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Una sposa per il duca
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E-book271 pagine4 ore

Una sposa per il duca

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1815 - Sophie Trevelyan e il Duca di Harcourt non potrebbero essere più diversi. Tanto è spontanea e piena di vita Sophie, quanto Max è introverso e autoritario. Per questo la proposta di matrimonio di quest'ultimo sorprende non poco la fanciulla, che comunque accetta, consapevole del fatto di nutrire per quell'uomo chiuso e solitario un'insolita attrazione. In realtà Max l'ha chiesta in moglie per sottrarla alle attenzioni di Lord Wivenhoe, che lui ritiene responsabile della morte della donna che amava. Tuttavia la sua promessa sposa non gli è certo indifferente, anche se ne biasima l'esuberanza, secondo lui inadatta alla rigida etichetta dell'alta società. Ma quando improvvisamente lei scompare nel nulla, il Duca di Harcourt impara a proprie spese che il vero amore non ha bisogno di catene.
LinguaItaliano
Data di uscita19 set 2017
ISBN9788858970201
Una sposa per il duca

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    Una sposa per il duca - Lara Temple

    successivo.

    1

    Londra 1819, estate

    Sophie osservò la sua preda. Il carlino tarchiato giaceva nel bel mezzo di un enorme cuscino di velluto verde pallido sistemato in posizione strategica accanto al caminetto nel secondo salotto, altrimenti definito salotto di Marmaduke, ma mai quando la padrona di casa avrebbe potuto sentire.

    «Ci siamo solo tu e io, Marmaduke. E non ho intenzione di tirarmi indietro.»

    Niente, non un fremito nel corpo grassoccio. Sapeva che era sveglio, perché aveva gli occhi aperti, ma sembrava inebetito, gli occhietti da rana fissi sulla tappezzeria stinta oro e cremisi, il fondoschiena rivolto verso di lei come una sfida.

    «È molto semplice, duca. Se non lasci che ti porti a spasso come ha ordinato il dottore, zia Minnie mi metterà sulla prossima corriera per Ashton Cove, Arthur l'odioso manterrà il record per il soggiorno più lungo presso il mausoleo di zia Minnie, ma, soprattutto, sarò costretta a tornare a casa, e per ora non ne ho proprio nessuna voglia. Per Augusta e Mary può essere stato un inferno, ma anche se non posso esplorare Londra, per me è meraviglioso starmene per conto mio senza nessuno che mi critichi, o pretenda qualcosa da me. A parte la lettura quotidiana ad alta voce per zia Minnie, ovviamente. È chiaro che tu non hai la benché minima idea di cosa significhi vivere in nove in una casa piccola, per non parlare dei parrocchiani di papà, la maggior parte dei quali è convinta che io sia stata scambiata nella culla dalle fate. Ora capisci perché mi serve il tuo aiuto?»

    La mandibola del carlino si aprì e la lingua rosea si srotolò fuori, oscillando al ritmo accelerato del respiro. Lei sapeva che non aveva idea di cosa gli avesse detto, quindi era improbabile che stesse ridendo di lei, ammesso che i cani ridessero. Sarebbe stata lei a ridere di se stessa, se la questione non fosse stata tanto seria. Quando era arrivato il suo turno di essere convocata presso la dimora londinese di zia Minerva Huntley, era stata entusiasta, nonostante gli orrori che le sue sorelle maggiori le avevano raccontato delle rispettive permanenze. Era stato loro proibito di allontanarsi oltre i giardini di fronte a casa, parlavano soltanto alla servitù, consumavano i miseri pasti confinate nella loro stanza, mentre sembrava che nelle camere di zia Minnie si banchettasse, ed erano state rispedite a casa dopo pochi giorni. Nessuna era durata più di una settimana e nessuno, nemmeno il cugino Arthur, aveva avuto fortuna con Marmaduke.

    Il compassionevole maggiordomo di zia Minnie le aveva fatto capire che gli altri due carlini di casa erano più docili, ma nessuno aveva il coraggio di affrontare il prediletto della padrona, perché l'animale aveva l'abitudine di emettere lamenti tanto striduli e strazianti che l'ultimo domestico che aveva tentato di fargli fare un po' di esercizio era stato licenziato in tronco. Sophie sapeva che le probabilità di successo erano scarse, ma, a parte le sue necessità, era davvero convinta che a Marmaduke il moto avrebbe fatto molto bene.

    «Non pensare che io odi Ashton Cove, duca» disse alla schiena del carlino. «Però dobbiamo affrontare i fatti. Alla mia famiglia non servo molto così come sono. Ammesso che fossi stata disposta ad accettare la proposta di uno degli uomini che avevano dimostrato un certo interesse per me, sono riuscita a indurre tutti a scappare prima che avessero il tempo di dichiararsi. Augusta ripete sempre che il mio contributo al lavoro di papà nella parrocchia è che sono brava con gli eccentrici e con gli animali, perché la pensiamo allo stesso modo. E invece eccomi qui, a Londra, con un animale e un'eccentrica reclusa, senza offesa per zia Minnie, e non sto facendo alcun progresso. Non potresti fare un piccolo sforzo, così dimostrerò che servo a qualcosa? Se riuscirò a dimostrare alla zia che ti sto aiutando a seguire gli ordini del medico, potrebbe lasciarmi restare un po' di più e forse riuscirei a esplorare la città. Che ne dici, duca, di una passeggiatina? Ti prometto che sarà divertente.»

    Le sue parole seguirono le precedenti nel silenzio e Sophie rimase a fissare il canide, statico come un Buddha. Era chiaro che le parole non sarebbero bastate, quindi trasse un respiro profondo, lo sollevò dal cuscino e si diresse verso la porta d'ingresso. La sua mossa, degna dei migliori attacchi a sorpresa di Wellington, confuse a tal punto Marmaduke che la bestiola non reagì nemmeno quando lei attraversò la strada ed entrò nei giardini. Quando furono al sicuro, annodò un robusto cordone da tenda al nastro di velluto al collo dell'animale, lo depositò sull'erba e guardò il suo prigioniero. Lui la fissò a sua volta, gli occhi sgranati, la bocca chiusa. Poi la sua testa girò un po', osservando i giardini, i piccioni che becchettavano tra la ghiaia, una bambinaia che accompagnava due bambini lungo un sentiero, gli alberi che oscillavano nella brezza primaverile.

    «Visto? Non è poi così male, vero?» Sophie venne ricompensata da un ringhio sommesso quando un piccione si mosse minaccioso verso di loro. Marmaduke si alzò sulle zampe posteriori, il piccione spiegò le ali e svolazzò via. L'incoraggiamento fu più che sufficiente e Marmaduke, che Sophie non aveva mai visto percorrere più di una iarda per volta, in genere per passare dal cuscino alla ciotola d'argento con il cibo, mostrò di essere capace di muoversi molto in fretta. Lei scoppiò a ridere e strinse il cordone, correndo dietro il suo protetto grassoccio mentre il carlino cercava di liberare i giardini da ogni forma di volatile. Dopo dieci minuti ansimava visibilmente, la lingua penzoloni, la mandibola spalancata in un ghigno allarmante. Sophie decise che per quel giorno poteva bastare, quindi lo prese in braccio ancora una volta, avviandosi verso Huntley House.

    La bestiola giacque tra le sue braccia ansimando, con un tale abbandono che Sophie pensò non avesse più alcuna energia. Mentre attraversavano la strada, invece, Marmaduke scorse un altro volatile sul marciapiede e, con un balzo eccezionale, saltò a terra e partì all'inseguimento. Sophie fu tanto sorpresa che non riuscì ad afferrare il cordone e rimase a guardarlo serpeggiare dietro il carlino.

    Dopo un secondo di panico, partì all'inseguimento.

    «Duca! Fermo!» esclamò secca, più speranzosa che convinta. Marmaduke non l'ascoltò, ma un uomo e una donna che passeggiavano sul marciapiede si fermarono bruscamente, e Marmaduke si gettò sugli stivali assiani dell'uomo. Quella sosta fu sufficiente per Sophie, che ne approfittò per afferrare il cordone e girarselo intorno al polso.

    «Adesso tu te ne torni a Sant'Elena, piccolo dittatore traditore che non sei altro. Questa è l'ultima volta che ti porto a passeggio, se mi ripaghi così.»

    Marmaduke le rivolse un'occhiata altezzosa, poi annusò gli stivali che erano stati la sua Waterloo.

    Sophie alzò lo sguardo, rivolgendo un'occhiata di scuse alla coppia che era stata sua complice involontaria.

    «Sono desolata, ma vi ringrazio per averlo fermato. Zia Minerva non mi avrebbe mai perdonata, se fosse scappato. È il suo preferito, benché io non riesca a capire perché. Non fa che starsene sul suo cuscino a fissare il muro. Fino a oggi pensavo che si muovesse a malapena.» Sophie abbassò lo sguardo sul colpevole. «Per essere sinceri, è stata una bella dimostrazione di spirito, Marmaduke, ma forse hai un po' esagerato. Meglio provare per gradi, non credi?»

    La donna, che portava i capelli scuri raccolti sotto un cappellino alla moda rivestito di seta lilla e indossava un abito da passeggio in stile militare color indaco con i risvolti argento, sembrò allibita, ma poi spostò lo sguardo sull'uomo alto al suo fianco e scoppiò in una risatina, un suono incongruo per una persona così elegante. Sophie, dopo aver osservato con una punta di invidia gli abiti alla moda, spostò l'attenzione sull'uomo ed ebbe la bizzarra impressione di trovarsi di fronte alla statua magnifica di una potente divinità vendicatrice. Era immobile, a eccezione degli intensi occhi grigio scuro, che si socchiusero un po' nel momento in cui incrociò il suo sguardo. Sophie ricordò all'improvviso la sera in cui si era persa nel giardino dei suoi cugini della Cornovaglia a St. Ives e si era imbattuta in una scultura greca di Marte. Era rimasta impietrita, minuscola al cospetto del corrucciato Dio della guerra, illuminato dalla luna e seminudo. La paura l'aveva immobilizzata, finché la razionalità non aveva prevalso ed era corsa a casa.

    Lui accennò un inchino e quell'impressione si dissipò, lasciando soltanto una sensazione peculiare, come il silenzio quando si lasciava un'assemblea rumorosa, e dandole l'impressione di essere diversa e del tutto fuori luogo.

    «Non c'è alcun problema» pronunciò lui con una voce profonda e languida che mascherava a stento l'impazienza. «Siamo stati lieti di esserle utili. Comunque, sono del parere che un guinzaglio funzionerebbe meglio di un cordone.»

    Sophie si riscosse e ribatté, imbarazzata. «Lo so, ma zia Minnie non ama uscire e si rifiuta di comprare un guinzaglio. Mi rattrista molto, perché è chiaro che questo animale ha bisogno di esercizio. Guardatelo, povera creatura.»

    Tutti abbassarono lo sguardo su Marmaduke, che si era seduto, solido come un piccolo macigno, la lingua rosea penzoloni, l'espressione compiaciuta. Il volto duro e inflessibile dell'uomo si rilassò accennando un sorriso. Un sorriso molto gradevole, pensò Sophie, sorpresa da quella trasformazione. L'impressione di essere diversa si acuì.

    «Non sono sicuro che si possa definire una povera creatura. Mi sembra parecchio viziato. Zia Minnie è per caso Lady Minerva Huntley?»

    «Sì, la conoscete?»

    La coppia si scambiò un'occhiata divertita e al tempo stesso carica di significato. Con una punta di invidia inconsueta Sophie pensò che dovevano essere molto affiatati.

    «Per la verità, no» rispose la donna. «Ormai non esce più molto. Però la vedevamo spesso quando eravamo bambini e prima che Lord Huntley se ne andasse. Era magnifica. Siete sua ospite?»

    «Sì, sono sua nipote, nonché il suo più recente animale da compagnia.»

    Gli occhi grigi della donna scintillarono divertiti. «Animale da compagnia?»

    Sophie arrossì, stava lasciando che l'imbarazzo la inducesse a parlare in quel modo disinibito che faceva morire di vergogna i suoi genitori. «È una cosa orribile da dire, vero? A modo suo è molto... gentile. Be', vi ringrazio ancora, sarà meglio che Marmaduke e io torniamo a casa, prima che sentano la nostra mancanza. Buona giornata.»

    Sorrise e si voltò verso Huntley House, strattonando il cordone, ma sembrava che Marmaduke avesse esaurito le sue energie, per quel giorno, e si lasciò tirare solo pochi pollici. Calò un silenzio imbarazzato e Sophie arrossì mentre si chiava per prenderlo in braccio.

    «Sei davvero impossibile, duca. Quello sguardo innocente non mi inganna!» lo informò. Dopo un ultimo cenno del capo verso la coppia, che si augurò contenesse almeno una parvenza di dignità, si diresse verso Huntley House. Chiuse gli occhi quando si rese conto di quanto doveva essere sembrata ridicola a quella coppia elegante. Senza dubbio in quel preciso momento i due stavano ridendo alle sue spalle. Era una fortuna che i suoi genitori non avessero assistito alla sua prima, catastrofica interazione con altri esseri umani al di fuori dei domini di zia Minnie. Strinse Marmaduke, confortata dal suo respiro rapido.

    Se non altro quel giorno era riuscita a combinare qualcosa di buono, quantomeno per il carlino.

    2

    Max seguì con gli occhi la giovane finché non scomparve oltre l'ingresso del numero 48, poi spostò lo sguardo divertito sulla sorella. «Abbiamo la conferma» decretò. «La pazzia è ereditaria, Hetty.»

    Sua sorella scoppiò a ridere e scosse il capo, mentre si incamminavano verso Brook Street. «Sciocchezze, Max. Dubito che quella ragazza, o Lady Huntley, siano più pazze di me. Lady Huntley si gode la sua fama di eccentrica reclusa. A quanto mi racconta la mia cameriera, è perfettamente informata di tutti i pettegolezzi di Londra. E probabilmente quella giovinetta si annoia a morte ed è felice di parlare con chiunque, se è l'ultima dei parenti che Lady Huntley ha chiamato a tenerle compagnia. Quella donna sembra avere più cugini e parenti indigenti di chiunque abbia mai conosciuto. Possiede una fortuna, ma se dovesse dividerla tra loro, a ognuno andrebbe una miseria.»

    «Forse la sua ultima ospite spera che i cani di Minnie la Pazza la aiutino a ereditare l'intera fortuna. Sembra ben felice di conversare con quel... cane, ammesso che si possa definire tale. È quasi riuscita a convincermi che la capisca.»

    «Sei così cinico, Max. Immagino che anch'io finirei a parlare con i cani se fossi costretta a trascorrere più di un giorno là dentro. Ho sentito che a volte Lady Huntley non rivolge la parola per giorni ai suoi parenti, si limita a inviare ordini tramite il maggiordomo. E una volta ne ha mandata via una con il postale della sera con soli venti minuti di preavviso! Non posso immaginare cosa succederebbe a quella povera bambina se perdesse il carlino preferito di Minnie la Pazza.»

    «Probabilmente si ritroverebbe confinata nelle cantine, o peggio. Tuttavia penso che potrebbe essere felice di venir allontanata, perfino con il postale della sera. E non mi sembra una bambina. Avrà ventitré, forse ventiquattro anni.»

    Hetty sbuffò in modo del tutto inappropriato per una gentildonna. «Lungi da me discutere il tuo verdetto da fine conoscitore delle questioni femminili. Sei sicuro di non poter stabilire la sua età con maggior accuratezza? Oppure non era così bella da meritare un esame più accurato?»

    «Non essere sarcastica, Hetty. Era graziosa, ma non mi piacciono le signorine di campagna impertinenti, nemmeno quelle tanto originali. Troppo stancanti.»

    Hetty sospirò. «In verità non ti piace nessuno, Max caro. Per favore, sforzati di essere un po' più positivo quando arriveremo da Lady Carmichael. Lei e Lady Penny resterebbero sbigottite dai tuoi commenti taglienti. Comportati bene!»

    Max si costrinse a tacere un commento riguardo alla giovane donna che la sorella gli aveva recentemente proposto come potenziale sposa. Forse avrebbe dovuto imparare davvero a non formulare giudizi avventati. Dopotutto aveva parlato a Lady Penny soltanto una volta, durante una serata noiosissima ad Almack's, e non poteva essere sorpreso se tutto ciò che lei aveva detto era stato solo un campione di tutte le futilità che le giovani donne ritenevano ci si aspettasse da loro in circostanze simili. Per essere sinceri, sembrava proprio, come sosteneva Hetty, una ragazza graziosa, dolce, modesta e di ottima famiglia. Sarebbe stata una buona Duchessa di Harcourt, nonché madre dei suoi figli. A ogni modo, se davvero l'avesse giudicata troppo noiosa, sua sorella gli aveva assicurato che aveva in mente altre tre candidate.

    Avrebbe dovuto dimostrare a Hetty un po' di gratitudine per l'aiuto che gli stava dando nel tener fede alla sua promessa, tanto scomoda quanto ineluttabile. Il pensiero di attraversare da solo la foresta di debuttanti e fanciulle da marito era più temibile di qualunque campagna militare avesse intrapreso. Piuttosto che trascorrere i mercoledì sera da Almack's avrebbe quasi preferito tornare ad affrontare Napoleone. Aveva proprio bisogno di Hetty, dato che era la più esperta delle sue cinque sorelle in questioni sociali. Fino al suo matrimonio, avvenuto cinque anni prima, aveva conosciuto chiunque contasse tra le persone più importanti di Londra. «È già la seconda volta che vengo rimproverato, oggi, Hetty. Abbi pietà» ribatté con un sorriso contrito.

    Lei ridacchiò. «È stato proprio divertente. Ed è riuscita a mettere in riga un duca, anche se si trattava di te, e non del cane. Se dovessi mai sentire la necessità di farti abbassare la cresta, racconterò questo aneddoto ai tuoi amici. Tutti ti prendono troppo sul serio.»

    «Se lo farai, potrei vedermi costretto a raccontare alcune delle tue marachelle infantili più imbarazzanti» la mise in guardia Max. «Mi sono sentito già abbastanza a disagio. Paragonare quella palla di pelo a Napoleone a Sant'Elena! Mi sembra davvero troppo. Quella ragazza non sa come comportarsi in città, se ne va in giro a parlare con gli sconosciuti in quel modo. Finirà nei guai.»

    Hetty aspettò che avessero attraversato Mount Street prima di ribattere. «Mi dispiace per lei. Sembrava così desiderosa di parlare. Forse dovrei andare a presentarmi, finché sono in città. Sai che ho sempre cercato una scusa per attraversare i portali del mausoleo degli Huntley.»

    Max le sorrise. «Hai il cuore tenero, Hetty» replicò. «Ricordi cosa accadde a nostra madre, quando si recò a trovare Minnie la Pazza dopo la morte di Lord Huntley? Sicura di voler rischiare un'umiliazione del genere?»

    «Accadde tanti anni fa. E poi la mamma non ha mai avuto né tatto né compassione, non mi stupisce che sia stata mandata via. Hai solo paura di Minnie la Pazza.»

    Si fermarono di fronte a un'elegante dimora all'angolo con Brook Street e Max sospirò, rassegnato. «Per la verità preferirei trascorrere il pomeriggio con lei che da Lady Carmichael. Vorrei non aver promesso a nostro padre che mi sarei sposato entro dieci anni. Allora i trentun anni mi sembravano lontanissimi, un prezzo equo da pagare per avere il suo permesso di unirmi alle truppe di Wellington in Spagna.»

    «Penso che ti avrebbe consentito di arruolarti ugualmente. So quanto significasse per lui il titolo, ma era fissato con il dovere e non vide mai niente di male nel tuo desiderio di servire il nostro Paese. Voleva solo essere certo che ti saresti sposato. Penso temesse che non lo avresti fatto... dopo Serena.»

    Max si irrigidì involontariamente.

    «Scusa, non avrei dovuto menzionarla» mormorò Hetty, contrita.

    Lui si strinse nelle spalle, cercando di sciogliere la tensione che lo ghermiva ogni volta che qualcosa gli riportava alla mente il ricordo di Serena. Sarebbe stato lieto di barattare una parte consistente dei suoi beni terreni in cambio di un rimedio magico che recidesse quell'anno della sua vita. Suo padre, impettito come sempre, si era prodotto in uno dei suoi rari tentativi di essere paterno offrendogli il trito aforisma: il tempo guarisce tutte le ferite. Tuttavia, benché il tempo avesse attenuato dolore, senso di colpa e tutte le altre emozioni cui Max aveva cercato di sfuggire annegando negli orrori della guerra, non si sentiva guarito. Solo sopito, più vecchio e più saggio. Un altro cliché.

    Ricordava in modo vago l'eccitazione che la bellezza e la vivacità di Serena avevano suscitato in lui, come ricordava i suoi libri preferiti da bambino, con un'intensità distante, irreale. I sentimenti che avevano preso il loro posto erano più forti: confusione, risentimento, impotenza. Odio. Senza dubbio Serena aveva ampliato il suo repertorio emotivo. E ogni volta che qualcosa evocava il suo ricordo, Max trasaliva ancora involontariamente, e il senso di colpa riprendeva a pulsare, dimostrando che dentro di lui persisteva un nucleo velenoso che rifiutava di sciogliersi. La terminologia infelice gli strappò una smorfia. «È accaduto tanto tempo fa, sembra quasi che sia successo a qualcun altro. Quanto a nostro padre, quali che fossero le sue ragioni, fui troppo sorpreso dal suo consenso per pensare di negoziare i termini dell'accordo.»

    «Non sei costretto a sposarti, se non vuoi. Intendo dire... nostro padre non pretenderebbe che tu tenga fede alla tua promessa, se è qualcosa che...» Hetty incrociò lo sguardo del fratello e si interruppe. «Oh, cielo, sì che lo pretenderebbe! Povero papà. Però è morto e dunque...» Si interruppe di nuovo. «Dimentico con chi sto parlando. È chiaro che onorerai la tua promessa.»

    Max abbozzò un sorriso, avrebbe voluto essere capace di rompere la promessa, come suggerito da Hetty, ma sapeva che non lo avrebbe mai fatto. Poteva non essersi mai sentito vicino al padre, ma il precedente Duca di Harcourt gli aveva inculcato bene il significato della loro posizione e quanto dovessero a chi dipendeva da loro. Il ducato non era una proprietà individuale, era in loro custodia. Adempiere al proprio dovere non era solo una questione di onore, ma di responsabilità nei confronti delle centinaia di persone la cui vita dipendeva dalle loro proprietà. Suo padre gli aveva consentito di mettere a repentaglio tutto ciò arruolandosi, perché aveva capito che il figlio aveva bisogno di allontanarsi dallo scenario della sua tragedia, ma aveva chiarito che ogni indulgenza aveva un prezzo e aveva scelto quello.

    Max non trovava niente di sbagliato nella condotta del padre. Da bambino poteva essersi sentito soffocare dai vincoli imposti dai genitori, poteva aver perfino immaginato di essere stato rapito dalla culla degli Shepston, una famiglia ospitale di pescatori di Port Jacob, nelle terre degli Harcourt, con cui spesso era uscito a pesca, ma restava un Harcourt. Non poteva permettere che qualcosa di importante come la successione corresse qualche rischio per colpa dei suoi errori e di quelli di Serena. In linea di principio non c'era niente di sbagliato in un matrimonio di sola convenienza, tuttavia lui e i suoi genitori avevano commesso un errore madornale riguardo all'adeguatezza di Serena.

    Max non avrebbe voluto fidanzarsi così giovane, indipendentemente dalla preoccupazione del padre per la successione, ma il duca, lungimirante, non aveva insistito, si era limitato a invitare a Londra Lord Morecombe e sua figlia. La

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