattrocento e buona parte del Cinquecento (anche se alcuni storici fanno finire il Rinascimento al 1520, anno della morte di Raffaello, e vedono subito dopo l’inizio del manierismo). In letteratura alcuni storici non italiani fanno iniziare il Rinascimento almeno da Petrarca e Boccaccio. In filosofia alcuni considerano Umanesimo e Rinascimento come un nuovo capitolo rispetto al pensiero medievale. Eppure, se anche fosse possibile fissare una linea di discrimine tra Quattrocento e Cinquecento, ci sono profonde differenze tra la filosofia di questi due secoli.

    Reazioni e trasformazioni

    Quattrocento e Cinquecento si caratterizzano certamente per una reazione alla filosofia delle scuole medievali, anche se, come sempre, vedendo la vicenda dalla parte dei vincitori: la filosofia scolastica continua a prevalere appunto nelle scuole universitarie, e si parla a buona ragione di una scolastica postriformistica che va avanti a produrre sino al Seicento avanzato, e con risultati non disprezzabili sul piano della teologia o della logica (si pensi soltanto a personaggi come Suárez o Molina).

    Possiamo dire che con l’umanesimo quattrocentesco l’uomo, sino ad allora periferia dell’universo, ne diviene il centro (basti pensare all’Orazione sulla dignità dell’uomo di Pico della Mirandola); è sempre nel Quattrocento che al commento dei Testi Sacri e teologici ufficiali, praticato nelle università, si sostituisce una lettura fresca e meravigliata di testi antichi, greci e orientali, in ambienti extrauniversitari, e alla teologia si sostituisce un culto delle humanae litterae. E anche questo è innegabile.

    Tuttavia il pensiero filosofico subisce alcune profonde trasformazioni nel passaggio (non computabile in anni o decenni) tra Quattrocento e Cinquecento.

    Diciamo che il Quattrocento (sempre tenendo presenti le posizioni storicamente vincenti) sostituisce una teologia aristotelica con una teologia platonica. Nel passaggio tra i due secoli avvengono alcuni fatti che non hanno un immediato rapporto con la storia della filosofia e che tuttavia impongono al pensiero filosofico una serie di riflessioni che non possono essere eluse.

    Alcune date

    Ecco alcune date non-filosofiche. Nel 1492 la scoperta dell’America apre la cultura europea a nuovi problemi, al confronto con nuove civiltà; la liberazione della penisola iberica dai Mori stabilisce nuovi equilibri tra gli Stati europei, e il bando che esilia gli Ebrei dai territori sottratti ai Saraceni in Spagna diffonde per tutta l’Europa meridionale una cultura ebraica e in particolare cabalistica.

    Nel 1543 la pubblicazione del De revolutionibus orbium coelestium di Copernico ribalta la visione tradizionale dell’universo e pone la terra alla periferia del cosmo; Galileo, Keplero, Newton verranno dopo, ma l’impressione rimane indelebile sulla cultura del secolo, e non si potrà più tornare indietro.

    Nel 1517 inizia, almeno per convenzione, la Riforma protestante: è una scossa che coinvolge il pensiero teologico, filosofico, ermeneutico dell’intera società europea, sia che ci si dichiari pro o contro. Persino un’altra data, il 1545, l’inizio del concilio di Trento, con la nascita di una nuova Chiesa cattolica e, in quegli stessi anni, la nascita dei Gesuiti, dipende da quel terremoto storico.

    Figure centrali nella storia della filosofia del secolo, come Thomas More o Erasmo da Rotterdam, saranno impegnate in quel confronto di dimensioni epocali, i cui risultati ci coinvolgono ancora.

    Basterebbe aggiungere che nel crinale tra i due secoli,gli Stati europei prendono forma definitiva e per la loro legittimazione o per una nuova teoria dello Stato si battono alcune delle più fervide menti dell’epoca. Comunque si vogliano considerare Machiavelli o Bodin (che esprimono due diverse concezioni della politica), essi si sforzano di presentare due diverse soluzioni teoriche alla nuova situazione politica europea.

    Questo è il secolo delle utopie: inizia con l’Utopia di Thomas More e si conclude con La città del Sole di Campanella (scritta, anche se non pubblicata, agli albori del secolo seguente). Comunque si vogliano considerare le differenze tra queste due concezioni di una città a venire, esse esprimono l’idea che si debba pensare una riforma della vita politica, e sanciscono entrambe la fine della visione feudale della società. Che poi in entrambe le città nessuno di noi oggi desideri vivere, o che entrambe esprimano, come è stato detto, una visione comunistica e autoritaria della divisione dei beni e dei compiti sociali, questo è attribuire al secolo qualcosa a cui non può ancora pensare.

    Fatto sta che in entrambe le utopie appare la volontà di una trasformazione politica che supera l’ordine immutabile delle cose.

    L’umanesimo, si è detto, sostituisce una teologia all’altra: il Cinquecento propone nuove visioni della natura. Non è da trascurare la personalità filosofica di Leonardo, non tanto per la sua attenzione al mondo della tecnica, quanto per il suo richiamo (che in lui è pratica pittorica prima che teorica) all’osservazione dei fenomeni. Abissi separano le filosofie di Pomponazzi da quelle di Telesio o di Campanella, tuttavia è presente in tutte una nuova attenzione del rapporto tra anima e corpo, e al primato del senso nell’osservazione delle cose naturali.

    Tra magia e realismo

    Esiste una magia cinquecentesca come esisteva una magia quattrocentesca. In entrambi i casi si esprime l’idea di una capacità umana di modificare il corso della natura, ma forse nell’umanesimo la magia (si pensi a Ficino) era regola per vivere in armonia con le leggi naturali, nel Cinquecento diviene strumento per alterare, migliorare, sviluppare l’ordine delle cose naturali.

    La magia di Ficino ci indirizzava a un rapporto armonico con una natura ordinata, la magia di Bruno, invece, ci proietta verso l’infinità dei mondi, freme di una inesauribile apertura del cosmo, prelude alle vertigini astronomiche e metafisiche del Seicento.

    Intanto, persino in pensatori politici della potestà regia come Bodin e in scettici individualisti come Montaigne si sviluppa una idea della tolleranza che sarà pienamente trattata solo nel secolo a venire. Ma mentre prima si cercava ancora di comporre un’armonia tra l’uomo, nuovo protagonista e il cosmo, ora (si veda lo scetticismo di Montaigne o l’equilibrio sorridente di Erasmo) l’uomo si misura da solo di fronte al mondo, sapendo che i suoi strumenti di decifrazione del mistero cosmico sono provvisori, terreni; per non dire, con Machiavelli o Guicciardini, che l’uomo decide di comportarsi pragmaticamente nei confronti del mondo, senza teologie e con smagato realismo.

    Possiamo certo sentire i filosofi del Cinquecento lontanissimi da noi e domandarci che cosa ci leghi a Pomponazzi o a Telesio. Ma se noi siamo come siamo è perché essi hanno dato inizio a una nuova era, in cui si pensa in modo diverso rispetto ai secoli precedenti. In questo senso possiamo ancora accettare quella che è solo una metafora, quella di Rinascimento. Forse di rinascita non si tratta, bensì di lento sviluppo di discorsi precedenti, ma certamente di rinnovamento, rottura, di convinzione che l’ordine del mondo non sia immutabile e che tocchi a noi trasformarlo, dalla medicina (Paracelso) all’interpretazione dei Testi Sacri (Lutero). Atteggiamento prometeico, è stato detto. Che fosse bene o male, così è stato.

    Volendo essere severi, il Cinquecento è stato un secolo arrogante. Ma noi ne siamo gli eredi, nel bene come nel male, e sarà esercizio di umiltà capirlo.

    Nascita della modernità

    Dalla verità assoluta ai gradi della certezza

    Annarita Angelini

    In età moderna i fondamenti metafisici della nozione tradizionale di verità entrano in discussione e si affaccia una concezione approssimativa, storica, quantificabile, relazionale di certezza scientifica. Una riconsiderazione del concetto di scientia destinata a compiersi nell’arco di tre secoli, che ha i propri esordi formali nei domini delle arti del discorso e delle matematiche e alla quale non sono estranee le riflessioni sulla teoria del progetto di tecnici e artisti del Rinascimento e le procedure di calcolo dell’esito atteso tentate nell’ambito del gioco d’azzardo.

    Linguaggio e verità

    Lorenzo Valla

    Opera omnia

    Non presumiamo di sapere tanto, ma badiamo a non essere simili a quei filosofi che, mentre si professano sapienti, si sono ridotti all’idiozia; i quali, per non sembrare ignoranti in qualcosa, devono dibattere su tutto volendo metter bocca anche sugli eventi celesti e quasi scalare il cielo per non dire rovesciarlo, come i giganti, superbi e tracotanti, sono stati scagliati al suolo dal potente braccio divino, e sepolti nell’inferno, come lo fu Tifone in Sicilia.

    L. Valla, Opera omnia, a cura di E. Garin, Torino, Bottega d’Erasmo, 1962

    Potremmo mai affermare che è certa nel senso della più rigorosa verità, qualcuna di queste cose delle quali nessuna è stata mai identica a se stessa, né mai lo sarà, né lo è ora? (Platone, Filebo).

    Necessità, verità e certezza sono i termini, reciprocamente correlati di un trinomio sul quale si compone la macchina dimostrativa della logica tradizionale: la necessità appartiene alla cosa e la governa dall’interno, la verità traduce tale necessità dal piano dell’essere a quello del pensiero; la certezza è il risultato, logico-linguistico, del ragionamento dimostrativo. La necessità è, la verità si contempla; la certezza si dimostra portando a conclusione un ragionamento fondato sulla verità necessaria delle sue premesse. Dunque, la certezza non è altro che la dimostrazione della necessità interna alla cosa, ottenuta attraverso la mediazione di un procedimento razionale. Il procedimento razionale – il sillogismo – funziona da mediatore in un processo che ha il proprio fondamento nella necessità metafisica del principio e il proprio esito nella verità, egualmente necessaria, della conclusione.

    Ciò che comincia a incrinarsi, a partire dal Quattrocento, è proprio questa concezione classica della certezza, quale attributo di una conoscenza inconfutabile, la cui stabilità dipende dall’immutabilità dell’oggetto cui si rivolge. Una riconsiderazione, quella che ne deriva, che si sviluppa nell’arco di tre secoli e investe non solo i paradigmi della scientia e della dimostrazione, ma anche le nozioni di verità e di necessità metafisica, e ha come esito quello di recidere, ovvero di capovolgere, il vincolo di dipendenza tra ordine ontologico e ordine gnoseologico. Due esiti – recidere o capovolgere – che non si implicano né si escludono necessariamente e che prendono consistenza nel Rinascimento.

    Spezzare il vincolo tra una ratio essendi e una ratio cognoscendi delle cose equivale a distinguere una verità oggettiva, metafisicamente fondata, da una conoscenza ancorata alle peculiarità della ragione. In questa direzione si spinge la propensione antiontologica di una parte consistente del pensiero quattrocentesco che porterà filologi e dialettici a constatare lo iato tra una veritas in re, inaccessibile alla ragione discorsiva, e una veritas in animo, che esprime l’accordo tra un discorso proferibile e i significati accessibili alla ragione; l’una paragonabile allo splendore abbacinante dell’intelletto divino, l’altra al chiarore infuso sulle cose dalla luce del sole (Lorenzo Valla, Dialecticae disputationes, 1439 ca.).

    Per Lorenzo Valla non si tratta semplicemente di un’alternativa logica o epistemologica, bensì dell’opposizione di ragione a superstizione, dello iato tra una mediazione – frutto della coscienza del limite umano – e l’illusione di un’immediatezza che è riconosciuta monopolio del divino. Di qui, la temerarietà di quei filosofi che, al seguito di Aristotele, per non sembrare ignoranti, imitano la nefasta pretesa dei Giganti di scalare il cielo o di rovesciarlo per trarne una verità perenne, che trascende i limiti del pensiero discorsivo e della mediazione argomentativa (Lorenzo Valla, De libero arbitrio, 1439).

    Preso atto di un’irreversibile alterità tra ordine ontologico (ratio essendi) e ordine gnoseologico (ratio cognoscendi), validità e perfezione del sapere vengono a coincidere con una certezza che denota non l’essenza delle cose, ma un loro significato (sensus) accessibile alla ragione e condiviso dagli uomini (consensus). Non si tratta più di dimostrare con certezza una verità in sé necessaria, ma di dotare di un grado di certezza (suscettibile di essere eventualmente accresciuto) ciò che si presenta alla mente umana come dubbio. Il ragionamento serve quindi non a dimostrare la verità della cosa che è e non potrebbe essere altrimenti (Aristotele, Metafisica), ma a ridurre il dubbio dell’interlocutore e aumentare la probabilità degli assunti dell’argomentazione. Mezzo per sviluppare il ragionamento discorsivo e per misurare la certezza dei significati condivisi dalla humanitas è perciò il linguaggio. Non il linguaggio che pretende di vincolare la parola designante alla ousía della cosa designata, ma l’atto convenzionale, regolato e pubblico, per mezzo del quale i suoni vocali diventano segni e gli oggetti espressi dai suoni, significati.

    Una moneta – spiega ancora Valla – che permette la comunicazione interpersonale, e in pari tempo guida l’itinerario conoscitivo umano. La ricerca della verità abbandona perciò il terreno dell’ontologia per trasferirsi su quello della filologia e della storia, e si carica delle condizioni che hanno non solo stabilito ma anche trasformato, nel tempo, i criteri del consensus hominum e i paradigmi della consuetudo loquendi. Chiarificazione linguistica, purificazione lessicale, coscienza del carattere storico, convenzionale, pubblico di una veritas che scaturisce dalle parole e di parole che scaturiscono non dalle cose, ma dalla mente degli uomini: sono queste le condizioni – spiega Juan Luis Vives – per ridurre il dubbio e allontanare tra loro, nella misura del possibile, il vero dal falso. Non più categorie, ma operatori che riorientano orizzontalmente la scienza degli uomini. Nella consapevolezza che una scienza fondata e certificata dal linguaggio umano, resta adiacente e congruente e non interna alla sostanza delle cose designate; che non esiste una verità, ma solo cose più e meno vere, e che le cose più probabili sono anche le più vere (Rhetorica sive de ratione dicendi, 1533).

    Certezza e medietà

    Nicola Cusano

    La dotta ignoranza

    Tutti quelli che cercano la verità giudicano ciò che è incerto paragonandolo e mettendolo in proporzione con ciò che è certo. Ogni ricerca è, dunque, comparativa, in quanto impiega come mezzo la proporzione. Il giudizio conoscitivo è facile, quando ciò che si indaga si può mettere a confronto con ciò che è certo mediante una riduzione proporzionale approssimata […] Ogni ricerca consiste, pertanto, in una proporzione comparativa, facile o difficile; perciò l’infinito, come infinito, sfuggendo a ogni proporzione, è ignoto. Ma poiché la proporzione stabilisce insieme la convenienza e l’alterità in un’unica cosa, non può intendersi senza il numero. Il numero infatti include tutte le cose che hanno proporzione tra loro. L’intelletto finito non può intendere in modo preciso la verità delle cose per via di somiglianza. La verità non è un più o un meno, consiste in qualcosa di indivisibile e non può con precisione misurarla tutto ciò che esiste come diverso dal vero: così come il non circolo non può misurare il circolo il cui essere consiste in qualcosa di indivisibile. L’intelletto dunque, che non è la verità, non comprende mai la verità in modo così preciso da non poterla comprendere più precisamente ancora all’infinito, perché sta alla verità come il poligono al cerchio.

    N. Cusano, Opere filosofiche, a cura di G. Federici Vescovini, Torino, Utet, 1972

    Non è un caso se fin dal suo esordio quattrocentesco questa discussione, affrontata nel quadro delle artes sermocinales, si intrecci con una simmetrica riflessione che investe l’ambito delle matematiche. Lo stesso iato che grammatici e dialettici ponevano tra veritas in animo e veritas in re, i matematici lo pongono tra una ratio intrinseca alle cose e un criterio di certezza scientifica ricavato dalle peculiarità e dal ritmo della stessa ragione discorsiva. Interpretando in senso antiaristotelico il commento di Proclo al primo libro degli Elementi di Euclide, il

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