Ugo Tognazzi: Quaderni di Visioni Corte Film Festival
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Anteprima del libro
Ugo Tognazzi - Giuseppe Mallozzi
Visioni di Cinema
Quaderni di Visioni Corte Film Festival
Vol. 4 – UGO TOGNAZZI
a cura di Giuseppe Mallozzi
Direttore di Redazione: Jason R. Forbus
Progetto grafico e impaginazione di Sara Calmosi
ISBN 978-88-3346-990-4
Pubblicato da Ali Ribelli Edizioni, Gaeta 2022©
Saggistica – Cinema
www.aliribelli.com – redazione@aliribelli.com
È severamente vietato riprodurre, in parte o nella sua interezza, il testo riportato in questo libro senza l’espressa autorizzazione dell’Editore.
Visioni di Cinema
Quaderni di Visioni Corte Film Festival
UGO TOGNAZZI
AliRibelli
Introduzione
La figura di Ugo Tognazzi attraversa la storia italiana per diversi decenni. Un’Italia uscita dalla seconda guerra mondiale completamente a pezzi, affamata, da ricostruire, per poi riprendersi con il boom economico degli anni ’50 e ’60, esprimendo nel cinema tutta la sua potenza ironica e corrosiva, e poi ancora gli anni ’70 con la strategia della tensione fino all’edonismo degli ’80. Tognazzi, attore monumentale del nostro cinema, affiancato dagli altri colonnelli della commedia all’italiana
, ovvero Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Marcello Mastroianni e Alberto Sordi, ha avuto una lunga carriera cinematografica, recitando in circa 150 film girati tra gli anni ’60 e ’80, molti da protagonista. Unico settentrionale a imporsi in un cinema romanocentrico (era nato a Cremona il 23 marzo 1922), mette a frutto l’istrionismo scatenato e un temperamento solo in apparenza misurato, il gusto dell’arditezza e la provincia come stato d’animo, la fisicità non prestante e il fascino sulfureo. Ha saputo ritagliarsi il suo spazio tra grandi campioni della risata, capace come pochi di variare registro tra il comico e il drammatico semplicemente utilizzando una smorfia o un battito di ciglia, grazie alla sua eccezionale espressività. La stagione aurea della commedia italiana è passata da questi nomi da cinema popolare ma anche di spessore.
Tra i magici cinque, Ugo Tognazzi è stato un artista poliedrico, che ha tagliato trasversalmente il varietà, la radio, Carosello, cinema-teatro-televisione, davanti e dietro la macchina da presa (cinque film da regista); cambiando spalla
, toni, compagne, trame, menù, sempre fedele a se stesso e alle vite recitate, fuori e dentro la realtà filmata.
Per parlare della sua carriera, bisogna partire dall’avanspettacolo e dalla rivista. Ma sono soprattutto le sei edizioni del cult televisivo Un due tre, in coppia con Raimondo Vianello, a renderlo popolare presso il grande pubblico. In parallelo, per tutti gli anni ’50 e l’inizio dei ’60, una sterminata galleria cinematografica di figurine e macchiette: da citare almeno il viscido dirigente de L’incantevole nemica (dove c’è perfino Buster Keaton), il pauroso borghese di Domenica è sempre domenica, spalla devota in Totò nella Luna e accanto a Tina Pica in una mezza dozzina di farse, fessacchiotto in Non perdiamo la testa, fino alla satira di A noi piace freddo…! che annuncia la svolta decisiva della carriera: la memorabile performance de Il federale, in cui dà prova di saper misurare la sua vena umoristica all’altezza della complessità del dramma.
Non si contano le pellicole nelle quali ha recitato: da I cadetti di Guascogna (Mario Mattioli, 1950) a La battaglia dei tre tamburi di fuoco (Souheil Ben-Barka e Uchkun Nazarov, 1990) passano quarant’anni di maschere tragiche sottotraccia all’apparenza farsesca. Il carabiniere dall’espressione beota che nel lapidario episodio Il mostro (Dino Risi, I mostri, 1963) posa in favore di obiettivo dopo l’arresto di un povero cristo, anticipa la voglia di apparire, progressivamente degenerata nella tv del dolore e poi nei selfie dei nostri giorni. E dietro la vicenda di corna e fede politica dell’operaio metalmeccanico di Romanzo Popolare (Mario Monicelli, 1974) gravano inapparenti la vita agra e la sciagura.
Tra le pellicole più celebri si annoverano la trilogia di Amici miei, La grande abbuffata o Il vizietto, film di successo che gli hanno permesso di vincere anche numerosi riconoscimenti. Si è aggiudicato tre David di Donatello come migliore attore protagonista con i film L’immorale (1967), La califfa (1970) e Amici miei (1975). Poi quattro Nastri d’Argento con Una storia moderna: l’ape regina (1963), Io la conoscevo bene (1965), La bambolona (1969) e La tragedia di un uomo ridicolo (1981). Con quest’ultimo ha trionfato anche al Festival di Cannes ottenendo una Palma d’Oro per la migliore interpretazione maschile, a suggellare una florida carriera di attore.
Nelle pagine del quarto numero di Visioni di Cinema – Quaderni di Visioni Corte Film Festival, al quale hanno partecipato i critici cinematografici Gianmarco Cilento, Manuela Giordano, Domenico Livigni, Gordiano Lupi, Francesco Mattana, Domenico Palattella, Davide Persico, in occasione del centenario della nascita la figura di Ugo Tognazzi viene affrontata non solo dal punto di vista cinematografico ma anche nei suoi trascorsi nel varietà e nella televisione, non mancando approfondimenti sulla sua vita privata e sulle sue pellicole firmate come regista. Insomma, un volume completo che mira ad avvicinare non solo gli appassionati ma anche i nuovi spettatori.
Buona lettura!
Giuseppe Mallozzi
Sommario
Biografia
Domenico Livigni
Dove vai… se non hai fatto la rivista? Il teatro di Ugo Tognazzi
Francesco Mattana
Un, due, tre... Ugo Tognazzi in TV
Giuseppe Mallozzi
Il cinema di Ugo Tognazzi
Gordiano Lupo
La saga di Amici miei
Manuela Maria Giordano
Come ti faccio il commissario: il percorso giallo-poliziesco di Ugo Tognazzi
Gianmarco Cilento
Tognazzi ultimo atto. Gli anni Ottanta
Giuseppe Mallozzi
Ugo Tognazzi dietro la macchina da presa
Davide Persico
Tognazzi politico: dal diritto alla cazzata alla rivoluzione dei costumi
Domenico Palattella
Ugo Tognazzi privato
Filmografia
Gli Autori
Biografia
Nato a Cremona il 23 marzo del 1922, figlio di un assicuratore, Ugo Tognazzi è presto costretto ad abbandonare gli studi (cosa della quale non poco si dorrà col passare del tempo) e già a quattordici anni lavora negli stabilimenti del Salumificio Negroni. Segnato nell’estro dalle esperienze teatrali fatte sin dalla più tenera infanzia (a soli quattro anni aveva preso parte ad alcuni spettacoli di beneficenza), lo troviamo ben presto impegnato nelle recite della filodrammatica cittadina, presso il Dopolavoro, attività che durante la guerra, chiamato alle armi nei ranghi della Marina, lo porterà di stanza a La Spezia, impiegato nelle attività di intrattenimento dei soldati, protagonista di piccoli spettacoli a base di barzellette e imitazioni.
Il settembre del ’43 lo vede recuperare Cremona, determinato a continuare la sua attività artistica organizzando piccoli spettacoli di rivista nelle ore libere dal lavoro che svolge all’Ufficio Ammasso e Fieno. Ma la provincia gli sta ormai stretta, così si sposta a Milano in cerca di fortuna. È il 1945 e un concorso per dilettanti lo vede trionfare, procurandogli la prima scrittura con una compagnia di giro, che ben presto lo porta a farsi notare dall’ambitissima corte di Wanda Osiris: scritturato dalla wandissima
, non esita a liberarsi dal contratto precedente pagando un’esosa penale e, pur stipendiato, resta in attesa di calcare le scene per la diva. Ma il tempo passa e la fine della guerra vede l’impresario svanire nel nulla e la compagnia della Osiris sciogliersi: per Tognazzi questa resterà la prima grande delusione della sua carriera. Ma ormai il suo nome è nel giro e il giovane attor comico non tarda a trovare una nuova scrittura con la compagnia di Erika Sandri, che lo porta in giro per l’Italia, dal nord al sud, con Viva le donne di Marchesi. È solo l’inizio di una intensissima stagione che, sino al ’56, lo vede impegnato in un crescendo di successi: nella stagione 1946-47, dopo essere stato in scena con Bocca baciata, è accanto a Macario in Cento di queste donne; nel 1948-49 è ancora con Macario in Febbre azzurra e poi passa con la Masiero in Paradiso per tutti; nel ’49-’50 è tra i protagonisti di Castellinaria di Amendola, Gelich e Maccari, seguito nel ’50-’51 da Quel treno che si chiama desiderio.
Mentre le scene salutano con successo i suoi numerosi impegni, il cinema inizia ad accorgersi di lui: è del 1950 la sua prima esperienza su un set, chiamato tra gli interpreti de I cadetti di Guascona di Mario Mattoli. E se il decennio vedrà Tognazzi partecipe di altre 30 leggerissime commedie per lo schermo, il palcoscenico non cesserà di essere tra i suoi impegni, in un susseguirsi frenetico di lavori prestigiosi: Dove vai se il cavallo non ce l’hai? (’51-’52), Ciao, fantasma (’52-’53), Barbanera, bel tempo si spera (’53-’54), Passo doppio (’54 ’55).
Il 1955 è un anno cruciale per l’evolversi della carriera di Tognazzi: registra infatti il suo debutto nel teatro di prosa con la commedia di Bracchi Il medico delle donne, ma segna anche il consolidarsi del successo televisivo che, dalla fine del ’54, lo vede protagonista, in un’inseparabile coppia con Raimondo Vianello, di Un, due, tre, il fortunatissimo varietà della Rai che lo impegnerà con immutato entusiasmo sino al 1959. Sempre il 1955, d’altronde, porta a Tognazzi il primo figlio, Ricky, avuto con la ballerina inglese Pat O’Hara, ma tanto non basta a placare la sua fama di tombeur de femmes, che alimenta i rotocalchi dell’epoca contribuendo a fare di lui un personaggio chiacchieratissimo. E se nel 1956 assieme ad Agus e Zoppelli mette insieme una sua compagnia, con la quale porta in giro Il fidanzato di tutte, Papà mio marito e L’uomo della grondaia, va detto che Tognazzi appare sempre più preso nel vorticoso mondo del cinema, che, sul far dei Sessanta, finirà per coinvolgerlo del tutto, non prima però di averlo visto debuttare nella regia teatrale, portando in scena e interpretando al Quirino di Roma Gog e Magog.
L’occasione per dare una svolta alla sua carriera giunge con Il federale di Luciano Salce: è il 1961 e, con la sua brillante e umanissima caratterizzazione del graduato delle brigate nere Primo Arcovazzi, Ugo Tognazzi rivela finalmente anche sul grande schermo le sue doti di interprete destinato a offrire il suo volto alla stagione d’oro della commedia italiana. A conferma dell’impegno col quale negli anni Sessanta l’attore si dedica all’attività cinematografica, nel ’61 giunge anche il suo esordio nella regia con Il mantenuto, primo di cinque film che, a cadenze più o meno regolari, l’attore vorrà dirigere nel corso degli anni (gli altri saranno: Il fischio al naso, ’67; Sissignore, ’68; Cattivi pensieri, ’76; I viaggiatori della sera, ’79; ai quali è da aggiungere, nel ’70, l’esperienza di regista della serie televisiva F.B.I. Francesco Bertolazzi Investigatore). Sono anni, questi, in cui il cinema è prodigo con Tognazzi di collaborazioni qualificate e di titoli rimasti fondamentali per la nostra cinematografia: con Salce gira La voglia matta (’62) e Le ore dell’amore (’63); con Dino Risi fa La marcia su Roma (’62) e subito dopo trova la consacrazione definitiva con I mostri (’63), entrambi interpretati accanto a Vittorio Gassman. Ma è soprattutto con Marco Ferreri che trova la chiave per definire un personaggio umanamente surreale in opere discusse e fondamentali come Una storia moderna: l’ape regina (’63), La donna scimmia (’64), Controsesso (’64) e Marcia Nuziale (’66).
La vita privata, intanto, vede Tognazzi sposo per pochi mesi del ’63 dell’attrice norvegese Margarete Robsahm, dalla quale ha il secondo figlio, Thomas. Di questi stessi anni è del resto l’incontro con l’attrice Franca Bettoja, destinata a diventare prima sua compagna e poi (dal ’72) sua sposa. Polo d’attrazione di tutte le certezze degli anni della sua maturità, Franca Bettoja darà a Tognazzi altri due figli: Gianmarco, nel 1967, e Maria Sole, nel 1973.
L’ultimo scorcio dei Sessanta trova Tognazzi impegnato a smungere dalla sua già ricca filmografia le prestazioni più immediatamente d’evasione, cercando soggetti e autori in grado di qualificarne sempre più le acute doti d’interprete degli umori e delle debolezze della società contemporanea: in questo senso vanno le collaborazioni con Pietrangeli (Io la conoscevo bene, ’65), Germi (L’immorale, ’67), Giraldi (La bambolona, ’68), Scola (Il commissario Pepe, ’69) e Pasolini (Porcile, ’69). Ma questo è anche il periodo che registra la seconda grande delusione della carriera di Tognazzi: Fellini lo mette sotto contratto per il poi mai realizzato Viaggio di Mastorna, ma poi rinuncia a girare il film, lasciando l’attore con l’amarissima delusione di una consacrazione mancata, dalla quale cercherà di rifarsi accettando di interpretare Trimalcione nel Satyricon (’69) che Polidoro mette in cantiere a tempo di record per battere il contemporaneo progetto di Fellini.
Gli anni Settanta trovano Tognazzi interprete sempre più acuto, anche se non esente da scelte discutibili. L’incontro con Mario Monicelli produce due grandi successi come Romanzo popolare (’74) e Amici miei (campione d’incassi nel ’75), quello con Lattuada il pungente Venga a prendere il caffè da noi (’70), mentre con Risi realizza, tra gli altri, In nome del popolo italiano (’71), La stanza del vescovo (’77) e Primo amore (’78). Accompagna lo scrittore Alberto Bevilacqua nelle prove cinematografiche de La Califfa (’70) e Questa specie d’amore (’72) e ritrova il miglior Ferreri con L’udienza (’71) e soprattutto La grande abbuffata (’73), che gli regala il successo internazionale, bissato poi nel ’78 in chiave completamente diversa con