Un asso nella manica: Harmony Collezione
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Joanna Preston è vittima del più squallido dei ricatti che una donna possa subire, e tutto per colpa di quel tunnel chiamato gioco d’azzardo da cui adesso lei è uscita. Vincere l’ultima partita è difficile e pericoloso.
E se, invece, provasse a barare?
Michelle Reid
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Un asso nella manica - Michelle Reid
successivo.
1
«Posso parlare con Alessandro Bonetti, per favore?»
La cabina telefonica puzzava di fumo, ma Joanna lo notò appena, concentrata com'era nel vano tentativo di ostentare una certa freddezza.
«Con chi parlo, prego?» indagò freddamente una voce femminile.
«Sono...» cominciò Joanna, poi si fermò come se la risposta a quella domanda fosse intrappolata nella sua gola.
Non poteva dirlo. Non poteva rivelare a nessuno la sua identità se non ad Alessandro, sempre che lui non si facesse negare: non avrebbe avuto la forza di sopportare una tale umiliazione in un momento come quello.
«È una telefonata personale» temporeggi per poi chiudere gli occhi, temendo la risposta.
«Sono spiacente, ma ho bisogno di sapere il suo nome» insistette la voce. «Devo verificare se il signor Bonetti è disposto a parlare con lei.»
La risposta era stata secca, ma almeno ora sapeva che Sandro era a Londra. In verità, si aspettava che lui fosse tornato a vivere e lavorare a Roma.
«Allora mi faccia parlare con la sua segretaria» replicò, «e discuterò questa faccenda con lei.»
Ci fu una pausa. Poi la voce disse: «Resti in linea». E di nuovo si fece silenzio.
I secondi scorrevano lentamente lasciandole il tempo di rendersi conto che cosa la stava costringendo a fare la disperazione, quella stessa che l'aveva tenuta sveglia tutta la notte a cercare una soluzione che non coinvolgesse Sandro.
Qualunque strada avesse preso, si sarebbe trovata di fronte a due sole scelte: Arthur Bates o Sandro.
Un brivido la percorse. Era stanca di mentire. Questa volta non poteva farcela da sola, aveva proprio bisogno di aiuto. E poteva chiederlo a un'unica persona. Se Sandro si fosse rifiutato, lo avrebbe definitivamente cancellato dalla sua vita.
Ma doveva dare ancora una possibilità a lui e al loro matrimonio. Dopo tutto, cercò di consolarsi nonostante i pensieri che le frullavano in testa, non era certo sua intenzione buttarsi fra le sue braccia. Voleva solo fargli una proposta, aspettare la sua risposta e poi mandarlo al diavolo per sempre.
Era esattamente quello che aveva intenzione di dirgli: aiutami questa volta e non ti seccherò mai più. Facile. Sandro non era un mostro, in fondo era quasi paragonabile a un essere umano decente. Non poteva serbarle ancora rancore dopo tutto quel tempo, no?
Improvvisamente il telefono cominciò a segnalare che occorrevano altre monete, nello stesso momento in cui una sensazione molto simile al panico si impadroniva di lei.
Cosa sto facendo? si chiese furiosa. Perché lo sto facendo?
Lo stai facendo perché non hai più scelta! sembrava rispondere la sua mente.
La rabbia le faceva tremare le mani. Non riusciva neanche a centrare quella maledetta fessura! In un attimo tutte le monete finirono per terra.
«Dannazione!» imprecò mentre si piegava per raccoglierne qualcuna, quando improvvisamente udì una voce dall'altra parte della cornetta.
«Buongiorno. Sono la segretaria del signor Bonetti. Posso aiutarla?»
L'unica cosa che riuscì a pronunciare fu: «Un attimo per favore», cercando di infilare l'unica moneta rimastale in mano prima che la linea si interrompesse.
Risolto questo problema doveva però affrontare ancora la temibile segretaria.
«Vorrei parlare con il signor... con Alessandro, per favore.»
Sperava che la sua fermezza bastasse a convincerla. Ma non ci riuscì neanche stavolta.
«Mi dispiace ma devo insistere, ho bisogno del suo nome» fu la risposta.
Il suo nome. Chiuse gli occhi. Cosa doveva fare ora? Dire la verità? E se Sandro non avesse voluto parlarle?
«Sono la signora Bonetti.» Ascoltò se stessa pronunciare quel nome come se non le appartenesse.
Seguì una breve ma interminabile pausa.
«La signora Bonetti?» si accertò la segretaria.
«Sì» confermò Joanna.
Non si stupì dello sbalordimento dell'altra. Lei stessa non riusciva a credere di essere proprio quella persona. «Vuole chiedere ad Alessandro se ha qualche minuto per me?»
«Certamente» acconsentì la segretaria.
La linea si fece muta ancora una volta. Joanna ebbe così il tempo di fare un lungo respiro. Si guardò intorno per distrarsi e notò un uomo, oltre il vetro, che stava nervosamente aspettando che gli concedesse l'uso del telefono.
«Signora Bonetti?»
«Sì?» Quell'unica sillaba risuonò come una pallottola uscita dalla sua gola.
«Il signor Bonetti è in riunione in questo momento.» Improvvisamente la voce le sembrò cauta. «Ma mi ha detto di lasciargli il suo numero. La richiamerà appena possibile.»
«Mi dispiace, non posso» rispose Joanna mentre un senso di sollievo misto a disperazione si faceva strada in lei. «Voglio dire che sono in una cabina e...» L'unica cosa che riusciva a pensare era che Sandro non poteva parlarle e che lei non avrebbe avuto il coraggio di chiamarlo di nuovo.
«Vedrò di richiamarlo» balbettò alla fine. «Gli dica che lo richiamerò. Magari un altro giorno.» Non le usciva nient'altro. «Arrivederci» concluse bruscamente e fece per riattaccare la cornetta.
Ma la voce della segretaria la fermò. «No! Signora Bonetti, aspetti per favore!» insistette. «Il signor Bonetti vuole sapere la sua risposta prima che lei... Per favore resti in linea ancora un momento.»
Era una preghiera. Questo fu l'unico motivo per cui Joanna non sbatté il ricevitore per scappare via.
In quello stesso momento le venne in mente il rivoltante sorriso di Arthur Bates, simile a quello di un gatto che sta per mangiare la preda. Un'immagine che la fece sentire talmente disgustata, arrabbiata e confusa da non sapere più cosa realmente volesse.
Oh, mio Dio! Chiuse gli occhi cercando di prendere una decisione. Sandro o Arthur Bates? Questa domanda la tormentava. Ma la verità era che non aveva nessuna scelta.
Sandro era l'uomo che aveva escluso dalla sua vita negli ultimi due lunghi, invivibili anni. Eccetto quando lo aveva chiamato per dirgli di Molly. Mentre ricordava, le sue guance divennero pallide come quelle della povera sorella dopo l'incidente che l'aveva uccisa.
Quel ricordo si impadronì della sua mente provocandole un dolore quasi fisico.
Subito dopo l'accaduto aveva provato a contattare Sandro per fargli sapere cosa era successo, ma lui aveva ignorato la sua richiesta di aiuto, ricordò a se stessa. Ecco perché esisteva più di una possibilità che lui stesse facendo la stessa cosa adesso. E perché no? Non c'era più niente tra loro, non più da così tanto tempo!
Il telefono voleva ancora spiccioli. Joanna si chinò bruscamente alla ricerca di un'altra moneta, spinta da puro istinto. Sembrava che la sua mente fosse altrove.
Un attimo dopo udì la voce della segretaria. «Signora Bonetti?»
«Sì?» ansimò lei.
«Un secondo, le passo il signor Bonetti.»
Le sue dita scovarono una delle monete perse. Una ondata di panico le impediva di inserirla nella fessura; il pensiero di sentire ancora la voce profonda e vellutata di Sandro la turbava. Non sapeva se avrebbe potuto sopportarlo.
L'uomo che aspettava fuori dalla cabina la guardava furiosamente attraverso il vetro.
«Joanna?»
Le sembrò che tutto il mondo le stesse crollando addosso. L'angoscia le serrava il petto.
La voce di lui sembrava così dura, secca ma anche così dannatamente familiare, che non riuscì a fare uscire una sola parola dalla sua bocca.
A quel punto l'uomo bussò al vetro con rabbia. Lei chiuse gli occhi e le sembrò di percepire la tensione di Sandro, la sua riluttanza a quella telefonata.
«Joanna?» ripeté lui seccamente. «Dannazione!» lo sentì imprecare. «Sei ancora lì?»
«Sì» rispose con un filo di voce, sapendo che aveva appena fatto il passo più coraggioso della sua intera esistenza pronunciando quella semplice parola di conferma. «Scusa...» Provò a rilassare la bocca nello sforzo di recuperare un minimo di calma, anche se solo apparente. «Ho lasciato cadere le monete sul pavimento della cabina e non riesco più a trovarle» si giustificò, «e c'è un uomo fuori che sta aspettando che io esca. Ha cominciato a bussare al vetro e io...»
Il resto preferì ometterlo. Stava balbettando come un'idiota.
Sandro doveva avere pensato la stessa cosa visto che il suo tono si fece grave. «Di che diavolo stai parlando?» domandò.
«Scusa» balbettò lei di nuovo.
Questa semplice parola sembrò renderlo furioso. «Sono nel mezzo di un'importantissima riunione adesso» la interruppe. «Quindi, mi puoi fare la cortesia di venire al sodo?»
Puro sarcasmo, pungente e sottile. Joanna chiuse di nuovo gli occhi: aveva il cuore in gola.
«Io ho bisogno...»
Di che cosa aveva bisogno? Continuava a chiederselo. Era così confusa, ormai, da avere dimenticato il motivo della telefonata.
«Io ho bisogno...» riprovò, «del tuo... consiglio su una questione importante.» Non poteva certo dirgli che dopo tanto tempo la sola ragione che l'aveva spinta a telefonargli erano i soldi! «Pensi che sia possibile incontrarci per parlarne?»
Nessuna risposta. I suoi nervi erano al massimo della tensione sopportabile. Non riusciva a fiatare, a inghiottire. Ma la cosa peggiore era che le veniva da piangere.
«Questo pomeriggio devo partire per Roma» la informò Sandro bruscamente. «E la mia giornata è piena di riunioni fino al momento della partenza. Non potresti aspettare il mio rientro? Tornerò la prossima settimana.»
«No! Non posso aspettare così a lungo. Io...» La sua voce tremò nuovamente e sentì la disperazione che si faceva largo dentro di lei. Poi, delusa, bisbigliò: «Non importa. Mi dispiace di...».
«Non provare neanche a mettere giù quella dannatissima cornetta!» la avvertì Sandro con tono furioso, come se, anche dopo tutto il tempo trascorso, potesse realmente leggere le sue intenzioni.
Joanna lo sentì mentre diceva qualcosa in italiano. Capì allora che doveva essere veramente infuriato, visto che Sandro tornava alla sua lingua madre solo quando malediva la sua cattiva sorte. Poteva persino immaginarselo mentre lo faceva. Alto e magro, la sua figura di maschio latino con vellutati occhi marroni che tendevano a scurirsi quando era arrabbiato. Una bocca piena e sensuale che sapeva baciare come nessun'altra aveva mai saputo fare, ma che poteva anche pronunciare parole davvero crudeli.
Poi, mentre era rapita dai suoi pensieri, un suono proveniente dal telefono la riportò al presente. Le occorrevano altre monete.
«Non ho abbastanza soldi!» esclamò mentre guardava sul pavimento della cabina. «Dovrò...»
«Dammi il tuo numero!» le urlò Sandro.
«Ma c'è un uomo che aspetta di telefonare!»
«Maledizione!» gridò lui. «Il numero Joanna!»
Gli lesse il numero scritto sull'apparecchio e la linea si interruppe un attimo dopo. Appoggiò il ricevitore e rimase lì a chiedersi se Sandro avesse fatto in tempo a scriverlo.
In pieno stato confusionale, si piegò a raccogliere le monete che aveva perso. Poi uscì per lasciare entrare quell'uomo che stava ancora aspettando.
Lui la guardò come se fosse pazza. Non poteva certo biasimarlo! Aveva assistito all'intera scena.
Tutta colpa di Sandro: era sempre lui che la riduceva in quello stato. Non c'era nessun altro che le facesse perdere il suo autocontrollo e la sua freddezza come lui. Aveva esercitato quel potere su di lei sin dal loro primo incontro: solo pochi minuti per renderla completamente instabile.
Sesso.
Questa semplice parola la colpì con pesante, crudele onestà. La differenza fra suo marito e ogni altro uomo consisteva nel fatto che nessun altro stuzzicava la sua