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La felicità secondo Sachiko
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E-book160 pagine2 ore

La felicità secondo Sachiko

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Info su questo ebook

"La felicità secondo Sachiko" è uno spaccato di vita giapponese tra passato e presente attraverso i ricordi dell'autrice negli shot bar della frenetica Tokyo, nei ristoranti nascosti della calma Kyoto e nella quiete delle campagne della Prefettura di Shimane. Tra un piatto di vongole stufate e una tazza di tè alle erbe l'amica Sachiko con la sua saggezza le rivela il segreto per essere felici.
LinguaItaliano
Data di uscita16 giu 2021
ISBN9788894611816
La felicità secondo Sachiko

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    Anteprima del libro

    La felicità secondo Sachiko - Satoko Motoyama

    Capitolo primo - Vongole stufate e tè alla lavanda

    Nella vita ci capita di incontrare persone con cui subito abbiamo un feeling particolare e che sono destinate a rimanere per sempre dentro di noi. Qualunque forma di affetto o di amore arriva perché deve succedere, non dipende dalla nostra volontà.

    A Tokyo mi è capitato di conoscere quel tipo di persona, e all’iniziò sembrò una pura casualità.

    Un giorno di novembre andai in un’azienda per avviare una trattativa d'affari. Quando arrivai, il tempo era bello, ma la sera il cielo si oscurò e, mentre ero alla stazione di Shinjuku ad aspettare la metropolitana, scrosciò un acquazzone. Avrei voluto comperare un ombrello nel negozietto all’uscita della metro, ma il venditore li aveva già esauriti tutti e perciò rimasi senza.

    Guardai il cellulare, erano le venti; sembrava che non volesse più smettere di piovere. Decisi di rifugiarmi in un ristorante per cenare. Appena girato l'angolo della stazione di Shinjuku, percorsi il sottopassaggio che portava alla via dello street food, una strada al completo riparo dalla pioggia, che sembrava fatta apposta per le persone sbadate come me. Lungo la via pedonale non ci si bagnava perché c’era la tettoia; su un lato una fila di ristorantini di ogni tipo erano attaccati uno all’altro, a contarli saranno stati circa una quarantina. Alcuni, a conduzione familiare, occupavano un intero edificio; altri si trovavano ai vari piani di un palazzo, e altri ancora all’interno di centri commerciali. Per evitare una sgradevole concorrenza, quelli vicini proponevano cucine diverse. C’era solo l’imbarazzo della scelta!

    Quella sera camminai lungo la via e, assorta nei pensieri, passai davanti a tutti i locali: una steak house, un ristorante italiano, un sushi bar, cucina cinese, yakitori [1] e izakaya [2] . Camminando giunsi alla fine della strada e, a un tratto, attirò la mia attenzione un ristorantino a due piani con appesa alla finestra una lanterna rossa. Un cartello indicava Cucina casalinga: Vongole Kappo [3]. Sull’architrave era affissa una vecchia targa rovinata dal tempo e dalle intemperie su cui era scritto Sachiko-Ya: La casetta di Sachiko.

    Le vongole non venivano mai servite nei ristoranti raffinati perché erano alquanto economiche e alla portata di tutti, ma all’epoca la cucina casalinga stava spopolando e i piatti a base di molluschi erano stati rivalutati. La targa indicava che il proprietario del ristorante era una donna e, siccome ero sola, per me fu più facile entrare.

    Pensai: Le vongole sono un cibo leggero che ha anche effetti benefici per il corpo e cosmetici per la pelle. Voglio proprio provarle!

    Raggiunsi la porta e scostai la tenda con dipinte due grandi vongole indaco; una signora anziana dai modi gentili e dalla voce dolcissima mi diede il benvenuto. Indossava un kimono blu navy con fiori e strisce rosso mattone e viola melanzana. Era un abito dalle tinte calde, semplice, classico e di buon gusto. Era come se la donna già sapesse che sarei arrivata; sorridendo mi fece un inchino.

    Mi trovai in una tipica palazzina in legno a due piani; entrando c’era una scarpiera in vimini intrecciato; a sinistra era posizionato il bancone bar, in legno naturale e con cinque posti a sedere, mentre a destra tre tavoli bassi e quadrati erano disposti su una piattaforma rialzata di mezzo metro e ricoperta di tatami. In fondo all’atrio una scala stretta conduceva al piano superiore, dove c’erano altre due stanze con tatami; venivano usate soprattutto per i banchetti.

    Vicino alla piattaforma c’era una nicchia incassata nella parete e finemente decorata. Due rotoli con haiku [4] erano appesi in modo simmetrico. Il primo, scritto dal grande maestro Issa [5] , diceva: È una notte di luna che rimuove i molluschi??; il secondo era scritto da un autore sconosciuto e diceva: Vongole grigliate sembrano barchette. I due distici davano un tocco di classe al locale.

    I cinque posti a sedere intorno al bancone erano quasi tutti occupati; quattro clienti stavano chiacchierando e bevendo tranquillamente, davano l’impressione di essere impiegati aziendali; sul tatami altri uomini in giacca e cravatta occupavano due tavoli. Ero pronta ad accomodarmi in un angolino del bar e occupare l’unico posto libero, quando la padrona con tono cordiale mi disse: «Qui starebbe scomoda, si segga pure sul tatami, venga! Si accomodi laggiù!»

    Essendo da sola non potevo occupare un tavolo intero, ma lei, come se mi avesse letto nella mente, aggiunse: «Qui da noi le donne occupano il posto d’onore!»

    Lusingata per il trattamento speciale ricambiai l’inchino: «Allora non faccio complimenti!»

    Mi levai le scarpe con i tacchi alti, salii sulla piattaforma e mi sedetti al tavolino. Una ragazza che lavorava nel locale e che aveva l’aspetto di una studentessa mi raggiunse con una corsetta: «Mi permetta di riporre le Sue scarpe nello scaffale all’ingresso. Qui può usare questi,» disse posando sul tatami un paio di zoccoli di legno con infradito di cotone.

    Presi il menu sul tavolo e ordinai una pentolina di vongole stufate, una zuppa di vongole con verdure a foglia verde e un risotto alle vongole. Decisi anche di ordinare del vino. Mi piaceva il rosso, ma non si accompagnava bene a quel tipo di cucina. Avrei dovuto abbinare del sakè, ma non me ne intendevo, perciò chiesi alla proprietaria quale marca fosse la più adatta. Lei mi portò la lista delle bevande alcoliche, e sorridendo si presentò: «Mi chiamo Hasegawa Sachiko, ma i clienti mi chiamano solo Sachiko. La cucina a base di vongole è leggera, per questo prepariamo del sakè di pinne di pesce palla alla griglia; scalda lo stomaco e, assaporandolo, si sente il gusto unico e intenso del pesce. È il sapore di mare, di scoglio.»

    In passato avevo bevuto quel tipo di bevanda alcolica in ristoranti stellati, e non mi aspettavo che venisse servito in un locale così semplice.

    «Ho una voglia matta di assaggiarlo!» risposi entusiasta «non bevo del buon distillato da diversi giorni.»

    «Pare che Lei sia un’esperta di vini! Attenda un secondo, glielo preparo subito.»

    Si allontanò a passettini e osservai la sua andatura aggraziata. Sebbene avesse già una certa età, era ancora un tipo giovanile.

    Dopo un po’ la signora arrivò con un vassoio di legno su cui erano disposti un piattino con una piccola pinna arrostita e ben dorata, una ciotola di porcellana per le vongole stufate, una pentolina dove cuocevano i molluschi, del buon sakè caldo e una tazzina panciuta in cui bere il distillato. Sachiko aveva scelto un set di ceramica color crema che si intonava perfettamente ai mobili e ai rotoli con haiku in carta di riso bianca. Nella semplicità c’erano molta armonia ed eleganza. Era lo stile giapponese: essenziale, raffinato e per nulla sfarzoso. Come il vero oro non ha bisogno di placcatura, così la classe non necessita di fronzoli.

    Posò delicatamente il vassoio sul tavolo, mise le pinne grigliate nella tazzina di ceramica, vi versò il sakè caldo fino a raggiungere l’orlo, e subito nell’aria si espanse l’aroma del pesce.

    «Il sakè è servito! A Lei!»

    Presi tra le dita la tazzina color crema, sorseggiai la bevanda e ripensai alla mia infanzia a Gulangyu [6], la mia terra natale; ero abituata all’odore salmastro della spiaggia, alla brezza di mare, al sapore salato delle alghe essiccate al sole e al gusto pastoso del sakè. In quel momento provai una profonda nostalgia di casa. I profumi e i sapori del passato, così forti e dolci allo stesso tempo, per me erano indimenticabili, mi trasmettevano una sensazione di benessere. Ho sempre pensato che la qualità di un buon vino non dipenda dalla gradazione e tantomeno dalla marca; penso che dipenda solo dal suo aroma morbido e corposo. Quando lo bevi, subito provi allegria, e nella mente riaffiorano i bei ricordi e storie di incontri speciali. Perché agli europei piace bere un sorso di brandy prima di andare a dormire? Forse perché concilia il sonno e predispone a bei sogni.

    Assaggiai le vongole stufate: erano fantastiche, proprio come il gusto del vino quando è accompagnato da un buon formaggio. Ripensai ai piatti di mia madre. Poi feci i complimenti alla signora.

    Mi guardò con i suoi occhi ridenti e continuò ad annuire.

    Era la prima volta che frequentavo il suo ristorante e mi svelò la ricetta delle vongole stufate. Metteva la pentolina su di una lampada ad alcool e, senza nemmeno un filo d'olio né un pizzico di condimento, buttava dentro i molluschi vivi coprendo con un coperchio. In quel modo le conchiglie si aprivano e spuntavano i mitili bianchi e carnosi. Le vongole sembravano davvero tante barchette come riportava l’ haiku nella nicchia!

    Sachiko spiegò: «Quando esce il vapore, bisogna sollevare il coperchio; è il momento in cui le conchiglie si aprono e i molluschi sono più saporiti. Se si bruciano, non si possono mangiare.»

    Non occorreva aggiungere spezie o condimenti perché sapevano naturalmente di mare; si mangiavano così, ed erano fresche e gustose.

    La signora mi parlava, e intanto controllava la pentolina sulla fiamma. I suoi gesti erano piacevolmente lenti, il tono di voce intimo e cordiale. Le confessai che ero cinese da parte di padre e che, per me, quel tipo di cucina era una novità.

    All’improvviso le si illuminarono gli occhi: «Da quando ho aperto il locale, sono passati cinquantotto anni, e Lei è la prima cliente cinese! Ho sempre sentito un legame con la Cina! Il mio padrone [7] vi andò a combattere e vi rimase sei anni: il doppio del tempo che trascorse con me. Fu una guerra sbagliata e atroce! Poco fa, quando è entrata e l’ho vista, ho avvertito una certa familiarità.»

    Dopodiché iniziò a raccontarmi la sua vita. Rimasi incredula nel constatare che aveva ottantacinque anni! La osservai con maggiore attenzione: da giovane doveva essere molto bella! I suoi occhi a mandorla, con gli angoli rivolti all’insù come quelli di una fenice, ormai avevano le doppie palpebre [8], un po’ cadenti e appesantite, che però rendevano gli occhi più grandi. Le donne orientali da giovani vorrebbero tutte occhi così ma, quando invecchiano, rimpiangono la forma senza la piega perché non rivela l’età. Dio ci ha fatte in questo modo, e in ogni fase della vita ci sono i pro e i contro. La signora Sachiko però era un caso unico, perché dimostrava almeno venti anni di meno. Doveva essere molto orgogliosa del suo aspetto e soprattutto del suo sguardo che, evidenziato da sopracciglia sottili, ricurve e simmetriche, era il suo punto forte.

    Mi raccontò del marito: «Il mio padrone si chiamava Toshio Hasegawa; durante il Capodanno del 1939 fu chiamato in guerra contro la Cina. All’epoca eravamo sposati da tre anni; il nostro primo figlio era piccolissimo, per di più ero incinta della bimba. Avevo ventun’anni.»

    D’istinto mi voltai e guardai l’uomo dietro al bancone del bar; le assomigliava molto e, in un primo momento, pensai fosse un fratello. Poi lei mi confermò che era il figlio: «Molti spesso fraintendono, e a lui non fa piacere. Ha già sessantasette anni!»

    L’uomo si intromise nel discorso: «Come avrà capito, è l’argomento preferito di mia madre!» E tutti i clienti si misero a ridere.

    «Il nostro matrimonio fu combinato quando avevo diciassette anni; prima delle nozze non avevo mai visto il mio padrone. L’amore arrivò in seguito. Lui era più grande di me di otto anni e spesso mi diceva: Anche se sono il tuo amante, sembro più tuo fratello maggiore. Quando diedi alla luce il nostro primo figlio maschio, era così felice che cantava tutti i giorni; prima che il bambino andasse a dormire, gli suonava piano l'armonica fino a quando si addormentava.»

    «Era uno strumento popolare l’armonica a quei tempi?» domandai.

    «Niente affatto! Allora si usava suonare lo shamisen [9], ma il mio padrone aveva letto molti libri e conosceva la cultura straniera, perciò si era avvicinato allo studio dell’armonica. Aveva un suono diatonico, profondo e piacevole ...»

    Gli ospiti seduti al bancone chiesero il conto, perciò la signora si allontanò un momento. Li accompagnò all’uscita, e uno di loro mi disse: «Stasera ha avuto la signora Sachiko tutta per sé, ma la prossima volta sarà il nostro turno!»

    «Mi dispiace, davvero,» risposi, e lei divertita strizzò gli occhi che diventarono ancora due sottili mezzelune.

    Quando tornò ero intenzionata a ordinare un altro po’ di sakè con pinne di pesce palla grigliate, ma lei mi suggerì di prendere solo la bevanda alcolica: «Puoi usare ancora queste pinne, non hanno perso il loro buon sapore.»

    La ringraziai per avermi fatto risparmiare dei soldi. Dopodiché mi versò la bevanda nella tazzina. Ne bevvi un sorso: era

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