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Non come noi (Un thriller dell’Agente FBI Ilse Beck—Libro 1)
Non come noi (Un thriller dell’Agente FBI Ilse Beck—Libro 1)
Non come noi (Un thriller dell’Agente FBI Ilse Beck—Libro 1)
E-book276 pagine3 ore

Non come noi (Un thriller dell’Agente FBI Ilse Beck—Libro 1)

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NON COME NOI (Un thriller dell’agente FBI Ilse Beck—Libro 1) è il romanzo di debutto di una nuova serie dell’autrice di gialli carichi di suspense Ava Strong.

L’agente speciale dell’FBI Ilse Beck, vittima di una traumatica infanzia in Germania, si è trasferita negli Stati Uniti per diventare una rinomata psicologa specializzata in DPTS, oltre a prima esperta mondiale per i traumi derivati dopo essere sopravvissuti a un serial killer. Studiando la psicologia dei sopravvissuti, Ilse ottiene un’esperienza unica e senza confronti nell’analisi della vera psiche dei serial killer. Non aveva idea, però, che sarebbe diventata un’agente dell’FBI.

Niente però può prepararla per la sua nuova paziente, scampata a uno scontro a bordo strada con un serial killer. La paziente, paranoica, crede di essere ancora osservata dall’assassino. E quando questo miete una nuova vittima, l’FBI deve offrire il suo contributo per risolvere il caso.

Questo caso e questo assassino, però, colpiscono troppo vicino alle corde di Ilse, perché lei possa sentirsi a proprio agio. Quando si rende conto che lei stessa è stata presa di mira, il trauma del suo passato arriva a travolgerla in pieno.

Riuscirà Ilse a usare il suo brillante istinto per entrare nella mente di questo assassino e fermarlo prima che colpisca di nuovo?

E riuscirà a salvare anche se stessa?

Un thriller criminale oscuro e carico di suspense, la serie di ILSE BECK ti terrà con il fiato sospeso, impedendoti di mettere giù il libro dopo la prima parola. Un mistero stringente e sconcertante, pieno zeppo di svolte e segreti incredibili, ti farà innamorare di questo nuovo e brillante personaggio, scioccandoti al contempo fino all’ultimo.

Sono disponibili anche i libri #2, #3 e #4 della serie: NON COME SEMBRAVA, NON COME IERI e NON COSÌ.
LinguaItaliano
EditoreAva Strong
Data di uscita5 nov 2021
ISBN9781094353753
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    Anteprima del libro

    Non come noi (Un thriller dell’Agente FBI Ilse Beck—Libro 1) - Ava Strong

    cover.jpg

    n o n   c o m e   n o i

    (Un thriller di Ilse Beck - Volume 1)

    A v a   S t r o n g

    TRADUZIONE ITALIANA A CURA DI

    ANTONIO CURATOLO

    Ava Strong

    La debuttante Ava Strong è autrice della serie di GIALLI DI REMI LAURENT, composta (per il momento) da tre volumi. Ava vorrebbe leggere i vostri pareri, quindi vi preghiamo di visitare il sito  www.avastrongauthor.com per ricevere e-book gratuiti, apprendere le ultime novità e rimanere in contatto.

    Copyright © 2021 di Ava Strong. Tutti i diritti riservati. A eccezione di quanto consentito dall’U.S. Copyright Act del 1976, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuitao trasmessa in alcuna forma o in alcun modo, o archiviata in un database o in un sistema di raccolta, senza previa autorizzazione dell’autore. Questo ebook è concesso in licenza esclusivamente ad uso ludico personale. Questo ebook non può essere rivenduto né ceduto ad altre persone. Se desidera condividere questo libro con un'altra persona, la preghiamo di acquistare una copia aggiuntiva per ogni beneficiario. Se sta leggendo questo libro e non l’ha acquistato, o non è stato acquistato esclusivamente per il suo personale uso, la preghiamo di restituirlo e di acquistare la sua copia personale. La ringraziamo per il suo rispetto verso il duro lavoro svolto da questo autore. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, imprese, organizzazioni, luoghi, eventi e incidenti sono il prodotto della fantasia dell’autore o sono usati romanzescamente. Qualsiasi somiglianza con persone reali, vive o morte, è del tutto casuale. Immagine di copertina Copyright Joe Prachatree, utilizzata sotto licenza da Shutterstock.com.

    LIBRI DI AVA STRONG

    UN THRILLER DELL’AGENTE FBI ILSE BECK

    NON COME NOI (Libro #1)

    UN THRILLER DI REMI LAURENT

    IL CODICE DELLA MORTE (Libro #1)

    INDICE

    CAPITOLO UNO

    CAPITOLO DUE

    CAPITOLO TRE

    CAPITOLO QUATTRO

    CAPITOLO CINQUE

    CAPITOLO SEI

    CAPITOLO SETTE

    CAPITOLO OTTO

    CAPITOLO NOVE

    CAPITOLO DIECI

    CAPITOLO UNDICI

    CAPITOLO DODICI

    CAPITOLO TREDICI

    CAPITOLO QUATTORDICI

    CAPITOLO QUINDICI

    CAPITOLO SEDICI

    CAPITOLO DICIASSETTE

    CAPITOLO DICIOTTO

    CAPITOLO DICIANNOVE

    CAPITOLO VENTI

    CAPITOLO VENTUNO

    CAPITOLO VENTIDUE

    CAPITOLO VENTITRÉ

    CAPITOLO VENTIQUATTRO

    CAPITOLO VENTICINQUE

    CAPITOLO VENTISEI

    CAPITOLO VENTISETTE

    CAPITOLO VENTOTTO

    CAPITOLO VENTINOVE

    CAPITOLO TRENTA

    CAPITOLO TRENTUNO

    CAPITOLO UNO

    Il suo pollice tentennava, sospeso sopra l’asfalto, mentre le punte delle sue scarpe da ginnastica sfioravano la linea bianca dipinta sul bordo dell’autostrada tortuosa. Sarah Beth aggrottò la fronte nella notte mentre un’altra auto le sfrecciava accanto, sollevando polvere e spingendo un turbine crepitante di foglie contro la barriera di cemento alle sue spalle.

    Mormorò cupamente, tenendo la mano alzata nella notte, ma ora alzando un dito diverso in direzione della berlina che si allontanava velocemente.

    Non appena l’auto fu fuori dalla vista, abbassò la mano, rabbrividendo sul ciglio della strada appena fuori Seattle. Di norma, i dintorni della città erano avvolti dalla nebbia, anche durante il giorno, ma in questo momento, sotto la coltre di oscurità e nuvole, l’unica illuminazione proveniva dalle luci dell’autostrada sparse a intervalli di quindici metri e dai fari occasionali dei veicoli di passaggio, sebbene anche quelli fossero abbastanza rari.

    Sarah Beth mosse una spalla, avvertendo un crampo al collo e facendo una smorfia, massaggiandosi la parte superiore del braccio e mettendo lo zaino a terra.

    Quindici auto, ormai… Quindici auto l’avevano ignorata.

    Sospirò. La media era di ventidue. Aveva iniziato a contarle da quando era andata via dalla casa famiglia quattro anni prima. Avevano detto che si sarebbe fatta del male, cercando di vivere per conto suo. Che non sarebbe durata una settimana.

    Beh, ora, quattro anni più tardi, dopo averne compiuti ventuno il mese scorso, aveva dimostrato che si erano sbagliati tutti. Una vita in movimento, per strada, in treni merci o sottopassi, usando le docce delle palestre o lavorando per vitto e alloggio non era la versione del Sogno Americano preferita dalla maggior parte della gente. Ma Sarah Beth era libera. Più libera di chiunque conoscesse. Qualche notte scomoda passata a dormire nel parcheggio di un Walmart o a darsi una sistemata nel bagno di una Planet Fitness era un piccolo prezzo da pagare per la libertà.

    Quando si trattava di queste cose, però, era sempre stato un po’ un gioco di equilibrio. Quanto trucco indossare? Quanto sembrare pulita? Da un lato, se fosse stata troppo curata e imbellettata, spesso si sarebbero fermati i tipi completamente sbagliati per darle un passaggio. Anche se aveva naso per quel genere di uomini.

    Dall’altro lato, se avesse abbandonato del tutto gli standard estetici, allora nessuno l’avrebbe voluta nella propria auto.

    Sarah Beth allungò una mano e spostò i capelli ricci castani dietro le orecchie mentre si esercitava a sorridere. Le era stato detto più di una volta che aveva un gran bel sorriso.

    Guardò indietro lungo la strada principale, con la spalla ancora dolorante e un leggero brivido. Si spostò un po’ sul ciglio della strada, e la sua gamba sinistra sussultò mentre sistemava il peso e si metteva, quasi zoppicando, in una posizione più comoda.

    Vide il camion ancora prima di sentirlo.

    In primo luogo, fari luminosi troppo distanti dal terreno per provenire da una berlina. Un istante dopo, mentre il veicolo percorreva la strada, con le luci che si abbassavano, notò il grande abitacolo blu e il cassone posteriore.

    Si sistemò nuovamente i capelli in tutta fretta, stavolta giocandosi un sorriso smagliante, quasi plateale, e alzò il pollice. Si sporse soltanto un po’, ora seguendo la linea bianca e fissando il bagliore dei fari in avvicinamento.

    Lo stomaco le si contorse e il suo sorriso cominciò a vacillare quando vide che il camion non mostrava alcun segno di rallentamento. Era sempre più veloce…

    Poi, uno stridio di freni.

    Le luci si affievolirono e il maestoso veicolo si fermò a pochi passi da Sarah Beth. Deglutì, fissando il punto in cui il camion si era immobilizzato.

    Dal finestrino aperto spuntò una mano che le faceva cenno. Nessun suono, nessuna parola, soltanto un semplice movimento del polso.

    Sarah Beth si sporse in avanti, sbirciando la faccia nell’abitacolo. È diretto a Seattle? domandò.

    Ancora una volta, non ci fu risposta udibile. Solo un rapido cenno di pollice in su e un altro gesto di invito con la mano, come un uccello che sbatteva le ali sotto il chiaro di luna.

    Sarah Beth esitò, fissando il camion e deglutendo. Un attimo dopo, la mano scomparve nel camion e un singolo post-it giallo volò a terra, lanciato dal finestrino.

    Sarah Beth aggrottò ancora di più la fronte. Si abbassò con esitazione, mantenendo lo sguardo sul camion mentre le dita cercavano il biglietto.

    Non aveva sentito scarabocchiare, e infatti le lettere sulla nota erano a penna, come se quel bigliettino fosse stato scritto prima. L’autista era forse muto?

    Sarah Beth raccolse il post-it e lesse semplicemente: Salta su! seguito da una faccina sorridente. Alzò lo sguardo a disagio, tenendo tra le dita il biglietto che ora scricchiolava come le foglie contro la barriera di cemento. Il freddo era opprimente e si stava facendo sempre più buio.

    Le strade erano più deserte di quanto avesse immaginato inizialmente.

    Inoltre, adesso il camionista stava anche sorridendo, mostrandole uno sguardo amichevole dall’interno dell’abitacolo. Non era muto, ma forse un po’ stupido? Sarah Beth poteva trattare con gli stupidi. In realtà, lo preferiva. Le persone che pensavano troppo le mettevano ansia.

    Grazie, disse, facendo un cenno e accartocciando il biglietto prima di metterlo in tasca. Sinceramente, andrà bene ovunque in città.

    Si avvicinò al lato del passeggero e scivolò sul sedile anteriore. Tenne lo zaino ai suoi piedi, nel caso avesse dovuto darsela velocemente a gambe.

    Mi chiamo Sarah Beth, disse, senza aspettarsi una risposta. Piacere di conoscerla! E grazie mille, mi ha davvero salvata.

    L’autista stava ancora sorridendo sotto un cappello a tesa bassa; i suoi lineamenti erano avvolti dalle ombre. Il camion era sorprendentemente pulito e aveva un leggero odore di deodorante per ambienti.

    Per qualche ragione, questo fece rilassare un po’ Sarah Beth, la cui testa sfiorava il poggiacapo mentre il veicolo tornava in vita e ricominciava a divorare la strada sterrata. I fari rimasero fiochi mentre prendevano velocità, muovendosi lungo la strada in direzione della città.

    Il camionista non parlava, non si muoveva, non cercava di richiedere nulla di monetario, fisico o altro. Come autostop, cominciava a sembrare piacevole.

    Sarah Beth lanciò un’occhiata di sbieco al suo autista provvisorio. Aggrottò la fronte un istante dopo, notando una sottile striscia di tessuto cicatriziale attorno al polso del tipo, appena sotto la manica della giacca.

    Sta bene? domandò.

    L’uomo alzò nuovamente il pollice. Si domandò se quella cicatrice gli arrivasse fino al collo. Forse non poteva proprio parlare. Rabbrividì al pensiero, provando compassione per lui mentre il camion sobbalzava lungo la vecchia strada. Guardò ancora una volta fuori dal finestrino, nella notte, osservando gli alberi che sfrecciavano. Di tanto in tanto, usava furtivamente gli specchietti per tenere d’occhio il suo sedicente salvatore.

    Una ragazza non era mai troppo prudente nel solitario nordovest.

    Mentre pensava a questo, il camion svoltò improvvisamente, prendendo una strada d’accesso sotto un cartello giallo brillante.

    Ehi, signore, disse, aggrottando la fronte. Non è questo il bivio. 

    L’autista non rispose: rimase seduto come un automa, incollato al volante con gli occhi fissi davanti a sé.

    Signore, disse Sarah Beth, ora più forte. Per favore… ehi, dove stiamo andando?

    Adesso provò un improvviso brivido di terrore. La strada d’accesso lasciava il posto al campo di un’azienda agricola chiusa da tempo. Polvere e fango si sollevavano intorno a loro mentre gli pneumatici sobbalzavano, portando rapidamente gli occupanti del camion lontano dalla strada principale.

    Il cuore di Sarah Beth batteva forte; si avvicinò alla portiera, allontanandosi dall’autista. Signore! disse. Dove mi sta portando?

    L’uomo continuò a ignorarla e accelerò lungo la vecchia strada poderale che attraversava il campo spoglio. Sotto il cielo che si oscurava, il terreno brullo sembrava quasi un’enorme tomba appena scavata.

    Ehi! protestò Sarah Beth; qualsiasi forma di educazione era scomparsa davanti all’ondata di paura. Fammi uscire! Fammi uscire subito! Le sue dita si affannarono contro la maniglia dello sportello, anche se erano ancora in corsa.

    Ma non si apriva. Diede uno strattone a quell’affare, con le dita che stringevano il freddo metallo e le nocche contro la plastica ruvida. La maniglia si mosse, ma lo sportello rimase chiuso.

    Fammi uscire! gridò. Cercò di abbassare il finestrino, ma anche quello era bloccato.

    Improvvisamente, il camion cominciò a rallentare con lo stesso rumore stridente che aveva fatto sulla strada principale. La polvere si sollevò in una nuvola intorno a loro.

     L’autista si fermò, e Sarah Beth lanciò un grido quando vide la mano dell’uomo allungarsi verso di lei. Una mano che indossava uno spesso guanto da operaio. Ma non la colpì, e non sembrava nemmeno che impugnasse un’arma. Invece, mentre la polvere si posava all’esterno del veicolo, l’autista le porse un altro bigliettino.

    La ragazza lo fissò, respirando affannosamente. Non so a che gioco tu stia giocando… cominciò, con voce tremante.

    Ma la mano avvolta dal guanto spinse il biglietto verso di lei con maggior insistenza.

    Sarah Beth lo accettò con dita tremanti, se non altro per avere qualcosa da fare. Abbassò lo sguardo, continuando però a tenere l’autista nel suo campo visivo. Perché l’aveva portata fuori strada? Cosa ci facevano qui? Nulla di buono, indubbiamente. Cose del genere non portavano a niente di buono. Aveva sentito storie… storie orribili.

    Ciononostante, lesse il biglietto. E il suo cuore si fermò. Tre frasi, anche se le ci volle un momento per leggerle al buio. Come se avesse percepito la sua difficoltà, il camionista allungò una mano e accese la luce dell’abitacolo.

    Sarah Beth lesse:

    Scappa. Ti do dieci secondi di vantaggio. Poi ti taglierò la gola.

    Il suo cuore si fermò nuovamente. Sul biglietto era disegnata un’altra faccina sorridente. Anche in questo caso, non aveva visto l’autista scrivere nulla, il che probabilmente suggeriva che i biglietti fossero già preparati.

    Scappa.

    Con la mano ancora tremante, Sarah Beth alzò lo sguardo e vide fuori dal parabrezza, con gli occhi spalancati, adesso rifiutandosi di guardare verso l’autista. Non aveva senso  incoraggiarlo.

    Io… la prego, disse singhiozzando. "La prego."

    Poi sentì per la prima volta la voce dell’uomo. Una voce bassa, roca, quasi dolente. Uno… due…

    Le sicure scattarono.

    Signore, la prego! implorò Sarah Beth. Mi lasci andare! Non lo dirò a nessuno, promesso! Per favore!

    Tre… quattro…

    La ragazza imprecò, afferrando la maniglia e prendendo lo zaino. La porta, con suo sollievo, si aprì. Poi, inciampando, ansimando, Sarah Beth scese su un terreno sconnesso e fangoso. Cominciò a correre a perdifiato, allontanandosi dal camion.

    Poi ti taglierò la gola.

    Rabbrividì. Un po’ di vantaggio. A qualunque gioco malato stesse giocando, aveva un vantaggio. Non poteva rimanere sulla strada, però. Se l’avesse fatto, quello psicopatico l’avrebbe messa sotto. Doveva andare fuori strada. Attraverso gli alberi. Presto! Presto!

    Il cuore di Sarah Beth batteva all’impazzata.

    Dieci! urlò la voce alle sue spalle, più chiara e meno roca di prima. Quasi come se fosse eccitata.

    Sarah Beth incespicò nella prima fila di alberi che costeggiavano il campo della fattoria. Inciampò in una radice ma continuò a correre, muovendosi nell’oscurità e cercando di orientarsi nella boscaglia e tra i rami bassi, senza vedere alcuna luce tranne il debole bagliore dei fari del camion dietro di lei.

    Poi, un clic e le luci si spensero.

    Sentì un tonfo provenire dalla portiera del camion, seguito da un rumore di passi rapidi che la inseguivano.

    L’adrenalina la invase. Ansimando, singhiozzando, andò a sbattere rovinosamente contro un albero.

    La prego! pianse. La prego! Ma non c’era nessuno a sentirla urlare. Probabilmente, i suoi rumori non facevano altro che aiutare l’autista a rintracciarla.

    Inciampò nel buio, con la spalla che sfiorava la ruvida corteccia degli alberi, guardando da dietro un ramo piegato. Le sue dita erano intorpidite nel punto in cui stringevano la cinghia dello zaino.

    Si fermò per un istante, respirando affannosamente e cercando di tracciare la sua strada attraverso una boscaglia quasi invisibile nell’oscurità.

    Alle sue spalle, il suono di passi era svanito.

    Sarah Beth respirò sommessamente, guardando da una parte e poi dall’altra… nessun segno. Nessuna luce. Riusciva a malapena a vedere le proprie dita davanti al viso.

    Da quale direzione era venuta? Dov’era il camion? Forse, se fosse tornata indietro…

    Sì. Poteva fare ritorno al veicolo e scappare. Quantomeno conosceva il percorso per tornare alla strada principale.

    Tremando, con l’adrenalina in aumento, cominciò a voltarsi, ora muovendosi in cerchio attraverso gli alberi, cercando di fare del suo meglio per non fare rumore.

    Per un istante, nel buio, pensò di aver sentito qualcosa.

    Sarah Beth si bloccò, appoggiandosi di spalle a un albero, se non altro per avere il confortante sostegno di qualcosa di rigido contro la schiena. Ansimando, si guardò intorno, sbattendo rapidamente le palpebre e desiderando con tutte le sue forze che gli occhi si adattassero all’oscurità. Scorgeva ombre, contorni di forme… ma non molto altro.

    Voleva gridare aiuto. Ma chi l’avrebbe sentita? Solo l’autista.

    Quindi ingoiò l’urlo, ora respirando piano, ascoltando… solo ascoltando.

    E poi sentì un leggero sussurro alle sue spalle. La stessa voce roca e addolorata. Non prenderla sul personale, tesoro. Ti avevo avvertita.

    Sarah Beth gridò, cercando di voltarsi. Ma una mano forte le afferrò i capelli e la tirò all’indietro, facendole sbattere la guancia contro la ruvida corteccia dell’albero. Poi qualcosa di affilato le percorse la gola. Un improvviso lampo di dolore, il tentativo di urlare, ma non venne fuori alcun suono.

    L’ultimo pensiero che Sarah Beth ebbe mentre si accasciava a terra, dissanguandosi, riguardò il silenzio con il quale l’autista si era mosso nel bosco. Non l’aveva nemmeno sentito scivolare alle sue spalle, come un fantasma nella notte.

    CAPITOLO DUE

    Gli occhi spalancati e chiari di una bambina guardavano le forbici…

    Vieni qui, Hilda, mormorò la voce nel seminterrato buio. "Vieni subito qui."

    La bambina cominciò a respirare pesantemente, rabbrividendo; indossava abiti sporchi e polverosi che si abbinavano allo scantinato stesso. I suoi occhi scrutarono l’uomo con le forbici, spostandosi poi verso le scale alle sue spalle. Lastre di cemento che conducevano a una porta di metallo chiusa a chiave.

    Lo sguardo tornò a suo padre… all’unica chiave metallica smussata che aveva al collo.

    Deglutì una volta, sentendo il lieve piagnucolio dei suoi fratelli alle sue spalle, sdraiati sulle coperte stese sul cemento freddo.

    Vieni qui, Hilda, disse bruscamente la voce. Non lo ripeterò più. Ti taglierò soltanto i capelli. Promesso.

    Rimase immobile, tesa come un coniglio pronto a scattare. Suo padre stava già respirando pesantemente, con una mano appoggiata in fondo alle scale, una sottile patina di sudore sulla fronte e gli occhi fissi nei suoi. Riusciva a sentire l’odore della rabbia, percepirla in ogni suo movimento tremolante. Vedere la furia che ribolliva sotto.

    Non appena avesse preso le forbici, lei sarebbe scappata… avrebbe corso velocemente intorno ai mobili impolverati e fatiscenti mentre lui cercava di prenderla. Si sarebbe tuffata sotto il vecchio tavolo di quercia usato per i pranzi di famiglia. Avrebbe corso, anche ribaltando una sedia. Non appena avesse sentito il rumore di legno che si scheggiava, avrebbe saputo di dover pagare. Eppure, di tutti i suoi fratelli, lei era quella che correva di più. In fuga dall’inevitabile.

    Soltanto i capelli? sussurrò, con una lieve speranza nella voce.

    Sì, Hilda. Perché devi renderlo così difficile? Vieni qui. Ecco, vedi: solo una spuntatina. Non scappare di nuovo, Hilda, o dovrò farti del male.

    Fissò suo padre, sussultando. I suoi occhi la fissavano: uno azzurro, uno marrone, entrambi colmi di rabbia. Sapeva che probabilmente stava mentendo. Lo faceva spesso. Più diventava gentile il suo tono, più era verosimile la sua slealtà.

    Del resto, che scelta aveva? Alla fine, se avesse continuato a cercare di evitarlo, suo padre avrebbe chiamato uno dei suoi fratelli maggiori. L’avrebbero tenuta ferma e lui avrebbe usato comunque le forbici.

    Sospirò rassegnata e fece un passo avanti, verso la base della scalinata dove si trovava suo padre.

    Si avventò su di lei con un grido di vittoria, mentre il suo viso si trasformava in un mosaico di rabbia. La sua mano strattonò il

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