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A cena con Luchino Visconti: Banchetti e osterie tra decadenza e neorealismo
A cena con Luchino Visconti: Banchetti e osterie tra decadenza e neorealismo
A cena con Luchino Visconti: Banchetti e osterie tra decadenza e neorealismo
E-book90 pagine1 ora

A cena con Luchino Visconti: Banchetti e osterie tra decadenza e neorealismo

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Info su questo ebook

Ossessione, Senso, Bellissima, Il Gattopardo, La caduta degli dei, Morte a Venezia, Ludwig, sono alcuni dei film di uno dei più grandi registi del cinema italiano: Luchino Visconti. Aristocratico e comunista, fu definito il primo dei neorealisti ma anche l'ultimo dei decadenti; nei suoi film raccontò storie stritolate nella Storia, scandalizzò, al cinema e a teatro, innovando e lavorando con i grandi attori del suo tempo - nella lirica fu lui a creare la diva Maria Callas. Lascia un corpus importantissimo di opere e di insegnamenti che oggi sono patrimonio della civiltà italiana.
Attraverso i suoi film - e con un occhio al ruolo che il cibo ha in essi - si rileggono grandi romanzi e momenti della storia europea, si esaminano diverse situazioni sociali e culturali e si apprezza l'abilità descrittiva, l'amore per il particolare e per le psicologie umane di un grande uomo di cultura.

Luca Glebb Miroglio ha già pubblicato in questa collana Alla ricerca della madeleine - A tavola con Marcel Proust, Cuoche sull’orlo di una crisi di nervi - A tavola con Pedro Almodóvar e Manhattan a tavola: delicatessen, bistrot, trattorie. Take away e nevrosi - Le ricette dai film di Woody Allen e A cena con Luchino Visconti.

Torinese, fondatore di un’importante agenzia di comunicazione, si interessa di musica, psicanalisi e dei legami tra il cibo e la cultura.
LinguaItaliano
Data di uscita2 mar 2012
ISBN9788865800324
A cena con Luchino Visconti: Banchetti e osterie tra decadenza e neorealismo

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    Anteprima del libro

    A cena con Luchino Visconti - Luca Glebb Miroglio

    Prefazione

    Dopo i volumi dedicati a Marcel Proust, Pedro Almodóvar e Woody Allen, sono lieto di aggiungere uno studio dedicato a un autore questa volta italiano, ancora un regista. Il potere evocativo delle immagini è cosa ben nota e Luchino Visconti alle immagini ha dato la forza della verità, sia che fosse nei film neorealisti come Ossessione o La terra trema, oppure in quelli che raccontano la Storia come Senso o La caduta degli dei, o ancora in quelli ispirati a romanzi importanti come Il Gattopardo o L’innocente o infine in quelli che descrivono la decadenza della società contemporanea come Bellissima o Gruppo di famiglia in un interno.

    Tra i ricordi del tempo che fu ve ne è uno che ha il sapore del Sud. Avrò avuto undici anni, era l’inizio degli anni Settanta e in un improvvisato cineforum all’aperto, in una sera d’estate in montagna, a Sauze d’Oulx, in Val di Susa, si proiettava Il Gattopardo di Luchino Visconti. Mia madre, appassionata del romanzo e del sud Italia, trascinò alcuni di noi tra figli e amici a passare qualche ora nella Sicilia della seconda metà dell’Ottocento. Il ricordo è quello della scena che apre il film con la meravigliosa musica di Nino Rota, le tende di pizzo mosse dalla brezza secca di una giornata assolata. Questa è la prima immagine scolpita nella mia mente della Sicilia, evocata da quel film tra le vette montane e in un clima molto differente.

    Proprio in questi giorni (Agosto 2010) le capitali d’Europa salutano nelle sale la versione restaurata de Il Gattopardo e il tube (la metropolitana) di Londra è tappezzata di manifesti del film restituito agli splendori.

    Visconti è uno di quei grandi autori della cultura italiana e come tale lo si dovrebbe insegnare agli studenti per lo meno dei licei come esempio tangibile di quei collegamenti interdisciplinari, quelli che nella vita permettono di non perdere di vista il valore della conoscenza, dell’amore per la bellezza, del rispetto per la storia e dell’importanza delle idee, quelle nuove soprattutto.

    Visconti da grande aristocratico ha reso un servizio importante alla tradizione, da esteta ha descritto ogni cosa nel dettaglio, da italiano ha raccontato pagine importanti della storia della nazione, da uomo appassionato ha descritto i cambiamenti sociali di epoche e luoghi diversi fra loro, da uomo geniale ha saputo anche anticipare gli orrori di un’epoca, la nostra attuale, troppo interessata alla velocità e incapace di guardare ai particolari e fare i collegamenti, quelli veri, quelli importanti che uniscono il cuore al cervello.

    Il Conte

    "Me lo ricordo benissimo a Venezia, nel 1952, per le calli, con una lunga palandrana di lana pregiatissima, la vicuña, che costa un occhio, seguito da un cameriere in livrea con un vassoio d’argento, tazzina e zucchero del caffé. Eravamo là per il Festival Internazionale, lui portava la sua Locandiera di Goldoni, con Mastroianni, Stoppa, Morelli e Falk e io ero in compagnia con Baseggio per il Campiello" così mi racconta l’attore Alberto Marché e aggiunge un aneddoto alla mitologia di Luchino Visconti.

    Il grande regista italiano che ha lasciato tangibili documenti delle profonde radici aristocratiche e al contempo borghesi della cultura alta italiana ed europea. Egli proveniva da quel bel mondo internazionale che era di casa a Londra, Parigi, Vienna, Milano, Roma, Palermo e nelle località del turismo, che parlava molte lingue e soprattutto il francese, che aveva una formazione classica latina e greca, che conosceva la musica e la faceva suonando uno strumento, che leggeva le novità letterarie pubblicate in Francia o in Germania, che si apriva alle stranezze della psicanalisi e alle invenzioni tecnologiche e che fu spazzato prima dalle guerre mondiali e successivamente rimpiazzato dalla sottocultura di massa.

    Inevitabilmente Visconti, che non lo era, piacque subito agli snob e ai parvenu, perché insegnò loro alcune regole e mostrò loro alcuni tic di quel mondo.

    Ma Luchino Visconti lascia un insegnamento profondo al teatro di prosa e lirico e al cinema. Egli ha raccontato storie di uomini e ha rappresentato situazioni fondamentali della Storia dell’Europa e in particolare dell’Italia.

    Ogni sua sceneggiatura, ogni sua regia, ogni suo film è un inno alla perfezione e alla ricerca non solo del particolare e del dettaglio ma soprattutto della veridicità perché essa sola può trascinare il pubblico verso la comprensione.

    Altro che fumetti, giochi di ruolo o realtà virtuale, Luchino Visconti vuole tutto vero!

    Fiori, gioielli, abiti, odori, luci, polvere, colori, opere d’arte debbono essere quelle originali.

    Così pure il cibo.

    Scorrere attentamente le immagini e i dialoghi dei suoi film puntando l’attenzione sull’uso che egli fa del cibo, del ruolo che gli dà e del senso artistico che esso assume, non è un esercizio banale e nemmeno semplice.

    Tutti coloro che conoscono anche solo in parte la sua produzione, ricordano la celebre scena del film Il Gattopardo in cui ai protagonisti, tutti a tavola per un pranzo elegante, viene servito il timballo di maccheroni alla siciliana, ma notare ciò non sarebbe sufficiente. La ricerca qui proposta punta a connotare e non solamente a notare. Il cibo in un’opera d’arte cinematografica svela spesse volte, come chiave di lettura particolare, le intenzioni estetiche del regista e in Luchino Visconti ciò è ben visibile: verità e descrizione precise al limite del documentaristico.

    Non per nulla il suo primo film è ritenuto l’ispiratore del termine neorealismo, in cui il realismo sta nel raccontare storie vere di umanità vera anche mostrandone gli aspetti meno nobili in contrasto con l’estetica della rappresentazione del mondo delle favole e degli eroi. E proprio nei suoi primi film troviamo tavole e situazioni di consumo alimentare mostrate nella preparazione e nella masticazione dei cibi dei quali sentiamo il calore e gli odori. Anche nel periodo successivo, quello del Visconti più interessato alla Storia e meno agli individui il realismo è in tavola. I denti neri consumati dallo zucchero e dal troppo champagne di Ludwig, re di Baviera protagonista del film omonimo, sono mostrati in tutto il loro orrore e trasformano il ghigno del monarca in un grido di follia che provoca la classica repulsione che si ha verso il diverso e l’autodistruttivo. E che dire della rappresentazione sociale della tavola?

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