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La chiesa e il monastero di Sant'Uldarico: Origini e storia
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E-book342 pagine3 ore

La chiesa e il monastero di Sant'Uldarico: Origini e storia

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Storia della chiesa e del monastero in Parma, intitolati a Uldarico Vescovo di Augusta, di antichissima origine, anteriori al decimo secolo.
LinguaItaliano
Data di uscita8 nov 2021
ISBN9791220367295
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    Anteprima del libro

    La chiesa e il monastero di Sant'Uldarico - Rocco Maria Boggia

    Chi era sant’Uldarico

    «La chiesa di S.Ulderico, posta quasi al termine di via Farini, sul piazzaletto da cui s’inizia borgo Felino, non ha un aspetto esterno tale da invogliare i visitatori ad entrarvi».

    Così iniziava l’articolo di Giovanni Copertini pubblicato nel 1926 sulla rivista locale Aurea Parma³ dedicato alle arti minori, in particolare alla chiesa di Sant’Uldarico. Sempre nella stessa pagina Copertini evidenziava: «l’amore che il buon rettore di questo luogo, don Giovanni Bernardi⁴, nutre per questa sua creatura. Tale parola non ha ombra di esagerazione». Dopo 95 anni, si può dire che anche Renzo Bertoli, attuale parroco, proprio come il suo illustre antecessore, manifesti lo stesso sentimento.

    Non è possibile scrivere la storia di questa parrocchia e di questo monastero senza parlare della vita di Uldarico. La sua vicenda personale dà origine alla parrocchia o per lo meno all’intitolazione della chiesa e alla fondazione dell’attiguo monastero benedettino. Uldarico studiò presso i padri benedettini nell’abbazia di San Gallo in Svizzera e questo è il primo dei legami con il nostro monastero e con la chiesa, essendo stati anch’essi retti da monache benedettine. Il secondo è il passaggio per Parma. Esistono molte biografie di sant’Uldarico, tante quante sono le pronunce errate del suo nome italianizzato, ma qui proporrò un sunto proveniente da varie fonti, tutte però attentamente controllate e verificate dai Bollandisti⁵, che godono meritata fama di storici inflessibili.

    «Ulderico, il cui nome originario era Wodalrico, in Italia si trasformò in Ulrico, Ulderico, Uldatrico, Olderigo, Odelrigo, Dorligo, Henrico e Uldaricus nel martirologio. Egli discendeva da famiglia nobile della stirpe degli Alamanni. Suoi genitori erano Hupaldo, conte di Kiburg e Dillingen, e Thetpirga, figlia del duca di Svevia. Nacque l’anno 890 in un castello della Baviera. Era il terzo di cinque fratelli. Ancor fanciullo fu affidato ai monaci di San Gallo perché lo istruissero ed educassero. Le sue doti e la sua maturità indussero i monaci a proporgli con insistenza di abbracciare la vita monacale e restare per sempre con loro. Deve la sua formazione allo zio Adalberone,vescovo e principe di Augusta, città in cui egli ritornò alla morte del padre. Avviato nel 908 al sacerdozio dallo zio, nel suo primo anno da presbitero si recò pellegrino a Roma. Nella città eterna apprese dal papa la notizia della morte dello zio. Il pontefice, anche se Ulderico era molto giovane, gli propose di succedergli, ma egli, conscio di non avere sufficiente esperienza, declinò l’offerta. Nell’anno 923, quando la sede episcopale di Augusta rimase ancora una volta vacante per la morte del vescovo Hiltino, la popolazione di Augusta e il re di Germania Enrico I lo designarono vescovo. Accettò, e il 28 dicembre di quell’anno venne consacrato vescovo all’età di 33 anni. Divenendo vescovo di Augusta, Ulderico assumeva anche il titolo di principe: avrebbe dovuto procurare non soltanto il bene spirituale, ma anche quello materiale della sua vastissima diocesi. Inoltre, come vescovo-principe di Augusta, diventava anche uno dei grandi elettori dell’imperatore di Germania. Uno dei primi problemi materiali da fronteggiare furono le incursioni degli Ungari, a quel tempo ancora barbari, pagani e nomadi, i quali si sostentavano con la pratica del saccheggio. Augusta era ridotta ad un cumulo di macerie. La cattedrale era diroccata e la popolazione dispersa. Cercava sempre di proteggere, incoraggiare e tenere unita la popolazione. Spiritualmente e personalmente, seguiva la regola monastica, non stava mai in ozio ed escogitava sempre qualcosa da fare per la chiesa e per i sudditi. Si preoccupava di rafforzare le difese della città, perché le scorrerie degli Ungari si facevano sempre più frequenti e audaci. Si occupava personalmente della formazione spirituale e intellettuale dei futuri sacerdoti della sua diocesi. Frequenti erano le visite ai villaggi, anche a quelli sperduti sui monti. In quelle occasioni faceva radunare il popolo e lo interrogava prestando attenzione che non si diffondessero eresie. Assisteva ogni giorno al coro con i canonici della sua cattedrale, celebrava sempre la messa, e qualche volta ne diceva due o tre al giorno. Non mangiava mai carne, anche se ne poteva sempre disporre, tanto per i suoi ecclesiastici, che per le persone nobili, che passavano per Augusta. Distribuiva parte di queste vivande ai poveri e agli infermi. Non aveva nel suo letto che il semplice pagliericcio. Amministrava la cresima anche fino a tarda notte e commentava con grande fervore la Parola di Dio. Non lasciava mai il villaggio senza aver soccorso i poveri. Visitava i monasteri della sua giurisdizione, portando come consiglieri i preti e i laici più saggi. Censiva i redditi dei monasteri e sopperiva alle necessità dei religiosi. Si incontrava spesso con i sacerdoti, li interrogava sul loro apostolato, la pietà, la condotta personale e invitava gli erranti a correggersi, altrimenti consigliava loro di cambiare diocesi».

    Tutte queste qualità e atti di disinteressata bontà potrebbero a prima vista sembrare un’iperbole agiografica, ma non dimentichiamo mai che quest’uomo, perché è da questo che si parte, dall’uomo, era famoso già in vita e in un territorio vastissimo, comprendente, in quegli anni difficili, parte dell’odierna Germania e dell’Italia settentrionale.

    «Permetteva di erigere nuove chiese solo se erano state fornite di dote e se i donatori cedevano i loro diritti, davanti a testimoni, in favore del vescovo. L’anno 954 Liutolfo, figlio dell’imperatore Ottone I, si ribellò al padre. La contesa fra i due fu causa di scontri armati e di molte devastazioni. In quella drammatica situazione Ulderico, insieme a un altro vescovo, prese la decisione di affrontare l’imperatore e suo figlio e li indusse a riconciliarsi. Dopo questi fatti si sperava in un periodo di tranquillità, invece l’anno seguente gli Ungari invasero il Norico e l’Alemannia, giunsero nei pressi di Augusta e vi posero l’assedio. Appresa la notizia, Ulderico, come vescovo-principe di Augusta, assunse il comando dei soldati che difendevano la città. Fece sbarrare le porte e presidiare i punti più vulnerabili delle mura. Giunti sotto le mura di Augusta, gli Ungari immediatamente diedero l’assalto alla città, ma questa resistette. Durante il combattimento Ulderico aveva il coraggio di passare disarmato e a capo scoperto tra le fila dei difensori, nonostante che da tutte le parti arrivassero frecce e sassi. Aveva raccolto le donne e i bambini in un luogo sicuro e li esortava a implorare da Dio la salvezza della città e dei suoi abitanti. Respinto il primo assalto nemico, Ulderico fece riparare i danni più gravi alle mura. Dopo giorni di assedio, giunse notizia dell’imminente arrivo dell’esercito dell’imperatore. Gli Ungari allora tolsero l’assedio ad Augusta e si prepararono ad affrontare l’esercito imperiale. Alcuni valorosi cittadini di Augusta, tra i quali anche il fratello di Ulderico, si unirono all’esercito dell’imperatore. Lo scontro tra Ungari ed esercito imperiale fu aspro; molti i morti da una parte e dall’altra e tra questi anche il fratello di Ulderico e un nipote. Alla fine prevalse l’esercito imperiale. È questa la famosa battaglia del fiume Lech, detta anche battaglia di Augusta, che pose fine alle grandi invasioni ungariche. Dopo lo scontro armato, che causò molti morti, Ulderico si recò sul campo di battaglia e fece dare religiosa sepoltura ai caduti. Provvide poi a far lavorare i campi devastati e a ricostruire le case distrutte. Particolare cura dedicò alla chiesa di Santa Afra, che, trovandosi fuori delle mura, era stata rasa al suolo; in quella chiesa fece preparare il suo sepolcro. Completata la ricostruzione degli edifici, poiché nulla turbava la pace, Ulderico di dedicò per qualche tempo a far raccolta di reliquie di martiri, che poi fece custodire in un’arca rivestita di oro e argento. Di Ulderico, ancora vivente, si raccontano alcuni episodi prodigiosi. Una volta guadò un fiume molto ingrossato per le piogge senza bagnarsi, mentre il cappellano che lo accompagnava era fradicio fino alla cintola. Uldarico viene sempre rappresentato con in mano un pesce a ricordo di un fatto prodigioso. Una sera di giovedì, cenando con il vescovo di Costanza, i due si immersero in discussioni così elevate da perdere la nozione del tempo, restando seduti a mensa fino alla mattina successiva, di venerdì. Giunse in quel punto un messaggero del duca di Baviera che il vescovo invitò a tavola, offrendogli un piatto di carne. Il messaggero, uscendo di lì, volle diffamare il vescovo perché mangiava carne di venerdì. Se n’era messo un pezzo in tasca, come prova di quel che diceva, ma quando lo trasse fuori, si trovò in mano un pesce. Nella sua biografia, scritta poco dopo la sua morte, si legge che operava miracoli, ma non voleva che si richiedesse la sua benedizione soltanto per ottenere la guarigione. Nel 971, a oltre ottant’anni, intraprese un faticoso viaggio a Roma, dove incontrò il pontefice e, passando per Ivrea, la tradizione racconta che abbia risuscitato un bambino».

    È durante questo viaggio, l’ultimo della sua vita, che molti storici gli attribuiscono il miracolo del fiume Taro.

    «Di ritorno da Roma, giunto a Ravenna, fu ospite dell’imperatore Ottone I. In quell’occasione rinunciò al governo della diocesi, desideroso di concludere la vita in un monastero, e indicò quale suo successore il giovane nipote Adalberone. L’imperatore acconsentì e Adalberone sostituì subito lo zio. Era prassi, a quel tempo, in quelle regioni, che i vescovi venissero designati dal clero e il metropolita confermava la nomina, dopo aver ottenuto il consenso del re. In un sinodo di vescovi, riunito il 20 settembre 972, Ulderico e il nipote furono perciò aspramente rimproverati per non aver seguito la prassi normale. Adalberone chiese pubblicamente perdono e Ulderico fu convinto a ritirare le dimissioni. Radunatosi nuovamente il sinodo, Ulderico, con l’approvazione di tutti i vescovi, fece affidare al nipote l’incarico di governare, in suo nome, la diocesi. Poco tempo dopo Adalberone morì. Fu portata la ferale notizia a Ulderico il quale, senza essere stato preavvisato, era già a conoscenza dell’accaduto. Il nostro santo trascorse gli ultimi mesi di vita preparandosi alla morte, con la preghiera e la serena accettazione delle sofferenze della malattia. Distribuì i beni di cui disponeva a poveri e chierici di Augusta. Prima di morire chiese di essere deposto sul pavimento e, mentre i chierici cantavano le litanie, rese serenamente l’anima a Dio. Era il 4 luglio 973; aveva ottantatré anni ed era stato pastore di Augusta per cinquant’anni. Sulla sua tomba si verificarono subito molti miracoli e, dopo vent’anni dalla morte, fu proclamato Santo da Papa Giovanni XV. Fu quella la prima canonizzazione fatta da un papa con le procedure tuttora in uso nella Chiesa Cattolica»⁶.

    Fig. 1. Anonimo (Antonio Ferrari?)⁷, S. Olderigo. Registro delle scritture dell’Archivio dell’insigne e nobile monistero di S. Olderigo di Parma, BPPr, ms. parmense 3559, [XVIII sec.].

    Anonimo (Antonio Ferrari?)

    Fig. 2. Stemma antiqui, nobilis ac insignis monasteri S. Ulderici. Registro delle scritture dell’Archivio dell’insigne e nobile monistero di S. Olderico di Parma fatto di nuovo l’anno 1727. BPPr, ms. parmense 3561, 1727.

    Nella vita di Uldarico vi è stato un altro contatto con Parma o meglio con un suo rappresentante. Come riporta Giovanni Maria Allodi nella sua Serie cronologica dei vescovi di Parma, «[…] il nostro Vescovo Adeodato […] intervenne e sottoscrisse agli atti d’un Concilio d’Ausburgo dei 7 agosto 952. Omissis. Intervennero a questo Concilio 25 Vescovi, ed il Parmigiano è il 21, secondo il numero d’ordine. Il p. Zappata⁸ scrisse Augusta invece di Ausburgo»⁹. E in effetti padre Maurizio Zappata nel suo manoscritto¹⁰, riportando le schede di Bonaventura Sacchi¹¹, altro erudito e storico scrive: «Ex schedis Bonaventurae Sachis. Omissis. In comitis Augustaris statuta ea sunt, que habentur apud Goldastum, et episcopi qui intervenerunt infra notantur: Uldaricus Augustensis Episcopus [in quinta posizione] Deodatus Parmensis Episcopus [in ventunesima posizione]». Liberamente tradotto: «Dalle schede di Bonaventura Sacchi. Tra i conti di Augusta, come stabilito in quel luogo e verificato da Goldastum [Melchior Goldast von Haiminsfeld]¹², i vescovi che sono intervenuti tra gli altri, si annotano Uldarico di Augusta vescovo e Deodato [Adeodato] vescovo parmense». Forse i due vescovi si sono parlati ? Molto probabile.

    Secondo la tradizione orale, riferita dalle monache in un processo conclusosi nel 1772¹³, Uldarico, nel suo ultimo viaggio a Roma, nel 972, si fermò a Parma nella chiesa, poi intitolata a lui, e lì celebrò la messa, fatto che, unitamente al miracolo di far decrescere le acque del fiume Taro, fu gradito ai parmigiani, specialmente agli abitanti di questa vicìnia, perché tra tutti gli edifici sacri, preferì questa chiesetta. Questa tradizione chiama in causa anche le monache di quei tempi, che lo ritenevano già un loro santo benedettino, indizio che fa pensare alla conoscenza della giovinezza di Uldarico studente nell’abbazia benedettina di San Gallo in Svizzera:

    « […] che nel secolo IX, precorso dalla fama di santità eccellentissima e di miracoli di più strepitosi, giunse in Italia il santo vescovo di Augusta Ulderico, il quale nel transitare che fece per questa città, siccome celebrò la Santa Messa all’altare maggiore di detta chiesa, egli lasciò a questa città medesima una ben viva venerazione a quella chiesa, ed altare ove aveva celebrato; tanto più perché il Taro, che gonfio d’acque impediva il viaggiare, nel momento che il santo celebrava, decrebbero in guisa, e con tanto di portento si scemarono le di lui acque, che appena finita la Santa Messa poté il Santo continuare il suo viaggio. Che morto nel 973 il santo e canonizzato nel 993 dal sommo pontefice Giovanni XV, fu tantosto della Badessa e monache di quel tempo, attese anco le premurose istanze de’ parrocchiani, acclamato per principale padrone è protettore della loro chiesa e parrocchia, rispettivamente dalle prime per essere il Santo dell’ordine loro benedettino, e da secondi in perpetuo testimonio della ben grata rimembranza di avere fra le altre chiese più cospicue della città prescelta quella di loro parrocchia per celebrarvi la Santa Messa onde la detta chiesa da quel momento in appresso fu sempre denominata come pure in oggi si chiama chiesa e parrocchia di Sant’Ulderico».

    Quindi, secondo questa tradizione, se nell’anno 993 la chiesa e il monastero erano già esistenti, a chi erano intitolati? Forse a un altro santo? Si riporta, a titolo di esempio, la vicenda di Sant’Uldarico al Bocchetto (MI), un monastero non più esistente, fondato già nell’VIII secolo, che, prima di essere intitolato a Uldarico, ha cambiato nome almeno due volte, anzi, «l’intitolazione del monastero oscillava tra San Salvatore e Santa Maria»¹⁴.

    Padre Zappata riporta una versione lievemente diversa dalla tradizione delle monache:

    Liberamente tradotto: «La memoria di S.Uldarico fu venerata tra i Parmigiani a causa del miracolo che fece sul fiume Taro. Mentre andava a Roma, essendo le acque traboccanti celebrò la messa sul posto ed esse decrebbero e lui assieme a tutto il gruppo [è pensabile che un vescovo in viaggio avesse almeno qualche persona al seguito, considerando poi che Uldarico era già ottantenne] potè passare. Entrò in Parma forse ospite nello stesso luogo dove, poco tempo dopo la sua canonizzazione appprovata da Giovanni XV nel 993, fù eretta la chiesa. Vedi gli Atti dei Santi dell’Ordine di San Benedetto del nono secolo»¹⁵.

    Tra le molteplici memorie e tradizioni manoscritte, quella dell’erudito e archivista Antonio Bertolini¹⁶, ipotizzando che che la datazione del primo documento menzionante Sant’Uldarico, (documento emesso dal vescovo Sigifredo II¹⁷), sia da collocarsi nel 985 e cioè molto prima di quella proposta da don Giovanni Drei¹⁸ tra il 1005 e il 1015, ipotizza la costruzione della chiesa gia nel 974, chiamando in causa la devozione popolare e la costruzione della chiesa gemella di Sant’Uldarico in Piacenza¹⁹. Sembra però molto difficile l’intitolazione di una chiesa a una persona non ancora canonizzata, cosa che nel caso di Uldarico si è verificata nel 993 con la normale procedura. Comunque, ecco ciò che scrive:

    «Nell’anno di nostra salute 972 trasferitosi la per la seconda volta a Roma, Sant’Uldarico vescovo di Augusta e passando per queste parti, quando fù giunto al fiume Taro in distanza di sei miglia dalla città di Parma trovollo sì pieno e così turgido d’acque le quali cadevano precipitose dai monti, che per due giorni non era stato possibile il valicarlo. Si arrestò alla sponda del Taro, il santo, con qualche rammarico per l’importuno ritardo che interrompeva il suo viaggio pur sapendo che Dio era possente a togliere quell’ostacolo. Indotto da celeste fiducia alzò a vista del fiume un altare in cui si pose a celebrare la santa messa. Non ebbe egli si tosto compiuto il sacrificio che il Signore degli elementi frenò in un momento l’orgoglio delle acque facendo in tal maniera restringere nell’alveo ed ammansarsi che guadatele senza pericolo poté proseguire felicemente il cammino. Portata in questa città la fama di un tale prodigio succeduto in gli occhi di moltissimi passaggieri che cagionò meraviglia e venerazione al santo vescovo ma aumentatasi questa dalla notizia di altri successivi miracoli con quali Dio si compiacque di comprovare la santità del suo servo Uldarico passato alla gloria eterna indi a 2 anni stimolò i cittadini di Parma ad ergere al di lui nome una chiesa (in) tale vicinia ma (a) distanza dalla città, nell’anno 974 e in quel medesimo sito appunto dove il santo nel passare avea fatta dimora. Ebbero i cittadini nella nuova fabbrica un tale impulso di divozione

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