Ricordi dal passato (eLit): eLit
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Dodici anni. Questo è il tempo trascorso dall’ultima volta che Evan Hanson ha visto la dolce e timida Meredith Waters. Lui vorrebbe riprendere da dove si erano interrotti, lei pare, però, poco incline alla rimpatriata. Ma gli Hanson, si sa, amano le sfide.
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Anteprima del libro
Ricordi dal passato (eLit) - Elizabeth Harbison
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese:
Falling for the Boss
Silhouette Special Edition
© 2006 Harlequin Books S. A.
Traduzione di Donella Buonaccorsi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-987-6
Prologo
Il fatto che le chiedesse se fosse proprio sicura di essere pronta a compiere quel passo la fece innamorare di lui ancora di più.
Nessun altro diciottenne dotato di una normale libido sarebbe stato così premuroso! Meredith Waters sapeva... con assoluta certezza!... che se avesse detto a Evan che non era pronta, che all’ultimo momento non se la sentiva, anche se avevano pianificato insieme quella serata romantica da cinque settimane, lui si sarebbe immediatamente tirato indietro.
Forse avrebbe avuto bisogno di una doccia fredda, d’accordo. Di una lunga doccia fredda. Ma l’avrebbe lasciata andare senza dire nessuna delle stupidaggini che i ragazzi pronunciavano in quei casi, tipo: «Le promesse si mantengono. Il desiderio insoddisfatto procura gravi danni alla salute».
I ragazzi erano per lo più degli idioti.
Ma non Evan Hanson. Evan le aveva dimostrato che i principi azzurri esistevano davvero, anche se erano pochi. Evan era l’anima gemella di Meredith. Ne era sicura al cento per cento. Non che fossero simili, anzi. Lui era ribelle e lei prudente. Ma si completavano a vicenda. E la pensavano allo stesso modo sulle questioni più importanti. Avevano gli stessi valori e gli stessi obiettivi.
Ma la cosa più importante era che sapeva di poter contare su Evan. Gli insegnanti e i loro genitori potevano anche giudicarlo uno scavezzacollo, ma lei era certa che sarebbe stato sempre al suo fianco.
Il che la rendeva ancor più sicura che non si sarebbe mai pentita di quello che stavano per fare.
Era una ragazza molto, ma molto fortunata ad avere la sua prima volta con uno come Evan.
«Ne sei proprio sicura?» le chiese di nuovo lui, accarezzandole il braccio
Erano sdraiati sul letto a baldacchino di Meredith e si guardavano negli occhi. I suoi genitori sarebbero stati fuori città ancora per quattro giorni, perciò non solo il ragazzo, ma anche l’ambientazione era quella ideale.
«Io lo sono» gli rispose sorridendo. «Ma comincio ad avere l’impressione che tu non lo sia.»
«Eccome se lo sono, invece!» Evan la prese fra le braccia, la baciò con passione e rotolò sulla schiena in modo che Meredith fosse sopra di lui. La stringeva così forte e la teneva così vicino a sé che non avrebbero potuto dire dove cominciava il corpo di uno e finiva quello dell’altra.
Lei adorava quella sensazione.
Si baciarono a lungo, come facevano sempre. Si baciavano talmente bene e con un’intesa talmente perfetta che avrebbero potuto vincere il primo premio al concorso Baciatori dell’anno
, se fosse esistito.
«Ti amo, Mer» le bisbigliò Evan contro le labbra, rotolando di nuovo lentamente in modo che fosse lei, adesso, ad avere la schiena sul morbido materasso e le lenzuola orlate di pizzo che aveva comperato un mese prima, apposta per quell’occasione.
«Anch’io ti amo» replicò senza un attimo di esitazione. «Più di quanto tu possa immaginare.»
Evan le fece il sorriso sbarazzino che le piaceva da impazzire e allungando un braccio spense la lampada sul comodino accanto al letto.
Ci volle qualche secondo perché gli occhi di Meredith si abituassero all’oscurità, ma quando lo fecero, vide un raggio di luna che attraversava le tende e illuminava il letto.
Perfetto.
E lo fu. Fu proprio... giusto.
Dopo l’amore, mentre stava sdraiata sul letto guardando fuori dalla finestra la luna fluttuare nel cielo come un enorme palloncino d’argento, pensò che non era mai stata tanto felice in vita sua.
E sorrise nell’oscurità quando Evan cominciò a parlarle sottovoce, dicendole quant’era bella, quanto desiderava trascorrere tutto il resto della sua vita con lei e che se non fosse andato subito al Silver Car Diner a comperare frittelle al mirtillo e cola alla vaniglia sarebbe morto di fame e di sete.
Era quella la gioia perfetta, lo sapeva.
Quello che non sapeva, che non poteva sapere, era che di lì a due mesi Evan se ne sarebbe andato a migliaia di chilometri di distanza senza nemmeno salutarla e che non l’avrebbe rivisto per più di dieci anni.
1
«E ciò conclude la lettura del testamento di George Arthur Hanson.»
Evan Hanson se ne stava seduto immobile nella poltroncina di pelle, sentendosi la caricatura del figliol prodigo, disegnata con l’inchiostro simpatico.
Era ritornato, come fanno sempre i figli prodighi, nonostante il suo istinto lo avesse avvertito che andava incontro a un mucchio di guai. Dolorosi, per di più.
Lo aveva ignorato. Ed era stato uno sbaglio colossale.
Suo zio, David Hanson, era stato insolitamente persuasivo nel convincerlo a ritornare per la lettura del testamento. David sapeva che Evan era stato per anni in lotta con suo padre e che George non gli aveva più parlato da quando se n’era andato. Tuttavia, aveva fatto notare al nipote che, anche se era ormai troppo tardi per riconciliarsi con suo padre, non lo era per ascoltare il suo ultimo messaggio e magari ritrovare un po’ di tranquillità.
Be’, tranquillo lo era stato, in effetti, considerando che non c’era nulla di più tranquillo del silenzio.
George Hanson non aveva menzionato il suo nome nel testamento nemmeno per dire: «E al mio secondogenito, Evan, non lascio assolutamente nulla. Niente. Zero assoluto. Neppure un cucchiaino di acciaio inossidabile».
Era come se Evan per suo padre non fosse mai esistito.
No, in realtà era anche peggio. Evan conosceva a sufficienza suo padre per sapere che cosa significasse che non l’avesse menzionato nel testamento. Significava che per George Hanson suo figlio Evan aveva veramente smesso di esistere quando se n’era andato dodici anni prima. O meglio, quando lui l’aveva praticamente costretto a lasciare la città, ricattandolo emotivamente nel peggiore dei modi possibili.
Da allora, ottenuto quello che voleva, George aveva cancellato Evan dalla sua vita, dimenticandolo completamente.
Tutti sanno che è più offensivo ignorare qualcuno che prendersela con lui. E George aveva ignorato Evan come nessun altro avrebbe potuto fare. Non si erano rivolti la parola per dodici anni. Certo, Evan avrebbe potuto prendersi metà della colpa, ma quando se n’era andato aveva solo diciotto anni e suo padre sapeva perfettamente di aver creato una situazione che gli faceva pensare che non sarebbe potuto tornare.
George avrebbe dovuto capire la situazione difficile in cui aveva messo il suo giovanissimo figlio e fare qualcosa per risolverla o almeno migliorarla. Invece non aveva fatto assolutamente nulla. E probabilmente non aveva pensato più di un paio di volte al suo secondogenito negli ultimi dodici anni.
Se solo Evan avesse avuto il suo stesso potere di controllare i propri pensieri. Gli sarebbe piaciuto moltissimo riuscire a dimenticare suo padre e il dolore di aver perso la mamma a diciassette anni.
E un altro paio di cose che gli avevano spezzato il cuore... una, soprattutto!... e che lo avevano fatto diventare l’uomo che era adesso. Un uomo che non voleva avere più nulla a che fare con la sua famiglia o con relazioni intime di qualunque tipo.
Il notaio rimise il testamento di suo padre nella sua cartelletta e i parenti di Evan cominciarono a discuterne, arrabbiati per quello che avevano o non avevano ricevuto e soprattutto perché George Hanson aveva lasciato alla sua giovane moglie il pieno controllo dell’Hanson Media Group.
A Evan non importava. Non era un suo problema. Niente di quello che stava accadendo intorno a lui era un suo problema. Perciò, con la precisa intenzione di lasciarsi tutto quanto alle spalle per sempre, tirò un profondo sospiro, si alzò e si diresse verso la porta, deciso a non fermarsi prima di aver raggiunto l’aeroporto e lasciato il suolo americano per non farci mai più ritorno.
Doveva essersi convinto che nessuno avesse notato la sua presenza perché quando si sentì chiamare all’inizio non se ne rese conto.
«Evan!» Era una voce femminile. Una voce che non riconobbe. Il che non lo sorprese, visto che erano passati dodici anni dall’ultima volta che aveva messo piede nella sala delle riunioni dell’Hanson Media Group.
«Per favore, fermati, Evan!» insistette la voce. «Vorrei parlarti.»
Lui obbedì e voltandosi vide la moglie di suo padre andargli incontro, con un’espressione preoccupata dipinta sul viso bellissimo.
Non l’aveva mai vista prima, perché suo padre l’aveva sposata poco dopo la sua partenza, ma, date le circostanze in cui avveniva adesso il loro incontro, nessuno avrebbe potuto biasimarlo se non provava molto affetto nei suoi confronti.
«So che probabilmente sei arrabbiato per quello che è appena successo» cominciò lei.
«Non sono arrabbiato» protestò Evan, rendendosi conto con disgusto che il suo tono era freddo come quello di suo padre. «Quello che è appena avvenuto non è stato una sorpresa per me. Anzi, è assolutamente tipico di tuo marito.»
«Capisco quello che provi» convenne lei con un sospiro triste. «Ma era tuo padre, Evan. Non dimenticarlo. Anche se so che ti senti rifiutato»
«Non mi sento rifiutato» la corresse lui, cercando d’ignorare la fitta di dolore che le parole di Helen gli avevano procurato. «So che mi ha rifiutato. Ma non preoccuparti, non è la prima volta. E sapendo quanto poteva essere maligno quel vecchio figlio di buona donna, probabilmente non sarà nemmeno l’ultima.»
«Evan...»
«Sapeva sempre trovare il modo per esprimere la propria disapprovazione nei confronti dei suoi familiari» continuò Evan scoppiando in un’amara risata. «Faresti meglio a guardarti alle spalle. Anche se in realtà non hai niente di cui preoccuparti. Insomma, hai avuto tu la compagnia.»
Helen trasalì ed esitò per qualche istante prima di replicare: «Evan, la compagnia appartiene alla famiglia Hanson. A tutti voi, non a me. E sarà sempre così».
«Prova a dirlo a loro» ribatté lui in tono ironico indicando col mento i suoi parenti che stavano ancora discutendo animatamente.
«Col tempo lo scopriranno» gli assicurò Helen ignorandoli.