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Tognazzi '60
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E-book408 pagine4 ore

Tognazzi '60

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Info su questo ebook

3° volume della collana "Cinema del '900".

A cura di Massimo Moscati.

Una nuova collana che, attraverso il ritratto di dieci attori/registi, rievoca 100 anni di cinema italiano, tracciandone le coordinate stilistiche e tematiche. Un'arbitraria, quanto rigorosa istantanea, di una grande e lunga stagione del nostro cinema, dagli albori fino alla fine del secolo scorso.

Nel centesimo anniversario della nascita, il libro ripercorre il periodo cruciale che ha lanciato Ugo Tognazzi nel firmamento cinematografico italiano.

Interprete polivalente, la sua intelligenza del mestiere e l'istinto formidabile lo rendono apprezzato protagonista di alcuni tra i più prestigiosi registi italiani.
Il lettore potrà rivivere il fermento creativo dell'epoca attraverso il racconto di grandi successi che sono entrati di diritto nella storia del costume, riscoprire classici della nostra commedia o film talvolta ingiustamente dimenticati.

Un vademecum e anche un punto di partenza per la riscoperta di un attore a cui va reso il giusto tributo per aver saputo più di tutti incarnare l'uomo medio, con il coraggio di riprodurne a volte i tratti anche ripugnanti.

Completano il libro un capitolo sulla vita e la carriera prima dei Sessanta, un approfondimento sul cinema italiano della decade e una conclusione sugli anni 1970-1990 che tratteggiano il ritratto di un artista che è riuscito nel cinema "con grande disinvoltura, a portare un personaggio che si chiama Tognazzi".

LinguaItaliano
Data di uscita27 gen 2022
ISBN9788869347542
Tognazzi '60
Autore

Alessandro Garavaglia

Alessandro Garavaglia è nato nel 1978. Milanese DOC, è laureato in Lettere Moderne all'Università Statale di Milano e lavora come consulente di comunicazione freelance. Bastian contrario di natura e appassionato sostenitore di cause perse per vocazione, nel tempo libero si divide tra moglie, amici, famiglia e buona tavola (non sempre nell’ordine). Cerca di coltivare con frequentazioni irregolari l’amore per la letteratura classica e il cinema e di alimentare la passione per la letteratura gialla attraverso la continua ricerca di titoli dimenticati. Tognazzi ’60 è il suo primo libro.

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    Tognazzi '60 - Alessandro Garavaglia

    Alessandro Garavaglia

    Tognazzi ‘60

    © Bibliotheka Edizioni

    Piazza Antonio Mancini, 4 – 00196 Roma

    tel: (+39) 06. 4543 2424

    info@bibliotheka.it

    www.bibliotheka.it

    I edizione, gennaio 2022

    e-Isbn 9788869347542

    È vietata la copia e la pubblicazione,

    totale o parziale, del materiale

    se non a fronte di esplicita

    autorizzazione scritta dell’editore

    e con citazione esplicita della fonte.

    Tutti i diritti riservati.

    Direttore della collana Cinema del ‘900: Massimo Moscati

    Editing: Cesare Paris

    Foto di copertina: © Reporters Associati & Archivi - Roma

    Disegno di copertina: Riccardo Brozzolo

    Alessandro Garavaglia

    È nato nel 1978. Milanese DOC, è laureato in Lettere Moderne all’Università Statale di Milano e lavora come consulente di comunicazione freelance.

    Bastian contrario di natura e appassionato sostenitore di cause perse per vocazione, nel tempo libero si divide tra moglie, amici, famiglia e buona tavola (non sempre nell’ordine).

    Cerca di coltivare con frequentazioni irregolari l’amore per la letteratura classica e il cinema e di alimentare la passione per la letteratura gialla attraverso la continua ricerca di titoli dimenticati.

    Tognazzi ’60 è il suo primo libro.

    Cinema del ‘900, attraverso il ritratto di dieci attori/registi, rievoca 100 anni di cinema italiano, tracciandone le coordinate stilistiche e tematiche.

    A cura di Massimo Moscati, una nuova collana, volutamente arbitraria, ma rigorosa istantanea di una grande e lunga stagione del nostro cinema, dagli albori fino alla fine del secolo scorso.

    Dieci volumi per dieci autori esperti della materia e grandi conoscitori della settima arte.

    Una collana volta alla riscoperta di grandi capolavori perché il Classico, per sua natura, è sempre contemporaneo e sempre all’avanguardia.

    Un gigante sulle cui spalle possiamo salire per vedere un tratto in più di orizzonte che, altrimenti, rimarrebbe nascosto.

    I titoli della collana:

    Alberini ’00 di Riccardo Lestini

    Pastrone ’10 di Luca Mazzei

    Bertini ’20 di Letizia Cilea

    Camerini ’30 di Beppe Musicco

    Blasetti ’40 di Maria Triberti

    Totò ’50 di Massimo Moscati

    Tognazzi ’60 di Alessandro Garavaglia

    Fellini ’70 di Nicola Bassano

    Moretti ’80 di Antonio Autieri

    Verdone ’90 di Gianluca Cherubini

    A mia moglie Andrea

    Premessa

    La vita agra di un mattatore angosciato

    Autentico gatto da cortile, anima persa dietro alla fica, attore di formidabile istinto, ignorante come un carabiniere, anche se compra quadri e libri rari.

    Questo diceva Luciano Bianciardi di Ugo Tognazzi. Ma perché ci interessa?

    Per due motivi. Questo 2022 segna il centenario della nascita di entrambi. Ma anche perché Ugo fu l’alter-ego di Luciano nell’adattamento cinematografico di Carlo Lizzani de La vita agra, uscito nell’aprile del 1964 (il romanzo era apparso due anni prima da Feltrinelli).

    In realtà, Bianciardi è simpaticamente ingeneroso nell’enfatizzare la presunta ignoranza di Tognazzi. Ricorda Carlo Lizzani: "L’idea di fare un film tratto da La vita agra di Luciano Bianciardi piacque tanto ad Ugo che aveva amato molto il libro. […] Tognazzi era un attore di tutto rispetto, sentiva di avere bisogno di sceneggiatori e registi adeguati al suo talento e si comportava di conseguenza. Credo che se si fosse trovato a esordire nel cinema di oggi dopo i primi sketch di successo in teatro o in televisione avrebbe trovato subito un produttore che gli avrebbe imposto di dirigersi da solo in un film, senza badare troppo alla trama e al contesto. In passato, invece, se veniva fuori una bella idea, attori, registi e sceneggiatori si riunivano magari in un ristorante e si mettevano d’accordo facilmente: era un’epoca d’oro in cui al cinema andavano 500 milioni di spettatori all’anno e non i 100 milioni di oggi... All’epoca de La vita agra per fortuna sia io che Ugo avevamo una profonda conoscenza di quel mondo milanese di artisti e giornalisti che ruotava tra il quartiere Brera e la latteria Pierovici. […] Tognazzi e gli sceneggiatori ascoltando i miei racconti si ritrovavano insomma a casa, così come accadeva a Bianciardi che veniva spesso a trovarci sul set. […] Il film fu accolto molto bene dalla critica e dal pubblico e da allora io ed Ugo restammo in ottimi rapporti. Era straordinariamente generoso ed aveva la capacità di prolungare ad oltranza l’orario di lavoro andando a divertirsi senza risparmio con cast e troupe: lo ricordo come un ragazzone immerso nella vita fino al collo".

    Un centenario e un’opera in comune, solo casualità?

    In realtà, Tognazzi appare come l’interprete più poliedrico della cinquina dei mattatori della commedia all’italiana: Gassman, Sordi, Mastroianni, Manfredi replicano sé stessi sullo schermo. Ugo recita, e quindi può identificarsi in Luciano che è quanto di più distante da lui. O forse no. Uno attore periferico, l’altro intellettuale periferico: entrambi (s)radicati nella metropoli (Milano e Roma) che li farà uscire dall’anonimato.

    E non sarà quindi un caso se Bianciardi, sempre così contro e sopra le righe, dirà del film: Le cose che ho visto mi paiono belle, molto ben curate da Lizzani, uomo serio e preparato, fotografate a meraviglia da Menczer, un operatore coi fiocchi. Tognazzi è un grosso attore, una bestia che d’istinto capisce cosa va fatto e cosa no. Che vi debbo dire, so solo che da oggi in poi non riuscirò più a immaginare me, ma Ugo Tognazzi.

    Se è vero che l’attore fa esperienza, come tanti, nel varietà imitando Totò e un maiale, ostentando una mobilità nel volto e una gestualità che molto serviranno agli inizi per gli sketch televisivi, la tendenza a distinguersi sotto il profilo culturale sarà una costante. Come attesta, per esempio, la sua seconda regia, quel Fischio al naso – tratto dal celebre racconto di Dino Buzzati Sette piani – che nel film si contamina con Kafka e l’Evelyn Waugh de Il caro estinto.

    La forza attoriale di Tognazzi è evidente: sotto la maschera sorridente traspare stabilmente una sottile angoscia che permette una facile identificazione da parte di una moltitudine di italiani appartenenti a differenti classi sociali (Gassman è arrogante, Mastroianni bello, Sordi specifico, Manfredi sensibile…). Di questo ne sono consapevoli Marco Ferreri, l’Ettore Scola de Il commissario Pepe, Dino Risi (se ne renderà conto tardivamente a partire da In nome del popolo italiano). Ma è soprattutto Bernardo Bertolucci a esprimerlo senza mezzi termini dirigendolo ne La tragedia di un uomo ridicolo.

    Un’angoscia che apparirà quasi invadente nella trilogia scadente della Cage aux Folles/Il vizietto, dove Tognazzi sembra esiliarsi per reagire al declino del cinema italiano che rischia di sgretolare la sua carriera.

    In fondo l’attore si consumerà in un lungo rimpianto: Fellini gli aveva offerto il ruolo da protagonista in un film sulla morte. Tutto era pronto. Entusiasta, Ugo si preparava a questo grande incontro. Ma il superstizioso Fellini abbandonò il progetto, temendo che, quando il film fosse finito, la morte sarebbe realmente passata all’incasso. Tognazzi e Fellini litigarono malamente, e l’attore accettò per ripicca di partecipare ad un Satyricon apocrifo e invedibile (in contemporanea a quello in lavorazione di Federico) che portò solo problemi.

    In fondo, il conte Raffaello Mascetti di Amici miei con la sua supercazzola prematurata con doppio scappellamento a destra amplifica il pensiero e quindi lo stato d’animo dell’uomo e dell’interprete: è la Morte, e la continua fuga da essa, il vero perno su cui si basa la Commedia. Un ininterrotto dialogo per cercare di fuggire da un destino che è comunque segnato, prima o poi. Tentando di esorcizzare, magari facendosi coinvolgere in imbarazzati macchiette come Il petomane di Pasquale Festa Campanile.

    E così, circolarmente, si torna a Bianciardi. Per la stretta vicinanza identitaria fra autore, narratore e interprete. Una sorta di autofiction che assimila completamente anche Tognazzi e che ci ha fatto pensare che il centenario delle due nascite non fosse poi così casuale.

    Massimo Moscati

    Introduzione

    Il presente libro si propone l’obiettivo di un’analisi approfondita e il più possibile esaustiva del cinema di Ugo Tognazzi nel decennio che l’ha consacrato.

    Dopo l’inevitabile introduzione di quanto realizzato dall’attore fino al 1959 e una panoramica sul cinema italiano del periodo, verranno affrontati in singoli capitoli tutti i film realizzati a partire dal 1960 (a eccezione dei lavori più commerciali, realizzati il più delle volte in coppia con Raimondo Vianello, con Walter Chiari o con entrambi e di alcune pellicole successive(1) che hanno visto l’attore coinvolto in brevi e non significative comparsate).

    Per quelli della mia generazione, Tognazzi è soprattutto il conte Lello Mascetti – il suo personaggio più popolare – e nei dieci anni successivi a quelli qui presi in esame, l’attore cremonese ha realizzato alcuni tra i suoi successi più significativi, che saranno trattati concisamente nel capitolo conclusivo.

    Eppure ritengo che sia maggiormente interessante ripercorrere le tappe che, negli anni Sessanta, hanno consentito a Tognazzi di emanciparsi dall’immagine farsesca costruita nei Cinquanta per collocarsi ai vertici del cinema italiano. Come vedremo – spero che in questo il mio lavoro risulti sufficientemente dettagliato e appaghi la curiosità del lettore – si tratta di un percorso lungo e faticoso (a Tognazzi non verranno risparmiate critiche, anche ingenerose) eppure coronato da grande successo.

    Nell’età d’oro del cinema italiano, Tognazzi riuscirà a conquistare il pubblico grazie a caratteristiche che lo differenziano dai colleghi ai quali è solitamente accostato: innanzitutto è l’unico non romano (per nascita o adozione) tra i grandi della cosiddetta commedia all’italiana ed è il volto capace di incarnare meglio degli altri l’uomo comune. Tognazzi si mette al servizio degli autori più interessanti del cinema italiano, uscendo dai confini della commedia, mostrando di amare non l’omogeneità ma la difformità, accettando di travestirsi e di assumere ruoli di personaggi ripugnanti moralmente, ideologicamente, fisicamente e sessualmente(2).

    L’enorme popolarità raggiunta non gli bastò: volle misurarsi, con coraggio e ambizione, con il cinema d’autore – impossibile in questo senso non citare la collaborazione con Ferreri – e con il ruolo di regista (nel periodo preso in esame, saranno tre i film da lui diretti), a testimonianza di una grande personalità e di un’intelligenza vivace alle quali ritengo vada reso il giusto tributo.

    Dal punto di vista metodologico, il libro riduce al minimo lo spazio per gli aspetti privati della vita di Tognazzi: le questioni personali, ancorché importanti, competono alla mia sfera di indagine nella misura in cui hanno influenzato in qualche modo la produzione dell’artista.

    Nell’introdurre l’opera di cineasti, attori, sceneggiatori e artisti citati, ho privilegiato quanto da loro realizzato fino al momento del film, mettendo in secondo piano (salvo rare eccezioni) i lavori successivi.

    Le citazioni ritenute significative sono state inserite solo se documentabili: le note e gli indici riportano dettagliatamente le fonti. Per quanto riguarda le recensioni dell’epoca e le informazioni relative alla filmografia, ho attinto prevalentemente (ma non esclusivamente) alla monografia Ugo Tognazzi di Bernardini-Fava, edita da Gremese.

    (1) Mi riferisco a Oggi, domani e dopodomani (1965), L’harem (1967), Gli altri, gli altri…e noi (1967).

    (2) Gian Piero Brunetta, Cent’anni di cinema italiano. Dal 1945 ai giorni nostri, Laterza, Bari-Roma, 1998 – pag. 296.

    1922-1959

    Ugo Tognazzi nacque il 23 marzo 1922. Figlio secondogenito di un ispettore di una società di assicurazioni, trascorre l’infanzia al seguito del padre in numerose città del nord Italia. Bassano del Grappa, Padova, Vicenza, sono solo alcune tappe del travagliato percorso dei Tognazzi che assistono impotenti agli insuccessi seriali del capofamiglia, considerato un menagramo dai contadini che cercava di assicurare. In questo periodo il piccolo Ugo, precocissimo (a quattro anni!), calca per la prima volta un palcoscenico in occasione di uno spettacolo di beneficenza al teatro Donizetti di Bergamo(3).

    Quando la famiglia torna a stabilirsi nella natia Cremona, Tognazzi è già adolescente e nel 1936 trova impiego nel salumificio cittadino Negroni, in qualità di impiegato. Vi sembrerà strano, ma chi mi spinse a intraprendere la carriera teatrale fu un certo ragionier Balzarini, capufficio del noto salumificio Negroni di Cremona dove io ero contabile rivelerà ironicamente in un’intervista televisiva rilasciata anni dopo a Enzo Biagi(4), battezzando con nome e cognome il motivo che lo spinse indirettamente a intraprendere la carriera di attore.

    L’insoddisfazione per la quotidiana routine era però molto più profonda e assillante il guaio era che tutti avevano bene o male un mestiere o si preparavano a farselo. Nel palazzo dove abitavo gli amici mi ripetevano, ed era sempre la stessa nenia: terminata la scuola andrò in banca. Io alla federazione, me l’ha assicurato il fiduciario. E tu Ugo dove andrai a parare? E a quel punto facevo i pensieri più brutti che si potevano immaginare(5).

    Turòon, Turàs, tetàss e…Tùgnaz: Ugo e Cremona

    Tognazzi aveva con la sua città natale un vero e proprio rapporto d’amore che, come tutti quelli sinceri e passionali, era pieno di alti e bassi. Amo Cremona, la amo anche se ogni qualvolta ci torno mi trattano come l’ultimo della cordata dichiarerà più volte.

    Il successo lo porta lontano, eppure Ugo resterà sempre ancorato alla sua origine cremonese, che cercherà di mantenere viva anche a costo di ricorrere a escamotage. Il Milan è la moglie, la Cremonese l’amante dirà ad esempio a proposito della sua appartenenza calcistica, divisa tra due bandiere.

    Il rapporto, come detto, sarà altalenante: il Teatro Ponchielli di Cremona ospita la prima nazionale de L’Avaro nel 1988 e l’amico di lunga data Elia Santoro, come in una scena di Quarto potere, stronca la recitazione di Tognazzi, arrivato a Molière dopo tantissimi film, tutti brutti e commerciali. Tognazzi avrebbe voluto sancire in qualche modo anche sul grande schermo il suo legame con la città. È nota la sua delusione per non essere stato coinvolto nella realizzazione del film dedicato a Stradivari diretto da Giacomo Battiato negli anni ’80. A questo proposito l’imprenditore Sergio Capelli, proprietario di numerose sale cinematografiche in città, rivelerà come Tognazzi abbia manifestato con una battuta in dialetto la sua delusione per veder assegnata la parte del liutaio a Anthony Quinn cat l’è bravo ma el gà la facia da messicano, mìia de cremounes. Toucàava a me.

    A cent’anni dalla nascita sarebbe ora che queste fratture siano in qualche modo ricomposte, per lasciare il posto al giusto tributo di Cremona a un grande artista. In fin dei conti, il cognome si presta bene a modificare il detto legato alla storia della città delle tre, pardon quattro, T: Turòon, Turàs, tetàss e…Tùgnaz!

    Le preoccupazioni per il futuro si mescolano alla voglia di evasione: Tognazzi inizia a frequentare la filodrammatica del Dopolavoro cittadino e a recitare da dilettante. Un teatro quello del Dopolavoro… Beh, lasciamo correre, una vera e propria frana. Aveva le finestre che davano dritto sui binari. Quando passava l’accelerato per Cologno, Piacenza e Mantova il fabbricato tremava come fosse passato il terremoto. Mentre transitava il convoglio, poiché in sala non si sentiva un accidenti, muovevo a vuoto le labbra per poi riprendere il discorso(6). Nonostante queste condizioni ambientali, la strada sembra segnata e il giovane Ugo dedica sempre più energie al teatro e inizia quello che si può a buon titolo considerare il suo apprendistato: l’esordio ufficiale si fa risalire al 1939 nella commedia di Giovanni Cenzato Il ladro sono io(7).

    La vita dell’attore mal si concilia tuttavia con l’impiego da Negroni e molto presto Tognazzi viene licenziato dal salumificio. Quando mi mandarono via da Negroni per via delle frequenti assenze dovute alle recite per le Forze Armate andai dal fiduciario e gli dissi: guarda che quelli mi hanno sbattuto fuori. La colpa in parte è vostra. Ora che faccio? Mi misero in camicia nera e mi dettero un tavolino nell’anticamera del comando. Durò poco, non più di sei mesi(8). Sono gli anni che precedono il secondo conflitto mondiale, ma nemmeno la guerra riesce a interrompere la carriera appena intrapresa: la chiamata della Marina porta Tognazzi a La Spezia, dove intrattiene i soldati con spettacoli e barzellette.

    Il fatto di essere cuoco poteva anche divenire una seconda professione se il cinema non mi avesse più dato la possibilità di vivere

    Il rapporto di Tognazzi con la cucina abbraccia in modo più ampio la vita stessa dell’attore. Oltre ad attraversarne la filmografia con ruoli che lo vedono spesso tra i fornelli – uno su tutti: quello del proprietario di ristoranti e chef Ugo de La grande abbuffata – la passione per la buona tavola ha prodotto numerosi libri (oltre al celebre L’abbuffone, da ricordare Afrodite in cucina, La mia cucina e Il rigettario) che alternano ricordi personali e considerazioni a ricette culinarie, fino alla direzione della rivista La nuova cucina negli anni Ottanta. Sì, perché la cucina è il luogo dove Ugo Tognazzi cerca di esprimere sé stesso: sono celebri infatti tanto i pantagruelici banchetti preparati per gli amici (o gli ospiti), quanto proverbiale è la sua ansia in attesa dell’approvazione delle sue performance culinarie. Ugo non era un gran mangiatore, piuttosto un grande osservatore di chi mangia, osserva Alberto Bevilacqua (cfr. la prefazione a Ugo Tognazzi, L’abbuffone, II ediz., Avagliano, Cava de’ Tirreni, 2004 – pag. 5) sottolineando come il grande attore avesse bisogno di sentirsi approvato anche come ospite. Tratto comune questo all’esperienza artistica che si portava con sé la sindrome comune a molti comici, sempre nella necessità di sentirsi approvati dal pubblico.

    Rientrato a Cremona dopo l’8 settembre, il giovane si presenta di nuovo alle autorità locali in cerca di un impiego. Su suggerimento di un funzionario, lascia definitivamente la città natale per trasferirsi a Milano, più ricca di opportunità(9).

    Finito il militare, andai a Milano con un bagaglio di esperienze come attore negli spettacoli per le truppe e partecipai a un concorso per dilettanti dal quale uscii trionfatore, a cui seguì l’immediata proposta di diventare comico di varietà, di avanspettacolo. Da quel momento inizia il mio lavoro di attore, perché da quel momento diventa lavoro veramente, mi danno 150 lire al giorno, nel ’44 ci potevo campare(10).

    L’arrivo nel capoluogo lombardo segna la svolta della vita. Grazie alle sue doti, questo ragazzo arrivato dalla provincia che si ispira – imitandoli – a Dapporto, Rascel e Totò si impone presto all’attenzione degli impresari più influenti della città. Nonostante l’occasione di lavorare con Wanda Osiris (da poco separatasi da Carlo Dapporto) sfumi nel caos del dopoguerra, ormai il nome di Tognazzi inizia a circolare con una certa insistenza: nel 1945 entra a far parte di una compagnia di giro che percorrerà in lungo e in largo la penisola e contribuirà ad arricchire il suo repertorio di numeri. Sono ascrivibili a questi anni incontri decisivi da un punto di vista professionale, come ad esempio quello con gli sceneggiatori Scarnicci e Tarabusi o con Raimondo Vianello, conosciuto nel 1951.

    Il rapporto con la settima arte non inizia però nel modo migliore. È un momento di grande fortuna per gli attori comici (uno su tutti: Totò) e per il genere: il film comico prevedeva costi molto ridotti e per questo bastava per guadagnare bene, incassare relativamente poco; per anni molti non contarono nemmeno su una circolazione nazionale, a rendere l’affare vantaggioso era sufficiente smerciare il prodotto in una fetta d’Italia, non necessariamente nemmeno la più ricca(11).

    Nonostante questa favorevole congiuntura, il cammino si presenta da subito in salita, offrendo in qualche modo a Tognazzi un’anticipazione delle difficoltà che dovrà superare per raggiungere il successo. "Il mio primo contratto è una scrittura che mi viene proposta mentre a Roma sto lavorando in teatro e logicamente mi fa toccare il cielo con un dito. Mollo la compagnia, pago una penale, mi ricordo, di un milione, rimango in attesa di conferma e scopro che il film lo farà Walter Chiari: il primo che avrei dovuto fare, si chiamava L’inafferrabile 12. Era il massimo, sapevo di avere un trampolino di lancio che invece conquista lui. Infatti il film ha successo. Walter parte in quarta, e io rimango alle corde"(12).

    Gli sketch e le macchiette ideati o appresi grazie all’esperienza sul palcoscenico, gli consentono comunque di esordire nel film I Cadetti di Guascogna (1950) diretto da Mario Mattoli come coprotagonista a fianco di Walter Chiari. Il ruolo del soldato piemontese dal finto dialetto subalpino è soprattutto il naturale prolungamento delle sue performance nella rivista. I critici mostrano di accorgersi appena di questo esordio: Mario Landi definirà una coppia simpatica che può trovare una sua maniera cinematografica(13) quella costituita da Chiari e Tognazzi mentre sulle pagine della rivista Hollywood Renato Morazzani-Pietri si spinge oltre sottolineando come "unicamente per loro alcune scene dei Cadetti sono tollerabili".

    Il film ebbe tuttavia un grande riscontro commerciale, risultando settimo nella graduatoria assoluta dei maggiori incassi nelle prime visioni per la stagione 1950-51(14). La buona accoglienza di pubblico non bastò a garantire a Tognazzi la conferma: il successo porta sempre a fare il seguito, ma confermano tutti, tranne me(15). Non tutto il male viene per nuocere: in occasione del primo film, Tognazzi incontra la coppia di sceneggiatori Age e Scarpelli, che ritroveremo come collaboratori di alcuni dei principali successi dell’attore nel corso degli anni Sessanta.

    Lungi dal farsi scoraggiare, Tognazzi inizia una frenetica attività che lo porta a coltivare altre ambizioni. Il periodo 1955-1958 lo vede impegnato anche nel teatro brillante, dove però non riesce a superare i limiti di un mestiere medio. Colse a mio avviso nel segno Masolino d’Amico evidenziando come Tognazzi non riusciva a farsi andare a genio la seriosità, la pesantezza, l’ufficialità che gli sembravano incombere sul teatro di prosa. Al quale teatro di prosa egli anche in seguito si sarebbe rivolto di rado, e sempre con molta circospezione, un po’ come a un penoso dovere impostogli dalla statura di interprete che ormai tutti gli riconoscevano. Sono sicuro che non l’abbia mai amato(16). Si impegna inoltre in trasmissioni radiofoniche, forte di un timbro vocale incisivo e riconoscibilissimo. È del 1956 la rivista L’imperfetto di Scarnicci e Tarabusi con Vianello e Noschese e del 1958 la fiaba Il dissipatore di Ferdinand Raimund per la regia di Sandro Bolchi.

    Ma l’esperienza decisiva di quegli anni è in televisione. "Forse qui è cominciata veramente la mia carriera. Ho seguito

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