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L’ossimoro: Per una nuova teoria dello scorrimento  nel rapporto Materia-Spirito
L’ossimoro: Per una nuova teoria dello scorrimento  nel rapporto Materia-Spirito
L’ossimoro: Per una nuova teoria dello scorrimento  nel rapporto Materia-Spirito
E-book295 pagine4 ore

L’ossimoro: Per una nuova teoria dello scorrimento nel rapporto Materia-Spirito

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Info su questo ebook

All’origine dell’essenza è lo scorrimento della materia, con il grande fluire del fiume Eracliteo. Ma esso si biforca tra materia e spirito, lasciando la storia in un processo contraddittorio. L’autore dopo avere indagato le plurime relazioni tra materia e spirito, procede in una notazione di tipo conclusivo, attraverso cui, il fiume dello scorrimento sfocia nel gran mare della verità che è l’ossimoro, cioè il concetto privo di antinomia, per cui se riusciremo a salvare il pianeta dallo stato di necessità, troveremo intatte le nostre risorse ed elimineremo le contraddizioni che sono, nota l’autore Daimon, cioè demoni della mente situati nell’inconscio. L’ossimoro è il diamante polito che non si contraddice, ma per realizzarlo, ne dovremo essere,non solo capaci, tanto più degni.
LinguaItaliano
EditoreAbel Books
Data di uscita20 nov 2013
ISBN9788867520787
L’ossimoro: Per una nuova teoria dello scorrimento  nel rapporto Materia-Spirito

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    L’ossimoro - Giancarlo Carioti

    Giancarlo Carioti

    L’OSSIMORO

    Per una nuova teoria dello scorrimento

    nel rapporto Materia-Spirito

    Abel Books

    Proprietà letteraria riservata

    © 2013 Abel Books

    Tutti i diritti sono riservati. È  vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.

    Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:

    Abel Books

    via Terme di Traiano, 25

    00053 Civitavecchia (Roma)

    ISBN 9788867520787

    Indice

    INTRODUZIONE

    Parte I: LO SCORRIMENTO ED IL NUCLEO MATERIALE-NECESSARIO

    Capitolo I: IL PROCESSORE MATERIALE

    Capitolo II: IL POTERE E LA POLITICA

    Capitolo III: IL DIRITTO, LA FORMA – STATO

    Capitolo IV: IL PROCESSORE SOCIALE TRA RIVOLUZIONE E TRASFORMAZIONE

    Capitolo V: LA GUERRA

    Parte II: L’AGGIOGAMENTO DELLO SPIRITO

    Capitolo I: LA RELIGIONE, LA MORALE

    Capitolo II: ANIMA, RAGIONE E SENSO

    Capitolo III: LA SEPARAZIONE TRE SCIENZA E MORALE

    Capitolo IV: L’ESTETICA

    Capitolo V: NECESSITA’, VOLONTA’ E LIBERTA’

    Parte III: L’OSSIMORO

    Capitolo I: LO SBOCCO DELLA MATERIALIZZAZIONE

    Capitolo II: L’OSSIMORO ED IL PROCESSORE DELLO SPIRITO

    CONCLUSIONI

    L’OSSIMORO NELL’UNITA’ MATERIA-SPIRITO

           Ad Umberto e Pietro

    Non si entra due volte nello stesso fiume…perché tutto scorre.

       Eraclito: La natura delle cose.

         INTRODUZIONE

    Ciò che diremo di seguito in questo lavoro è la LEGGE DELLO SCORRIMENTO, cioè a dire la base stessa della vita umana, studiata in quanto TENDENZA, attitudine cioè della specie umana a farsi legge di comportamento, così come Dio la volle, nella misura in cui essa molto ci dice circa gli SCOPI per cui Dio ci ha fatti, ivi comprese le condizioni basilari dello stato umano, inquadrate dal ciclo vita-morte. Non v’è dubbio infatti che essa, quest’ultima intendo, esista con un fine preciso: trasmutare l’uomo verso l’eterno, dopo averlo testato attraverso una verifica circa le sue intenzioni e le sue stesse capacità in questa breve parabola che è l’esistenza vivente, che molto dirà agli uomini del futuro sulle reali chance che avremo di vivere l’eterno, dopo esserci, o meno, compiuti nel nostro breve test che è la vita. Scopo di quest’ultima è la continuità delle azioni nello spazio temporale delle epoche di cui qui accusiamo l’iter, nella coerenza tramite cui le epoche stesse si sono divenute in modo successivo, creando i presupposti di un disegno organico che è quello tramite cui gli uomini, mai uguali a se stessi, SI ESPANDONO, costruendo quella Storia che, sistematicamente, produce le prove dell’avvenuta espansione, indicando per altro leggi di tendenza su cui costruire teorie dell’aperturismo tramite cui verificare il POTENZIALE della vita che non è mai uguale a se stesso, perché SCORRE indelebilmente verso il compimento successivo che averrà in epoche successive. Di questo scorrimento, noi qui intendiamo formulare le leggi di compimento, atteso che, forse, è oggi in atto nell’umanità una tendenza ineludibile, grazie a cui – se vinceremo la scommessa con la storia – potremmo assistere al fluire dell’immenso fiume della civiltà che sbocca nel grande mare delle VERITA’ UNIVERSALI, dove, come spiegheremo, l’errore delle epoche (1), altri non è se non il limite momentaneo che l’uomo avverte quando è ancora rinsaccato nello specifico di un’epoca, sino a quando non scopre il nuovo, tramite cui scarta in avanti, anche rompendo col passato, ma soprattutto dimostrando un’istanza al miglioramento per cui, checché ne pensi Vico, anche il ricorso eventuale non è che il gorgo del fiume dello scorrimento che è già più avanti, quando il ricorso sopravviene; ragion per cui lo stesso non produce effetti analoghi a quelli del passato, quando la plaga si era manifestata per la prima volta (2).

    La scommessa che, a questo punto ingaggiamo è comunque un’altra. Vorremmo infatti qui testimoniare che, alla base dello scorrimento, è in fondo la natura stessa delle cose, subordinata ad una diade essenziale ed in certo senso prioritaria. Parlo del rapporto tra MATERIA e SPIRITO, qui inteso come supporto inerente alla dinamica dell’essenza delle cose, e perciò dunque dello scorrimento che intanto procede, in quanto è adunato ed aggiogato dal preciso relativo che, tanto la materia, quanto lo spirito, inducono sulle basi stesse del fluire che obbedisce, nella sostanza, alle loro petizioni, producendo azioni, soventemente sconnesse – come noteremo nel quadro Occidentale – perché de coniugate da ogni tipo di intesa che cercammo, in breve di spiegare in un altro nostro lavoro (3). Ripartendo da quelle considerazioni, cercheremo ora di evidenziare come lo scorrere inevitabile della vita risenta ineluttabilmente di quella che è, nella sostanza, la separazione di fatto tra queste due componenti essenziali della cinetica delle essenze vitali che determinano, nella buona sintesi, leggi specifiche dello scorrimento che addebiteremo, ora alla materia, ora allo spirito, quasi che il gran fiume, nei fatti, si biforchi in due rami indipendenti, salvo pochi casi di ricongiungimento, come accade, vedemmo, al nesso interno al procedere tra Quantità e Qualità (4). Sosterremo tutto questo, a partire dalle radici del XVI secolo, quando le forze di mercato, sottaciute meglio dal termine capitalismo, determinano nei fatti una netta biforcazione tra scienza ed etica, oltre che tra etica ed arte, determinando nella sostanza quella rincorsa alla riproduzione della mera materialità che uccide lo spirito, invece di coniugarsi ad esso. Ciò che ne verrà è un mondo stravolto fatto di divisioni parcellizzate, in cui la mano destra non conosce quella sinistra, che sta portando l’uomo occidentale, in particolare, ad una condizione crescente di castratio, tale per cui l’uomo moderno è dimidiato e lacerato soventemente da due nature che lo rendono schizoide ed irreversibilmente malato di edipismi traslati (5); fattore per cui soccombiamo non solo a status symbol altamente depressivi; viepiù ad una rincorsa spesso vana verso la felicità che ci vede, soventemente, evirati nella nostra petizione di attesa. Di questo diremo, assieme alla speranza che, in fondo, l’uomo sia oggi al termine di un tortuoso percorso delle epoche, per cui si accende la fiamma del desiderio che esso superi le istanze regressive, imboccando la strada della verità sostanzializzata per la quale stiamo tracciando il percorso fatto di superamento della condizione necessaria, su cui si alimenta la speranza che quest’uomo, oggi, abbia in se la forza di uscire dalla preistoria sociale (6), per immettersi, con cogenza nel grande oceano della verità universale, superando nei fatti la dialettica, che già, noteremo è in crisi di fronte ad un andamento lineare dello scorrimento del grande fiume, oggi forse, giunto alla foce.

    NOTE

    (1) Approfondisco molto il termine di Errore Epocale in due mie opere, tra cui: Prolegomena all’etica teorica, Cultura e dintorni, Roma 2011 e Sul nesso Quantità-Qualità (intonso).

    (2) Sul tema: G. B. Vico, La nuova scienza, di cui non ho la collocazione editoriale. Parti di detta opera sono in L. Russo, I Classici Italiani, Volume 2

    (3) Alludo all’opera: Sul nesso Quantità-Qualità Abel Book 2013.

    (4) Ibidem.

    (5) Questo connettersi tra la crisi del rapporto materia-spirito con le caratteristiche metauriche e simboliche attraverso cui l’edipo ancestrale e collettivo stravolge l’agnizione di libertà nell’uomo, sono alla base delle mie opere più significative, già in precedenza delineate nelle note di cui sopra.

    (6) Espressione cara al Marxismo, di cui citeremo, in più riprese le opere.

    Parte I: LO SCORRIMENTO ED IL NUCLEO MATERIALE-NECESSARIO

    Capitolo I: IL PROCESSORE MATERIALE

    Compito inane dell’uomo è, da sempre, lo scopo della riproduzione materiale. Egli ha bisogno di cibo per sfamarsi, altrimenti ne muore; ha bisogno di un tetto con cui ripararsi dalle intemperie; ha bisogno di un nucleo (famiglia) su cui appoggiarsi. Ha infine bisogno di un’attività (lavoro), attraverso cui approvvigionarsi di tutto questo. In epoche più recenti egli si è servito di un equivalente (danaro) per conquistare le sue mete, anche se, vedremo, sovente lo stesso è mancato a molti che hanno dovuto fare veri e propri equilibrismi per sopravvivere, se non ne sono addirittura morti, per stenti o altre sciagure. Da sempre, infatti, i mezzi di produzione, per così definirli (1), sono detenuti e con difficoltà rilasciati, da precisi soggetti che, in pratica, esprimono la ricchezza sociale, espressione questa con cui si intende quel processo di accumulazione (2), tramite cui, taluni, accaparrano ricchezze, spesso mal distribuendole e sempre, comunque, in cambio di prestazioni lavorate. Soventemente e per secoli, questa sorta di salario è consistita nel fornire al lavoratore mezzi diretti di sussistenza, attraverso cui si garantiva, a mala pena, la sua riproduzione materiale, quando mancava ad esso tutto il resto che, spesso è consistito in un abbandono del nucleo originario, ed in un distacco dalle figure parentali maggiori (padre e madre), lasciati al loro destino e costretti ben presto a morire di stenti e vecchiezza, giacché il figlio doveva riprodurre se stesso o il proprio nucleo di nuova formazione (3). Ciò solo per accennare ad una delle tante disgrazie che si aprono nella cateratta della vita umana, senza nulla dire delle guerre di conquista, delle epidemie e delle morti precoci che intervenivano per mancanza di sussistenza.

    Riprendendo, dall’antico, l’inenarrabile travaglio dei popoli, troviamo già che nella civilissima Ellade della polis, così cara ad Hegel (4), ciò che emerge, nonostante parziali forme di democrazia, è una rigida ed invalicabile divisione in classi, per cui la cura del potere era, con forza detenuta da un Areopago che, nei fatti, tutelava gli interessi dominanti di chi già molto aveva e che consentiva agli Arconti una facile riproduzione del loro consenso. Non è un caso che Socrate venga soppresso dai populisti, proprio perché, come accenna Platone, egli si scagliò contro questa rigida divisione tra ceti abbienti e povertà crescenti; la risposta, dunque, come vedremo in altro capitolo, fu nella censura e poi nell’eliminazione fisica dell’arduo censore; il che getta luce sulle pretese Hegeliane di uno stato, di fatto etico (5) che nella sostanza raggiunge vette irripetibili di sintesi sociali che le epoche successive avrebbero nei fatti perduto. Mi pare, al contrario che, tanto più aspra, appaia la condizione di profondo divario e disuguaglianza che emerge nelle epoche arcaiche. Scopo del presente capitolo è infatti quello di dimostrare una relativa rinascita della dignità nella condizione umana, quando, all’indomani dell’anno 1000, le città turrite lentamente scalzano e rovesciano lo stradominio del feudo che aveva, nei fatti, ucciso la libertà del nucleo sociale, creando l’emergenza dispotica di un signore che, fagocita il lavoro rendendolo schiavistico, come era in sostanza successo in epoche precedenti.

    Giova qui solo ricordare cosa fu il lavoro servile presso alcune grandi civiltà, quale quella egizia o quella Romana. Figlio della guerra perduta, lo schiavo rappresenta la repressione feroce dei popoli conquistati e sottomessi all’egida del potere assoluto del vincitore. La sua condizione, ciò che colpisce sgradevolmente la cognizione moderna di libertà, non consisteva solo nella mancanza di quest’ultima, ma era viepiù espressione di una classe priva di DIRITTI, che doveva, pena l’eliminazione fisica, adempiere gratuitamente opera lavorativa nei confronti di chi lo aveva acquistato, come si fa con una cosa, una vera e propria merce, in cui ciò che conta è l’USO che intendo farne dopo averla acquistata, come buttarla via ad esempio, se mi accorgo che, in fondo non mi serve gran che e che mi costa mantenere. La piaga dello schiavismo, in verità dura per molti secoli e, solo in epoche recenti, nobili e sentite dichiarazioni sulla dignità della condizione umana, hanno ribadito l’inalienabile tendenza al riconoscimento dei propri diritti a tutti i popoli, compresi quelli che, a tutto l’800, hanno rappresentato la condizione di colonie, conquistate dai popoli emergenti con guerre sanguinose di annessione che, come vedremo, rappresentano il vilipendio più alto alla dignità umana e lo spregio per la vita altrui.

    La preoccupazione costante di questi regimi è quella di non cadere in un clima saturo dell’economia, tema che per l’altro condizionerà il decollo della città medioevale. Questo significa, in pratica, una cosa: creare dei mercati di assorbimento esterni, anche per impedire – è il caso della polis – che altre economie concorrenti intralcino la diffusione del mercato interno. Altra causa che porta la città greca all’espansione coloniale è l’aridità del suolo agricolo, non adatto a produrre quei beni di prima necessità, indispensabili alla riproduzione fisica della collettività. A Roma, tutto questo assume aspetti giganteschi, da cui consegue la diffusione della guerra a scopi annessivi, con un vero e proprio retroterra di scambi, in cui la colonia è quella che paga i costi più alti, rinunciando a fette consistenti di prodotto interno lordo che finiscono nell’avida pancia della madrepatria. Il regime di separazione rigida con cui Roma, anche giuridicamente, minimizza il sito delle colonie da quello della Romana Gens è la risposta più incisiva che conferma il clima di sfruttamento, alimentato da costi non elevati del mercato del lavoro, per via di quell’impiego gratuito del lavoro schiavistico, con cui Roma tratta i prigionieri delle guerre di conquista, mentre la plebe è costretta a compiti marginali e defatiganti che comprimono il malessere che esplode, come è noto, in più circostanze, quando il dictator, ruolo cui spesso si costringe l’Imperatore, esagera nelle misure restrittive e reprime molti bisogni sociali, a fronte di un vero e proprio scialo di risorse pubbliche che vanno ad alimentare il mercato delle costruzioni di opere faraoniche o la fondazione di nuove civitates. Quest’ultime assorbono soventemente molti grani dell’erario pubblico, allo scopo di insediare nuova popolazione residente nei vari territori di conquista. La velocità di rotazione con cui il capitale investito per fondare la civitas lucra profitto, è in realtà molto basso, circa di 1 a 10, compito per cui Roma in realtà crolla per gli alti debiti dell’Erario, non ancora controllati da un adeguato sistema di contabilità che possa prefigurare il tasso di indebitamento del regime erogante. La diffusione a scala planetaria del conio Romano mostra una doppia facciata; essa è, di primo acchito, una benevola proposta di unificazione degli scambi; in realtà riproduce, nei fatti un regime profondo di diffusione inflatta dell’economia, piagata da esborsi improduttivi abnormi, per cui la rarità aurina o in metallo pregiato del conio, non basta mai a soddisfare fino in fondo il bisogno di un’equivalente che segna sempre un divario tra le reali capacità produttive di un sistema, lento nella costruzione dei prodotti, rispetto ad uno crescente delle spese e dell’indebitamento. Ne consegue che, a lungo andare, manchino vere e proprie risorse di impiego, da cui si trae una condizione maggiorata di auto indebitamento, anche perché mantenere degli schiavi, garantendo la loro riproduzione, implica un clima di reale crisi debitoria da parte del privato che, nota Weber (6), avrebbero portato l’attuale capitale a condizioni di diffusione del lavoro salariato, dal momento che la schiavitù non si sarebbe mostrata conveniente nel contenimento di esborsi da parte del capitalista.

    Ciò che ne seguì è ovviamente sotto gli occhi di tutti. Ora, dal punto di vista della logica dello scorrimento: come dobbiamo vedere le invasioni barbare che seguono al tracollo dell’Impero Romano di Occidente? Come un ricorso forse di tipo primitivo? Io non lo credo ed adduco, a dimostrazione, le seguenti ragioni:

    I popoli che calano in Italia predando ogni cosa e spesso edificando dei regni transibondi in cui in pochi decenni si sostituiscono ordalie su ordalie, sono il segno manifesto di una petizione alla libertà ed al riscatto degli oppressi. Tenuti in compressione ai margini dell’immenso impero Romano dalle falangi, essi reagiscono con esorbitazione ad una campagna disfattista, con cui Roma ha imbrigliato per secoli l’azione emancipante dei popoli liberati che non accettano passivamente forme di dominio ed imposizione da parte di una remota potenza che intende farli diventare, coattivamente, parte integrante di un suo piano di civilizzazione e di narcotizzazione delle coscienze. Ovviamente questo sentimento di emancipazione brilla in popoli ancora assai primitivi che tutto fanno, meno che esprimere nuovi vertici di civiltà, anche se manifestano il senso dell’indipendenza con cui, popoli vetusti intendono assestare allo strapotere Romano un colpo mortale. Visti sotto questo punto di osservazione essi sono un Fluire, dal momento che, qui il fiume cambia bruscamente corso, diventando ispido e torrentizio; regime per cui, tutto travolge nel suo percorso che ha però scacciato quel clima limaccioso dello scorrimento, pieno di fanghi e di piante acquatiche, cui l’aveva portato il protervo ruolo dell’Impero Romano.

    Che dire dunque di queste teorie del ciclo che la Storia ufficiale si è abituata a vedere come test di involuzione dei periodi per così dire normali, lì dove, parrebbe, si consolida la così detta alta civiltà? Non v’ha dubbio che inizia da ciò una riflessione sulle così precisate categorie del NEGATIVO nella storia delle epoche. Le seguenti delucidazioni, che qui esporremo, tentano di rimuovere questo contenuto, riaffidando allo scorrimento la legge ineluttabile del compimento, tramite cui l’epoca si completa ed evolve, anche lì dove, parrebbe, le vicende evincono tendenze restauratrici dello status quo ante che rivelerebbero la caratterizzazione involvente. Io credo che l’uomo adduca da Sé la tendenza a creare dei negativi. Lo deduco dal fatto che Dio è perfetto ed esente da difetti, nella misura in cui non può palesare, all’interno della sua natura, dei contrari antinomici (7). Se ciò è vero, così come non è meno vera l’esperienza che ci restituisce una natura perfetta, in quanto figlia della Divinità, non si dubiti allora del fatto che l’uomo abbia in se il potere e la discrezione di eccepire l’antitesi, come forma coinvolgente del gioco della vita stessa. Io non so quanti millenni sconti la così detta civiltà; si dice forse 6. Orbene da 6.000 anni l’uomo non fa che torturarsi con il dilemma essenziale del BENE col MALE, nella misura in cui quest’ultimo gli appare come inevitabile fardello portato dalla NATURA UMANA (8). Delle due, l’una, dunque, nel senso che, o davvero Dio e la natura sono anche il male, ovvero l’uomo forse proietta uno status che per me è fortemente immaginario. Perché proietta dicemmo in altri testi (9); proietta perché SIMBOLIZZA, nella misura in cui a tale scopo fu creato, perché desse un’opinione sulle cose, non come esse sono nella realtà, ma come esse gli appaiono, sicutivamente, in ragione dello scorrimento delle epoche storiche. Come fa l’uomo a simbolizzare ed a sdoppiare i significanti? Egli è dotato come si sa di due parti intellettive: quella conscia e quella inconscia. Quest’ultima lo scaraventa sempre nelle panie del così detto NEGATIVO, nel senso di duplicare il giudizio delle cose e scinderlo. Dicemmo in altra opera (10) che la storia umana è il risultato della lotta che si principia tra Ego ed Es, lì dove quest’ultimo rappresenta l’istinto base, figlio di un inconscio in cui si situa la causa primaria della disperazione umana. Sotto questo profilo, dunque, accade che l’uomo sdoppi l’oggetto all’interno di una precisa scissione in cui il sapere della cosa è nei fatti duplicato. Esso in realtà appare come rovesciamento della vera tendenza, che è solo una ed è sempre positiva, contrapponendo lo spettro dell’antinomia, ovverosia del contrario della LEGGE base. Nasce in realtà ciò che definimmo il diverbio tra i significati, nel senso che si trae da ciò l’idea di DIALETTICA immanente l’oggetto, dove un corno è sempre e comunque l’antinomia negativa. Ciò che resta da capire una volte per tutte è se essa sia o meno VERA, nel senso di appartenere alla natura dello stato delle cose, così come Dio le ha fatte ed elargito all’umano. Ne segue che essa, inventata dal simbolismo scisso dell’inconscio, è quasi sempre falsa. Dico quasi, perché qui non voglio contestare la così detta coesistenza di stati opposti, i quali però vanno visti come coordinamento tra DIVERSI-COMPLEMENTARI. Cosa che lo stesso Aristotele intuisce (11) e che resta come dubbio in una natura umana divenuta escludente, nella misura in cui sembra all’uomo che sovente il negativo si ribalti nel suo contrario. Kant studia molto bene tutto ciò nella Dialettica trascendentale (12), lì dove ci stigmatizza l’idea che a base degli idola o inganni dell’uomo, ci sia il FENOMENO, che nient’altro sarebbe se non appunto una svista, aggiungerei, epocale, nel senso che ogni epoca ha i suoi errori che estrinseca in quanto LIMITE conoscitivo. Ma avviene che se il fenomeno è un errore, se esso cioè è SBAGLIATO, esso non è dato in quanto OGGETTO, nella misura in cui il negativo NON È DATO in natura; e ciò dicemmo perché essa è perfetta, figlia ed emanazione di un Dio perfetto. Le possibilità dunque che il NEGATIVO non esista e che esso sia solo un errore ed una svista scissa dell’uomo simbolico, sono perciò molto alte. Ciò equivale a dire che l’uomo crea da se i suoi DEMONI (13), nella misura in cui dissolve la coerenza dell’agire nel BENE come condizione permanente. Attraverso il MALE, cioè, ecco perché Dio così ci ha fatti, egli prende contezza di una scelta che, nei fatti, NON ESISTE, giacché mai Dio concepì il negativo, ma lo diede all’uomo come puro immaginario, perché potesse scegliere, ergo, PROCEDERE, giacché questa resta la missione umana: procedere sino al compimento del vero, sin quando cioè l’uomo non SUPERA di fatto l’antinomia, uccidendo il DAIMON per liberare l’Angelo che è in noi, ed esprimendo l’ineluttabilità della legge che già espletai in Prolegomena, in base a cui la NATURA dell’uomo non resta mai identica a se stessa, perché evolve con la storia e lo scorrimento, sino alla liberazione dall’angoscia e la realizzazione della felicità, indice, come pensa Kant (14) di uno stato virtuoso che è il vero livello della condizione umana come Dio l’ha creata. Ma per far questo dovevamo evolverci, al punto tale da individuare i daimon e superarli nei fatti. Vedremo più avanti nella stesura in che cosa essi sono consistiti e consistono. Per ora ci basti dire che potrebbe cadere un diaframma multi epocale in cui il simbolismo dell’uomo non ha fatto che creare spettri che, certe scienze, hanno nei fatti anche capito, anche se non sono riuscite a darci fino in fondo ragioni del loro superamento (15). Consci di tutto ciò proclamiamo la stagione del DEPERIMENTO del negativo e del suo definitivo superamento, a far data da una concezione della Storia, mai dietristica e sempre espressione del fluire ininterrotto del fiume Eracliteo.

    A dimostrazione di quanto sopra, parliamo ora del feudalesimo e della corrente demonica che da esso scaturisce. Parte essenziale della Riforma Carolingia, il feudalesimo è un compromesso tra la figura un po’ ingestibile del sovrano centrale con i suoi riferimenti periferici. Il monarca, in realtà separa le sue immense giacenze e le lottizza tra mergravi, nobili signori da lui prescelti che ottengono una delega dal potere di un Re incapace di controllare la vastità dei suoi territori, già solo con un esercito, atto a reprimere le fughe popolari, le sommosse ecc. Il feudatario, in realtà sottomette gli appartenenti alla Riserva signorile (16) con pugno di ferro e li obera di pesi e responsabilità spesso disumani attraverso cui gli uomini rinunciano nei fatti alla loro dignità individuale, diventando puro prolungamento cosale del dispotismo tirannico del feudatario. Costretti al lavoro coatto e servile, gli uomini della gleba si immiseriscono in modo crescente in una condizione da cui non si sfugge, senza la minima garanzia in materia, vedemmo, di riproduzione elementare. Ciò che ne segue è una tirannide senza precedenti, alimentata dal daimon del Potere Assoluto, cosa che manco Roma aveva osato fare nei confronti dei suoi sudditi. Il Re non controlla questi eccessi, anzi se ne serve per garantire una tregua sociale de facto, ed in realtà perde ogni possibilità di gestire la vita nel feudo, in cui l’accumulazione cresce verticalmente, soventemente creando le premesse di un’economia satura, viste le reciproche diffidenze tra feudatari, sempre pronti alla guerra, e perciò le difficoltà di scambio tra poli dello sviluppo, in cui cresce l’autarchia e la tesaurizzazione smodata di peculio (17). Se la regola è che non si sfugge ad un padrone, sovente accade

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