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A peste, fame et bello libera nos: preghiere ed epidemie
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E-book420 pagine3 ore

A peste, fame et bello libera nos: preghiere ed epidemie

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La letteratura in proposito (e con particolare riguardo alla diffusione del virus HIV e del virus Ebola nel continente africano in tempi recenti) è ampia, ma noi vogliamo, in questa sede, segnalare alcuni lavori volti ad analizzare le caratteristiche dei differenti leaders religiosi e della loro funzione pedagogica, anche all’interno di un più vasto (ma meno definibile quanto ad omogeneità) riferimento generale (ad esempio il Cristianesino inteso lato sensu). 
LinguaItaliano
Data di uscita30 nov 2020
ISBN9788831484275
A peste, fame et bello libera nos: preghiere ed epidemie

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    A peste, fame et bello libera nos - ALESSANDRO PORRO

    preghiere

    Introduzione

    Il presente che incombe

    La presente ricerca è iniziata nei primi mesi del 2019, quindi ben prima che esplodesse in Italia, in tutta la sua gravità, la pandemia da virus SARS-CoV-2¹, attualmente in corso.

    In questi giorni² la stampa quotidiana nazionale³ ha variamente riportato notizie di sospensioneo di svolgimentodi processioni religiose, così come la recita di preghiere in forma pubblica o solenne allo scopo di richiedere l’intervento divino a protezione delle popolazioni.

    Per quanto concerne la Chiesa cattolica apostolica romana, possiamo ricordare che S. S. Papa Francesco si è recato il 15 marzo 2020, in una sorta di pellegrinaggio solitario, alle chiese romane di Santa Maria Maggiore e di San Marcello al Corso per impetrare l’intervento divino per la liberazione dell’Italia e del Mondo dal SARS-CoV-2.

    L’Arcivescovo di Milano Mario Delpini il giorno 11 marzo 2020, salito sul tetto del Duomo, ai piedi della guglia maggiore che porta in cima la statua della Madonna, considerata tradizionalmente protettrice della città, a lei ha rivolto una speciale preghiera¹⁰.

    Il 26 febbraio 2020 l’Assemblea dei Rabbini d’Italia, con un suo comunicato, ha consigliato la lettura dei Salmi 103, 130, 142, 96, 100, 150, oltre a quella di altre preghiere,

    come espressione di solidarietà ebraica nella presente difficile contingenza per la diffusione del morbo¹¹.

    L’Associazione Islamica Italiana degli Imam e delle Guide Religiose ha emesso il giorno 5 marzo 2020¹² una fatwa nella quale si sottolinea, ad esempio, la necessità di

    evitare di fuggire dalla zona di contagio,

    allo scopo di non diffonderlo ulteriormente¹³.

    Il 9 marzo 2020 il Consiglio Nazionale dell’Istituto Buddhista Italiano Soka Gakkai

    ha deciso di sospendere temporaneamente tutte le riunioni buddiste nelle case, nei Centri culturali e in qualunque altro luogo¹⁴.

    Il 10 marzo 2020 la Tavola valdese ha indirizzato una lettera¹⁵. alle chiese determinando una sospensione delle attività ecclesiastiche, escludendo

    margini per interpretazioni riduttive delle limitazioni contenute nei decreti

    emanati dalle autorità governative.

    Il Sinodo del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli il giorno 11 marzo 2020 ha richiamato l’importanza di

    intensificare le suppliche affinché, rafforzati e illuminati da Dio, l’attuale tribolazione possa essere superata¹⁶.

    Ritornando alla situazione della Chiesa cattolica apostolica romana, ed alla complessità delle decisioni assunte (a livello centrale ed a livello periferico), segnaliamo esemplificativamente le giornate del 12 e 13 marzo 2020, nelle quali sono stati emessi diversi documenti, apparentemente fra loro divergenti.

    Nel comunicato della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana¹⁷ del 12 marzo 2020, intitolato Una Chiesa di terra e di cielo, si fa riferimento alla decisione di chiudere le chiese.

    A riguardo dell’applicazione di tale determinazione in sede locale, si può ricordare che la Diocesi di Roma, con un decreto del cardinale Vicario Angelo De Donatis emesso in pari data, stabiliva che

    […] l’accesso alle chiese parrocchiali e non parrocchiali della Diocesi di Roma, aperte al pubblico (cf. cann. 1214 ss C.I.C.), e più in generale agli edifici di culto di qualunque genere aperti al pubblico, [fosse] interdetto a tutti i fedeli¹⁸.

    Il giorno 13 marzo 2020 un nuovo decreto¹⁹ rettificava il precedente, disponendo la conferma della chiusura dei luoghi di culto, ma con la riapertura delle chiese parrocchiali²⁰, cercando di raggiungere un evidente, problematico equilibrio fra le determinazioni a tutela della salute pubblica e le norme volte a salvaguardare gli interessi religiosi ed ecclesiastici²¹.

    Infine, possiamo rammentare l’effettuazione di momenti di preghiera interreligiosi, come quello che ha riunito il 26 marzo 2020 autorevoli esponenti delle religioni abramitiche presso il Municipio di Gerusalemme²².

    Già da queste brevi annotazioni possiamo dedurre quanto variegata, al di là di una più o meno formale adesione alle norme di salvaguardia della salute pubblica, sia la situazione attuale, se analizzata anche dal punto di vista del sentimento religioso e delle caratteristiche di talune organizzazioni religiose²³.

    L’analisi storico medica della preghiera in rapporto alle epidemie

    Da quanto or ora espresso, siamo autorizzati ad interrogarci, se si possano analizzare le connessioni di questa realtà multietnica e multiconfessionale, soprattutto dal punto di vista particolare della preghiera, con gli eventi epidemici²⁴ del passato.

    Tuttavia deve essere specificato che non si vuole entrare negli ambiti demo-etno-antropologico, religioso, sanitario, politico, giuridico, sociale, ma privilegiare per quanto possibile quello medico e storico medico²⁵. Allora, possiamo indagare alcune banche di dati dedicate alla medicina, alla chirurgia ed all’assistenza²⁶, per avere un primo quadro relativo alla presenza della preghiera nell’ambito medico, chirurgico ed assistenziale, sia attuale, sia del passato²⁷.

    La prima riflessione è quella che il tema non appare confinato a riviste specialistiche²⁸, ed ha addentellati con la clinica (con riferimenti prevalenti all’oncologia ed alla cardiologia), che si cercano di valutare su base scientifica: spicca l’esistenza di molte problematicità a riguardo della solidità delle evidenze scientifiche²⁹.

    Tuttavia, a noi preme maggiormente analizzare il contesto delle malattie diffusibili, ed in quest’ambito nei tempi recenti abbiamo assistito a recrudescenze epidemiche (dalla diffusione del virus HIV a quella del virus Ebola) che hanno prodotto una serie di articoli scientifici incentrati sulla presenza e rilevanza del dato religioso³⁰.

    Le riflessioni indotte da tali articoli possono anche avere riscontri generali nel senso del riscontro di una varietà del dato religioso e dei suoi effetti nel volgere del tempo presente e dei secoli³¹.

    La letteratura in proposito (e con particolare riguardo alla diffusione del virus HIV e del virus Ebola nel continente africano in tempi recenti) è ampia, ma noi vogliamo, in questa sede, segnalare alcuni lavori volti ad analizzare le caratteristiche dei differenti leaders religiosi e della loro funzione pedagogica³², anche all’interno di un più vasto (ma meno definibile quanto ad omogeneità) riferimento generale (ad esempio il Cristianesino inteso lato sensu)³³.

    Ciò vale anche per altri aspetti di sanità pubblica, quali l’adesione alle pratiche vaccinali, allorché si tratti di valutare la realtà dei gruppi minoritari³⁴.

    Non dobbiamo poi dimenticare l’esistenza delle comunità religiose analizzabili per se; tuttavia esula tale ambito dalla nostra trattazione, anche se in questo caso il ruolo dei leaders appare di ulteriore, maggiore rilievo nella promozione di corretti stili di vita ed adesione alle pratiche di sanità pubblica³⁵.

    Se per l’attualità appare sufficientemente delineata la stretta interconnessione tra dato religioso, sanità e medicina, la nostra attenzione può rivolgersi anche ai tempi passati.

    Il passato che insegna

    Nelle nostre regioni ed in passato sono esistite condizioni in qualche modo paragonabili alla presente?

    La compresenza, strutturata anche da un dato di stabilità e temporalità, di rilevanti e differenti comunità nel nostro territorio (od in realtà territoriali a noi relativamente vicine e strettamente collegate, anche linguisticamente), quanto al sentire religioso, si è anche in passato confrontata con l’evenienza epidemica³⁶?

    Se la risposta fosse positiva, quali furono le risposte indicate, le azioni intraprese, gli esiti verificati? Quale il loro impatto sull’esercizio della medicina?

    Non dobbiamo allontanarci di molto dalle nostre regioni, né dal nostro tempo, per riscontrare una possibilità di analisi storiografica che si inoltri nel percorso ora accennato.

    Si tratta di identificare un luogo nel quale, come già ricordato, la compresenza di differenti comunità fosse sufficientemente strutturata e stabile³⁷; si tratta di identificare un tempo di epidemia; si tratta di avere a disposizione dati sia sull’atteggiamento religioso, sia sullo sviluppo e sugli esiti dell’epidemia.

    Questo luogo esiste: è la città di Trieste³⁸.

    Anche un’epidemia dalle caratteristiche di ricorrenza³⁹ esiste, e può essere per noi di esempio e di utile analisi: si tratta dell’epidemia colerica, che a diverse ondate lungo il XIX secolo⁴⁰ si presentò in forma quasi ciclica.

    Ricordiamo che il colera si presentò in vari periodi, caratterizzati da un’evoluzione delle conoscenze microbiologiche, tale da renderli una cartina al tornasole dell’evoluzione generale del sapere medico.

    Nel presente lavoro saranno esaminate alcune poussèes epidemiche⁴¹: quelle del 1835-1836, del 1848-1849 e del 1854-1855⁴².

    Il dato religioso, allorché rinvenibile, sarà integrato⁴³ con quello medico, con quello assistenziale, con quello organizzativo alla luce delle differenti situazioni delle principali comunità cittadine.

    Assonanze e divergenze saranno evidenziate ed analizzate, non solo al livello intercomunitario, ma anche con la situazione attuale, per quanto possibile, senza cadere nell’errore dell’anacronismo, ed avendo ben presente le differenze marcate fra la realtà medica di quel tempo e quella attuale, nonché fra le patologie⁴⁴.

    Trieste: ambiente e clima

    La nostra analisi deve prendere le mosse dall’esame di alcuni dati geografici⁴⁵, di storia generale e di storia dello sviluppo cittadino.

    Potremmo trovarci, senza tema d’errare, nelle condizioni ippocratiche di esaminare con profitto le arie, le acque e i luoghi, giacché essi appaiono oggi, come apparivano nel secolo XIX (e nei secoli precedenti) del tutto peculiari.

    Innanzi tutto, possiamo partire dalla delineazione dell’orografia: la città di Trieste era al tempo collocata (e lo è anche oggi, naturalmente) ai piedi di un ripido scalone che dai circa 400/500 metri di altitudine dell’altopiano carsico scende al mare.

    Questa sorta di gradiente naturale condiziona il regime dei venti con la presenza della cosiddetta Bora⁴⁶, un vento catabatico proveniente da ENE che può raggiungere forte intensità⁴⁷.

    Per quanto concerne l’idrografia, sono maggiormente rappresentati i corsi d’acqua che dall’interno del sistema carsico drenante le acque meteoriche, riemergono e con un breve corso in superficie⁴⁸ sboccano nel Golfo di Trieste del Mare Adriatico⁴⁹.

    A riguardo, invece, del territorio circostante la città, dobbiamo considerare due differenti condizioni, cronologicamente ben definite:

    - la prima, che fa riferimento al periodo precedente la determinazione di uno status portuale particolare;

    - quella successiva all’istituzione del porto-franco triestino⁵⁰ e soprattutto al suo importante sviluppo.

    Il territorio agricolo⁵¹ è stato via via interessato dall’espansione mercantile e cittadina, con un’antropizzazione che ha occupato buona parte degli spazi suburbani disponibili⁵².

    Per quanto concerne i dati climatologici, possiamo utilmente riportarci a specifiche pubblicazioni di metà Ottocento, seppure con tutte le prudenze e le limitazioni del caso⁵³.

    Si è scelto di seguire, come filo conduttore, l’opera di un autore che fu uno dei protagonisti delle vicende che più ci interessano, anche quale medico esercente la professione in città.

    Nel 1852 (con l’introduzione datata Settembre 1851) fu pubblicato un volume dedicato al clima di Trieste⁵⁴.

    Il suo autore, Ytzhak (Isacco/Jsacco) Luzzatti (1810-1875)⁵⁵ si definisce, nel frontespizio, Dottore in Medicina dell’I. R. Università di Padova⁵⁶, Membro Effettivo dell’I. R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Rovereto⁵⁷, dell’Ateneo di Treviso, ecc. ecc.

    L’autore propugna una schietta fede ippocratica e stigmatizza la quantità di errori a riguardo della prassi medica del passato, causati dall’aver trascurato le difficoltà di una corretta osservazione⁵⁸.

    Noi oggi diremmo che egli proponesse un autentico metodo clinico, incardinato sull’ippocratico concetto della observatio et ratio (osservazione e ragionamento, per usare termini latini)⁵⁹.

    Al tempo di Luzzatti, si potevano distinguere tre zone sufficientemente distinte del territorio triestino:

    - la parte caratterizzata dall’insediamento cittadino urbano, che aveva anche in parte interessato, bonificandole, talune zone caratterizzate da ristagni d’acque (se non da paludi vere e proprie)⁶⁰;

    - la parte strettamente carsica⁶¹, di maggiore altitudine, alla quale erano stati strappati dalla fatica dell’uomo, in forma di terrazzamenti, scampoli di terreno reso coltivabile; tale zona era caratterizzata da insediamenti rurali, spesso di limitate dimensioni;

    - una fascia intermedia, cingente come una corona la città, ricca di vegetazione e coltivazioni, oltreché di insediamenti abitativi sparsi, spesso dalle caratteristiche di medio-alto livello.

    L’autore così la descrive:

    Abbiamo noi quindi nel breve spazio limitato di circa due miglia quadrate e mezzo⁶²; e colle e monte, e piano coltivato, e prativo, e bosco, e padule, e torrenti, e mare, e quasi nel centro la città, cinta dalla corona delle molte borgate e delle molte sue ville, situate sulla sommità de’ colli, alle falde dei monti o giacenti in pianura⁶³.

    Dal punto di vista dei confini del territorio triestino proprio, esso è sempre stato condizionato dalla sua limitatezza (anche in ragione delle sue peculiarità).

    Ad esempio, verso la fine del XVIII secolo, nel 1782, il territorio di Trieste viene così descritto:

    Attualmente però il territorio di Trieste è una fascia di terra molto stretta affacciata sul mare, che può misurare verso oriente, nel senso della lunghezza, appena due miglia tedesche⁶⁴, nel punto di maggior larghezza, nel senso nord-sud, circa tre⁶⁵, ed avere una superficie totale di cinque miglia quadrate tedesche⁶⁶.

    Ci troviamo in condizioni non troppo differenti dalle attuali, a riguardo dell’appartenenza statuale⁶⁷.

    Prima di affrontare l’argomento specifico dello sviluppo della città di Trieste e del suo porto, accenniamo alla rilevanza di alcuni dati climatologici, per come potevano essere interpretati verso la metà del secolo XIX.

    Innanzi tutto, dobbiamo ricordare che la dimensione cosmo-tellurica delle patologie (ed a maggior ragione nel caso di sviluppo di epidemie) era ancora in pieno vigore.

    Quindi non ci si trovava in condizioni molto diverse da quelle tramandateci dalla classicità e la determinazione delle Constitutiones epidemicae (come irrinunciabile quadro di riferimento) non perdeva di validità: tutt’al più, all’astrologia si erano sostitute le rilevazioni strumentali meteorologiche⁶⁸.

    La variabilità delle condizioni climatiche, era non solo infrastagionale, ma anche infraquotidiana, cosicché quella della loro forza dipendeva soprattutto dal regime dei venti⁶⁹.

    Dall’unione o dal contrasto di questi venti⁷⁰ d’estate o d’inverno, o dalla preponderanza dell’uno sugli altri, s’impronta il clima di Trieste d’un tipo differente, ora essendo caldo e asciutto, ora caldo e umido; talvolta asciutto e freddo, tall’altra invece umido e freddo⁷¹; variando spesso l’indole dell’aria anche nella stessa giornata⁷².

    Anche le precipitazioni dipendevano da questo stato particolare: seppur possibili in ogni contesto stagionale, si segnalava il frequente stato siccitoso estivo⁷³.

    Per Luzzatti era l’autunno il miglior periodo, dal punto di vista del clima, per la città di Trieste. Oltre alle invernali precipitazioni nevose veniva segnalato anche il fenomeno della nebbia⁷⁴, solitamente proveniente dal mare e possibile anche in altre stagioni dell’anno.

    Luzzati preannunciava la pubblicazione delle complete tabelle meteorologiche dell’ I. R. Accademia di Nautica, confrontate con le sue pluriennali osservazioni personali⁷⁵. Egli segnala la temperatura massima da lui registrata in 28 gradi Reaumur⁷⁶; la minima era arrivata a 8 gradi Réaumur⁷⁷ sotto lo zero⁷⁸; la temperatura media si attestava fra i 10 e i 12 gradi Réaumur⁷⁹; infine la media barometrica registrata dal medico triestino nelle sue osservazioni era di 28" (pollici)⁸⁰.

    Trieste: popolazione, città e porto

    Per quanto concerne, invece, taluni aspetti demografici, possiamo ricordare i dati dei censimenti, con una particolare attenzione al periodo che più ci interessa:

    Come ben si può desumere dalla precedente tabella, anche successivamente all’istituzione, nel 1719, del Porto Franco (tale status era applicato a tutta la città di Trieste) lo sviluppo non poté avvenire che dopo l’attivazione delle riforme teresiano.giuseppine⁸¹ nell’ultimo quarto del secolo XVIII⁸².

    Si segnala lo sviluppo durante l’epoca napoleonica (seppure con tutte le contraddizioni e le difficoltà prodotte dello stato di guerra del tempo).

    Infine si deve notare l’espansione propria del periodo della Restaurazione⁸³.

    Accennare alla popolazione, ci porta inevitabilmente a trattare della condizione particolare di cosmopolitismo, di presenza di differenti comunità.

    La condizione di Trieste era del tutto particolare, stretta com’era fra le aree Istro-Venete e quelle Slovene (Slave), e con un polo attrattivo⁸⁴ di inurbazione molto forte.

    Riprendendo sempre il volume di Luzzatti, appare evidente all’autore che la Tergestinità, plasmata dal decorso di molti secoli, fosse stata soppiantata da

    una popolazione del tutto nuova, priva di un proprio carattere nazionale, […] un amalgama di molti popoli […] Ed in vero quella Città […] deve questo aumento⁸⁵ […] all’aggregazione di molti stranieri, i quali da lontanissimi paesi e d’oltre mare per causa di commerci accorsero a questi lidi ospitalieri⁸⁶.

    L’autore si intrattiene nel definire in modo specifico la stirpe slava, che denota una presenza territoriale concentrata nelle zone di maggior altitudine e sul Carso.

    Infatti, si poneva per l’autore il problema di una definizione della nazionalità di Trieste:

    […] in Città adunque avvi un miscuglio di gente stabile, italiana, slava, tedesca, francese, greca, inglese⁸⁷.

    La posizione di Luzzatti è chiara, complessa e forse contraddittoria⁸⁸:

    Si è disputato molto in questi ultimi anni, e si disputa presentemente fra noi, e si quistioneggerà ancora chi sà fino a quando, sulla nazionalità di Trieste. Chi la vuole italiana, chi tedesca, chi persino la vorrebbe slava⁸⁹.

    Noi senza entrare in questioni politiche, e procedendo nell’analisi senza spirito di parte, ma con dati statistici, ed anche un pò con l’intuizione fisica dell’argomento, diremo: a Trieste esservi gli elementi slavo, tedesco, ed italiano, ma se si avesse a stabilire una nazionalità preponderante, e quasi diremmo, naturale, dovrebbe essere sicuramente l’italiana⁹⁰.

    Egli quantifica la situazione numerica nel modo seguente:

    […] degli ottanta due mille cittadini, che costituiscono approssimativamente la popolazione di Trieste e del circoscritto suo territorio, 53,000 sono Italiani, 20,000 Slavi, ed 8000 soltanto sono Tedeschi, con qualche migliajo di Greci, e qualche frazione di Inglesi, di Francesi, e di altre nazioni⁹¹.

    A questa situazione dobbiamo far riferimento: ora ci apparirà più chiaro, come delineare talune linee evolutive dello sviluppo cittadino.

    Il modello del nucleo cittadino più antico non differisce da quello di molti insediamenti, come venirono stratificandosi nei secoli precedenti.

    Anche nel caso di Trieste si tratta di una zona abitativa sovrastata da una struttura di controllo, avvistamento e difesa⁹².

    (Cosmorama Pittorico, 2, 1836, (6), pp. 44-45)

    Alcuni dati possono sottolinearsi:

    - l’essere Trieste un borgo di pescatori, dotato di un porto⁹³;

    - la presenza di saline nell’immediato suburbio.

    Il borgo fortificato di Trieste era poi circondato da terreni coltivati prevalentemente a vigneto⁹⁴.

    Lo sviluppo del Porto Franco, collegato ad un fenomeno di imponente pressione immigratoria, rese necessaria un’espansione urbanistica e ciò avvenne a spese della località allora occupata dalle saline: si trattò della costruzione del già citato Borgo Teresiano.

    Quindi, alcune caratteristiche topografiche possono essere sintetizzate:

    - la presenza della Città Vecchia;

    - la parte più moderna del Borgo Teresiano;

    - lo sviluppo di un Porto Franco⁹⁵, che ristrutturava il porticciolo originario⁹⁶.

    Riprendiamo, ancora una volta, le parole di Luzzatti:

    Chi mette al confronto la città di Trieste, quale si presentava un secolo addietro, e come ci si para adesso davanti agli occhi, deve sicuramente venire in grande maraviglia, come possano influire sui destini d’un luogo qualunque lo spirito d’industria e di commercio sorretto e incoraggiato da leggi giudiziose⁹⁷.

    È l’intervento urbanistico tardo-settecentesco a risultare rimarchevole e commendevole, frutto di un’opera imponente di bonifica e di recupero territoriale:

    […] le vecchie mura cadono, le paludi s’interrano,si asciugano le saline, si sospinge il mare indietro, per acquistare terreno […] Strade rettilinee, larghe, piane, fiancheggiate da edifizj grandiosi, all’esterno di viva bianchezza, mettendo capo in ampie piazze, alcune di queste decorate di belle fontane, lastricate acconciamente con pietre eguali d’arenaria. Le contrade corrono tutte paralelle, intersecate da altre, verso la marina, nella quale tutto all’intorno si specchia un anfiteatro di eleganti abitazioni, e che nel canale manda una lingua di mare dentro terra, la quale poi di ricambio spinge i suoi moli nel cuore della marina⁹⁸.

    Se quello del Borgo Teresiano poteva essere un esempio di programmazione urbanistica, si deve poi ricordare che altri rivoli di sviluppo si proponevano laddove lo spazio lo permettesse, ed in misura spesso non ordinata⁹⁹.

    Non si devono però sottacere anche gli aspetti negativi, prodotti da un’intensa inurbazione di larghi strati di popolazione:

    - l’insalubrità delle abitazioni della Città Vecchia;

    - il sovraffollamento;

    - la preponderanza del problema abitativo (locativo) nei confronti della popolazione meno abbiente.

    Luci ed ombre, allora, si stagliavano sulla città di Trieste¹⁰⁰.

    Per il periodo di maggior nostro interesse, si può dire che la città ed il porto fossero un tutt’uno, nel senso che la necessità di disporre di adeguati magazzini cittadini per lo stoccaggio delle merci aveva persino condizionato la struttura dei nuovi edifizi: al piano terreno (stradale) stavano i magazzini; al primo piano gli uffici; dal secondo piano in su le abitazioni¹⁰¹.

    Le attrezzature portuali, implementate in seguito alla costruzione del Borgo Teresiano, potevano garantire una solida attività commerciale e ciò avvenne fino allo sviluppo della rete ferroviaria¹⁰² ed alla costruzione dell’attuale Porto Vecchio.

    Dobbiamo, a conclusione di questa sommaria introduzione di tipo generale, fare cenno alla Compagnia del Lloyd Austriaco: in breve tempo essa divenne la

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