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Duplici battaglie
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E-book200 pagine2 ore

Duplici battaglie

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Info su questo ebook

Reduce dalla battaglia di Waterloo e ferito profondamente nel corpo e nello spirito, il maggiore Hugo Stratton è un uomo diverso dal giovane spensierato che ha animato per anni i sogni di Emma Fritzwilliam. Eppure, benché convinto di no avere molto da offrire a una donna, quando il comportamento sventato di suo fratello Kit mette in pericolo la reputazione di Emma, lui si offre di sposarla per zittire le malelingue. E lei, che dietro l'amarezza di Hugo ha intravisto l'uomo di un tempo...
LinguaItaliano
Data di uscita10 mar 2021
ISBN9788830526815
Duplici battaglie
Autore

Joanna Maitland

Tra le autrici più amate e conosciute dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Duplici battaglie - Joanna Maitland

    Copertina. «Duplici battaglie» di Maitland Joanna

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Marrying the Major

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2002 Joanna Maitland

    Traduzione di Daniela Mento

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2003 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3052-681-5

    Frontespizio. «Duplici battaglie» di Maitland Joanna

    Prologo

    Emma Fitzwilliam si accomodò meglio fra i rami della sua quercia preferita, notando che si era fatta un altro strappo nel suo vestito di cotonina. Ma che importanza aveva? Non ci si poteva arrampicare sugli alberi senza farsi qualche strappo ai vestiti e del resto la sua vecchia governante era abituata a vederla tornare a casa sporca, strappata e spettinata.

    Ormai aveva quasi desistito dalla speranza di fare di lei una vera signora come avrebbe voluto la mamma. Emma era troppo ribelle e troppo vivace per darle retta, anche quando le ripeteva che sua madre sarebbe morta di crepacuore se l’avesse vista così. Ma la mamma era già morta, purtroppo, da tanti anni ed Emma non perdeva le sue abitudini da maschiaccio, benché avesse ormai tredici anni.

    Perciò tirò fuori di tasca un libro e una mela che cominciò subito a sbocconcellare. Diventare una vera signora sarebbe stato così noioso, pensò, anche se prima o poi si sarebbe dovuta rassegnare a comportarsi in maniera più femminile. Ma per il momento era troppo divertente correre per i campi, arrampicarsi sugli alberi, rubare la frutta matura e inseguire gli agnellini nei pascoli, nuotare e pescare nei torrenti. Le vere signore non potevano fare niente del genere e di certo si annoiavano a morte quando andavano a passeggio con le amiche. Dovevano sempre uscire scortate da un valletto o da una cameriera e camminare rigide come se fossero inamidate nei loro vestiti perfettamente puliti e stirati.

    Una vera signora non rideva mai come faceva lei, le ripeteva sempre suo padre. Sorrideva, di tanto in tanto, e qualche volta si lasciava andare a qualche timida risatina, solo se la battuta di un gentiluomo era terribilmente divertente. Davvero un’ingiustizia, pensava Emma. Perché gli uomini potevano continuare a ridere, a pescare e a nuotare nei torrenti anche da adulti, ma le donne dovevano restarsene a casa a ricamare, a suonare il pianoforte e a bere il tè?

    Lei ricamava male, non sapeva suonare il pianoforte e non aveva nemmeno molta simpatia per il tè. I pasticcini le piacevano moltissimo, naturalmente, ma non il tè. Meglio le mele verdi come quella che stava mangiando e il canto degli uccelli che faceva da sottofondo musicale, mentre leggeva un libro di avventure dondolandosi fra i rami della vecchia quercia.

    «Lord Hardinge e il suo amico chiedono di salutare voi e la signorina Emma» disse il maggiordomo entrando nello studio di sir Edward Fitzwilliam, il padre di Emma.

    «Li ricevo subito, Godfrey» fu la risposta. «Mia figlia non è in casa? Non me ne meraviglio» aggiunse a un cenno di diniego del maggiordomo. «Emma non è il tipo da rimanere in casa in una bella giornata come questa. Starà correndo per i prati o inseguendo qualche scoiattolo sui rami di un albero.»

    Sir Edward sorrise alle proprie parole pensando che non era affatto una battuta. Era esattamente quello che Emma stava facendo, con ogni probabilità. Aveva tanto desiderato un figlio maschio e il destino gli aveva concesso solo una figlia femmina, ma più vivace e spericolata di qualunque ragazzo della sua età.

    «Comunque può darsi che Emma torni a casa, se ha visto arrivare il giovane lord Hardinge e il suo amico. In fondo Richard è come un fratello maggiore per lei e credo che anche Hugo le sia molto simpatico» commentò parlando a se stesso, mentre il maggiordomo andava ad avvertire i visitatori.

    C’erano momenti in cui la sua cara moglie gli mancava più che mai. Avrebbe tanto voluto che fosse ancora accanto a lui e che potesse aiutarlo ad allevare una figlia così scatenata e ribelle.

    Godfrey aveva fatto entrare i due giovani visitatori nel suo studio. Lord Richard Hardinge e il suo amico Hugo Stratton erano molto simili, entrambi alti e bruni, allegri e spensierati. Non c’era da stupirsi che piacessero a Emma, perché erano il ritratto della gioventù e della salute.

    «Avevo scommesso con Hugo che non avremmo trovato Emma in casa» disse Richard a sir Edward, mentre lui e l’amico entravano nel suo studio. «È impensabile che sprechi una così bella giornata restando a casa.»

    «Tu conosci bene Emma» commentò sir Edward facendoli accomodare davanti alla sua scrivania. «Ma può darsi che mia figlia ci faccia l’onore di tornare, se vi ha visto arrivare.»

    «Forse sarebbe meglio se Hugo e io andassimo a cercarla. Conosco tutti i suoi nascondigli e purtroppo lui non può rimanere molto ad aspettarla.»

    «Devo partire al più presto per imbarcarmi, sir Edward» spiegò Hugo. «Il mio reggimento domani lascerà l’Inghilterra per raggiungere la Spagna. Daremo una bella lezione a Bonaparte. Questi sono i momenti in cui non rimpiango di essere un figlio cadetto.»

    «Come vi capisco» gli disse sir Edward. «Anch’io, alla vostra età, ero come voi. Niente mi avrebbe trattenuto dal partire per combattere, se avessi potuto.»

    «Purtroppo per me sarà sempre un sogno partecipare a una battaglia» sospirò Richard. «Non solo per le condizioni di salute di mio padre, ma perché non ho altri fratelli e sono l’unico erede del suo titolo. Lui e mia madre non mi permetterebbero mai di partire.»

    «Ti racconterò ogni cosa nelle mie lettere, Richard.»

    «Non sarà la stessa cosa.»

    «Comunque, prima di partire, non potevo fare a meno di venire a salutare voi, sir Edward, e la vostra adorabile figliola.»

    «Adorabile? Quel maschiaccio? Sì, è adorabile, dopotutto» ammise sir Edward con il comprensibile orgoglio di un padre. «Ma non potrà continuare ancora a lungo a comportarsi come un capretto selvatico. Presto non le permetterò di allontanarsi da sola da casa e non uscirà se non scortata da una cameriera o da un valletto, come una vera signora. Dovrò essere più severo e tenerla al guinzaglio.»

    «Un vero peccato» commentò Hugo. «Emma è bella come un fiore selvatico, e altrettanto incantevole.»

    «Sei ammattito? Perché hai parlato così di Emma a suo padre?» chiese Richard a Hugo, mentre vagavano per il parco intorno a Longacres, la residenza di campagna dei Fitzwilliam, cercando invano la figlia di sir Edward.

    «Perché lo penso davvero.»

    «Adorabile? Per tutta la sua infanzia non ha fatto altro che tormentarmi con i suoi scherzi e seguirmi come un cagnolino. Non potevo andare da nessuna parte senza avere lei alle calcagna.»

    «Te ne lamenti?» chiese Hugo mentre avanzavano fra gli alberi di un boschetto.

    «No, è simpatica, dopotutto. Molto simpatica.»

    Emma, sui rami della sua quercia, aguzzò le orecchie e distolse lo sguardo dal libro che stava leggendo. Voci nel bosco? Qualcuno si stava avvicinando. Forse qualche servitore era venuto a cercarla mandato da suo padre. Eppure non era ancora l’ora di cena.

    «Così ammetti che ti è simpatica?» chiese Hugo continuando a camminare.

    «Certo che Emma è simpatica! Ma quanto a buone maniere, è peggio di una capra.»

    Emma, qualche metro sopra di lui, trasalì. Era quello che Richard pensava di lei? E lo stava dicendo a Hugo? Accidenti a lui! Gliel’avrebbe fatta pagare cara!

    «Mi sembra che tu esageri, Richard.»

    «È un monello, non una fanciulla. Certo, è graziosa, ma è sempre in movimento, non sta mai ferma un attimo. Ride, canta, grida. Non si può dire di certo una signora.»

    «Non è ancora una signora. Ha solo tredici anni» cercò di giustificarla Hugo.

    «Hai mai visto i suoi vestiti? Strappi dappertutto, macchie di fango. Credo che la sua povera governante sia quasi impazzita nel tentativo di tenerla pulita. Ecco qualcosa che non riuscirei mai a immaginare: Emma pulita e ordinata, con i capelli a posto e senza terra sotto le unghie. Credo che se la vedessi così non la riconoscerei.»

    «Richard, sei davvero troppo severo con lei!»

    Emma si sentì così umiliata e arrabbiata per quanto Richard stava dicendo di lei, che fece un gesto di stizza e il torsolo della mela che stava mangiando le sfuggì di mano. Avrebbe potuto tradire la sua presenza, ma per fortuna non cadde a terra. Rimase impigliato in un ramo sottostante, dondolando al vento.

    «Francamente non mi sembra bello parlare così della figlia del tuo vicino» continuò Hugo mentre passavano sotto la quercia.

    «Sir Edward è un vero gentiluomo, ma purtroppo è rimasto vedovo troppo presto. Sua moglie è morta dando alla luce la loro unica figlia ed Emma non ha mai avuto nessuno che l’educasse sul serio.»

    «Sarà così, ma a me pare deliziosa. Mi dispiace dover partire senza salutarla.»

    Hugo partiva? Dove andava?, si chiese Emma.

    Intanto il torsolo di mela continuava a dondolare, sospeso alla forcella del ramo sottostante.

    «Sai dove credo che sia andata? Nel frutteto dei suoi vicini. Va sempre a rubare la frutta sugli alberi, per mangiarsela in santa pace seduta in riva al torrente.»

    «Che ragazza straordinaria!»

    «Se non la troviamo nel frutteto, ce ne andremo senza salutarla. Farà il diavolo a quattro quando saprà che sei partito senza porgerle i tuoi omaggi. Emma crede di essere davvero la signora e padrona di questi luoghi e si seccherà moltissimo. Ben le sta. Seguimi, vedrai che la troveremo nel frutteto, arrampicata su qualche albero.»

    Richard andò avanti, ma Hugo rimase un po’ indietro. In tempo per vedere un torsolo di mela che ruzzolava giù da un ramo della quercia. Si fermò e lo raccolse, mentre Emma tratteneva il fiato qualche metro sopra di lui.

    Hugo rise, ma non guardò in alto, benché immaginasse a chi fosse caduto quel torsolo.

    «Che strano!» commentò ad alta voce in modo che lei lo potesse sentire. «Non sapevo che le mele crescessero sulle querce. E mele già mezzo mangiate. Che denti aguzzi deve avere questo scoiattolo, e quanto deve essere grande. La prossima volta che verrò da queste parti, mi porterò un fucile.»

    Aveva capito che lei era nascosta fra i rami della quercia, ma non l’aveva smascherata. Era un vero gentiluomo, galante e discreto, che non voleva mettere in imbarazzo una fanciulla.

    Così Hugo se ne andò ed Emma, appena lui sparì dietro a Richard, scese in fretta dalla quercia e corse verso casa. Le sarebbero bastati solo dieci minuti e l’aiuto della sua vecchia governante per pettinarsi e cambiarsi. Doveva essere perfetta, almeno per una volta. Si sarebbe presentata a Hugo e a Richard come una vera signora e allora quell’antipatico del suo amico avrebbe dovuto rimangiarsi tutti i suoi insulti oltraggiosi.

    1

    Quando fu in vista di Hardinge Hall, la residenza dei conti di Hardinge, Emma rallentò il galoppo della sua giumenta. Arrivare da sola, senza nemmeno un valletto che la scortasse, era già un comportamento abbastanza spregiudicato per una signora, senza peggiorarlo entrando al galoppo nella tenuta del suo vicino di casa. Ma Emma era ansiosa di rivedere Jessamyne, la moglie di Richard, che considerava come una sorella.

    Richard e Jessamyne, che tutti chiamavano Jamie, si erano sposati e avevano avuto un figlio. Poi erano partiti per il continente alla ricerca di un loro amico. Mancavano ormai da mesi e in quel periodo Emma non era riuscita nemmeno a ricevere una lettera da loro. Le comunicazioni con la Francia e il Belgio erano ancora molto difficoltose, anche se la guerra era finita da un anno e Napoleone era ormai a Sant’Elena e non avrebbe più potuto nuocere a nessuno.

    Entrando nella tenuta vide alcune persone sedute sotto l’antica quercia, sul prato davanti alla casa: due uomini, uno di loro era Richard, un bambino e la sua balia. Com’era cresciuto il piccolo Dickon!, pensò Emma riconoscendo il suo figlioccio. Doveva avere ormai un anno e camminava sull’erba con qualche difficoltà, sostenuto dalla balia. L’altro uomo era del tutto sconosciuto a Emma, ma quando si voltò e vide il bambino che andava verso di lui, sorrise in un modo che la riportò indietro negli anni. Il suo viso, da serio e malinconico, era ringiovanito di colpo con il sorriso. Prese in braccio Dickon e lo alzò verso il cielo ridendo con lui.

    Ma Emma non si fermò, per quanto fosse rimasta colpita dallo sconosciuto. Avrebbe chiesto più tardi chi era, adesso voleva solo rivedere Jamie. Se non era con suo marito e l’ospite, doveva essere in casa. Perciò lasciò la sua giumenta a un garzone uscito dalla stalla e chiese dove fosse la signora contessa.

    «È in casa, signorina Fitzwilliam. Ma...»

    Emma non stette nemmeno a sentire che cosa lui le volesse dire.

    «Signorina Emma, che piacere rivedervi!» la salutò il maggiordomo venendo a riceverla sulla porta. «Avvertirò subito la signora contessa del vostro arrivo. Se volete accomodarvi nel salotto blu...»

    «Digby, non credo proprio che ci sia bisogno di tante formalità fra me e la signora contessa. Immagino che sia nel suo salottino privato, perciò andrò direttamente a salutarla.»

    «Sì, però...» cercò di opporsi il maggiordomo.

    Ma anche questa volta Emma non prestò alcuna attenzione a quello che volevano dirle. Arrivò alla porta del salottino privato di Jamie, bussò e non attese che lei le dicesse di entrare.

    «Emma!»esclamò la contessa vedendola. «Sapevo che saresti venuta a trovarmi non appena saputo che ero tornata.»

    Jamie cercò di alzarsi dal divano dov’era sdraiata, ma non ci riuscì. La sua figura era notevolmente appesantita da un’avanzata gravidanza.

    «Non mi avevi detto di essere incinta, quando sei partita!» si meravigliò Emma andando ad abbracciarla.

    «Non lo sapevo.»

    «Non sapevi di essere incinta? Ma a giudicare dal tuo aspetto, il bambino nascerà fra poco.»

    «Sono due gemelli, Emma, e non nasceranno che il prossimo autunno. Anzi, la levatrice che mi ha visitato a Bruxelles dice che i gemelli nascono sempre in anticipo, ma il parto non avverrà prima di ottobre.»

    Jamie sembrava affaticata, ma felice.

    «Sono un po’ preoccupata» ammise, «e anche Richard lo è. Ma siamo sicuri che andrà tutto bene.»

    «Certo, andrà tutto bene...» ripeté Emma sperando che fosse vero.

    «Non guardarmi così. Anche Richard aveva una strana espressione quando gliel’ho detto, ma io gli ho assicurato che sono forte e che ce la farò.»

    Emma pensò a che cosa sarebbe successo se Richard avesse perso Jamie. I suoi due amici si amavano teneramente; la loro era una delle coppie più felici che conoscesse. Intanto Jamie raccontava del suo viaggio sul continente.

    «Scusa, non stavo ascoltando quello che dicevi» la interruppe a un certo punto

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