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Scandaloso passato
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E-book222 pagine3 ore

Scandaloso passato

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Info su questo ebook

Inghilterra, XIX secolo. Jemma Bailey vive ai margini della buona società londinese a causa di un passato turbolento che l'ha vista, suo malgrado, protagonista di più di uno scandalo. Ora, dopo anni di solitudine, un nuovo fatto sembra riportarla alla ribalta delle cronache mondane, e davanti agli occhi d'argento dell'affascinante Marcus Speer. Lui non ha mai dimenticato il suo candore di giovane debuttante, la magia dei loro incontri, e neppure il suo rifiuto di sposarlo. Ora, a distanza di cinque anni, lei non ha ancora trovato un marito. Può dunque sperare di riconquistarla?
LinguaItaliano
Data di uscita10 apr 2018
ISBN9788858981023
Scandaloso passato
Autore

Mary Brendan

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Scandaloso passato - Mary Brendan

    Immagine di copertina:

    Gian Luigi Coppola

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Chivalrous Rake, Scandalous Lady

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2010 Mary Brendan

    Traduzione di Daniela Mento

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-102-3

    1

    Alla gente dell’alta società piaceva spettegolare, Jemma Bailey lo sapeva. Come sapeva che il disastroso matrimonio dei suoi genitori aveva fatto di lei e delle sue sorelle le vittime predestinate di questa abitudine.

    Con il passare del tempo, però, le matrone pettegole avevano perso gusto a occuparsi di prede così giovani e innocenti, che non erano in grado di reagire. La madre era fuggita al di là della Manica, il padre si era sottratto per sempre alle loro grinfie rendendo l’anima a Dio. Le due figlie più grandi della coppia si erano sposate e conducevano una vita irreprensibile con i mariti. Jemma era la più giovane e quella meno colpita dalla mésalliance familiare, perché aveva avuto solo nove anni all’epoca in cui John Bailey era riuscito a ottenere il divorzio dalla consorte fedifraga. Jemma non si era sposata e aveva mandato avanti la casa per il padre, fino alla sua morte, quando aveva scoperto che il parsimonioso genitore era molto più ricco di quanto avesse lasciato intendere. Le aveva lasciato una bella quantità di denaro insieme alle sue proprietà.

    Negli ultimi due anni Jemma Bailey era vissuta da giovane zitella economicamente indipendente, abitando per buona parte dell’anno in una bella dimora in Pereville Parade, alla periferia di Mayfair. Quando sentiva il richiamo della campagna si trasferiva con la cameriera a Thaxham House, la sua piccola tenuta nell’Essex. A Londra frequentava gente del ceto medio e ormai aveva accettato che il comportamento dei suoi genitori, e anche il suo, l’avessero fatta finire ai margini della buona società.

    Per quanto ne sapeva, ormai erano passati anni dall’ultima volta che un Bailey era andato contro le regole. Perciò Jemma non riuscì a capire per quale motivo tutti avessero taciuto di colpo quel giorno, quando era entrata nell’emporio tessile Baldwin. Le grandes dames di solito non si accorgevano nemmeno della sua quieta, modesta esistenza.

    I suoi occhi di un insolito verde guardarono stupite le gentildonne che si affrettavano a fingere di scegliere fra le stoffe, per nascondere l’imbarazzo alla sua improvvisa apparizione. Una fanciulla dalla figura snella, in fondo al gruppo, si fece avanti arrossendo, con un sorriso forzato sulle labbra. Era la cugina di Jemma, Maura Wyndham. Avevano la stessa età e si erano frequentate da bambine, ma adesso Maura continuava a essere accolta negli esclusivi circoli sociali da cui Jemma era bandita. Comunque erano ancora amiche e si facevano visita abbastanza spesso.

    Jemma lanciò un’occhiata interrogativa alla cugina, sorpresa e seccata non poco che qualcuno del suo stesso sangue stesse spettegolando alle sue spalle.

    «Forse sarebbe meglio se uscissi e tornassi più tardi?» le chiese sottovoce appena Maura fu a portata di orecchio.

    Quest’ultima la prese sottobraccio e la fece voltare verso le pezze di cotone, lontano dalle madri e dalle figlie che frugavano fra il raso e la seta.

    «Mi dispiace che tu abbia capito che parlavamo di te, ma sono contenta di avere sentito che cosa dicevano. Sarei venuta ad avvertirti di queste chiacchiere ridicole di cui tutti, prima di stasera, saranno al corrente. Siamo tutte d’accordo...» e qui si voltò a guardare le altre, «... che qualcuno deve averle messe in giro di proposito, anche se non si riesce a capirne la ragione...»

    «Mi dirai, spero, quali sono queste chiacchiere ridicole» la interruppe Jemma con un debole sorriso di incoraggiamento, impaziente com’era di saperlo.

    Maura si schiarì la voce.

    «Hai notato che fra loro c’è anche Lucy Duncan?» le chiese.

    «L’ho notato.»

    «Ci ha raccontato... ma stava solo ripetendo una conversazione che aveva sentito fra suo fratello e uno dei suoi amici... Vorrei soltanto che me lo avesse detto in privato, così avrei potuto informarti...»

    «Informarmi di che cosa?» la implorò Jemma alzando gli occhi al soffitto.

    Conosceva benissimo il fratello di Lucy, Philip Duncan, perché le aveva chiesto di sposarla quando era ancora una debuttante.

    Aveva sempre pensato che avesse preso bene il suo rifiuto, come poteva sospettare che avrebbe aspettato cinque anni per vendicarsi?

    «Philip Duncan si è vantato che tu stai cercando di indurlo a chiedere di nuovo la tua mano.»

    Jemma dovette soffocare con la mano un gridolino di sincero divertimento.

    «Non avrei mai creduto che potesse mettere in giro una storia così falsa e idiota» fu il suo parere.

    «Ti ho solo ripetuto quello che diceva Lucy» ribatté Maura piuttosto offesa che l’avesse presa con ilarità, quando lei aveva avuto il coraggio di dirglielo.

    «Deve esserci un equivoco» aggiunse poi Jemma fingendo di essere interessata a una tela a righe. «L’ultima volta che ho visto Philip a Pall Mall era con Verity Smith e le obbediva come un cagnolino. Credevo che si fosse del tutto dimenticato di me.»

    «Infatti lui ha detto a Graham Quick, così riferisce Lucy, che sei tu che gli corri dietro.»

    Il divertimento sparì dagli occhi di Jemma, sostituito da uno sguardo bellicoso.

    «Non so che cosa abbia in mente il fratello di Lucy» si affrettò ad aggiungere Maura. «Si è molto arrabbiato quando ha scoperto che sua sorella aveva sentito tutto. La sua padrona di casa l’aveva fatta entrare senza avvertirlo e Lucy si era dovuta nascondere in uno sgabuzzino, quando si era accorta che Quick stava per uscire. Philip aveva confidato al suo amico di avere ricevuto una lettera che lo invitava a chiederti di nuovo di sposarlo. Aveva mostrato la lettera a Mr. Quick, dicendo che non aveva la minima intenzione di salvare te o qualunque altra...» Maura si interruppe di colpo, mordendosi il labbro inferiore.

    «O qualunque altra...?» insistette Jemma tenendo a bada a stento la propria insofferenza.

    «O qualunque altra vecchia zitella condannata a fare da tappezzeria per il resto della vita» concluse Maura con un sospiro di rimpianto per averglielo dovuto dire. «Come se Philip ti potesse interessare, adesso che sta diventando grasso e calvo, mentre tu sei ancora snella e carina come quando avevi diciassette anni. Ora ne hai ventidue ma sei più graziosa di tante debuttanti» aggiunse incoraggiante.

    Jemma non si sentì per niente confortata da un complimento così eccessivo. Avvampava di sdegno.

    «Come si è permesso di parlare di me in quel modo? Come ha osato perfino pronunciare il mio nome in presenza di un libertino come Graham Quick?»

    «Forse a te Mr. Quick non piace, ma lui sembra nutrire dell’ammirazione per te. Lucy ha sentito che faceva dei complimenti alla tua bella figura.»

    «Davvero? Non ne sono affatto lusingata.»

    «Allora non sei stata tu a mandare quella lettera a Philip Duncan?»

    Non avrebbe mai dovuto chiederglielo.

    «Certo che no» rispose Jemma scandendo bene le parole. «Philip non sa quello che dice.»

    «Aveva una lettera, Lucy ha visto che la mostrava e non credo proprio che stesse mentendo. Dev’essere stato qualcun altro a mandargliela, qualcuno veramente meschino. Chi può essere stato?»

    «Non lo so, ma purtroppo dovrò scoprirlo.»

    Maura lanciò un’occhiata preoccupata alle altre dame presenti. Per fortuna quelle più anziane erano uscite per spostarsi, con ogni probabilità, in un altro negozio dove avrebbero potuto continuare a discutere dell’argomento senza l’imbarazzante presenza della protagonista. Solo Lucy Duncan e Deborah Cleveland erano rimaste, e adesso sembravano davvero interessate a un raso color zaffiro.

    Deborah alzò lo sguardo e vide l’espressione feroce di Jemma. In qualche modo cercò di farle capire che era molto spiacente per quanto era accaduto.

    Jemma aveva sempre considerato Deborah carina e simpatica, spesso aveva scambiato con lei qualche parola amichevole, anche se aveva solo diciotto anni. Ereditiera, dai capelli biondissimi, era una delle debuttanti più in vista di quella Stagione e si era appena fidanzata con uno degli scapoli più ambiti, provocando invidie di ogni sorta.

    Anche questo, in un certo modo, era un legame fra loro.

    Quando Jemma aveva debuttato, non era stato soltanto Philip Duncan a corteggiarla, ma dopo cinque anni non si ricordava nemmeno dei nomi di molti di quei giovanotti.

    Uno però non lo avrebbe mai dimenticato. Le aveva insegnato a danzare, a conversare disinvolta con i suoi amici e i suoi parenti aristocratici, correggendo con gentilezza i suoi errori.

    Quando Jemma gli aveva chiesto se avesse mai sentito parlare dello scandalo nella sua famiglia, lui le aveva risposto che i problemi dei genitori non dovevano ricadere sui figli. Perciò Jemma si era trovata bene con lui, anche se apparteneva a un mondo da cui era stata bandita.

    Lui la faceva ridere, e durante il ballo di Lady Cranleigh l’aveva anche portata in giardino. Jemma ricordava ancora con un sospiro quella serata, anche se era sempre rimasta fedele al suo Robert, che poi l’aveva tradita.

    Così aveva rifiutato anche la proposta di matrimonio di Marcus Speer, pur sentendosi molto attratta da lui, ed era tornata nella casa di campagna di famiglia, nell’Essex, insieme a suo padre.

    E adesso Marcus si era fidanzato con Deborah Cleveland. Probabilmente avrebbe saputo proprio da lei, più tardi, del succoso pettegolezzo che la riguardava. Jemma si indignò ancora di più, non aveva fatto nulla di male e non si meritava lo scherno di tutti. Soprattutto di Marcus.

    Avrebbe davvero creduto che lei fosse così disperata da implorare un uomo grasso e calvo perché la sposasse?

    No, doveva chiarirlo subito con Deborah, si disse andando verso di lei.

    «Vi prego... Se volete seguirmi in biblioteca, basterà un quarto d’ora per risolvere la questione.»

    Marcus Speer, appena entrato in casa, si tolse il mantello e il cappello e li affidò al maggiordomo, poi andò in biblioteca seguito da Hepworth, il suo segretario, che continuava a importunarlo con la corrispondenza da sbrigare.

    «Bisogna rispondere subito a certi inviti» bofonchiava Hepworth.

    Marcus si irritò.

    Era appena arrivato a casa dopo aver fatto visita allo zio settantenne, il Conte di Gresham, che ormai i medici consideravano in agonia. Uno di questi gli aveva detto che non sarebbe sopravvissuto per più di un giorno o due, per cui aveva consigliato a Marcus di tornare a Beaufort Place per riposarsi, in modo di poter assistere lo zio durante le sue ultime ore, il giorno dopo. E il suo segretario osava seccarlo con le risposte da dare agli inviti.

    «Solo un quarto d’ora» insistette Hepworth aggiustandosi gli occhiali davanti agli occhi miopi.

    «Rifiuterete tutti gli inviti per i prossimi quindici giorni» gli ordinò Marcus raccogliendo un documento che era sfuggito dalle mani del segretario, e che Hepworth non riusciva a raggiungere per quanto si contorcesse.

    «Ho capito, li rifiuterò tutti» rispose il segretario con un’espressione di circostanza. «Vostro zio, certo... Perdonatemi, non vi ho neppure chiesto come sta.»

    Marcus era l’unico erede del Conte di Gresham e adesso aveva molte cose importanti di cui occuparsi. Inoltre era sinceramente addolorato per la perdita imminente dello zio, che lo aveva sempre trattato come un figlio.

    Grazie alla sua guida e alle sue innate qualità, a venticinque anni era già ricco, rispettato e benvoluto. Adesso, a due mesi dal trentaduesimo compleanno, gli mancavano soltanto un titolo e una moglie. Presto li avrebbe avuti entrambi, anche se non li desiderava.

    «Questa volta non c’è più speranza» rispose al segretario che continuava a guardarlo interrogativamente. «Sta morendo. Il dottore mi ha mandato a casa perché ormai è in coma, e non sa per quanto ancora potrà resistere.»

    Hepworth chinò il capo e mormorò le sue condoglianze. Era l’inizio di aprile, i narcisi erano già fioriti sotto il cielo azzurro e limpido. In contrasto l’atmosfera in quella grande dimora era cupa e deprimente.

    Entrarono nella biblioteca e si sedettero al solito posto, Marcus a capotavola ed Hepworth accanto a lui. Il segretario tirò fuori la posta a cui bisognava rispondere, divisa in gruppi. Da una parte gli inviti ai ricevimenti e ai balli, dai bordi dorati.

    «Questa invece» disse indicandogli una lettera e mostrandosi piuttosto imbarazzato, «questa... sembra una faccenda piuttosto delicata. Non l’avrei aperta, se ne avessi saputo la natura. Purtroppo non c’era nulla che la individuasse come personale. Mi dispiace.»

    Marcus prese pigramente la lettera, le diede una rapida occhiata e la lasciò cadere sul tavolo senza fare alcun commento. La sua espressione rimase imperscrutabile, per quanto ancora non riuscisse a credere a quanto aveva appena letto.

    «Credo che si tratti di uno scherzo di pessimo gusto» disse poi, rivolgendosi al segretario. «Me ne occuperò personalmente.»

    Un quarto d’ora dopo Hepworth se ne andò con tutte le istruzioni di cui aveva bisogno per sbrigare l’altra corrispondenza. Uscì discretamente dalla biblioteca ben sapendo che il suo padrone, da poco fidanzato, avrebbe riletto immediatamente la lettera di Theodore Wyndham che lo invitava a rinnovare la proposta di matrimonio a sua cugina, Miss Jemma Bailey, che era anche la sua pupilla.

    2

    Un fruscio di gonne disturbò il silenzio del vestibolo di casa Wyndham. Marcus si voltò e fece appena in tempo a scorgere una figura snella, vestita di azzurro, dai lucidi capelli castani che passava in fretta nel corridoio. Era da un po’ che non vedeva Jemma Bailey ma non fece alcuna fatica a riconoscerla prima che sparisse. Così anche quella spudorata era lì e stava sorvegliando l’entrata per vedere se lui era arrivato. Marcus sentì una porta che si chiudeva, dunque doveva essersi nascosta in una stanza. Provò l’impulso di andare da lei, di tirarla fuori dal suo nascondiglio e chiederle a quale dannato gioco stesse giocando.

    Jemma gli aveva sconvolto la vita già una volta, non le avrebbe permesso di farlo di nuovo.

    «Mr. Wyndham vi può ricevere» gli annunciò il maggiordomo, accompagnandolo a una porta di mogano prima di allontanarsi.

    Marcus entrò.

    Dopo pochi attimi il maggiordomo tornò sui propri passi e appoggiò il capo sulla porta, cercando di sentire tutto quello che poteva con l’orecchio buono. Solo quando si accorse di essere osservato da una delle cameriere, si drizzò e batté in ritirata.

    «Siediti, fra un attimo ti sentirai più calma» disse Maura a Jemma, cercando di convincerla gentilmente a mettersi vicino alla finestra, in camera sua.

    Jemma non voleva saperne né di sedersi né di calmarsi e continuava ad andare su e giù sul tappeto. Riusciva a stento a trattenere lacrime di rabbia e di mortificazione.

    «Come ha potuto farmi una cosa simile!» esclamò forse per la centesima volta. «Com’è possibile che il mio stesso sangue mi debba umiliare in questo modo... È insopportabile! Abominevole!»

    Fino a poco prima Maura aveva sostenuto che doveva esserci stato un equivoco, un malinteso. Suo fratello non poteva avere fatto niente del genere.

    Naturalmente Theo non nascondeva che avrebbe voluto vedere la cugina Jemma sposata, prima che diventasse troppo vecchia, e più povera.

    Però era oltraggioso che fosse ricorso a simili mezzi, oltretutto con corteggiatori che Jemma un tempo aveva rifiutato.

    Maura era d’accordo che Jemma dovesse occupare più tempo a cercarsi un marito e meno a sprecare tempo e soldi aiutando i poveri. Il suo primo amore le aveva spezzato il cuore e da allora non aveva mostrato alcun interesse a farsi una famiglia.

    «Mio fratello Theo pensava che fosse per il tuo bene. L’ha fatto per aiutarti» cercò di giustificarlo prima di soccombere a un’occhiataccia della

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