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Alphabetica. Una storia d’amore
Alphabetica. Una storia d’amore
Alphabetica. Una storia d’amore
E-book135 pagine1 ora

Alphabetica. Una storia d’amore

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Info su questo ebook

"Alphabetica" è un romanzo ascrivibile al genere del realismo magico ed è costruito sulle lettere dell'alfabeto: ogni capitolo, una lettera. Ambientato in un luogo di fantasia e in un tempo che potrebbe vagamente assomigliare ai primi del Novecento, funestato da una guerra che ricorda per alcuni aspetti, la prima guerra mondiale, il romanzo racconta una storia d'amore. In una sperduta regione montagnosa, una donna, Zina, aspetta il marito Efrem partito per la guerra due anni prima. Molto lontano da lì quel soldato, dopo essere sopravvissuto ad una ferita in battaglia grazie a due anziane erboriste, inizia il suo lungo viaggio di ritorno. Il libro segue le vicende di altri personaggi che finiranno per incontrare le vite dei protagonisti: un bambino perduto e il suo cane, un asino tenace, un medico in cerca della sua strada e altri personaggi umani e non, buoni e assai meno buoni. Dopo incontri, pericoli e lo svelamento di segreti, ogni tessera del puzzle finirà al proprio posto, dimostrando come l'amore, sostenuto da un'attesa fiduciosa, vinca sempre sulle avversità
LinguaItaliano
Data di uscita16 giu 2022
ISBN9791221417920
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    Anteprima del libro

    Alphabetica. Una storia d’amore - Anna Boccia

    Attesa

    La donna che aspetta il soldato si alza all’alba.

    Sosta presso la finestra e accarezza con lo sguardo il prato silenzioso, il grande faggio, la stradina bianca che costeggia il bosco di pini.

    Raccoglie i capelli in una treccia spessa e la avvolge sul capo fermandola con un pettinino su cui è incisa una stella. Versa dell’acqua in un catino smaltato e si lava con cura, quindi indossa il vestito di tutti i giorni su cui allaccia un grembiule con una grossa tasca.

    In cucina rivolge una preghiera silenziosa all’immagine della Sacra Famiglia, quindi siede al tavolo davanti a una tazza di latte in cui intinge pane d’orzo e miele.

    Molto lavoro l’aspetta: poche capre, le api, un orto e il piccolo campo a orzo.

    Un grosso cane grigio la segue come un’ombra finché a mezzogiorno, finalmente, la donna si siede ad una parca mensa. Sulla tavola un pomodoro maturo spruzzato di sale, del formaggio fresco, pane e una mela.

    Riprende il lavoro con lena, ma senza fretta.

    Ogni gesto sembra una preghiera nel sole del meriggio.

    Il crepuscolo la sorprende china nell’orto a raccogliere verdure per la zuppa che cuocerà per cena. Torna verso casa con il cane che le saltella intorno. Si ferma un po’ a lanciargli un rametto da riportare finché la fame prende il sopravvento sulla voglia di giocare.

    Dopo il pasto esce sul portico, dove siede su una sedia a dondolo sorseggiando un infuso d’erbe. Un gatto tigrato le salta in grembo e subito riempie l’aria delle sue fusa mentre il cane, accucciato ai suoi piedi, finisce di sgranocchiare un osso.

    La donna guarda le stelle e pensa che sono le stesse che anche il soldato sta guardando. Non vorrebbe staccarsene mai perché guardarle, pensa, è un modo per stare con lui e quasi (quasi!) toccarlo.

    Quando infine si alza per andare a coricarsi, colloca prima un fioco lume davanti al vetro della finestra per illuminare il cammino a chi deve arrivare.

    A chi prima o poi arriverà.

    A chi senza dubbio arriverà.

    Il lume dice che questa donna non smette di aspettare. Né questa casa.

    Questi animali.

    Questo campo.

    Questo piccolo orto generoso.

    Questo faggio paziente.

    Persino le stelle qui sopra aspettano con la donna.

    Aspettano senza stancarsi che il soldato torni dalla guerra.

    Battaglia

    Il soldato stringe il fucile tra le mani sudate. La trincea sarebbe silenziosa se non fosse per il battito del suo e degli altri cuori che insieme intonano una marcia che non ha niente di trionfale.

    Il soldato sente quella marcia crescere sempre più e non può credere che sia solo nella sua testa. I suoi occhi non si staccano dal capitano che a momenti darà l’ordine di andare all’attacco semplicemente alzando una mano.

    Nella trincea ancora ristagna la pioggia dei giorni scorsi. L’umidità si è infiltrata nei vestiti e nelle ossa del soldato e deve starci comoda perché non accenna ad andarsene.

    Non che abbia importanza adesso.

    La paura gli sventola nello stomaco come una banderuola impazzita e per tentare di fermarla il soldato cerca un’immagine di quiete e ci si aggrappa con tutte le sue forze.

    Evoca la sua casa di pietra e tronchi in mezzo alla radura, il faggio imperturbabile piantato dal suo bisnonno. La stradina bianca.

    Sul portico della casa c’è una donna coi capelli raccolti che guarda lontano.

    Ai suoi piedi un cane grigio fiuta la sera che avanza.

    Il soldato si concentra su quell’immagine, ci entra dentro e a poco a poco quella banderuola smette di sventolare e il cuore rallenta la sua marcia.

    Per un attimo invidia il cane così vicino alla donna.

    Farebbe cambio persino con il faggio che le fa ombra.

    L’invidia però non gli piace, rende la lontananza più dolorosa.

    Meglio perdersi negli occhi della donna e respirare piano senza pensare a nulla.

    Quando il capitano dà il segnale il soldato è quasi tranquillo. Insieme ai compagni si slancia fuori dalla trincea con la baionetta innestata.

    È il primo assalto.

    Il cielo livido sopra di loro non li benedice.

    Cane

    Finalmente quel rumore assordante si è acquietato.

    Il silenzio fermo e innaturale dei primi momenti comincia poco per volta a ripopolarsi dei fruscii della vita che si rimette in marcia. Piccoli animali furtivi che sbucano dai nascondigli, pigolii di uccelli, insetti.

    Il cane ha aspettato un tempo interminabile prima di uscire dal suo nascondiglio.

    Una volta fuori ha annusato l’aria per bene, come se persino quell’odore acre nascondesse un pericolo per lui e il suo piccolo branco umano nella casetta.

    Ha aspettato un po’ sotto un olmo ancora più spaventato di lui, per via delle fiamme balenate qua e là e del fumo.

    Solo molto tempo dopo che l’ultimo uomo se ne è andato trascinando via armamentario e feriti, il cane ha attraversato con cautela la radura avvolta nella nebbia dell’alba.

    Ovunque la terra buona è intrisa di sangue e i suoi vecchi profumi andati. Il cane ha vagato per un po’ senza riconoscere neanche una zolla o un arbusto perché tutto quello che rimane è rivoltato, bruciato, distrutto.

    Poi, lentamente, un odore si è fatto strada fino a lui. Un filo, che è quasi niente, di qualcosa di familiare. Il cane lo ha afferrato quel filo odoroso che parla sottovoce di un cane (un altro cane) mischiato a terra, muschio, uomo e alberi e lo ha seguito senza rumore.

    Per un attimo è svanito, ma il cane non si è dato per vinto. Ha sondato aria e suolo finché non lo ha ritrovato e annodato saldamente a sé, escludendo tutto il resto.

    Ha continuato ad avanzare piano, una zampa dopo l’altra, il naso ora al cielo, ora alla terra, finché non ne ha trovato l’origine: un uomo semisepolto dal fango e sotto quel fango, sulle mani, sui vestiti, sul volto immobile, la traccia infinitamente piccola e remota di un cane. Un altro cane.

    L’uomo sembra morto, gli occhi chiusi come per un’infinita stanchezza.

    Il cane lo esamina attentamente e ne individua subito il flebile respiro. La faccia è una maschera di fango e la spalla destra è fradicia di sangue.

    Il cane fa quel che può. Lecca via lo sporco dal naso e dalla bocca finché un gemito sale alla gola dell’uomo, seguito da un colpo di tosse. Apre gli occhi e la prima cosa che pensa è: strano, stavo sognando il Grigio che mi saltava incontro e ora la prima cosa che vedo in questo inferno è un cane che un po’ gli somiglia in quel modo di guardare che sembra una domanda.

    Pensa questo l’uomo mentre il cane lo guarda e sembra soddisfatto.

    Gli dà un’ultima leccata, poi si avvia.

    Ci ripensa, torna indietro, altra leccata e via, di corsa, senza più voltarsi.

    L’uomo sorride perché ha capito che torna.

    Sono facili da capire i cani.

    Un primo squarcio di azzurro gli fa compagnia.

    Diario

    Lo ha trovato Poldo. Figurati se non lo trovava. Passa tutto il tempo a setacciare i dintorni quel cane. Il suo naso è così sensibile che deve essere letteralmente assediato dagli odori. Forse vorrebbe stare in pace a volte. Dormire un po’ di più sulla veranda e fregarsene del resto. Ci prova, poveretto, poi qualcosa lo sveglia. Qualche volta un rumore, più spesso il filo di un odore che talvolta è quasi niente. Allora, se non riesce a ricondurre quell’esile traccia a qualcosa di consueto, il bosco con animali, insetti e funghi, oppure la casa e noi con i nostri tramestii quotidiani, Poldo si alza e la segue.

    Il mese scorso ha portato a casa un gatto con una zampa rotta. Ora si crogiola al sole sul portico, per intenderci. Poco tempo prima ci ha condotti ad una volpe presa in una tagliola. Per non parlare degli uccellini caduti dal nido, che non si contano.

    Abbiamo un cane sensibile agli odori e alla sofferenza e anche in questo è migliore di noi, immagino.

    Insomma ieri è tornato a casa trafelato poco prima del tramonto. Io cucivo sulla sedia a dondolo, Marta era nell’orto a raccogliere patate per la cena. Quando corre così si sa che qualcosa ha trovato e che ci tocca controllare. Ho messo via il cucito prima che mi saltasse addosso scompigliando tutto. Mi sono messa un fazzoletto in testa anche se il sole era basso e l’ho seguito. Ho fatto un cenno a Marta e lei ha capito.

    Non si arrivava mai. Se sapevo che mi portava così lontano avrei portato il bastone. Sto bene, ma settant’anni sono settant’anni. Siamo arrivati fino al campo di battaglia e la cosa ha cominciato a piacermi sempre meno.

    Il problema è che Poldo non è un cane che si può ignorare. Se deve mostrarti qualcosa, ti sfinisce finché non ti muovi e lo segui. Abbiamo provato a far finta di niente, ma alla fine è peggio.

    Comunque il posto era uno sfacelo. Alberi falciati dai proiettili, carri rovesciati, cadaveri di cavalli e la terra rivoltata come se avesse vomitato se stessa.

    Il cane si è diretto sicuro verso una montagnola di fango e una volta lì mi ha aspettato impaziente, accennando ogni tanto a scavare con una zampa. Anche Poldo è paziente con noi che siamo vecchie e lente.

    Una volta lì ho visto il suo volto per primo. Sporco e stanchissimo, ma insolitamente bello.

    Mi sono inginocchiata e l’ho ripulito un po’

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