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Dai diari di un capitano dell'aria - Il tesoro di Smiley
Dai diari di un capitano dell'aria - Il tesoro di Smiley
Dai diari di un capitano dell'aria - Il tesoro di Smiley
E-book120 pagine1 ora

Dai diari di un capitano dell'aria - Il tesoro di Smiley

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Info su questo ebook

«Quello che state per leggere è il mio diario, il diario del buon vecchio, ma non così vecchio, Capitano Polluce: vaporsaro, viaggiatore, filosofo e combattente.»
«Non scordare modesto
«Zitto, giornalista! Dicevo: il libro che state per leggere racconta le avventure mie e della mia ciurma sgangherata, gli inseguimenti, gli amori interspecie. Braccati dalla Confederazione delle Cinque Città, solchiamo le correnti del cielo in questo mondo desertico pieno di mostri.»
«I barzubi sono carini, però, con le guanciotte rosa!»
«Contessa, la prego, sto cercando di fare un discorso serio.»
«Ah-uhm, eh già, per lui non è facile fare un discorso…»
«Comunque, vi starete chiedendo chi sia Smiley e in cosa consista il tesoro. Be’, non voglio rovinarvi la sorpresa, ma se quello che cercate è un romanzo d’avventura dai ritmi serrati, dell’umorismo un po’ Guruvengo e, soprattutto, se siete dei ragazzi che ancora non hanno smesso di sognare, allora questo libro fa per voi.»
«Quindi potete comprarci e basta, anziché leggere il riassunto.»
«Amy, non essere scortese coi lettori! Aspetta almeno che ci abbiano pagato. E voi, che aspettate ad arruolarvi? Che qui si accettano persino i bradipi!»

Federico Grasso
Nato dall’ansia, lo scrittore Federico Grasso convive da anni (trenta, ma non ricordateglielo o si deprimerà) con l’insoddisfazione per tutto ciò che intraprende. Medico psichiatra, agopuntore, scrittore, appassionato di modellismo, neanche lui sa più che fare per darsi pace. Se interrogato si agiterà per non avere studiato, ma poi vi risponderà di scrivere con lo scopo di dare vita a mondi e personaggi. A volte. Altre, dirà che quello che più gli piace è uccidere i protagonisti, solo per poi soffrire con loro. Confuso, lo sarà a tal punto da colpirsi da solo. Ciò che resta costante è il motivo di fondo che lo spinge a tracciare trame: emozionare e rendere felice il lettore.
 
Marco Calvi
Si racconta che, dopo essere emerso dagli oscuri recessi dell’Accademia di Brera, Marco Calvi abbia scoperto l’esistenza del sole, un astro in grado di rovinargli il porcellanaceo aspetto vittoriano. Fu così che la creatura mitologica si sarebbe ritirata in un angolo buio della Scuola d’Arte del Castello Sforzesco a disegnare. La leggenda vuole che egli si nutra solo di latte e caffè (ma a volte anche pizza e sushi, dipende dalle finanze) e che, ancora oggi, riempia di segni a matita, mai soddisfatto, le pagine di fogli A4. Se doveste avvistarlo non fate movimenti bruschi, ma anzi porgete una tazza di caffè e attendete. Quando l’avrà finita, vi chiederà che disegno vorrete.
LinguaItaliano
Data di uscita20 apr 2021
ISBN9788898754977
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    Anteprima del libro

    Dai diari di un capitano dell'aria - Il tesoro di Smiley - Federico Grasso

    frontespizioNDE

    I edizione digitale: aprile 2021

    © tutti i diritti riservati

    Nativi Digitali Edizioni snc

    Via Francesco Primaticcio 10/2, Bologna

    ISBN: 978-88-98754-97-7

    www.natividigitaliedizioni.it

    info@natividigitaliedizioni.it

    LogoFb     logoTw     logoPt    instagram

    Copertina e illustrazioni a cura di Marco Calvi

    Instagram @marco.calvi.art

    1b

    «Hai almeno una vaga idea di dove stiamo andando?».

    Vorrei rispondere a quella malfidente di Amy che sì, ovviamente ce l’ho! Figuriamoci se ci siamo persi una terza volta! E poi la seconda nemmeno era stata colpa mia. Ero convinto che subito oltre il Promontorio del Dente Cariato avremmo trovato la Roccia del Pitone col Singhiozzo, e invece eccoti spuntare il Sasso della Mangusta Ballerina. Ma come accidenti si fa a orientarsi, se continuano a dare questi nomi idioti ai sassi?

    Chissà, magari quella bimba scorbutica di Amy non intendeva chiedermi dove stesse andando la nostra aeronave, o quale scoglio roccioso della Terra sarà il nostro prossimo approdo. Forse la sua era una domanda sull’esistenza: noi, poveri esseri pieni di domande, imbarcati su un vascello scosso fra venti e nubi e un non trascurabile numero di spifferi… chi siamo? Dove andiamo? Qual è il nostro scopo? Stiamo viaggiando verso un porto sicuro o finiremo per sbattere contro il Sasso della Mangusta Ballerina mentre la nostra sottoposta ci picchia con una chiave inglese?

    «Secondo me ci siamo persi» Pherfinfrenfarf sospira. «E siamo a tre».

    «Già, a giudicare dal silenzio immagino non abbia la più pallida idea di dove ci troviamo».

    Amy scuote la testa e le due treccine bionde si muovono di rimbalzo. Le avevo suggerito il caschetto moro, personalmente lo ritenevo più alla moda, ma lei aveva ribattuto che le treccine, insieme all’aspetto da tredicenne e al naso a patata, le avrebbero dato un’aria di maggiore innocenza.

    Così avrebbe potuto truffare meglio i mercanti.

    «Oh, smettetela! Tutti e due!» sferro un colpo al timone dell’aeronave col piatto della mano. Accidenti se fa male. «Il punto d’incontro è qui vicino. Da qualche parte, ecco» lancio un’occhiata al mio secondo. «E no, Ferfinfrenpharf! Non azzardarti a preparare il tè!».

    Gli uomini-bradipo non sono capaci di stare con le mani in mano per più di un minuto: piuttosto che aspettare, si mettono a far bollire l’acqua per il tè. Così si illudono di essere utili a qualcosa.

    «E allora dimmi che posso fare, capitano» già saltella da un piede all’altro in preda all’angoscia, le braccine che ballanducolano. «E mi chiamo Pherfinfrenfarf, non Ferfinfrenpharf».

    «Una volta» faccio, appoggiandomi al timone e rischiando di sgariboldare la nave, «molti secoli prima dell’Evento, un poeta americano scrisse: una rosa profumerà allo stesso modo, comunque la si chiami. Si chiamava Shock-spassolo e aveva scritto una serie di romanzi sulla ricerca del tempo perduto. Intendeva dire che i nomi non sono importanti, quello che conta è la sostanza».

    Amy sospira, Pher alza le spalle.

    «Va bene, capo» l’omino dalla testa tonda e il corpo da bradipo mi tamburella sul braccio con le sue unghiette birighildine. Gliel’avrò detto una decina di volte che mi fa impressione.

    «Alzati dal timone, subito» interviene Amy, molto meno gentile del mio secondo. Ci sarà un motivo se ho preferito Pher a lei.

    «Balena dai mille corpi!» salto all’indietro. «Mi ero perso a pensare ad altro».

    «Come sempre…».

    Pher reimposta la rotta, mentre Amy solleva le braccia al tettuccio rattoppato dell’aeronave.

    «Santo cielo!» fa la ragazzina. «Vado io a preparare il tè, sarà meglio. Altrimenti lo strangolo!».

    «E io?» Pher mi saltella accanto stringendosi le mani pelose. «Io che faccio? Dammi un compito, capitano! Dammi un compito! Capitano? Capitano!».

    Vorrei rispondere, ma…

    «Si è ancora perso a pensare ad altro?» Amy sbuffa.

    «No» balbetto, «è che credo di aver appena individuato il nostro contatto».

    Sotto di noi scorrono le rocce e i promontori aridi della regione Bordetella, non so se si tratti del Cocuzzolo del Dodo Cannibale o del Pinnacolo del Lamantino Innamorato. Le ali della nostra aeronave, la Rubiconda, si muovono piano, i motori bruciano a risparmio energetico, che all’ecosistema ci tengo.

    Incastrata tra due rocce di arenaria rossa, col muso rivolto alla terra, giace spenta la navicella Cicisbella.

    «Questo non è un buon segno» sentenzia Pher con un sorriso. «Vado a caricare il fucile, che bello!» e si allontana fischiettando. Finalmente ha qualcosa da fare.

    Restiamo sospesi sopra l’obiettivo, i motori puntati in basso sollevano nefoli di polvere e inceneriscono una famigliola di serpenti.

    «Toh, e io che credevo fossero tutti estinti!».

    «Quelli erano gli ultimi, capitano…».

    «Così non si sentiranno più soli».

    Ogni tentativo di prendere contatto con la Cicisbella fallisce: Amy non è in grado di trovare la frequenza radio e quelli dell’altro equipaggio non rispondono ai segnali meccanici, luminosi, magnetici e termici. Pher propone le preghiere, ma su quelle ho sempre avuto dubbi.

    «Niente» mi frego le mani. «Non ci resta che entrare con iurulato coraggio».

    «Iuruche?» Amy cerca sostegno in Pher, che fa spallucce. «Si è inventato di nuovo un’altra parola?».

    «Così pare».

    «È dialetto Guruvengo, del popolo sperduto dei Guruveni, ignoranti! Quante volte ve lo devo dire?».

    «Sì, certo, come no» Amy siede ai comandi, coordina l’atterraggio. «Agli infrarossi si rileva un’unica fonte di calore in sala comandi. È molto debole, però. Qualunque cosa sia accaduta a bordo, credo che ormai non ci sia più nessuno».

    «Il che potrebbe essere tanto positivo quanto negativo. Atterriamo e vediamo. Proverò a forzare l’ingresso, nel caso» mi accomodo sulla poltrona, le punto il dito contro. «E vedi di non sbagliare come l’ultima volta, che ci ho rimesso mezza gamba con la tua ultima manovra!» batto la mano sul polpaccio robotico.

    «Quante storie per una gamba! Almeno ti sei dato una svecchiata, nonno».

    «Ferfinfrenfraph! Il fucil…».

    «Eccolo!».

    «Caricato?».

    «Caricato».

    «Spolverato?».

    «Spolverato».

    «Lucidato?».

    «Lucidato. E vi ho inciso il tuo nome, capitano».

    In effetti c’era scritto POLLUCE in grana dorata.

    «Lo avrei preferito in Comic Sans».

    «Tutti odiano il Comic Sans, capitano».

    «Nessuno ha chiesto il tuo parere. Vai a sistemare gli allacciamenti energetici».

    «Allacciati».

    «E il raffreddamento dei motori?».

    «Raffreddati».

    «E il controllo dell’apertura automatica del portellone?».

    «Controllata».

    «Hai dato da mangiare ai pesci rossi?».

    «Non abbiamo pesci rossi, capitano».

    «Male! Un animaletto domestico rallegrerebbe l’atmosfera. E ora vai e occupati del sistema di calibrazione».

    «Ma, veramente, l’ho già calibr…».

    «Basta accampare scuse, Farunfrenfarf! Fa’ quello che ti ho chiesto e procurati dei pesci rossi!».

    «Signorsì, capitano! Ma si ricordi del ph! È Pher!».

    Amy muove le dita sulla tastiera luminosa, fa danzare i polpastrelli tra un ticchettio e un led lampeggiante. Il suo viso è inespressivo, concentrato. Ogni tanto dondola le gambette sdrilude dallo sgabello, si gratta la punta schiacciata del naso. Quando fa così sembra quasi tenera.

    Quasi, eh. Ci mancherebbe.

    L’aeronave si avvicina al suolo, scende verticalmente sostenuta dal getto dei motori. Le ali si ripiegano

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