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Sesso e Umanità in Divenire
Sesso e Umanità in Divenire
Sesso e Umanità in Divenire
E-book458 pagine6 ore

Sesso e Umanità in Divenire

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Questo libro può considerarsi come il secondo elemento di un dittico, unitamente al precedente Oltre l’Arena (2017) dedicato all’innovazione dello scenario economico e politico. Mentre qui si è inteso analizzare ed elaborare il dato socio-filosofico e intersoggettivo del sesso, anche innovando paradigmi metapsicologici e delineando nuove realtà interpretative e quindi educative, relazionali e antropologiche, nella prospettiva di un’emancipazione generale e particolare della vita umana.
Cercando di rispondere a quanto così inizialmente espresso: “...Molto mi sembra dipendere dall’autenticità e dall’interesse conoscitivo, cioè dalla capacità e possibilità a disporsi a una comprensione più profonda, completa e responsabile; da certe circostanze che ci pongono o no nella condizione di dare udienza ed ordine a quello spazio del non detto di cui si è parlato all’inizio di questa introduzione; quando si scopre l’ammissibilità – come è riuscito a qualche filosofo autentico o fortunato – di guardare con uno sguardo sempre emozionato e nuovo le cose che sono pertinenti alla nostra vita intelligente, e proprio per conoscerle, garantirle, viverle, amarle meglio.
A questa condizione, il non detto non è più e non è mai un oscuro e preoccupante rimasuglio o un insignificante da cui rifuggire, o il nemico della stabilità e della qualità dell’oggetto di quanto è stato detto, asserito e accettato, o il pericolo di perdere la libertà e la gioia di ritrovare e rinnovare le cose che contano e a cui teniamo davvero; ma è lo spazio che ci è necessario per essere e divenire, ed è l’aria di cui anche il già detto ha bisogno per non soffocare e non soffocarci...”

L’autore, di formazione sanitaria e socilogica, ha lavorato nei servizi di salute mentale di Trieste e di Perugia.
 
LinguaItaliano
Data di uscita23 giu 2021
ISBN9791220818216
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    Anteprima del libro

    Sesso e Umanità in Divenire - Pio Curatolo

    Introduzione.

    Qui si vuole discutere di un tema che per la sua complessità e rilevanza implica la responsabilità dell'autore come del lettore. Vale cioè per entrambi l'impegno a coniugare sostanza e metodo, discorso e riflessione, sincerità e comprensione, vita e conoscenza.

    È evidente ed innegabile che il nostro tema pone un conformato orizzonte di principi d'esistenza e di verità consolidate di fronte al suo discuterne, accanto a un riflesso difensivo e conservativo che comprensibilmente si rivolge verso la sua rivisitazione o la sua messa in questione. Spesso senza domandarsi se da questa prontezza ad ergersi a difesa dell'esistente possa obiettivamente desumersi una vera responsabilità o, più ancora, una vera comprensione verso ciò che quell'esistente, e la sua struttura, hanno inevitabilmente relegato nell'ambito del non detto, del non esperito, del non esistente.

    Se non è priva di senso la tesi secondo la quale la precarietà, l'insicurezza, il dolore, l'inganno e il disincanto che hanno accompagnato storicamente la vita dell'uomo, siano l'effetto di maldestri tentativi di alterare la stabilità dell'impianto di significati che l'uomo ha prodotto su di sé e sul dispiegarsi nel mondo, ciò non dovrebbe escludere che l'adesione e l'adattamento alle logiche tramandate da parte di tante generazioni, e ritenute scontate e indispensabili per inserirsi in un guscio di esistenza collaudato, renda quell'inserimento privo di rischi e fallacie. Né una rivisitazione e una rielaborazione degli assunti tradizionalmente accettati e prescritti dovrebbe essere subito interpretata in termini di lesione, insignificanza o addirittura eversione, se ad essa si danno ragioni e argomenti che possono essere diversi dal solito.

    Quando gli individui si affidano alle scelte regolatrici che ne organizzano l’esistenza, se lo spiegano con la duplice esigenza di stabilire una mappa certa di percorsi individuali e reciproci, e con la speranza di realizzare proficuamente e pienamente la loro umanità all’interno di quei percorsi condivisi. Un maggiore o minore grado di consapevolezza, cultura, o passività, formalismo, incertezza su queste scelte, non ne cambia la funzione nodale; neanche le delusioni storiche o le incompiutezze nelle vite individuali concrete, nostre o degli altri, hanno spesso abbastanza forza o riconoscimento da sollecitare una riconsiderazione di questa radicata strutturazione, perché ad essa rimangono affidate le speranze irrinunciabili sull’esaudimento di quella duplice esigenza.

    Forse dovrebbe essere proprio questa irrinunciabilità a non farci scartare a priori l'esigenza e la possibilità di approfondire la ricerca su ciò che ho prima definito non detto, non esperito, non esistente. Ovvero quel fluido su cui galleggia e in cui ci ospita, tutti, il vascello della credenza tradizionale. Fluido in cui, negato o dimenticato in favore delle convinzioni stabili e collaudate, si disfa e si vanifica incessantemente e forse insensatamente il mare delle possibilità evolutive mancate. Rimanendo un solco, dietro la corsa millenaria del nostro animato vascello, destinato a chiudersi subito dopo il suo passaggio, e dentro cui così annegano quelle riflessioni e quelle risposte, divergenti rispetto al prestabilito, assieme all'aprioristica indifferenza o al negazionismo di cui le abbiamo degnate, e di cui quindi assolverci con la stessa semplicità della chiusura di quella scia, una volta che il vascello che l'ha prodotta sia andato, immutato, avanti.

    L’avere avuto giustamente a cuore il mantenimento degli effetti felici o convenienti derivanti dalla progressiva strutturazione della vita sociale e relazionale che la storia ha prodotto nel tempo, ha determinato paradossalmente una specie di preterintenzionale svuotamento di quella scommessa, di quella speranza totale che si era affidata all’interfacciamento prioritario fra aspettativa di realizzazione umana e confezionamento di regole discriminanti. Questo paradossale svuotamento non mi pare sia dovuto al malinteso di un estremismo pregiudiziale che qualcuno potrebbe adombrare nel ragionamento che qui si vuole proporre, cioè ad un precipitoso e sintomatico scontro fra ipotetici o fumosi intendimenti e realistici o condivisi criteri di possibilità. Né si vuole sottintendere alcuna sottovalutazione dell’incidenza negativa che i difetti e le debolezze umane riversano sull’intreccio effettivo dei comportamenti personali e sociali, e quindi non si vuole minimamente diminuire l’importanza cruciale dell’attenzione permanente che le società civili esercitano a difesa e garanzia del meglio che esse hanno saputo produrre, anche operando sanzionatoriamente a carico delle devianze degeneri o disturbanti, problematiche o distruttive. Tuttavia, quello svuotamento appare da sé quando semplicemente si compara ciò che genericamente può essere chiamata attesa di realizzazione umana a quanto di essa riesca ad appartenere oggettivamente e sinceramente ai contingenti percorsi normativi e paradigmatici che condizionano e guidano le vicende individuali, generazionali e storico-sociali.

    Certamente non c'è alcuna mia dissociazione dall’apprezzamento per tutti i traguardi di civiltà ed emancipazione in base ai quali le società umane traggono una serie di tangibili benefici e più o meno funzionali ordinamenti organizzativi, specie quando essi si mostrino emendati da residui troppo oltranzistici o coercitivi, e quando, nonostante ritardi e imperfezioni, in essi vi sia effettivamente una potenzialità di contenuti che meriti di essere perseguita, attuata e difesa. Soltanto, e fondamentalmente, si è qui voluto prendere assolutamente sul serio il valore profondo e più autentico di ciò che vorrei chiamare scommessa di realizzazione umana globale , percependone la necessità e possibilità nonostante la prevalenza delle muraglie dell’appagamento standardizzato e degli schemi collaudati della rassicurazione convenzionale; obiettivamente convergenti nel determinare uno schermo di diffidenza aprioristica nei confronti di quelle riflessioni che rischino di modificare il senso prestabilito della realtà umana e della sua autogiustificazione. Mentre dovrebbe essere chiaro che corroborare l’esistenza reale con una migliore riflessione e autocoscienza riguardo la nostra attuale modalità di esistenza, lungi dal costituire una digressione teorica o un abbozzo utopico, rappresenta il primo e più autentico luogo a nostra disposizione, la condizione più essenziale e reale dell’esistere e del divenire.

    Lo scopo che si prefigge questo libro è il miglioramento della comprensione della sessualità umana, delle sue implicazioni ed espressioni. Nonostante il fatto che la sessualità sia un aspetto della vita che riguarda tutti indistintamente, la contingente interpretazione che ne è stata data non mi sembra un dato di per sé sufficiente o incontrovertibile, tanto da farmi concludere che non vi sia più necessità e possibilità di riflessione al riguardo.

    Il bilancio comparativo delle situazioni storiche che l'umanità ha conosciuto nel suo complesso, e quello che riguarda le singolarità individuali considerate nel loro contingente arco vitale, ci testimoniano una quantità comunque rilevante e durevole di errori, circoli viziosi, ostentazioni, insufficienze, dogmatismi e difficoltà, ma rimane intatto il legame ultimo fra la complessiva speranza umana e quel modello storicamente e culturalmente vigente. Perché ciò ha saputo produrre anche felicità, progresso, utilità, confortevole prevedibilità e una certa dose di rispetto reciproco. Tuttavia, l'avere avuto giustamente a cuore il mantenimento degli effetti felici o convenienti derivanti da quella progressiva strutturazione, ha paradossalmente e inavvertitamente indotto uno svuotamento o un arenarsi della scommessa connessa all'interfacciamento fra pulsione di realizzazione umana e confezione di criteri di conoscenza e regole discriminanti.

    Senza ovviamente negare il dovuto apprezzamento per tutti i traguardi di civiltà ed emancipazione in base ai quali le società e gli individui traggono una serie di tangibili benefici e più o meno funzionali ordinamenti organizzativi, qui si è voluto rimeditare sul valore profondo e più autentico di ciò che ho chiamato scommessa di realizzazione umana integrale, percependone la necessità nonostante la prevalenza delle muraglie dell'appagamento standardizzato e degli schemi collaudati della rassicurazione convenzionale. Nella consapevolezza che questo tipo di ripresa non possa essere improvvisata, ma anche che sia abbastanza obiettiva la costatazione della difficoltà preliminare che tocca a chi esprime un'indicazione nuova su questo difficile e centrale argomento, e si trova subito investito da una tiepida ma corrosiva obiezione di fare sterili e indesiderate speculazioni o dell'utopia. Quando invece dovrebbe risultare chiaro che corroborare l'esistenza contingente con una migliore riflessione e autocoscienza, rappresenta il primo e più autentico luogo a nostra disposizione.

    Anzi, a volte si può pure avere un fondato dubbio se esista davvero una coerente esigenza di conoscenza al riguardo, solo che si pensi a tante risposte dimenticate, escluse o represse senza averle nemmeno discusse o capite, e ad altre che, per la loro sopravvenuta dominanza, hanno finito, intenzionalmente o no, per congelare il valore e lo scopo di quella domanda conoscitiva – universale per quanto più o meno sentita o consapevole – con interpretazioni definitive, standardizzate e immodificabili.

    A conclusione di questa parte introduttiva, vorrei brevemente rivolgermi direttamente al lettore per interrogarmi, assieme a lui, se esista una contraddizione fra la mia affermazione che il tema di cui si intende trattare non riguarda un imprecisabile non-luogo ma concerne un’immanente e fondamentale condizione umana, e quella che allude ad una certa qualità di frontiera o in qualche modo innovativa del discorso che mi accingo a fare. E se si debba dire ancora qualcosa sul modo di approcciare questa lettura e se ci siano o no cose da fare, più convenienti o possibili di altre, quando essa sia stata portata a termine.

    Rispondo a questi quesiti in modo unitario, il che non vuole assolutamente precludere le libere deduzioni del lettore. Molto mi sembra dipendere dall’autenticità dell’interesse, dalla capacità e disponibilità a disporsi a una comprensione più profonda, completa e responsabile; da certe circostanze che ci pongono o no nella condizione di dare udienza ed ordine a quello spazio del non dett o di cui si è parlato all’inizio di questa introduzione; da quando si scopre l’ammissibilità, com’è riuscito a qualche filosofo autentico, o fortunato, di guardare con uno sguardo sempre emozionato e nuovo le cose che sono pertinenti alla nostra esistenza intelligente, e proprio per conoscerle, garantirle, viverle, amarle meglio.

    A questa condizione, il non detto non è più e non è mai un oscuro e preoccupante rimasuglio da cui rifuggire o il nemico della stabilità di quanto è stato detto, asserito e accettato, o il pericolo di perdere la libertà e la gioia di ripetere e ritrovare le cose che contano e a cui teniamo davvero; ma è lo spazio che ci è necessario per essere e divenire, è l’aria di cui anche il già detto ha bisogno per non soffocare e non soffocarci. Ed è quindi anche la libertà di esprimere e recepire la scoperta che la vita può essere migliorata anche se viene cambiata – cosa ritenuta paradossale dalle maggioranze e dai poteri che le guidano, dall'interno o dall'esterno -, modalità che l’uomo ha a disposizione per avvicinarsi alla sua condizione più propria ed entrarvi pienamente.

    Non credo, infine, che al lettore vada ulteriormente raccomandata l’opportunità di saper sempre distinguere fra realtà e riflessione intellettuale, fra le possibilità di vita concesse dal nostro attuale orizzonte socioculturale e quelle che potranno rendersi possibili domani o più avanti: non è comunque attraverso la limitazione o la repressione dell'esercizio del sapere, o perché esso può apparire di frontiera o conturbante, che si può essere meglio garantiti nel fatto che gli individui sappiano usare al meglio anche quel sapere che oggi appare disponibile, approvato e corrente.

    PARTE I – Sciogliere gli ormeggi.

    Cosa sappiamo del sesso e della sessualità? Se proviamo ad essere sinceri, sappiamo... quel che sappiamo. Ci sono cose che soltanto l'intelligenza è capace di cercare, ma che da sé non troverà mai; soltanto l'istinto potrebbe scoprirle, ma esso non le cercherà mai, ha detto Bergson, aforisticamente.

    Comunemente, un'agente evidenza e un pressante trascinamento, insiti nella sessualità, sono elementi talmente incontestabili e autoconclusivi da rispondere alla maggior parte delle domande, o a quelle che sembrano le più importanti e fondamentali. Per questo non è difficile, anzi è scontato, avere convinzioni certe al riguardo, e ogni domanda aggiuntiva rischia di apparire scandalosa o disturbante o inutile. Ma, pur mettendo questo nel conto, è proprio questa indubbia, intangibile, configurata immanenza ed eccedenza di convinzione e dimostrazione del sesso e della sessualità, a rendere le sue credenze potenzialmente corrive e tacitanti rispetto ad un esame più approfondito e rivelatore. Senza questo esame, noi avremo delle risposte senza delle vere o complete domande, per quanto ciò possa sembrare comunque adeguato: può essere questo il modo migliore per suffragare ciò che sappiamo?

    A me sembra invece che il tema, e proprio per rispettarne l'innegabile complessità, meriti e anzi esiga un insieme di riflessioni dedicate, in ragione di quanto detto nell'introduzione e anche per una necessità intrinseca al tema stesso che non tarderà a rivelarsi sin dalle prime pagine di questo lavoro. Dipanerò queste riflessioni in una serie di stanze successive che se da un lato potranno apparire slegate rispetto ad una una vera e propria progressione di capitoli, dall'altro corrisponderanno meglio all'intento riflessivo più che trattatistico.

    In queste stanze saranno implicate alcune delle tante domande che a mio avviso il tema richiede, con una serie di risposte, chiarimenti e rimandi il cui senso risiederà nel loro insieme più che nella loro separazione. Per questo il lettore potrà, se vorrà, soffermarsi su ciascuna di queste pagine anche senza seguirne l'ordine. Purché, vorrei sperare, questa scelta non si fondi su un'arbitraria selezione fra il semplice e il difficile, o fra quella parte apparentemente più congeniale rispetto a quella più complicata o impegnativa. Ciò che nell'immediato potrà apparire complesso, si connoterà come semplice man mano che la sua comprensione saprà rendersi più chiara, e ciò che potrà apparire semplice, si espanderà in un'articolazione complessiva se l'attenzione sarà stata più attiva e più libera.

    1

    1. L'idea e l'esperienza della sessualità è data da due estremi inseparabili: l'essere questo ed oltre questo. Ci può essere oscillazione, prevalenza, selezione fra un estremo e l'altro: ed è appunto il problema, che non esiste finché l'evidenza non viene disturbata o interrogata o approfondita. Un'evidenza divenuta così convincente da non avere neanche bisogno di principi di realtà (si fa così, non è possibile fare altrimenti). Ma se di questi ultimi si parla o vengono fatti intervenire, ecco sorgere un qualche giustificato dubbio che l'evidenza del questo possa di per sé essere autosufficiente senza bisogno di richiami riflessivi, o illudendosi di potere fare a meno di avere a che fare con l'oltre questo della e nella sessualità.

    A cominciare dall'abbinamento scontato che intercorre fra la sessualità e il piacere e la felicità: la causa (il questo ) e l'effetto o il suo senso (l' oltre questo ). Lasciando non infrequentemente l'apparato desiderante e immaginativo dell'individuo, e la sua stessa assunzione di un ruolo di primo referente selettivo e decisionale sul piano pratico, alle prese con un oltre questo che non raramente tarda o sfugge a realizzarsi come vorrebbe l'attesa, semplice e diretta conseguenzialità fra causa ed effetto.

    Ma anche il questo, cioè tutto ciò che appartiene all'esperienza indubitabile e concreta del corpo, della sua vitale materialità, della sua sorgiva destinazione a consapevolezze e vissuti che vanno ben oltre la corporeità, non è né banalizzabile né scontato. E similmente, anche se diversamente, anche l'oltre, cioè tutto ciò che trascende la corporeità e viene assegnato al convincimento di un'intimità amministrata, liberata o esaustivamente collaudata.

    Fra queste due polarità, non immediatamente o semplicemente separabili o coincidenti, ci ritroviamo, spesso negandolo, come soggetti un po' autarchici e un po' errabondi, o come destinati ad entrare disciplinatamente in un ruolo. E c'è uno spazio da esplorare e percorrere, dove l'individuo è invogliato a farsi operatore centrifugo di selettività intellettive e affettive, ma anche edificatore e gestore, e raccoglitore centripeto di arbitrii ritenuti giustificati e conseguenti. Mentre, ciò nonostante, quello spazio, fattosi ambiente, si carica di una diffusa e insistente circolazione di brani melodici, suggestioni romantiche, assieme a martellanti stimoli a vivere e desiderare ulteriormente ovvero pedissequamente.

    Uno spazio, alla cui ampiezza spesso non si fa caso; di cui ricomporre l'eccesso o di cui accasare delle conclusività personalizzate: di un possibile, a cui il soggetto attribuirà il diritto-dovere di una comunque aurea realizzazione.

    2

    2. Partendo dal semplice e dall'evidente, della sessualità si possono riconoscere immediatamente due cose: la distinzione fra pene e vagina, ritenuta un dato tanto scontato quanto da prendere così com'è, e la distinzione fra maschio e femmina, altro dato quasi banalmente animale e dicotomicamente elementare. Sembra però che la cultura umana trovi nella distinzione uomo-donna un terreno più adatto allo svolgimento delle facoltà superiori che caratterizzano la specie umana, rispetto alla dicotomia pene-vagina, relegata sul piano della primitività organica e impossibilitata a rappresentare significati con cui l'intelletto si possa degnare di confrontare.

    Si tratta di un'evidenza immediata che sembra quindi non richiedere ulteriori informazioni, e già a partire dall'infanzia e riguardo ad ogni altro livello di età e di maturazione. Si tratta di un dato costitutivo e connaturato che però non andrebbe inteso come riduzione ai minimi termini della sessualità, dal momento che la loro inevitabile significatività non dovrebbe essere ignara a tutti coloro che, vivendo e comprendendo, hanno sperimentato una certa collimazione fra gli aspetti elementari dell'esperienza corporea e le dimensioni dell'emozione, del sentimento e del pensiero, intese come più complesse o meno vincolate alla corporeità organica.

    Ma, oltre l'evidenza o l’intuizione, una riconoscibile complicazione non tarda a sopraggiungere. Perché vi è come un destino di interminabile apprendimento e di progressiva consapevolezza che riguarda il soggetto umano di fronte alla sua costituzione sessuale, fin dalla sua età infantile, e che fra l'altro la psicanalisi reputa costitutiva e foriera di un'immanente e generalizzabile e persino paradigmatica complessità. Perché nonostante la strettissima interdipendenza fra corpo e mente, per vari motivi (imbarazzo, costumi, standardizzazioni, ecc.) nella cultura umana si possono innescare dei moventi a separare o distanziare ciò che appartiene al corpo e ciò che appartiene alla mente, con reali e inevitabili effetti psicologici e pratici. Perché lo spazio, di per sé grande, fra i minimi termini del sesso e la realtà indotta o elaborata del suo oltre, si espande e si complica ancor di più se si considerano non solo le contingenti dilatazioni contenute nel già detto sulla questione, e che incidono irreversibilmente su una parte considerevole della vita pratica, ma anche il potenziale ulteriore sviluppo di un dicibile quotidianamente mobilitato, in esperienze e pensieri, come una freccia costantemente alle prese con un bersaglio.

    Per questi motivi, proprio quella differenza che i bambini hanno già imparato nei loro primissimi anni è un tema che sollecita ed occupa la fisiologia e la psicologia, e che rimane centrale e dibattuto nell'ambito dell'esistenza e della coscienza specificamente adulta dei due sessi. Motivi che perciò inducono a non ritenere scontate le cose risapute, e a non ritenere improponibile un'ulteriore riflessione conoscitiva, al di là delle vulgate di una formulaica diceria sulla parificazione di genere o della sua collocazione nell'ambito di una pattuita condotta all’interno di un riserbo privato.

    Pertanto, vi è qualche motivo per ritenere che sussista una possibilità e un'esigenza riflessivo-esistenziale sulla sessualità, che integri, pur comprendendoli, gli aspetti speciali e quasi eccentrici che concernono la trattatistica anatomo-fisiologica e la loro profusione all’interno del linguaggio comune e corrente.

    3

    3. Se la denominazione e la significazione in ambito sessuale comporta un problema linguistico simile a quello connesso ad altri significati, gli organi sessuali rientrano in maniera particolare in questa problematica. Essi sono infatti degli oggetti molto particolari rispetto a quelli che si presentano comunemente all'esperienza. Prima di tutto essi fanno parte integrante del corpo di ogni individuo. È vero che anche altre parti del corpo possono essere considerate oggetti, come le mani, gli occhi, il fegato, il cranio, ogni singola cellula, ma il fatto di considerare oggetti queste parti del corpo, solo in minima parte può aggiungere o togliere loro qualcosa di essenziale in termini di definizione.

    La mano o il fegato, ad esempio, possono essere cose che usiamo, vediamo, conosciamo, ci appartengono o sono di altre persone, possono avere un carattere più o meno neutro o aspecifico, o vitale o organico o funzionale. Possono orientarci, a seconda della loro regolarità o irregolarità, verso concetti di identità generale (la capacità vitale o l'appartenenza a definite ma ampie categorie naturalistiche) o particolare (abilità, forma, grado individuale di salute o forza), ma tutto ciò evidenzia una certa seppur articolata laconicità in confronto alla qualità intrinseca riposta non solo nella differenza sessuale ma anche negli organi sessuali in quanto oggetti specifici.

    Mentre l'oggetto mano è ora un organo prensile, ora espressivo, ora capace e forte e ora malato e debole, un oggetto caratteristico e unico per l'integrità psicofisica individuale, indispensabile e utilissimo per svariati fini strumentali, l'organo sessuale rientra in quasi tutte queste caratteristiche, ma ne ha altre due che le altri parti corporee non hanno, o non hanno in maniera così potenzialmente rilevante. La prima è che l'organo sessuale maschile e femminile sono fra loro diversi ma complementari, la seconda è che il pene e la vagina sono eminentemente oggetti per l'essere umano; e queste due caratteristiche li rende eccedenti rispetto a qualsiasi tentativo di un fermo immagine definitorio o concettuale.

    La loro pertinenza come parte, propria all'individualità anatomo-fisiologica, anche autonoma e isolata, è allo stesso tempo convincente ma peculiarmente incompleta. Perché gli organi sessuali, rispetto a tutte le altre parti del corpo, ad eccezione del cervello, trovano la loro più definitoria valorizzazione nell'integrazione reciproca, in una complementarietà che li rivolge verso la relazione, la ricerca, il desiderio del corrispettivo assente ma implicato . Ciascuno di essi è quindi esposto, destinato, quasi giustificato, per e da un rimando verso il complementare; la cui mancanza quasi ne affievolisce la pur centrata proprietà individuale, ne problematizza quella pertinenza naturale che le altre parti del corpo pacificamente hanno nel contesto della totalità integrata dell'individuo, e che ogni altro oggetto esistente nel mondo trova senza bisogno di soverchia giustificazione.

    Questi organi sono parti del corpo che pur appartenendo ai singoli individui si presentano in qualche modo come altre , ovvero come entità oggettuali rispetto alla soggettività, e non solo genericamente o specificamente oggettive rispetto al pensiero. Esse trasferiscono il confine fra coscienza e oggetto, dal rapporto fra soggetto e cose del mondo al rapporto del soggetto con se stesso e con gli altri soggetti. Verso i quali, e qui si evidenzia la loro speciale oggettualità, ogni soggetto sessuato allora si atteggerà con l'ineliminabile consapevolezza di un confine, e anche di varco inclusione-esclusione, condizionato dalla suddivisione del genere umano in due sessi.

    Confine precostituito al linguaggio e alle parole, condizione pre-verbale che si ritrova nella realtà complementare e implicativa della dicotomia organica dei caratteri sessuali ed evocantesi a partire da essi, e in modalità che tendono oltre l'organico pur con un'insostituibile base in esso. Un confine che pertanto si evidenzia come intrinsecamente dinamizzante, indirettamente anche nei confronti delle operazioni di denominazione e significazione che compiamo nei confronti della neutralità e genericità del termine oggetto. L'oggetto sessuale, già appropriato nella sua nudità, si rivela quindi un non-termine (non terminato o terminabile), ovvero un dilatatore del potere definitorio e vincolante delle parole e delle denominazioni che gli si dà. Esistono degli oggetti, li si ha di fronte, ed ecco il potere della parola mettersi al lavoro. Spalancando uno scenario, proprio del linguaggio, nel quale siamo costantemente immersi e coinvolti, appunto interminabile ma con stazioni o soste nelle quali decidiamo che ci basta. Questo aspetto richiederebbe, inevitabilmente, non uno ma tantissimi libri, ma qui sarà solo tenuto presente nella sua irrinunciabile significatività.

    Anche riguardo agli organi sessuali, intesi non solo come evidenza oggettuale ma anche come entità a cui dare parola, un linguaggio che non si arresti all'etichetta verbale può prendere almeno due direzioni, oltre a decidere eventualmente di fare sosta. Una è quella della descrizione, particolareggiata e dettagliata; l'altra è quella dell'evocazione e della concettualizzazione di significati che si dipartono dalla descrizione ma che questa da sola non fornisce. Si tratta di due direzioni che devono conciliarsi e sorvegliarsi a vicenda, affinché gli oggetti di partenza non siano paradossalmente ammutoliti dal discorso su di essi, e questo non diventi assordante rispetto alla realtà di cui tratta.

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    4. Dire quindi pene o vagina, o maschio o femmina, è un dire conclusivo e contemporaneamente insufficiente . Ma un dire che non si faccia solo geografia anatomo-fisiologica ma serva a correlare e connotare il vissuto personale e la finalità biologica relazionale e sociale, rimane dunque una possibilità inevitabile e un dovere irrinunciabile.

    È un orizzonte potenzialmente esteso, rispetto a cui ricorriamo spesso all'ancora del queste cose si sanno, e la loro semplicità non necessita di soverchie considerazioni. Facciamo esperienza del desiderio e del soddisfacimento sessuale, ci collochiamo disciplinatamente dentro la logica riproduttiva, e tutto ciò ci pare offra molto più di quanto siamo disposti a concepire scopribile o ricercabile; se non fosse che è proprio la natura dell'argomento a porci inevitabili domande, anche a partire dalla semplice geografia delle nozioni e delle esperienze comuni o convenzionali.

    Ad esempio, scendere più nel dettaglio della descrizione degli organi sessuali, ritenere tali dettagli indicativamente compresi nei termini pene e vagina, o assecondarne una valutazione integrata alla persona, accentuandone un loro ruolo di intersezione e interazione fra i sessi, che li riporti in secondo piano rispetto all'evento interpersonale e al suo pensiero, sembrano compendiare un insieme esaustivo di conoscenze. Ma basta soffermarsi, dopo avere deciso di farlo, sul fatto che la vagina, con la sua ascosità, virtualità, interiorità, sembra stare agli antipodi della visibilità esteriore di un pene, che però appare pure oggettivamente singolare a causa della sua specifica e fisiologica correlazione con la presenza o l'assenza dell'erezione, per comprendere quanto la convenzione conoscitiva sul dato sessuale non possa limitarsi all'anatomo-fisiologia e al sapere condiviso e tradizionale. Non tanto perché anche la sola distinzione fra gli organi sessuali ci mette di fronte a certe caratteristiche effettivamente insolite o singolari dal punto di vista anche solo oggettivo, ma sopratutto perché tali caratteristiche offrono agli individui un'esperienza fisica e mentale oggettivamente e soggettivamente sollecitante, più e diversamente rispetto ad ogni altro tipo di oggetto od oggettività, inclusa la connotazione dell'entità sostanziale della persona. Ed è in questo senso che gli organi sessuali si presentano , come già detto, eminentemente oggetti per gli esseri umani, tanto quanto questi sono destinat i ad essere soggetti per l'oggettività propria ed altrui.

    Questa innegabile interdipendenza potrebbe risultare banale e scontata, e per questo bastare molto spesso sufficiente a concepire e chiudere il suo discorso, se non fosse altrettanto innegabile, per quanto meno riflettuto, che il versante oggettivo e materiale permane nella sua diversità rispetto al versante mentale o ideativo; che questa diversità può dunque non necessariamente configurare un traguardo di integrazione, ma può rendere più difficile e ritardato il suo conseguimento, per un ripresentarsi delle parzialità e delle differenze presuntamente ritenute integrate, per il loro più che possibile costituirsi in veri e propri gradini staccati l'uno dall'altro, necessitanti, per questo riprofilarsi come staccati, di operazioni che li raccordino in maniera convenzionale o provvisoria, oppure di un più impegnativo e complicato percorso di quei gradini, sia in ascesa che in discesa, con conseguente e inevitabile estensione o riduzione del dicibile e del già detto, riguardo sia le parti considerate come già integrate che come integrabili in altro modo.

    Se si considera poi come e quanto tale questione sia, oltre che nel vissuto, implementata nel linguaggio, con le sue attestazioni verbali e le sue puntualizzazioni attributive, e sia assorbita all'interno del processo procreativo, a sua volta da un lato autoevidente e precostituito e dall'altro lato altrettanto intrinsecamente investito da istanze più mobili ed estensive, e cioè da quel requisito di variabilità genetica addizionale che la riproduzione sessuale rappresenta e garantisce per tutte le specie che la utilizzano, e, per l'essere umano e per pochissime altre specie, da quella insostituibile manifestazione espressiva e realizzativa connessa alla sessualità non generativa, si evince come un discorso relativo a quelle parti e alla loro integrazione possa e debba essere ritenuto da meditare quanto ai suoi modi e alle sue finalità.

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    5. Gli organi sessuali maschile e femminile sono complementari e ciò sembra condensare, e in una maniera che potrebbe dirsi conclusiva, sia la loro funzionalità che la loro finalità. La semplicità di questa constatazione è allo stesso tempo vera ma anche apparente o tendenzialmente riduttiva, per l'uomo e la donna, perché la loro soggettività (cosa tutt'altro che semplice) viene fatalmente e intensamente dinamizzata da tale costituzione. Ed è ormai evidente che in questo rincorrersi di semplicità e di complessità, ovvero dei vari gradi o fattispecie della descrizione e dell'evocazione possibile su questo tema, si deve cercare di evitare di scambiare la rigidità per completezza e l'ultimatività per certezza ideale e pratica.

    Così come ogni atto, ogni giudizio, ogni reazione o impressione che abbiano a che fare con l'inevitabile confronto fra l'intelligenza umana e la realtà, suscettibile di un'intenzionalità o causalità, desiderosa di completezza o di abbreviazione, sono nel loro complesso un evento che impone una lettura e una nozione della realtà oggettiva, ovvero la liberi da quell'imposizione, e che si può riscontrare a proposito della complementarietà degli organi sessuali.

    Una fattualità che non è un dato solamente fisico o meccanico, perché è già in sé un prototipo ideo-pratico di relazione, di reciprocità, di aspettativa completante e di primaria sicurezza di cosa sia l'altro; cosa, a sua volta complementata con il chi l'altro sia. Ovviamente, questo primario fondamento di relazionalità e di promesse di felicità e umanizzazione non chiude il completamento relazionale nella fortuita semplicità dell'accoppiamento, ma non chiude neanche la significazione degli stessi organi alla pura evidenza o semplicità organica.

    L'aspetto oggettuale e meccanico della complementarietà degli organi sessuali non è banalmente propedeutico alla semplicità fisica e istintuale dell'accoppiamento. Il loro essere parti sui generis per ciascun individuo, comporta un ragionamento sulla loro imprescindibile relazionalità, come una fuoriuscita da quel sé-tutto che circoscrive e mantiene unito il loro io proprietario. Mettono in moto una macchina concettuale destinata a impegnarsi in una serie di categorie (parte-tutto, vuoto-pieno, attività-passività, piacere-frustrazione, ecc.) la cui implicazione prelude a un loro sviluppo nell'elaborazione e nella consapevolezza.

    La loro meccanica trova cioè un correlato dinamico nei concetti, al di là dell'immediatezza di una palpabilità e di un'azione che con la loro evidenza potrebbero tacitare eventuali domande o curiosità di conoscenza ulteriore, e ciò anche al di là delle concrete esperienze che ne suggellano la loro gratificante esecuzione.

    Uno dei termini che è riferibile alla meccanica degli organi sessuali è scorrimento. Un termine che può essere attribuito a vari fenomeni oggettivi o soggettivi (ad esempio lo scorrere del tempo o di un fiume) ma che in questo caso particolare mostra un aspetto del tutto peculiare al rapporto fra oggetti del mondo ed intelletto. Rispetto ad altri possibili sinonimi (attrito, incastro, riempimento, attraversamento, ecc.) il termine scorrimento è interessante, oltre che idoneo, perché indica qualcosa di tipico e intrinseco alla vita degli organismi con un sistema circolatorio, esso può infatti richiamare lo scorrere del sangue. La circolazione sanguigna fa emergere qualcosa di più articolato rispetto alla semplice progressione di un fluido. Essa non sarebbe possibile in assenza dei vasi entro cui scorrere e di una forza che faccia progredire il sangue. Il concetto di scorrimento richiama e implica dunque un altro concetto: la canalizzazione, oltre che la spinta.

    Ed è come se un concetto potesse essere figlio di un altro concetto (qualcosa che scorre dentro o attorno, da o verso qualcos'altro), e viceversa genitore di altri concetti, incluso quello che poteva esserne figlio (il canale consente lo scorrimento di qualcosa rispetto a qualcos'altro). In un rimando significativo nel quale la vita della corporeità non è esente da una concettualità tipica e coerente pur nelle varie modalità concrete nelle quali si manifesta. Scorre il sangue nelle vene, l'aria nei polmoni, gli impulsi lungo le fibre nervose, il pene nella vagina, il latte nei capezzoli, e scorrono il sentimento e la conoscenza da un individuo all'altro.

    C'è come un apparentamento inevitabile fra e dentro i fatti che appartengono al vitale, a cui si accompagna e si sovrappone un analogo rimando fra i concetti ad essi relativi. La loro vicendevole genealogia può apparire forzata o approssimativa, ma solo fino a quando al vitale non viene riconosciuta quella necessità e possibilità di significazione la cui leggibilità ha a che fare contemporaneamente con i fatti ma anche con i concetti. L'unitarietà della vita può essere una constatazione che non ha bisogno di parole, esiste e vive nei fatti e nei viventi. Ma se i concetti fanno d'altra parte il loro dovere, a cui appartiene, specie nell'ambito del vitale, quella loro genealogia reciproca e ramificata, la separazione fra astrazione e concretezza, anziché essere ritenuta liberatoria e inevitabile, è proprio ciò che dev'essere non tanto evitata ma controllata ed esplorata.

    Di fronte alla complementarietà, la sottovalutata difficoltà di separare la riflessione sulla natura da

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