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Prima che arrivassi a te
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Prima che arrivassi a te
E-book120 pagine1 ora

Prima che arrivassi a te

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Info su questo ebook

Due solitudini opposte che si incontrano, al di là e al di qua dell’amore, il desiderio e la paura di svelarsi e affidarsi. La scoperta che a comunicare davvero sono le emozioni e non le parole. Un cammino da compiere, perdendosi, per trovarsi. L’attesa, la speranza l’illusione e la felicità di attimi che scorrono irripetibili scivolandoci tra le dita, e il sentimento profondo che possederli è meno importante che viverli. La gioia pura di scoprire che accogliere l’emozione l’ha resa parte di noi.

Tutti questi, in ordine sparso, sono i temi della raccolta “Prima che arrivassi a te”, due storie di maggior respiro e due racconti lievi, che, esplorando vicende diverse unite dalla sostanza comune di un sentimento intimo e vero, ci conducono alla scoperta sorprendente e intensa del desiderio che nasce, della dolcezza e della forza con cui l’amore ci invade, ci travolge, respinge, e poi ci prende con sé.
LinguaItaliano
Data di uscita21 dic 2020
ISBN9791220310789
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    Anteprima del libro

    Prima che arrivassi a te - Viola Greco

    Oscar

    Prima che arrivassi a te

    Non so perché non te l'ho detto.

    Forse temevo che non succedesse, se lo sapevi.

    Ma no, non per questo. Sarebbe successo ugualmente, e saresti stato dolce.

    Non lo so, non è che lo avessi deciso prima. Solo che quando sono stata lì, col tuo respiro sul viso, con le tue gambe che si facevano strada tra le mie, con le tue mani serrate sui fianchi e la tua lingua tra le labbra, a cercare a prendere la mia, ho desiderato soltanto averti dentro, prima di ogni altra cosa, prima di tutto.

    Ti volevo immensamente, disperatamente. Avrei accettato di morire subito dopo, pur di sentirti entrare in me, pur di accogliere in un abbandono completo la foga oscura del tuo abbraccio, le tue carezze così vicine, profonde come un dolore troppo accettato, quella notte in cui mi hai portato in casa tua senza quasi parlare, mi hai steso sul tuo letto con la luce spenta, sei venuto sopra di me e non ti sei fermato. Volevo che non fossi più solo, che avessi me, il mio corpo per rifugiarti, per sempre, tutte le volte che lo avessi voluto, che ne avevi bisogno.

    Sono impazzita d'amore, ecco perché.

    È stato bello, bellissimo, anche non risponderti, non dirti nulla quando hai alzato il viso sul mio, quando, immobile dentro me, all'improvviso, mi hai sfiorato con la bocca socchiusa, il respiro lieve affannato, caldo sulla guancia, un gemito tremante, stupito, la tua voce che pronunciava piano, confusa, il mio nome: … ma…

    Le mani aggrappate alle tue spalle, il grido che avevo in gola. La resa ebbra, assoluta, alla pressione del tuo corpo nel mio. Ti ho stretto forte, la testa abbandonata indietro, facendo no disperata, con gli occhi chiusi sotto i tuoi, che mi guardavano fissi. Ti ho supplicato, gemendo, di continuare.

    Non fermarti… non ti fermare… ti prego…

    Poi le dita che s'intrecciavano, e la tua mano calda che si lasciava prendere, si chiudeva piano. I tuoi fianchi, serrati e fermi sui miei, mentre mi fissavi, mi fissavi soltanto. E l'istante in cui hai ceduto, in un tremito convulso, spezzato, e hai ripreso a spingere. Lentissimo, non come prima.

    Non avevo mai visto godere un uomo.

    È stato bellissimo vedere te.

    Non so perché non te l'ho detto, che per me era la prima volta. Non sapevo nemmeno che lo avrei fatto, quella sera, con te. Non lo avevo deciso a tavolino di arrivare vergine alla mia età: non era successo perché avessi qualche principio morale cui obbedire, cui attenermi a ogni costo nonostante le tentazioni e gli eventi. Era successo e basta.

    È la vita che è strana, ci confonde e si diverte con noi.

    Io ero vergine e navigata come una vecchia puttana che non crede più a niente.

    Forse ti ho voluto così perché ho capito che, nonostante tutto, eri più solo di me. Perché ho letto la tua fame d'amore. Il vetro del tuo sguardo, nonostante le tue tante donne, tutte diverse e uguali, ma soltanto per te. Eri come un lupo che sta per morire.

    Che cos'è l'amore? Chissà perché ho sentito che solo tu, tu solo che non lo sapevi, avresti potuto spiegarlo a me.

    ***

    No, non pensavo proprio che quella sera iniziata da sola dentro casa mia, davanti all'armadio aperto, con poca voglia di vestirmi e di uscire, sarebbe finita con un uomo addosso, in una stanza che non avevo mai visto, col cuore che scoppiava.

    Ti avevo trovato per caso, a una festa di conoscenti che avevamo in comune. Non so come ci eravamo finiti, tutti e due, in quella villa piena di posate d'argento e fighetti abbronzati con l'auricolare. Camminavo in giardino, tra i tavoli con le tovaglie in broccato e un'orgia di lampioncini, un senso di lieve nausea addosso. Mi chiedevo che ci faccio qui, vestita come una fighetta anch'io, per giunta, senza conoscere nessuno e nessunissima voglia di rimediare alla cosa. E mandavo al diavolo mentalmente chi aveva avuto la balzana idea di invitarmi, e me stessa che avevo detto sì.

    Poi ti avevo visto. Eri lì, e all'improvviso mi ero detta che era una bella serata.

    Era da poco che non ti vedevo, ma mi mancavi.

    Stavi da solo in una parte poco illuminata del giardino, seduto su un muretto. In modo decisamente poco formale - sorrisi tra me - con il gomito appoggiato su un ginocchio e quel bicchiere di vino bianco tenuto per il bordo come se fosse una lattina di birra. Mi era sempre piaciuto quel tuo modo pieno di stile di fregartene delle convenienze: era una cosa che ti veniva spontanea. Ogni tanto passava qualcuno e ti salutava, scambiando una battuta breve. Tu sorridevi e lo lasciavi passare, portando alle labbra il bicchiere subito dopo.

    Però sembrava che ti mancasse l'aria.

    Mi aveva attratto il fondo cupo di quei sorrisi, guardandoti da lontano, qualche minuto. Non sapevo se avvicinarmi o rimanere a godermi lo spettacolo, perché mi sembrava che solo guardarti, in disparte, fosse già bello. Poi mi vedesti, e posando veloce il bicchiere sui mattoncini mi venisti incontro.

    Questo non è posto per te, dicesti scherzando. Io finii il prosecco che avevo in mano, e dissi neanche per te.

    Forse per questo mezz'ora dopo già mi baciavi, contro la macchina, nel buio del parcheggio.

    C'era di bello che non mi chiedevi il permesso, prima di fare una cosa. Non mi avevi mai nemmeno sfiorato, e quella sera mi ritrovai nuda contro di te, sul tuo letto.

    *

    Non dimenticherò mai l'espressione sul tuo viso. Ripensarlo mi fa ancora tremare. Eri improvvisamente come un ragazzo con tante cose nel cuore. Nessuna difesa nei tuoi occhi.

    Rimanesti col capo su di me, a lungo, la guancia premuta contro il mio petto, il respiro che silenzioso ritornava normale. Lo avvertivo dalle tue labbra, socchiuse ancora sul seno.

    Ti sollevasti piano, e cercasti il mio sguardo. Io ero smarrita e colma di gioia. Non dicesti nulla, perché non esistevano parole per esprimere quel momento. Non mi chiedesti niente. Avevi occhi accesi e intenti, mentre scuotevi pianissimo il capo, e mi guardavi. Portai la mano al tuo viso, avevo bisogno di toccarti, di tenerti vicino. Sospirasti appena, le ciglia chiuse ad ascoltare quella carezza. Mi desti un bacio lunghissimo e profondo, che mi fece piangere.

    Eppure sapevo così poco di te.

    *

    A volte penso che se non ti avessi trovato così, quella notte, non avrei mai capito che eri tu. Mi saresti passato accanto senza troppo clamore, come tanti altri, e, più che una fisionomia e degli episodi precisi, di te avrei ricordato la generica delusione di un incontro mancato, di un fallimento in più.

    Ci avevo fatto l'abitudine, ormai, e non mi sconvolgeva più di tanto. Non in modo palese, voglio dire.

    E non so perché proprio quella sera, proprio con te, mi ritrovai coi sensi impazziti ad avvinghiarmi nel buio a delle braccia che mi prendevano, sul sedile di un'auto ferma in mezzo a tante altre. Più nessuna lucidità, nessun pensiero in mente.

    Forse lucida non ero mai stata, forse è questo il motivo.

    Non raccoglievo neanche il respiro, con le tue mani addosso, i tuoi baci. E nemmeno tu: lo vedevo che non eri tanto in te, anche se non eri tipo da perdere il controllo. Lo capivo, nella mia inesperienza.

    Avresti potuto prendermi così, dentro quell'auto, se avessi voluto.

    Ma mi piacque il modo in cui ti dominasti, ti staccasti appena, e nell'oscurità fermasti le labbra sulla mia bocca. Vieni a casa mia - dicesti in un ansito -. Vieni con me.

    *

    Ti avevo conosciuto l'inverno prima, per caso. Ma era solo da un mese che ti frequentavo di più.

    Era successo così, che ci eravamo trovati da soli davanti a un cinema ad aspettare gli stessi amici che non erano arrivati. Ci eravamo andati noi due, a vedere quel film, pagando il biglietto per l'ultimo spettacolo tra una battuta e un abbassarsi di sguardi. Quel giorno non ricordavo nemmeno il tuo nome.

    Però avevamo legato quasi subito. Dopo la proiezione ci eravamo messi a parlare: nella hall della multisala e poi, nella notte, passeggiando per le strade illuminate e deserte del centro. Lo avevi proposto tu, invece di andare a casa ognuno con la sua macchina.

    Era stata una nottata strana, piacevole. Avevamo confrontato le nostre idee su quel film. Io ero a mio agio: la trama un po' ambigua mi aveva suggestionato ed ero partita per la tangente, avevo fatto tutta una costruzione mentale su cosa poteva significare. Tu ascoltavi con occhi attenti. Sorridevi, a volte. Ogni tanto mi riportavi a terra con un'osservazione divertente e realistica. E, mi dicevo poi, sensata.

    Lei non tornerà, ha capito che non c'è futuro per loro due. Gliel'ha letto negli occhi, quando i loro sguardi si sono incrociati

    Tornerà, invece. Gli ha lasciato il cane.

    Io ridevo, e convenivo che, sì, in effetti era vero.

    Ma ti piaceva ascoltare quelle fantasie. E a me piaceva quello che dicevi. C'era l'ironia del disincanto, nella concretezza scherzosa delle tue frasi.

    Ti dispiacque quando,

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