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Il Delitto Cimetta
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E-book237 pagine2 ore

Il Delitto Cimetta

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Info su questo ebook

L’8 maggio 1947, al largo de Ca’ La Bricola n.21 a Venezia, la rete a strascico di Luigi Robelli si incaglia in un baule legato a due macigni che contiene il corpo di Linda Cimetta, 45enne originaria di Vittorio Veneto, titolare del Caffè Vittoria di Belluno. La raccapricciante vicenda, tratta dagli atti processuali conservati all’Archivio di Stato, è raccontata in tutti i suoi dettagli nel nuovo libro dal titolo “Il delitto Cimetta” del giornalista bellunese Roberto De Nart. Un migliaio di fogli ingialliti che raccontano la lunga storia processuale che portò alla sbarra Bartolomeo Toma, commesso di tabaccheria e il gondoliere Luigi Sardi. Se ne occupò nell’ordine, il Tribunale militare straordinario di Padova nel ‘47, la Cassazione nel ‘49, la Corte d’Assise di Venezia nel ‘50, ancora la Cassazione nel ’51, la Corte d’Assise d’Appello di Venezia nel ‘52, ancora la Cassazione nel ’53, la Corte d’Assise d’Appello nel ’55 e la Cassazione nel ‘58. La verità processuale è chiara, i due complici sono colpevoli. Ma ci sono due colpi di scena degni di un noir nascosti tra le carte esaminate dall’autore, che fanno traballare la certezza dei tribunali. L’epilogo della storia, inoltre, non fa che rafforzare il mistero, che tale resterà. Toma, con una condanna all’ergastolo confermata nei vari gradi di giudizio, nel 1960 riuscirà ad evadere dal penitenziario dell’Isola di Santo Stefano e di lui non si saprà più nulla. Sardi, che ottiene uno sconto di pena per seminfermità mentale e si proclamerà sempre innocente, esce dal carcere nel 1980 e uccide il maresciallo di polizia Senisi. Sarà nuovamente rinchiuso e morirà nel 1983 fuori di senno continuando a ripetere “ero innocente”.

LinguaItaliano
Data di uscita19 dic 2020
Il Delitto Cimetta
Autore

Roberto De Nart

Giornalista pubblicista, ha fondato nel 2009 il quotidiano locale on line Bellunopress (www.bellunopress.it) ed è direttore responsabile della rivista bimestrale Filò.Ha collaborato con i quotidiani Il Gazzettino e il Corriere delle Alpi ed altre testate minori. Dal 2007 al 2010 è stato direttore responsabile del tabloid La Pagina.E' ufficiale riservista dell'Esercito con il grado di maggiore.

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    Anteprima del libro

    Il Delitto Cimetta - Roberto De Nart

    Bellunopress Editore - 2020

    Il delitto Cimetta

    Dagli atti processuali dell'Archivio di Stato di Venezia, il caso che per la sua efferatezza sconvolse la laguna veneta nel 1947. L’omicidio di Linda Cimetta, titolare del Caffè Vittoria di Belluno. Alla sbarra Bartolomeo Toma e Luigi Sardi

    Roberto De Nart

    Introduzione

    Siamo nella primavera del 1946 a Venezia, la città è sovraffollata. Il piano regolatore cittadino ideato nel 1939 da Eugenio Miozzi, capo dell’Ufficio tecnico comunale, per edificare nuove case popolari e per il recupero degli antichi edifici si era fermato a causa dello scoppio della Seconda guerra mondiale. La certezza dell’immunità dai bombardamenti aveva attirato migliaia di persone in cerca di un rifugio sicuro. Secondo alcune stime, la popolazione ammassata nel centro storico sfiorava i 200.000 abitanti (oggi il centro storico ne ha poco più di 50mila). Nella tarda primavera del 1946, inoltre, la situazione si era accentuata per effetto del rientro a casa di rifugiati, reduci, disoccupati e profughi provenienti dai territori istriani e giuliani. Non deve stupire dunque la sistemazione di uno dei due imputati, Bartolomeo Toma, che trova ospitalità con moglie, suocera e figli nella soffitta della sua amante, Elisa Cudignotto, la signorina come la chiama negli interrogatori, titolare del negozio di tabacchi dove lo stesso Toma collabora. La vicenda ruota intorno al Toma, è lui, nella verità processuale, la causa dell’omicidio di Linda Cimetta, la titolare del Caffè Vittoria di Belluno. Toma accumula debiti di gioco ed è sempre più stretto dalla morsa dei creditori. Continua a giocare per recuperare e perde. Finché si trova in un vicolo cieco dal quale non vede altra soluzione che il crimine. Il piano - secondo le risultanze processuali - lo elabora insieme al complice, il gondoliere 46enne Luigi Sardi detto Gigio, ma quello che doveva essere solo un bidone, una truffa ai danni della Cimetta giunta a Venezia con denaro contante per acquistare le bionde le sigarette americane di contrabbando, si trasforma in una esecuzione determinata dall’urgenza di reperire il denaro ad ogni costo. Dalle sentenze, l’esecutore materiale dell’omicidio risulta essere Bartolomeo Sardi, il gondoliere. Ad incastrarlo è anche una perizia tecnica che individua l’omicida in un uomo alto di statura e vigoroso, che colpì ripetutamente alla testa Linda Cimetta con una mannaia. Ma i due imputati si contraddicono, inizialmente il Toma si assume tutte le responsabilità, poi ritratta e fa il nome di Sardi, che dopo una prima ammissione di aver colpito la Cimetta, si proclamerà sempre innocente. Nella sua lucida follia, venne infatti dichiarato seminfermo di mente, quando esce dal manicomio criminale uccide un maresciallo della polizia. Come volesse dire a tutti, se mi avete fatto pagare per un delitto che non ho commesso, ora pago effettivamente per un omicidio che ho realmente commesso. Ad aumentare le perplessità, in questa storia, è il memoriale scritto dal Carcere di Porto Azzurro nel 1952 da Bartolomeo Toma, che chiama in causa la suocera scagionando il Sardi. Un autentico colpo di scena che però finirà nel nulla. Il memoriale del Toma, tra l’altro, combacerebbe con le ripetute dichiarazioni di innocenza del Sardi. Non deve nemmeno stupire il fatto che a giudicare l’omicidio sia in prima battuta il Tribunale militare di Udine con sede a Padova. Nell’immediato dopoguerra, infatti, la competenza per crimini efferati, di allarme sociale, o accertati in flagranza di reato, era dei tribunali militari (Decreto n.234 del 10.05.1945). La Cassazione, su ricorso del Toma, non essendo stato effettuato l’arresto in flagranza o in quasi flagranza di reato, accoglierà il ricorso e assegnerà la competenza del delitto Cimetta alla magistratura ordinaria, che comunque, in primo grado, confermerà i due ergastoli del tribunale militare, salvo poi diminuire la pena nei successivi gradi di giudizio. Una precisazione d'obbligo, a tutela della memoria della vittima e per chiarire definitivamente alcune subdole insinuazioni infondate. Qualche sito internet ha riportato erroneamente che la povera Linda Cimetta andasse a Venezia per prostituirsi. Ebbene, nei quasi mille fogli del fascicolo processuale non vi è assolutamente nessun riferimento né viene mai scritta la parola prostituzione o prostituta. Né viene mai fatta alcuna allusione in tal senso. Si parla anzi con rispetto della signora Cimetta, titolare del bar Vittoria a Belluno. E comunque, prima della Legge Merlin (20 settembre 1958 che ha abolito la regolamentazione della prostituzione) chi esercitava la prostituzione era schedato (cosiddetta schedatura sanitaria). E dunque le questure sarebbero state a conoscenza di tale circostanza e, se veritiera, sarebbe certamente emersa nelle varie fasi processuali. Ebbene, quest’ombra odiosa che è andata a infangare la memoria della povera Linda Cimetta, è dovuta a un grossolano errore di traduzione dall'italiano all'inglese di un articolo. Alcuni siti britannici, infatti, nel riportare e romanzare il fatto di cronaca accaduto nel 1947 a Venezia, hanno confuso il contrabbando con la prostituzione. Questo si spiega poiché sul piano internazionale le nozioni, e quindi la relativa connotazione giuridica, di tratta di esseri umani (trafficking of human beings) e quella di traffico di persone o immigrazione clandestina (smuggling = contrabbando) individuate e indicate nel corso degli anni '90, sono ricomprese nella medesima fattispecie, che evidentemente ha generato l'imperdonabile equivoco. Un’ultima nota su Anna Gaiotti, testimone chiave del processo che serve in un piatto d’argento la soluzione del caso alla Squadra mobile. In prime nozze sposa uno dei fratelli Roatto proprietari della catena di cinema del Veneto. E’ una donna imprenditrice, come la Cimetta, che apre un’attività sartoriale con atelier a San Marco che gestirà fino al 1952 e poi diventerà la sua abitazione. Alla sua morte devolverà in beneficienza parte dei suoi beni.

    La storia in breve

    Alle 6.30 dell'8 maggio 1947, al largo de Ca' La Bricola n.21 a Venezia, la rete tartana a strascico di Luigi Robelli si incaglia. Per liberarla, uno dei due figli del pescatore si tuffa dalla gondola, e nel fondale trova un baule ancorato a due macigni con corde e catene. Al suo interno c'è il corpo di una donna segato all'inguine, con i segni della furia omicida, ma con ancora addosso i gioielli, la fede, un brillante e gli orecchini. La donna si chiama Linda Cimetta in Azzalini (12.03.1902 - 28.04.1947), 45enne originaria di Vittorio Veneto e residente a Belluno, dove gestisce il Caffè Vittoria. Giovedì 24 aprile 1947 Linda si reca a Venezia, come aveva fatto altre volte, dall'amica Anna Gaiotti a San Marco per acquistare una partita di sigarette americane di contrabbando che poi avrebbe rivenduto nel proprio bar al mercato nero. Aveva in tasca 110 mila lire, che risulteranno essere il movente del delitto. Linda incontra Bartolomeo Toma, 39enne originario di Brindisi, commesso di tabaccheria con il vizio del gioco, il quale promette di rifornirla delle sigarette e fissa l'appuntamento per il giorno seguente in casa sua. L'uomo ha già dilapidato i beni della sua famiglia e anche della suocera, ed ha una relazione sentimentale con la titolare della tabaccheria dove lavora, la 56nne Elisa Cudignotto, che accetta di ospitare Toma, con moglie, figli e suocera nella soffitta della sua casa in Calle della Bissa 5471. L'appuntamento di Linda Cimetta in casa del Toma, si rivelerà una trappola mortale. La donna viene barbaramente uccisa a colpi di scure. e Il 29 aprile l'amica di Linda, Anna Gaiotti, non vedendola più ritornare, ne denuncia la scomparsa. Il I° maggio gli agenti arrestano Toma. Nel corso della perquisizione la polizia rinviene un fazzoletto macchiato di sangue appartenuto alla vittima. La mattina del 2 maggio Toma confessa l'omicidio commesso a scopo di impossessarsi del denaro. Ma in Calle della Bissa il cadavere non c'è. Toma dice di averlo messo in un baule e gettato in acqua. Il 4 maggio durante l'interrogatorio Toma cambia versione dei fatti e fa il nome di un complice, Luigi Sardi, 46 anni, gondoliere veneziano di San Samuele detto Gigio el mato, che secondo successive perizie mediche è seminfermo di mente. Toma accusa il Sardi di aver inflitto il colpo mortale alla donna e di aver segato i tendini degli arti inferiori del cadavere irrigidito dal rigor mortis per farlo entrare nel baule. Sardi inizialmente nega. Poi confessa e dice di aver trasportato il baule con la sua gondola passando dinanzi il Casino degli Spiriti, un luogo isolato dove terminano le Fondamente Nove. Il caso sconvolge la città per l’efferatezza con la quale è stato commesso. L'11 maggio si celebra il funerale di Linda Cimetta, e l’amministrazione comunale decide di farsene carico. La cerimonia solenne ha luogo nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo, alla presenza del figlio, la sorella e il nipote della vittima. C'è anche il sindaco Gianquinto, il prosindaco e il questore. La gondola con il feretro è seguita da un corteo di oltre cento gondole. La salma sarà poi tumulata nella tomba di famiglia al cimitero di Ceneda di Vittorio Veneto (Treviso). Per Toma e Sardi inizia una lunga fase processuale. L'omicidio premeditato per rapina nel 1947 dal Tribunale militare è punito con la pena di morte mediante fucilazione alla schiena. In soli due mesi, il 18 giugno 1947 il Tribunale militare straordinario di Padova condanna i due imputati all'ergastolo. Ma il 21 novembre 1949 la Corte di Cassazione a sezioni riunite, su ricorso del Toma, annulla la sentenza del Tribunale militare per difetto di giurisdizione. Il 18 ottobre 1950 la Corte di Assise di Venezia condanna entrambi all'ergastolo. Il 10 giugno del 1952 la Corte d'Assise d'Appello conferma la sentenza. Sardi presenta un nuovo ricorso per la seminfermità che gli viene riconosciuta dalla Corte d'Assise d'Appello tre anni dopo riducendo la condanna a 30 anni con 6 di condono. Sardi esce dal manicomio di Reggio Emilia nel 1973. Nell'inverno del 1980 uccide colpendo alle spalle con un tubo metallico un maresciallo di polizia, Savino Senisi, che gli aveva detto di dimenticare il passato e di non infastidire la moglie di un poliziotto che aveva preso parte alle indagini alla quale chiedeva notizie perché voleva far riaprire il suo caso. Nuovamente arrestato, continua a ripetere ero innocente. Muore fuori di senno in cella nel 1983. Il 12 marzo 1955 Bartolomeo Toma viene condannato a 14 anni per l'omicidio, 20 per la rapina e 2 anni e 8 mesi per soppressione di cadavere, determinando la pena complessiva in ergastolo. Evade in una notte di tempesta del 6 luglio 1960 dal carcere di Santo Stefano (Latina) in compagnia di Giovanni De Luca, 46 anni, rapinatore bolognese. Dei due non si seppe più nulla. Il 19 agosto 2008 sulla Gazzetta Ufficiale n.98 viene pubblicata la dichiarazione di morte presunta del Toma di cui non si aveva più notizie dal 1960.

    Le indagini della Squadra Mobile

    A dare il via alle indagini sul delitto Cimetta, come titolano i quotidiani dell’epoca, è la denuncia di scomparsa resa alla polizia dalla sua amica Anna Gaiotti, 45enne sua coetanea, nativa di Conegliano e abitante in Venezia San Marco al civico n. 5264 dove Linda Cimetta soggiornava durante i suoi viaggi a Venezia.

    La mattina del 30 aprile 1947, infatti, Anna Gaiotti, preoccupata della misteriosa sparizione dell’amica Linda, si rivolge al Commissariato di Polizia di San Marco che, raccolta la sua denuncia, la invita, per un più rapido svolgimento delle indagini, a recarsi direttamente alla Squadra mobile della Questura centrale. La donna segue il consiglio dei poliziotti e il giorno stesso si reca in Questura, dove riferisce di non aver più visto la sua amica Linda, che era arrivata a Venezia la mattina del 28 aprile 1947 da Belluno, per acquistare delle sigarette alleate che avrebbe poi rivenduto nell’esercizio di cui era titolare, il bar Vittoria in centro Belluno. Il giorno dopo, il 29 aprile, Linda consegna all’amica Anna, affinché li custodisse, 110mila lire in banconote contanti e alcuni effetti personali. Dopodiché esce per la città in cerca delle sigarette estere da acquistare. Verso mezzogiorno Linda rientra in casa dall’amica alla quale confida di essere molto lieta per aver già combinato l’affare, che si sarebbe concluso nel pomeriggio alle ore 17. Alle ore 16 Linda con in tasca la somma di denaro esce dalla casa dell’amica, con l’accordo che sarebbe rientrata verso le 18, una volta concluso l’affare, per uscire nuovamente, per fare acquisti in città insieme. Da quel momento però, come dichiara Anna Gaiotti agli agenti della Questura di Venezia, la sua amica Linda non si era più fatta vedere. Una scomparsa assai strana, come sottolinea Anna, poiché Linda era una donna assai puntuale e ordinata, donna imprenditrice e madre di famiglia. Sulla base di queste informazioni, la Squadra Mobile della Questura di Venezia avvia subito le indagini che consentono di ricostruire con precisione le ultime ore della vittima. Il 9 maggio 1947 la Questura di Venezia invia alla Procura della Repubblica di Venezia una relazione di 14 pagine con oggetto:

    Assassinio con sevizie efferate in persona di Cimetta Linda fu Giovanni e fu Mattana Caterina nata il 12/05/1902 a Vittorio Veneto e residente a Belluno in via Garibaldi n.12, esercente, commesso a scopo di rapina di una forte somma da: Toma Bartolomeo di Giuseppe e di Lofino Adele nato a Brindisi il 10/10/1908 abitante a Venezia S. Marco 547 e da Sardi Luigi fu Giuseppe e di Costantini Maria nato a Venezia il 28/03/1900 e domiciliato a S. Marco n.3150, gondoliere, con la sospetta complicità di Cudignotto Elisa fu Pietro e fu Meneghello Fortunata, nata a Dolo il 14/11/1891 domiciliata in Venezia S. Marco n.5471 esercente rivendita di privativa in Campo della Guerra. Un assassinio a scopo di rapina, dalle modalità particolarmente e spaventosamente efferate, ha nei giorni scorsi profondamente scosso e turbato la mite cittadinanza della laguna e le laboriose popolazioni delle province venete scrive il comandante della Squadra Mobile, commissario Dattilo, in apertura della relazione. La Cimetta - secondo la ricostruzione della Squadra Mobile - imbattutasi con uno sconosciuto al Bar Imperiale, sotto il portico dei Dai, dopo alcune trattative si è diretta con questi verso la privativa ossia il monopolio di Sali e tabacchi in Campo della Guerra. Su questa pista gli uomini della Mobile avviano l’indagine osservando e sfruttando ogni indizio. Viene così individuata la casa della tabaccaia Elisa Cudignotto e viene anche identificato lo sconosciuto, nella persona di Bartolomeo Toma. Iniziano i sondaggi preliminari e gli interrogatori in casa della Cudignotto. Dalle dichiarazioni raccolte emergono strane e stridenti contraddizioni che portano la Squadra Mobile il 1° maggio 1947 a decretare il fermo del Toma e della Cudignotto, con la convocazione in Questura anche della moglie del Toma. Emergono nuove contraddizioni. Contemporaneamente si presenta in Questura tale Cesare Vianello nato a Venezia il 28/05/1911 domiciliato in Castello, 4432, autista, il quale, per incarico ricevuto dalla signora Anna Gaiotti, amica della vittima, aveva iniziato le ricerche accurate. Vianello si trasforma in un formidabile detective, che raccoglie una mole impressionante di indizi ripercorrendo gli itinerari della Cimetta, riuscendo a ricostruire contatti e appuntamenti, oltre ad osservare la casa del Toma e anche gli atteggiamenti di quest’ultimo. Nel frattempo la moglie del Toma, Silena Panfido, nata a Venezia il 02/02/1916 residente in S. Marco 5471 dopo aver vinto le ultime perplessità ed esitazioni, narra quanto era successo il 29 aprile rivelando le indubbie azioni criminose compiute dal marito. Il maresciallo Cosentino e il vicebrigadiere Falconi della Mobile, con la collaborazione della moglie del Toma, Silena Panfido, si recano nell’abitazione per accertare gli indizi raccolti dal Vianello e dalla stessa Panfido. Dal sopralluogo i due sottufficiali, dopo aver controllato tutte le stanze, i ripostigli e la soffitta, rinvengono una scure insanguinata sotto una credenza, un fazzoletto da donna dentro il water e una ‘chiavina da cassetto’. Inoltre, c’erano delle macchie di sangue sul pavimento, nella zona sottostante un armadio e schizzi di sangue su alcune gambe delle sedie. Altre tracce di sangue sotto il lavandino del bagno, sullo stipite inferiore della porta del bagno, su di una cartella abbandonata per terra, e dietro alcuni mucchi di stoviglie accantonati in un angolo del ripostiglio contiguo al bagno. Nei successivi sopralluoghi coordinati dai commissari della Mobile, vengono rinvenuti altri significativi oggetti: una sega con probabili tracce di sangue, una borsa da signora occultata in una valigia nascosta tra le carte da macero in soffitta, un paio di occhiali da sole da donna, pacchetti di denaro per un totale di 61mila lire occultati sopra una credenza in soffitta. Si accertava altresì la scomparsa dall’appartamento di un baule di proprietà della suocera del Toma, avvenuta nel pomeriggio del 30 aprile. Tale sparizione il Toma l’aveva motivata ai familiari dicendo che aveva venduto il baule a uno sconosciuto per la somma di 5mila lire. Le stoviglie ed altri effetti personali contenuti nel baule erano state collocate in un angolo del ripostiglio, dove vennero rilevate tracce di sangue. Accertate tali circostanze, decisive al fine dell’indagine, dopo aver ottenuto il riconoscimento degli oggetti di proprietà della signora Cimetta, i sottufficiali della Mobile passano all’azione risolutiva del caso sottoponendo il Toma a serrati e prolungatissimi interrogatori. Per tutta la giornata del 1° maggio il Toma resiste ammettendo solo di aver avuto dei contatti con la signora Cimetta, negando però il delitto attribuitogli. Gli agenti della Mobile, dinanzi alla certezza del crimine, proseguono l’interrogatorio con maggiore veemenza nella giornata del 2 maggio. Alle ore 10 il Toma crolla, e ammette di aver attirato nella propria abitazione la signora Cimetta con il pretesto di consegnarle le sigarette. Ammette altresì di averla rapinata e assassinata e precisa di aver agito da solo, senza concorso morale o materiale di terzi, riuscendo ad occultare nel baule il corpo senza vita della Cimetta, per poi farlo sparire affondandolo in laguna nei pressi del cimitero di San Michele, con una gondola a nolo. Questa prima versione, tuttavia, benché determinata dalla crisi psicologica dell’imputato,

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