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La posta in palio
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E-book244 pagine4 ore

La posta in palio

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Info su questo ebook

Marina Beaumont è stata assunta come dama di compagnia di lady Luce con il preciso compito di frenare le intemperanze al gioco per cui la contessa è famosa. Ma la sera stessa in cui prende servizio, l'anziana gentildonna, sfidata a carte da Kit Stratton, perde un'ingente somma. Preoccupata all'idea di essere licenziata, Marina si presenta a casa dell'affascinante conte per chiedergli di cancellare il debito di lady Luce, e con sua grande sorpresa lui acconsente... solo a patto che lei gli conceda i suoi favori! La posta in palio è decisamente troppo alta per la povera Marina, che tuttavia decide di giocare d'azzardo...
LinguaItaliano
Data di uscita11 lug 2016
ISBN9788858951934
La posta in palio
Autore

Joanna Maitland

Tra le autrici più amate e conosciute dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    La posta in palio - Joanna Maitland

    Faro.

    1

    «Aspetto questo momento da troppi anni, Hugo. Niente di quello che potrai dire mi farà cambiare idea» dichiarò Kit Stratton in tono sicuro. Sorrise tranquillo al fratello maggiore, come se stessero discutendo la scelta di una cravatta o una nuova marca di liquore.

    Riprendendo a camminare per lo studio dagli scaffali pieni di libri, sir Hugo Stratton lo fissò con evidente esasperazione.

    «Insomma, Kit, sei impazzito? Stratton Magna appartiene alla famiglia da generazioni e tu sei pronto a rischiare tutto per sfidare a carte quella vecchia arpia! Sono passati anni, ormai. Non puoi lasciar stare?»

    «No. Dimentichi quello che ci ha fatto. Ha agito per pura malignità. Allora ho giurato di vendicarmi e adesso intendo farlo.»

    «E se per questo dovessi perdere la tenuta di famiglia? Dio mio, vorrei...»

    «Ora ti penti di aver convinto John a lasciarmela, vero?»

    Hugo arrossì. «John si starà rivoltando nella tomba. È vero, sono stato un idiota a convincerlo a lasciarti Stratton Magna. Pensavo che avessi bisogno di una tenuta tutta tua in Inghilterra, così avresti smesso di fare il libertino a Vienna e...»

    «Mi sarei sistemato qui generando una nidiata di marmocchi» concluse ironicamente Kit alzandosi per riempire di nuovo il bicchiere di brandy. «Non sono come te, Hugo, e ti lascio volentieri il compito di assicurare una sfilza di eredi alla famiglia. Non ho alcuna intenzione di farmi intrappolare nel matrimonio. Per fortuna Emma ha scelto te...»

    Lui aveva compromesso l'ereditiera, ma era stato Hugo a sposarla, giacché era Hugo il fratello che lei amava. Erano marito e moglie ormai da cinque anni e le uniche ombre sulla loro felicità erano state la morte del padre di Emma e di John, il maggiore dei fratelli Stratton. Ora era Hugo il capo della famiglia: come baronetto disponeva di un'immensa ricchezza e, a differenza di Kit, non aveva alcun bisogno della tenuta di Stratton Magna.

    «Credimi, apprezzo la tua generosità» dichiarò Kit con un sorriso. «In ogni caso Stratton Magna ora è mia. Fino a quando non l'ho ereditata non potevo tornare in Inghilterra e sfidare lady Luce, ma adesso posso farlo.»

    «Saresti potuto restare qui, quando John è morto.»

    Kit si appoggiò al comodo schienale della poltrona. Era passato più di un anno da quando John e la moglie erano periti in un incidente di carrozza. La famiglia si aspettava che restasse in Inghilterra dopo il funerale, ma lui era ripartito quasi subito per Vienna.

    «Avevo certe... distrazioni in mente» rispose fissando pensieroso il bicchiere. «Una di queste ora si trova a Londra. Ho imparato bene la lezione con Emma» aggiunse sollevando lo sguardo sul fratello. «Da allora ho deciso di dedicare le mie attenzioni solo a signore... di una certa esperienza, che non minaccino la mia condizione di scapolo.»

    «Ammesso che i mariti non ti trovino nel loro letto» osservò Hugo con asprezza. «Potresti avere difficoltà a salvare la pelle, in questo caso.»

    «In effetti un paio di volte mi hanno trovato, ma sono comunque riuscito a salvarmi» precisò Kit con studiata noncuranza.

    Suo malgrado, Hugo scoppiò a ridere. Non riusciva mai a restare a lungo arrabbiato con quello scapestrato del fratello minore. «E quanti poveri cornuti hai ucciso?» domandò.

    «Nessuno. Dopotutto ero colpevole e le signore in questione...»

    «Basta, Kit. Non siamo qui per discutere i tuoi successi tra le lenzuola, ma la tua folle idea su lady Luce. Potresti perdere tutto a favore di quella donna e dopo l'ultima volta...»

    «Dopo l'ultima volta ho ogni intenzione di vincere» dichiarò Kit con foga.

    Si alzò di scatto e posò una mano sul braccio del fratello.

    «Non sai quanto sia stato doloroso venire da te a mendicare il denaro per saldare il mio debito con lei sapendo che avresti dovuto prenderlo dalla dote della donna che avevo compromesso! Avevo solo ventidue anni, ma credimi, è stata un'umiliazione bruciante.»

    Hugo lanciò un'occhiata al ritratto di Emma appeso sopra il camino.

    «Capisco» dichiarò con gentilezza. «Ma è passato tanto tempo e tutti hanno dimenticato. Se sfidi quella donna, tornerà tutto a galla. Lascia perdere.»

    «Non posso. Ho passato cinque anni ad aspettare questo momento e ora voglio godermelo. Inoltre, questa volta non perderò.»

    Le labbra di Hugo si arricciarono in una smorfia nervosa sottolineando la lunga cicatrice che gli deturpava una guancia.

    «Ah, sì? Come puoi esserne così sicuro?»

    «In tutti questi anni la mia abilità al gioco è aumentata enormemente. Me la sono sempre cavata bene con le carte e i dadi, e la pratica mi ha aiutato. Sono certo di vincere, tanto più che ho sentito dire che ultimamente lady Luce continua a perdere.»

    «L'ho sentito anch'io» confermò Hugo.

    «Cinque anni fa lady Luce ha tentato di rovinarmi e ci sarebbe riuscita, se non fossi intervenuto tu. Ora, con Stratton Magna come garanzia, posso renderle la pariglia.»

    Hugo scosse la testa, costernato: non riusciva a credere che, dopo cinque anni, il fratello odiasse ancora tanto quella donna. Se li avesse dovuti passare in esilio in Austria, però, forse avrebbe avuto anche lui quell'atteggiamento cinico e duro. Kit aveva concluso da tempo che la gente andava usata a proprio vantaggio, ma mantenendo sempre le distanze. Qualsiasi coinvolgimento portava solo a disastri senza fine.

    Il terzo conte di Luce camminava avanti e indietro nel lussuoso salotto della madre.

    «Non potete continuare così» la rimproverò.

    La contessa assaporò un sorso generoso di madera.

    «Per l'amor di Dio, William, smettila di comportarti come un elefante in gabbia.»

    Il conte si fermò di colpo e gettò un'occhiata ansiosa al grande specchio a muro: non aveva affatto la mole di un elefante. Come osava la madre fare un paragone così offensivo?

    Lady Luce sollevò l'occhialino per scrutarlo con quello sguardo penetrante che lo sgomentava da quando aveva cinque anni. Ne erano passati più di quaranta, ma l'effetto era ancora lo stesso.

    «Continuare che cosa, precisamente?» gli chiese con asprezza.

    «Non potete continuare a scommettere al gioco denaro che non avete» rispose il figlio con fermezza.

    Lady Luce si sollevò dalla sedia. Anche in piedi era molto più piccola del conte, ma la cosa non pareva scoraggiarla.

    «E chi, di grazia, dovrebbe fermarmi?»

    «Io» rispose William evitando il suo sguardo. «Non posso permettermi di continuare a pagare i vostri debiti, mamma. Ricordatevi che ho una famiglia da mantenere.»

    «Come potrei dimenticarlo? Non ho mai visto tanti marmocchi! Sei ancora peggio di Clarence.»

    «Mamma, sapete bene che è del tutto inappropriato accennare ai figli illegittimi di un nobile anche se si tratta di un membro della famiglia reale!» si scandalizzò il conte. «Comunque io non ne ho seguito l'esempio e sono sempre stato fedele a Charlotte.»

    «Solo perché nessun'altra donna ti guarderebbe due volte. Però hai generato dieci figli e io non intendo cambiare stile di vita solo perché tu non sai tenere a posto il tuo...»

    «Mamma, per favore!»

    La contessa gli rivolse un sorriso maligno e lui le volse le spalle avvicinandosi alla finestra. Sarebbe stato più facile parlarle senza vederla in faccia.

    «I miei figli non c'entrano. Mio padre vi ha assegnato un appannaggio generoso, che vi permetterebbe di vivere nel lusso. Voi invece preferite rischiare tutto al gioco dando per scontato che io salderò sempre i vostri debiti.»

    «Eri pronto ad abbandonarmi al mio destino, quando...»

    Lord Luce si voltò, furioso.

    «Quello è successo cinque anni fa e solo una volta! Sapevate bene che non avrei potuto raccogliere una somma simile, e in ogni caso ve la siete cavata benissimo da sola battendo al gioco Kit Stratton.»

    La madre fece per replicare, ma lui non gliene diede il tempo e riprese a parlare scandendo ogni parola.

    «Ora ascoltatemi bene: dovrete imparare a vivere in modo adeguato ai vostri mezzi. Se verrete ancora a chiedermi di pagare i vostri debiti di gioco, sarà l'ultima volta, ve lo assicuro. Poi spargerò la voce che non vi sosterrò più, e allora chi accetterà le vostre promesse di pagamento?»

    «Non oserai...»

    «Sciocchezze» la interruppe William, deciso a farle assaporare la sua stessa, amara medicina. «La buona società sarà d'accordo con me, riconoscendo che sono stato troppo indulgente con voi. Sono il capofamiglia e intendo fare sul serio.»

    La madre gli puntò contro il petto un dito ossuto.

    «Ah,sì, William? Allora ascoltami bene: io farò come mi pare. Se ho voglia di giocare, giocherò, e tu non potrai impedirmelo. Scommetterò il mio appannaggio e non pagherò più i miei conti e avrò cura che tutta Londra lo sappia. Come pensi che reagiranno sapendo che sono finita in prigione per debiti perché mio figlio non ha voluto aiutarmi? Cosa diranno i tuoi amici e quelli dei tuoi figli? Sono sicura che a Eton apprezzeranno molto questa storiella.»

    Il conte chinò la testa, rassegnato: quella donna diabolica lo aveva sconfitto un'altra volta.

    «Ebbene?» lo sollecitò lei.

    «Mamma, dovete capire che non posso permettermi troppe uscite» dichiarò in tono supplichevole. «Le rendite delle tenute di campagna sono diminuite e se dovessi avere altre spese, sarei costretto a vendere le proprietà non vincolate. Non vorrete una cosa simile, no? È tutto quello che posso lasciare in eredità ai miei figli minori.»

    «Ci penserò» borbottò la madre di malagrazia.

    Era la massima concessione che poteva ottenere da lei e lord Luce lo sapeva. «Forse, se aveste un altro interesse, qualcosa per distrarvi... Una giovane dama di compagnia, per esempio!» esclamò colto da un'idea improvvisa.

    La madre lo fissò con uno sguardo di ghiaccio, ma lui continuò, deciso a trovare il modo di frenare i suoi eccessi. «Lasciatemi cercare la persona adatta. Pagherò lo stipendio e tutte le spese per il suo mantenimento e l'appannaggio rimarrà a vostra disposizione» insisté in tono suadente.

    La contessa gli lanciò una strana occhiata, poi, con sua grande sorpresa, annuì.

    «D'accordo. In effetti, avere vicino una persona giovane potrebbe giovarmi.»

    Il conte si affrettò a baciarle la mano e a ritirarsi prima che cambiasse idea. L'amica di sua moglie, lady Blaine, aveva certo qualche candidata da proporgli. Le avrebbe chiesto aiuto quel giorno stesso. Aveva quasi raggiunto la porta, quando la madre lo richiamò.

    «Accertati che sappia giocare a carte, William. Alla mia età non ho certo voglia di insegnarle tutto.»

    «Signorina Beaumont?»

    Marina si girò e si trovò davanti un valletto in livrea che squadrava con malcelato disprezzo il suo polveroso vestito da viaggio e il cappellino consunto. Sollevò il mento con aria di sfida: anche se povera e malvestita, era pur sempre una signora e non intendeva farsi maltrattare da un domestico.

    Socchiuse gli occhi e ricambiò lo sguardo notando che era quasi alta come lui.

    «Sono io» dichiarò gelida.

    Il valletto distolse lo sguardo e le indicò la carrozza in attesa.

    «Volete venire da questa parte?»

    Era una piccola vittoria, ma lei se ne rallegrò ugualmente: se doveva vivere nella casa di lady Luce, era importante che i domestici imparassero a trattarla con rispetto.

    «Per favore, accertatevi che il mio bagaglio sia riposto nel modo migliore» aggiunse indicando le due vecchie valigie che contenevano tutti i suoi averi.

    Il valletto obbedì sollevandole come se non pesassero nulla e Marina lo ringraziò con un sorriso. Lui rimase senza parole, poi l'aiutò a salire in carrozza.

    Lei si appoggiò allo schienale con un sospiro di sollievo: finalmente era a Londra! Tra poco si sarebbe presentata alla contessa madre Luce, l'anziana signora che aveva bisogno di una dama di compagnia per ravvivare le sue giornate. Durante il lungo viaggio dallo Yorkshire aveva deciso che non avrebbe avuto problemi in quel ruolo. In fondo lo aveva già svolto con la nonna leggendo, suonando il pianoforte, cantando per lei e a volte perfino giocando a carte. Negli ultimi anni la nonna era diventata più esigente e autoritaria che mai, quasi si aspettasse di essere ancora trattata come la sorella di un visconte. Lady Luce non poteva essere peggiore.

    Marina chiuse gli occhi cercando di ignorare il frastuono assordante e gli odori penetranti della grande città. Erano così diversi dai rumori di casa, dai richiami degli uccelli e dalle raffiche di vento sulla brughiera! D'altra parte, se doveva vivere a Londra era meglio abituarsi.

    Guardò fuori del finestrino: non aveva idea di dove si trovasse, ma le strade sembravano più tranquille e le case avevano ampie finestre e facciate imponenti, alcune ornate addirittura di colonne come un tempio greco.

    Non aveva mai visto niente di così grandioso nello Yorkshire.

    All'improvviso la carrozza si fermò e il valletto, ora più deferente, balzò a terra, aprì la portiera e l'aiutò a scendere. In quel momento la porta d'ingresso si aprì e ne uscì un uomo anziano vestito di scuro. Era quasi del tutto calvo e i pochi capelli rimasti erano candidi.

    «Benvenuta a Londra, signorina Beaumont» l'accolse il maggiordomo con voce neutra. «Sua signoria vi aspetta nel salotto al primo piano. Volete seguirmi, prego?»

    Si voltò avviandosi verso un'imponente scalinata che saliva dall'ingresso.

    Marina gettò un'occhiata sgomenta ai vestiti da viaggio impolverati e ai guanti consunti. Aveva bisogno di tempo per rendersi presentabile, altrimenti la contessa l'avrebbe rimandata subito indietro.

    Trasse un respiro profondo e si fermò nell'atrio.

    «Sono sicura che sua signoria non desideri incontrarmi prima che mi sia liberata dalla polvere del viaggio» dichiarò con voce ferma. «Abbiate la compiacenza di portarmi in una camera dove possa rinfrescarmi e cambiarmi. Il valletto potrà occuparsi delle mie valigie.»

    Il maggiordomo si girò di scatto e la fissò stupito, poi riprese la sua espressione impenetrabile.

    «Come preferite, signorina. Volete seguirmi, prego? Charles, porta subito i bagagli della signorina Beaumont in camera sua.»

    «Sì, signor Tibbs» rispose rapido il valletto.

    Marina si concesse un sorrisetto soddisfatto, poi seguì il maggiordomo.

    2

    Marina si guardò intorno nella camera da letto piccola e ammobiliata in modo sommario. Almeno non l'avevano confinata nel sottotetto come i domestici. In qualità di dama di compagnia, era un'incerta via di mezzo tra la servitù e la nobiltà, e tutti avrebbero mantenuto le distanze da lei.

    Il maggiordomo le aveva spiegato che la camera assegnatale era a poca distanza da quella della contessa, in modo che la nobildonna potesse chiamarla in caso di bisogno. Marina ne aveva dedotto che si sarebbe dovuta considerare al suo servizio ventiquattro ore al giorno.

    D'altra parte, cosa aspettarsi di diverso? La nonna era stata altrettanto esigente e lei era dovuta ricorrere a tutte le sue doti di pazienza e tolleranza. Non sarebbe stato difficile fare lo stesso per lady Luce, tanto più che questa volta veniva pagata per il disturbo.

    Sorrise all'idea del denaro che avrebbe potuto inviare a casa con il primo stipendio. La madre aveva insistito perché si comprasse dei vestiti nuovi, ma lei era decisa a utilizzare il modesto guardaroba che si era portata dallo Yorkshire. In fondo, una dama di compagnia non aveva bisogno di molti abiti da sera eleganti.

    Considerò l'immagine riflessa dallo specchio e decise che poteva andare: nonostante le pieghe dovute al lungo viaggio, il vestito grigio era pulito e ravvivato da un grazioso colletto di pizzo. Le dava l'aspetto di una signora, non di una domestica. I capelli castano scuro erano raccolti in una crocchia severa sulla nuca e la carnagione rosea splendeva di salute.

    Non aveva gioielli, tranne l'anello del padre, portato per ricordo da quando aveva saputo della sua morte in battaglia.

    Lady Luce non avrebbe potuto che approvare quella dama di compagnia costumata e docile e non l'avrebbe certo rimandata alla sua famiglia. Quell'eventualità andava evitata a tutti i costi, giacché la madre aveva bisogno di ogni penny che lei poteva guadagnare.

    Ora doveva incontrare la signora che avrebbe dominato la sua vita per mesi, se non per anni.

    Respirò a fondo, raddrizzò le spalle e uscì in corridoio, dove l'aspettava Tibbs, l'anziano maggiordomo.

    «Quella conduce alle stanze di sua signoria» le spiegò indicando una porta. «Nessun altro dorme in questo piano, tranne quando ci sono ospiti... e naturalmente ora ci siete voi.»

    «Il conte non risiede qui, quando viene a Londra?» chiese Marina.

    «No, signorina. Sua signoria e il figlio...» Il maggiordomo parve sul punto di aggiungere altro, poi tossicchiò e continuò in tono neutro: «Lord Luce ha la sua casa di città e vi risiede sempre».

    «Capisco» disse Marina nello stesso tono.

    Non voleva incoraggiare i pettegolezzi, eppure si trovò a porsi qualche domanda sui rapporti tra il conte e la madre. L'anziana signora era forse troppo esigente? Succedeva spesso, a quell'età, e i gentiluomini avevano poca pazienza.

    Il maggiordomo la condusse fino a un salotto al piano di sotto, aprì la porta e l'annunciò con voce stentorea.

    Marina entrò in una stanza lussuosa che a prima vista le parve vuota e sentì la porta richiudersi alle sue spalle. Rimase incerta accanto alla soglia, finché una voce impaziente la riscosse.

    «Non restate lì

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