Bestiario politico
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"Miti e pensieri di tutte le epoche per capire il mondo di oggi e l'animale politico per eccellenza: l'essere umano."
I territori della politica sono spesso oscuri e misteriosi, messi alla prova da pulsioni ambivalenti: paura, ambizione, violenza, ma anche desiderio di libertà, aiuto reciproco, ricerca di un bene comune.
Gianluca Briguglia, professore di Storia delle dottrine politiche all’Università Ca’ Foscari di Venezia, parte dall’origine biblica degli esseri umani, Adamo ed Eva, e attraversando i secoli giunge a parlare della peste, catastrofe perfetta ma anche nuovo inizio possibile, come nei Promessi sposi manzoniani. Alternando il racconto delle idee di personaggi realmente esistiti, che con il loro pensiero e la loro azione hanno cambiato il modo di vedere la politica, a quello di figure immaginarie, nate per rappresentare incertezze ma anche soluzioni, Briguglia rintraccia le origini del pensiero politico moderno e ricostruisce le evoluzioni del modo di intendere quello che Aristotele chiamava proprio “animale politico”: cioè l’essere umano.
Così Briguglia analizza le parole di Niccolò Machiavelli e le mette in relazione anche con la politica recente, ci porta nella terra dei mostruosi cinocefali per spiegare la percezione della “differenza” e dei diritti di chi appare diverso da noi, racconta i giganti, simbolo per eccellenza del potere dalla Bibbia a Thomas Hobbes, e illumina la meravigliosa figura di Christine de Pizan, straordinaria donna medievale.
Le idee e i “mostri” di questo “bestiario politico” appartengono forse a un mondo lontano, ma sono ancora in grado di sussurrarci dubbi e inquietudini, aperture inaspettate e intuizioni geniali, offrendo al lettore una chiave di lettura fondamentale per comprendere il mondo in cui viviamo oggi.
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Anteprima del libro
Bestiario politico - Gianluca Briguglia
realtà.
1
ADAMO ED EVA.
L’INIZIO DEGLI INIZI
Tra le bellissime incisioni di Albrecht Dürer, il geniale e misterioso pittore tedesco del Quattro-Cinquecento, ce n’è una che fa al caso nostro. È un’incisione del 1504 e si intitola Peccato originale.
Sono raffigurati, naturalmente, Adamo ed Eva. Hanno due corpi perfetti, secondo l’estetica del tempo. Adamo sembra un Apollo greco; anzi, Dürer si ispira proprio alle proporzioni e alle fattezze di una statua classica di Apollo scoperta da poco e di cui tutti parlano.
Eva appare invece come una Venere, come una specie di dea che però con la mano destra prende una mela che il serpente sembra porgerle e con la sinistra ne nasconde un’altra, che solo fra un istante offrirà a Adamo.
I due progenitori belli come dèi greci sono collocati ai bordi di un bosco. Sappiamo che sono nell’Eden e ci sono vari animali vicino a loro. C’è un pappagallo, c’è un alce, un bue, in lontananza si scorge sul picco di una rupe un camoscio.
E poi, ai piedi dei due progenitori, c’è un gatto, del quale quasi non ci accorgiamo. È acquattato e se ne sta buono buono, come se fosse vicino a un focolare.
Ma se lo guardiamo bene, il gatto sta guardando un topolino, che è lì accanto. Non lo disturba, lo segue solo con lo sguardo, zitto zitto.
Del resto nel paradiso terrestre non c’è inimicizia tra gli animali, non ci sono conflitti, non ci sono né prede, né predatori.
Dobbiamo però immaginare questo gatto un istante dopo, dobbiamo vederlo in quell’istante che nell’incisione non c’è. Manca poco, manca ormai un nonnulla. Nell’incisione Eva non ha ancora mangiato la mela che il serpente le ha messo sulla mano destra. E non ha ancora spostato il braccio sinistro verso Adamo, a offrire l’altra mela. Ma manca poco. È quasi fatta. Eccolo, manca un attimo, Adamo ed Eva addentano la mela e tutto cambia.
In quell’istante Adamo ed Eva saranno immediatamente aggrediti dalla vergogna, dalle passioni, saranno investiti dalla rivolta del loro corpo e dei loro bisogni. E in quell’istante, in quell’istante che noi nell’incisione non vediamo, il gatto si avventerà sul topo, divorandolo, e trasformandosi nel segno di tutte le prevaricazioni, di ogni istinto predatorio ormai scatenato.
Eccolo, l’inizio degli inizi. E Dürer l’ha voluto fermare un attimo prima, per dare a noi la possibilità di immaginarlo.
Nel primo capitolo di questo bestiario politico parleremo proprio delle conseguenze di questo evento, di questo inizio di tutti gli inizi. Ci concediamo la possibilità di parlare in modo facile di cose difficili, su cui per secoli la cultura europea si è interrogata, cioè la caduta dei progenitori.
Qualcuno potrà pensare: Ma questa è una storia incredibile che abbiamo sentito fin troppe volte, è un racconto senza senso, questa è una favola. Potrei rispondere che è proprio per questo che sta in un bestiario, cioè in una raccolta di storie in cui il vero e il fittivo si mescolano. Ma la verità è che è anche grazie a miti come questo che è possibile sospendere per un po’ il senso quotidiano della realtà e riflettere sui suoi elementi portanti. È grazie a queste sospensioni che riusciamo a pensare a cose alle quali prima non facevamo attenzione.
Le storie e le favole, diciamo proprio i miti, ci aiutano a pensare la realtà. Anzi, diciamola tutta: forse sono uno dei nomi della realtà. Vale per noi oggi, con le nostre fabulae, che sono tante, e alcune le riconosciamo anche in vari capitoli del nostro racconto, e valeva anche per le generazioni passate, le antiche, le medievali, le moderne.
E in questa storia di Adamo ed Eva c’è certo anche l’aspetto della favola. I medievali lo sapevano, perché se è vero che non dubitavano della veridicità di quegli avvenimenti, sapevano giocarci quando inserivano particolari fantasiosi, quando ne approfittavano per aggiungere storie alle storie, quando traevano piacere intellettuale nel raccontare e nell’ascoltare dettagli aggiuntivi o nel ricollegare leggende a quegli eventi.
In questa storia però c’è anche il mito, che non è una semplice favola, perché vuole dire indicare qualcosa di più profondo e di permanente sulla natura umana.
C’è insomma la realtà, perché la realtà non è solo quello che si tocca o si vede quotidianamente, ma è tutto ciò che ci consente di dare un senso, anche attraverso ciò che ci sembra irreale.
È necessario entrare nell’aspetto religioso della questione quando si trattano questi argomenti? Non più di quando leggiamo la Commedia di Dante – che solo uno sciocco giudicherebbe dal punto di vista della verità o della falsità delle sue affermazioni; e qualche sciocco esiste – o l’Odissea di Omero.
Sospendiamo quindi la nostra idea della realtà, per un attimo, e torniamo allora lì, a quel momento che segna, nel mito dei progenitori, un prima e un dopo dell’umanità.
Il prima è quello dell’Eden, del paradiso terrestre, che per i medievali è considerato un luogo fisico posto da qualche parte nel mondo. Sembra incredibile, ma l’immaginario geografico europeo, fino al XVI secolo, cioè fino al cuore dell’epoca delle grandi scoperte geografiche e delle grandi navigazioni, è nutrito anche dall’idea che da qualche parte ci sia il paradiso terrestre, o ciò che ne resta, e anche dall’idea dell’esistenza di popolazioni strane, bizzarre, mostruose – di alcune delle quali parleremo in altri capitoli.
Per Martin Lutero il paradiso terrestre è un luogo reale, che però è stato distrutto dal diluvio ed è perduto. Dante invece lo aveva salvato da quella catastrofe, ponendolo su un monte altissimo. Per il riformatore Giovanni Calvino il giardino dell’Eden è ancora da qualche parte, tra il Tigri e l’Eufrate, mentre i monaci irlandesi di un Medioevo molto antico lo avevano pensato in un’isola del Nord, tra ghiacci, iceberg e balene, un’isola che forse era stata raggiunta nel viaggio fantastico del leggendario san Brandano.
Per i filosofi e gli universitari del tempo doveva esser collocato nelle zone più temperate del globo, perché Aristotele aveva dimostrato che erano le più favorevoli alla vita degli esseri umani.
Quello che interessa a noi è che Adamo ed Eva avevano vissuto nel giardino – non molto tempo, a dire la verità – in uno stato umano diverso dal nostro, perché non erano soggetti alla malattia, all’ignoranza, al disordine delle passioni e neppure alla morte.
Che cosa succede un momento dopo la loro disobbedienza?
Lo spiega Agostino d’Ippona, che è il primo a chiamare quell’evento peccato originale – quest’espressione, peccato originale, nel libro biblico della Genesi non esiste.
Sant’Agostino lo scrive varie volte, nel commentare il libro della Genesi in diverse sue opere: Come pena di quella disubbidienza – perché appunto Adamo ed Eva hanno disobbedito all’ordine di non mangiare la mela – fu data in cambio soltanto la disubbidienza.¹
Che cosa vuol dire? Vuol dire che la conseguenza del peccato originale fu la disobbedienza di se stessi contro se stessi.
Questo significa che la disobbedienza ottenuta è per esempio quella del corpo, delle passioni, dei pensieri, della natura, e quindi anche degli altri esseri umani, degli altri individui, che sono scossi a loro volta da queste stesse pulsioni e quindi diventano di colpo potenzialmente ostili e pericolosi. Ogni cosa sfugge al controllo.
Agostino vuol essere ancora più chiaro e allora fa un’osservazione sorprendente. Qual è la primissima cosa che succede a Adamo ed Eva subito dopo la caduta – quando, presumibilmente, il gatto di Dürer sta sbranando il topolino?
Lo scrive in una pagina importante del suo La città di Dio:
Appena avvenuta la trasgressione del comando, i progenitori rimasero sconvolti dalla nudità dei propri corpi, perché la grazia divina li aveva abbandonati. Perciò con foglie di fico, che eventualmente per prime si offrirono al loro sbigottimento, coprirono le parti che suscitavano il loro pudore. Erano le stesse di prima ma non erano oggetto di pudore. Provavano un nuovo stimolo della propria carne ribelle, quasi uno scambio del castigo dovuto alla loro ribellione. Ormai l’anima, che si compiaceva della propria libertà all’insubordinazione e sdegnava di sottomettersi a Dio, era privata della connaturale sottomissione del corpo. Poiché aveva abbandonato di suo arbitrio il Padrone a lei superiore, non conteneva più al proprio arbitrio il servo a lei inferiore e non riusciva in alcun modo a sottomettere la carne, come avrebbe sempre potuto se lei fosse rimasta sottomessa a Dio. La carne cominciò a rivoltarsi contro lo spirito. Siamo nati con questo dissidio da cui deriviamo la primitiva soggezione alla morte e per cui dalla prima disobbedienza portiamo sempre nelle nostre membra e nella natura viziata il suo contrasto o trionfo.²
Quando parla di uno stimolo della carne si riferisce proprio a un fremito sessuale, che annuncia la ribellione del corpo e delle passioni. La loro vergogna per la propria nudità è lo sbigottimento di fronte a una ribellione che prima non avevano mai esperito.
Qui Agostino fa riferimento al sesso non per condannarlo come peccaminoso, ma per farci capire che dopo la caduta non siamo più sotto il nostro stesso controllo.
Il desiderio sessuale ci fa capire che il corpo è autonomo, che non risponde alla