Non come sembrava (Un thriller dell’Agente FBI Ilse Beck—Libro 2)
Di Ava Strong
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Info su questo ebook
L’agente speciale dell’FBI Ilse Beck, vittima di una traumatica infanzia in Germania, si è trasferita negli Stati Uniti per diventare una rinomata psicologa specializzata in DPTS, oltre a prima esperta mondiale per i traumi derivati dopo essere sopravvissuti a un serial killer. Studiando la psicologia dei sopravvissuti, Ilse ottiene un’esperienza unica e senza confronti nell’analisi della vera psiche dei serial killer. Non aveva idea, però, che sarebbe diventata un’agente dell’FBI.
L’FBI ha disperato bisogno di Ilse per catturare il ‘Killer dell’Alfabeto’: un pazzo assassino che sembra disporre i corpi delle sue vittime secondo le lettere dell’alfabeto. Sta facendo lo spelling di una parola? Alludendo a quella che potrebbe essere la prossima vittima?
O è ancora più astuto e folle di quanto si possa immaginare?
Ilse, intanto, perseguitata dal suo stesso passato, si rende conto che è arrivato il momento di affrontare i suoi demoni e rivisitare i luoghi della sua casa natale in Germania. Ma la aiuterà il suo viaggio a espellere i suoi ricordi oscuri, o la spingerà ancora di più verso l’orlo del baratro?
Un thriller criminale oscuro e carico di suspense, la serie di ILSE BECK ti terrà con il fiato sospeso, impedendoti di mettere giù il libro dopo la prima parola. Un mistero stringente e sconcertante, pieno zeppo di svolte e segreti incredibili, ti farà innamorare di questo nuovo e brillante personaggio, scioccandoti al contempo fino all’ultimo.
Sono disponibili anche i libri #3 e #4 della serie: NON COME IERI e NON COSÌ.
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Non come sembrava (Un thriller dell’Agente FBI Ilse Beck—Libro 2) - Ava Strong
n o n c o m e s e m b r a v a
(Un thriller di Ilse Beck - Volume 2)
A v a S t r o n g
TRADUZIONE ITALIANA A CURA DI
ANTONIO CURATOLO
Ava Strong
La debuttante Ava Strong è autrice della serie di GIALLI DI REMI LAURENT, composta (per il momento) da tre volumi. Ava vorrebbe leggere i vostri pareri, quindi vi preghiamo di visitare il sito www.avastrongauthor.com per ricevere e-book gratuiti, apprendere le ultime novità e rimanere in contatto.
Copyright © 2021 di Ava Strong. Tutti i diritti riservati. A eccezione di quanto consentito dall’U.S. Copyright Act del 1976, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuitao trasmessa in alcuna forma o in alcun modo, o archiviata in un database o in un sistema di raccolta, senza previa autorizzazione dell’autore. Questo ebook è concesso in licenza esclusivamente ad uso ludico personale. Questo ebook non può essere rivenduto né ceduto ad altre persone. Se desidera condividere questo libro con un'altra persona, la preghiamo di acquistare una copia aggiuntiva per ogni beneficiario. Se sta leggendo questo libro e non l’ha acquistato, o non è stato acquistato esclusivamente per il suo personale uso, la preghiamo di restituirlo e di acquistare la sua copia personale. La ringraziamo per il suo rispetto verso il duro lavoro svolto da questo autore. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, imprese, organizzazioni, luoghi, eventi e incidenti sono il prodotto della fantasia dell’autore o sono usati romanzescamente. Qualsiasi somiglianza con persone reali, vive o morte, è del tutto casuale. Immagine di copertina Copyright Mimadeo, utilizzata sotto licenza da Shutterstock.com.
LIBRI DI AVA STRONG
UN THRILLER PSICOLOGICO DI STELLA FALL
L’ALTRA MOGLIE (Libro #1)
UN THRILLER DELL’AGENTE FBI ILSE BECK
NON COME NOI (Libro #1)
NON COME SEMBRAVA (Libro #2)
UN THRILLER DI REMI LAURENT
IL CODICE DELLA MORTE (Libro #1)
INDICE
CAPITOLO UNO
CAPITOLO DUE
CAPITOLO TRE
CAPITOLO QUATTRO
CAPITOLO CINQUE
CAPITOLO SEI
CAPITOLO SETTE
CAPITOLO OTTO
CAPITOLO NOVE
CAPITOLO DIECI
CAPITOLO UNDICI
CAPITOLO DODICI
CAPITOLO TREDICI
CAPITOLO QUATTORDICI
CAPITOLO QUINDICI
CAPITOLO SEDICI
CAPITOLO DICIASSETTE
CAPITOLO DICIOTTO
CAPITOLO DICIANNOVE
CAPITOLO VENTI
CAPITOLO VENTUNO
CAPITOLO VENTIDUE
CAPITOLO VENTITRÉ
CAPITOLO VENTIQUATTRO
CAPITOLO VENTICINQUE
CAPITOLO VENTISEI
CAPITOLO VENTISETTE
CAPITOLO VENTOTTO
CAPITOLO VENTINOVE
CAPITOLO TRENTA
CAPITOLO TRENTUNO
CAPITOLO TRENTADUE
CAPITOLO UNO
Le gocce di pioggia picchiettavano sulla finestra mezza aperta, e Arthur Hubbard le guardava colare sul davanzale scrostato. Si adagiò sulla sedia imbottita dell’ufficio, appoggiando i piedi sulla scrivania in finto legno di quercia mentre seguiva con lo sguardo la scia d’acqua che ora gocciolava dal muro e formava una piccola pozza sul polveroso pavimento piastrellato.
La vernice sotto il davanzale era crepata e deformata. Gli addetti alla manutenzione avevano promesso di sistemare la finestra tre settimane prima, ma fino a quel momento non aveva visto nemmeno la loro ombra.
Art brontolò, agitandosi un po’ e facendo cigolare la sedia. Sferrò un calcio fiacco al secchio che gli avevano dato. Il bordo di plastica premette contro una parte gonfia di vernice deformata, ma l’acqua scivolò oltre, continuando ad accumularsi sul pavimento.
Mi sembra giusto,
disse, ascoltando il suono della pioggia. Mancano solo due anni...
mormorò tra sé e sé. Due anni...
La pensione ormai gli dondolava davanti come una carota su un bastone molto corto. Secondo Arthur, gli insegnanti delle scuole superiori di Eugene, Oregon, non avevano granché da aspettarsi. Si raddrizzò, togliendo alcune briciole di ciambella dalla camicia, dopodiché, spostando il suo fisico corpulento, ansimò e si voltò nuovamente verso il computer, lontano dalla finestra.
I suoi occhi percorsero lo schermo ronzante, ma stava iniziando ad avvertire un forte mal di testa. Tutte questa dannata tecnologia. Le cose non erano più come una volta. Trent’anni, incastrato nello stesso lavoro, e ancora non riuscivano a riparare una schifosa finestra.
Diede un’occhiata all’orologio analogico di Daffy Duck appeso al muro, un regalo di sua nipote. Erano quasi le dieci di sera.
Tardi. Sempre tardi. Guardò nuovamente lo schermo del computer nel tentativo di rileggere un’altra pagina del tema. In quella roba non c’era nemmeno un’interruzione di paragrafo. Due delle frasi avevano una punteggiatura di tre dimensioni di carattere in più rispetto al resto del documento. Aveva anche controllato gli spazi tra le parole: erano doppi. Oggigiorno, i ragazzi credevano di essere furbi. Ma, in realtà, gli insegnanti non potevano preoccuparsi di richiamarli per metà del tempo.
Sospirò, arrivò alla fine del paragrafo di tre pagine camuffato da saggio di cinque e digitò in rosso: Voto: C. Roba solida, John: tieni d’occhio quei paragrafi!
Guardò l’orologio. 22:02.
Ora di tornare a casa. Il resto dei test avrebbe dovuto attendere. Spense il computer e allungò una mano per prendere la borsa del computer. In quel momento, però, aggrottò la fronte, sentendo un leggero cigolio. Di nuovo la sua sedia?
Si mosse un po’, e la sedia cigolò di nuovo. Il ticchettio delle gocce di pioggia sulla finestra aveva ormai raggiunto una sorta di crescendo. Un lampo solcò il cielo, seguito, qualche istante dopo, da un tuono.
Arthur si alzò lentamente.
Udì un altro cigolio, come una suola di gomma trascinata sul pavimento piastrellato.
Si girò di scatto, guardando in direzione della porta aperta dell’ufficio. Ehilà?
gridò Art verso il corridoio. C’è nessuno?
Aggrottò la fronte, girandosi lentamente e sentendo scricchiolare la schiena.
Dannate sedie senza supporto lombare… dannata pioggia… dannate finestre…
Fissò la porta spalancata, sbirciando nel corridoio buio. La sua vista faticava ad adattarsi dopo aver passato cinque ore davanti allo schermo. Ma mentre fissava il corridoio, udì un altro rumore: passi.
Ehilà?
disse, ora più forte. Gabby, sei tu? Ross?
Nessuna risposta.
Ross… pensavo fossi già andato via!
gridò, facendo un passo incerto in direzione della porta. Anche gli inservienti erano usciti prima di lui.
Ancora una volta, nessuna risposta.
Ormai non più spaventato, Arthur sentì riaffacciarsi il cattivo umore. Diede un’occhiata all’orologio di Daffy Duck e poi, strizzando gli occhi, si chinò e raccolse la valigetta. Con una mano sulla schiena dolente, si diresse verso la porta. Il suono delle gocce di pioggia che mancavano il secchio alle sue spalle non fece altro che aumentare la sua irritazione.
Non dovrebbe esserci nessuno qui, dopo l’orario di lavoro,
disse con tono duro. Studenti, probabilmente. Magari una scommessa. Dannati ragazzini. Non lo lasciavano in pace nemmeno di sera. Raggiunse la porta, fermandosi per un attimo mentre il rumore di passi continuava. Solo altri due anni...
mormorò tra sé e sé, immaginando spiagge assolate della Florida e la signora Hubbard con indosso quel suo piccolo body sensuale.
Ma c’era qualcosa di strano nei passi. Quando aveva chiesto chi fosse, non avevano accelerato. Di norma, gli studenti se la davano a gambe quando venivano scoperti.
Ma quei passi non si stavano allontanando, e non erano accompagnati da voci. Solo un rumore costante di suole di gomma sul pavimento.
Ehi…ehilà?
balbettò, sentendo un brivido freddo lungo la schiena. Ross?
Poi, finalmente, udì una voce. O meglio, un fischiettio. Una melodia sommessa, qualcosa come Brilla, brilla la stellina, o forse la Canzone dell’alfabeto.
Il suono si fece più vicino, poi ancora di più.
Per un breve istante, Arthur Hubbard si bloccò sulla soglia, riconsiderando il suo approccio. Una mano si mosse con esitazione verso il pomello. Forse sarebbe meglio chiamare la sicurezza, o addirittura la polizia, pensò. Qui c’era qualcosa che non quadrava.
Il fischiettio si fece sempre più vicino, insieme al suono ritmico e costante dei passi. Ormai il brivido di terrore superava persino il dolore alla schiena.
C-chi c’è?
disse con voce improvvisamente acuta.
I passi si fermarono. Il fischiettio cessò.
Ora tutto ciò che Art riusciva a sentire era il picchiettare delle gocce di pioggia alle sue spalle. Un lampo illuminò la stanza, ma il tuono non arrivò mai.
O, almeno, lui non lo sentì.
Nessun fischio, niente passi… qualcuno si era fermato davanti alla sua porta? Era quel respiro che sentiva dall’altra parte del muro? Ross?
sussurrò.
Il signor Hubbard deglutì, sentendo un formicolio lungo la schiena: doveva forse controllare il corridoio?
Qualcosa in lui, un istinto radicato, nato da trent’anni di interazione con aule piene di casinisti, gli suggeriva di sbattere la porta e chiuderla a chiave. Ma la sua artrite avanzava altre proposte.
Avvicinò le dita tremanti al pomello della porta, preparandosi a chiuderla.
Poi un’ombra improvvisa attraversò la soglia, scagliandosi contro di lui. Arthur strillò e inciampò all’indietro, ribaltandosi sulla sedia e colpendo il secchio rosso. Sbatté di spalle sul pavimento bagnato e la schiena sussultò di dolore.
Sentì altre gocce di pioggia sulle guance, sul viso. Sbatté le ciglia e un gemito gli sfuggì dalle labbra.
Poi, l’ombra di prima gli si avvicinò, fermandosi su di lui per un secondo. Non riusciva a mettere a fuoco il viso per colpa delle gocce di pioggia e della testa che gli martellava. Arthur gemette, cercando di sedersi, ma lo sconosciuto allungò un piede e glielo appoggiò sul petto, premendo con forza.
Arthur ansimò, nel vano tentativo di respirare. Levati di dosso!
urlò. Lasciami andare!
Il fischiettio ricominciò... La stessa melodia di prima: A...B...C...D... Brilla, brilla la stellina... La figura sopra di lui si voltò lentamente. Non per andarsene, però. Si abbassò con calma, sedendosi sul petto di Arthur e bloccando le braccia del vecchio insegnante.
Arthur gemette ancora, cercando nuovamente di mettersi seduto. Ma, come gli aveva detto sua moglie, aveva le braccia di un intellettuale. Non aveva mai sollevato un peso in vita sua. Ora quelle braccia erano bloccate, e anche le gambe. Cominciò a scalciare disperatamente.
Chi era? Uno studente? Uno degli inservienti? Una sorta di scherzo perverso? Perché questa persona era seduta sul suo petto? Riusciva a malapena a respirare.
Non… non riesco a…,
cercò di protestare, ormai a corto di fiato.
E poi vide qualcosa scivolare via dalla cintura del suo aggressore. Una mano guantata stringeva qualcosa di grosso e scintillante.
Un altro lampo, e il cuore di Arthur si riempì di terrore.
Quello che il suo aggressore aveva in mano era un seghetto.
A...B...C...D... Ancora fischiettando lo stesso motivetto allegro, senza dire nemmeno una parola, lo sconosciuto che aveva sul petto spostò l’attrezzo dove Art non riusciva più a vederlo. L’uomo si era messo di fronte alle sue gambe.
Arthur continuò ad ansimare, accecato dalle gocce di pioggia, con le spalle fradice e la testa che pulsava. Il lampo era sparito, rimpiazzato dall’oscurità.
CAPITOLO DUE
Gli abeti e i bassi rami penduli accolsero nuovamente Ilse Beck in un territorio conosciuto. La luce del sole brillava attraverso il parabrezza, illuminando il caffè da un dollaro del McDonald’s nel vano portabicchieri. Più avanti, lungo la strada in discesa, aleggiava una nebbia bassa e familiare, che faceva da sfondo a un implacabile foliage verde e marrone. L’aria che filtrava attraverso il finestrino dell’auto a noleggio portava alla mente immagini di tassi nella tana, di scoiattoli che scorrazzavano di ramo in ramo e di passeri che sbattevano le ali, svolazzando da un albero all’altro.
Ilse avrebbe voluto sorridere... Ma staccò una mano tremante dal volante e spostò una ciocca di capelli scuri sull’orecchio mutilato.
Tutto della Foresta Nera in Germania sembrava familiare. Non solo perché era cresciuta qui, ma anche perché la sua nuova casa fuori Seattle, nello stato di Washington, sembrava quasi una copia esatta delle dolci colline, delle fitte foreste e delle strade brumose.
Impossibile gettarsi il passato alle spalle. Eppure, ora che tornava dalle sue parti, Ilse si rese conto di quanto del suo passato fosse riuscita a trasporre nella sua nuova vita in America.
Capelli castani. Occhi marroni. Quarantadue. Bundy. Trenta vittime. Ventiquattro novembre. Quarantasei,
mormorò sottovoce, usando lo stratagemma della memoria per cercare di calmarsi.
L’auto che aveva noleggiato direttamente in aeroporto scese dalla collina, facendo saltare pezzi d’asfalto eroso dal tempo. Un rumore metallico le suggerì che una delle pietre aveva colpito il guardrail che si affacciava su un tortuoso fiumiciattolo.
Davanti a sé, lungo la strada in discesa, i suoi occhi si posarono sul motivo reale per cui aveva attraversato l’Atlantico.
Friburgo.
Le case e i negozietti pittoreschi avevano lo stesso aspetto di decenni prima. Lo stesso tipo di architettura bavarese, con balconi spogli in legno di quercia e design anacronistici alla Waelderhaus che non erano diversi dalla città di Leavenworth, vicino alla quale si era stabilita. Così tanti fili, tutti collegati tra di loro.
Strizzò gli occhi per guardare attraverso il parabrezza e azionò i tergicristalli, rimuovendo un velo di nebbiolina in modo da poter vedere più chiaramente.
Disturbo schizotipico di personalità. Disturbo borderline di personalità. Disturbo psicotico. Dahmer. Biondo. Novantaquattro. Diciassette vittime. Ventuno maggio,
mormorò, ora più velocemente. I suoi occhi saettarono verso il piccolo orologio digitale sul cruscotto. Le 13:02.
Due minuti di ritardo. Aveva previsto di arrivare esattamente alle 13:00. Un guizzo d’ansia le riempì il petto. Se fosse arrivata con due minuti di anticipo, avrebbe semplicemente potuto accostare al margine della strada e aspettare lì prima di entrare a Friburgo.
Ma ormai... due minuti di ritardo.
Le era già capitato. Arrivare in ritardo la infastidiva più di ogni altra cosa.
Ilse si morse il labbro, lasciando che il dolore le scuotesse i sensi. Spostò lo sguardo da un edificio all’altro mentre attraversava la cittadina. La stessa in cui l’aveva portata il guardaparco che l’aveva trovata tutti quegli anni prima.
Un pensiero le passò per la mente... vide una finestra chiusa. Ricordò il suono di voci affrettate, di parole colme di panico. Sentì le mani sulla schiena che spingevano, e spingevano… e poi il rumore di passi rapidi, mentre correva lungo il sentiero polveroso, scappando…
Scappa, scappa, scappa... I suoi fratelli le avevano detto di scappare, e così aveva fatto.
Ilse rabbrividì, allungando una mano e premendo un dito sull’orecchio mutilato. Proprio in quel momento, un’auto sbucò dal parcheggio accanto a lei. Ilse strillò, frenando di colpo e sbalzando in avanti, andando quasi a sbattere di testa contro il volante.
Si bloccò, respirando affannosamente e guardando una donna anziana con lineamenti severi che la fulminava con lo sguardo attraverso lo specchietto retrovisore.
La dottoressa Beck alzò una mano per scusarsi, continuando a respirare pesantemente e guardando la vecchia Volkswagen color argento staccarsi dal marciapiede e cominciare a inerpicarsi lungo la strada. L’anziana signora era una cliente della Schultz Appliance.
Ilse aggrottò la fronte verso le doppie finestre quadrate. C’era un campanello in ottone fuori dalla porta, sotto un parasole verde e blu. Fissò il negozio per un istante, in preda ai ricordi.
In passato, suo padre veniva spesso qui… ma all’epoca si chiamava diversamente.
Hämmer und Nägel. Il negozio era cambiato. Persino i telai delle finestre adesso erano dipinti di verde, al posto del vecchio rosa sbiadito.
In effetti, mentre proseguiva lentamente dietro la berlina dell’anziana, Ilse si accorse di quanto fosse cambiata la città. Molti degli edifici erano ancora caratteristici, in perfetto stile bavarese. Ma i negozi, le varie attività commerciali, non avevano più il fascino da paesino antico. Molti ormai erano a due o tre piani, con insegne luminose e facciate ridipinte. Alcune di quelle insegne sfoggiavano persino nomi in inglese, il che suggeriva che quella città immersa nella foresta, risalente a novecento anni prima, era diventata una sorta di destinazione turistica.
Suo padre avrebbe odiato tutto questo. Aveva sempre amato la privacy. Ovvio: considerando quello che nascondeva nel seminterrato, non poteva certo biasimarlo. O forse sì. Forse al vecchio non si poteva attribuire nient’altro che colpa.
Era per questo che si trovava qui, no? Per ripercorrere? Il mostro non era più nascosto nel suo armadio. Ora, passo dopo passo, sembrava uscirne. Non soltanto nei suoi ricordi, e non solo nella breve e lucida ricostruzione del suo trauma, tanto nel sogno quanto nell’esperienza.
Ma anche in una realtà molto cruenta.
Rabbrividì, ricordando sua sorella. Heidi era giunta fino a lei e aveva cercato di ucciderla. Si era lasciata alle spalle una lunga scia di vittime. E aveva perseguitato Ilse, cercando di fargliela pagare...
Per quel ritardo.
Ilse era fuggita. Erano passate tre settimane prima che inviasse i soccorsi. Non riusciva ancora a ricordare perché. Cosa aveva causato quel ritardo?
Strinse con maggior forza il volante mentre passava lentamente davanti a un vecchio edificio che in passato era stato un negozio di alimentari. Ora la struttura versava in pessime condizioni: era sprangata e, a giudicare dall’avviso affisso sul davanti che richiedeva un incontro in municipio, destinata alla demolizione.
Distratta, mentre svoltava in una strada conosciuta, Ilse si accorse di aver superato un segnale di stop. Imprecò, frenando bruscamente in mezzo all’incrocio. Qualcuno suonò il clacson. Ilse fece una smorfia quando una vecchia berlina verde sterzò intorno a lei e l’autista le gridò qualcosa contro.
Scusi,
mormorò rapidamente. Scusi!
cercò di dire, più forte, attraverso il finestrino.
Ma la voce le si smorzò in gola. Per fortuna, nessuna volante della polizia aveva visto la sua infrazione. Ilse digrignò i denti, guardandosi intorno nella cittadina familiare eppure ormai sconosciuta. Un matrimonio tra antico e moderno aveva lentamente inghiottito quel villaggio polveroso e disabitato che ricordava dalle frequenti soste che suo padre faceva lì, specialmente al negozio di ferramenta. Di tanto in tanto, quando si comportavano particolarmente bene, permetteva ai bambini di accompagnarlo, uno alla volta. Spesso restavano sul sedile posteriore del camioncino, con le portiere chiuse a chiave per evitare che fuggissero.
Guardandosi intorno, però, trovava tutto così sconosciuto…
Per quale motivo era venuta qui?
Nostro padre non era solo... Non era solo al piano di sopra...
Rabbrividì, ripensando alle ultime parole di Heidi. Ilse non si era mai resa conto che suo padre avesse un complice.
Un complice. Qualcuno aveva vissuto al piano di sopra con il suo vecchio. Qualcuno che aveva fatto parte di tutto questo. Se davvero c’era stato un complice, doveva assolutamente trovarlo. Un mistero nel mistero. A detta di Heidi, suo padre adesso era in prigione.
Ma quel complice?
Forse no. E che fine avevano fatto i suoi fratelli? Quelli che erano riusciti a sopravvivere a quell’orribile seminterrato?
La sua memoria ricominciò a vagare. Sentì lo zip delle forbici, un improvviso dolore al