Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Tarocchi & Kabbalah
Tarocchi & Kabbalah
Tarocchi & Kabbalah
E-book690 pagine9 ore

Tarocchi & Kabbalah

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Il linguaggio simbolico dei Tarocchi, grazie alla forza evocativa delle immagini dei ventidue Arcani Maggiori, possiede l’indiscutibile capacità di poter essere compreso e assimilato con estrema facilità. Tuttavia, in esso convergono una nutrita varietà di conoscenze sapienziali aventi natura ben poco “popolare”, ma soprattutto iniziatica, mistica e filosofica. Tra queste spicca, in particolare, il prezioso apporto della Kabbalah ebraica, facilmente riconoscibile non solo da sporadiche analogie tra i due sistemi simbolici, bensì dalla presenza di vere e proprie “identità” concettuali, assolutamente sorprendenti… Da questa confluenza simbolica nasce uno studio e un’interpretazione dei Tarocchi (di Marsiglia, mazzo Grimaud) che spazia dalla visione più metafisica ed esoterica degli stessi, a quella principalmente pratica, che ne permette l’utilizzo nel modo più preciso possibile.
LinguaItaliano
Data di uscita21 gen 2014
ISBN9788827223994
Tarocchi & Kabbalah
Autore

Luciana Pedirota

Nata a Monfalcone, ha completato gli studi artistici presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove attualmente vive. Nella sua pittura ha condotto una ricerca di simbologia ermetica, che parallelamente, l’ha portata ad approfondire i temi dell’Alchimia, dell’Astrologia, della Kabbalah ebraica e delle grandi Tradizioni esoteriche. Annualmente tiene corsi e seminari di Tarocchi kabbalistici, di Alchimia e di simbologia cromatica. Ha già pubblicato con le Edizioni Mediterranee "Il colore" e "Il libro completo dei Tarocchi".

Correlato a Tarocchi & Kabbalah

Ebook correlati

Fenomeni occulti e paranormali per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Tarocchi & Kabbalah

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Tarocchi & Kabbalah - Luciana Pedirota

    COPERTINA

    image.png

    TAROCCHI E KABBALAH

    image-1.png

    Luciana Pedirota

    logo.png

    Copyright

    TAROCCHI E KABBALAH

    di Luciana Pedirota

    ISBN 978-88-272-2449-6

    Prima edizione digitale 2013

    © Copyright 2013 by Edizioni Mediterranee

    Via Flaminia, 109 - 00196 Roma

    www.edizionimediterranee.net

    Versione digitale realizzata da Volume Edizioni srl - Roma

    droppedImage.png

    Introduzione

    Sul frontone del tempio dell’oracolo, a Delfi, spiccava un’iscrizione che è diventata tra le frasi più celebri della storia umana: "Uomo conosci te stesso, e conoscerai l’universo e gli dei"¹¹. E Socrate stesso, nella sua funzione di risvegliatore di coscienze, ha utilizzato questa esortazione in larga misura, riconoscendone il valore di richiamo all’attenzione di ogni nostro limite intrinseco. Andando poi ulteriormente a ritroso nel tempo non può sfuggire quanto sin dalle origini il pensiero prima magico, sciamanico e in seguito religioso e filosofico dell’uomo, abbia sempre contemplato istintivamente la simmetria, in similitudine, tra il tangibile, visibile, e l’invisibile altro.

    Conoscere il mistero di come siamo fatti significa infatti sapere in pratica come, per analogia, è fatto il tutto, poiché per il pensiero arcaico da cui anche il pensiero classico deriva, la realtà universale è unica, e ogni sua più piccola parte, similmente a un ologramma, contiene la radice del tutto che l’ha portata a esistenza.

    Conoscersi per conoscere... quindi, ma dopo due millenni e mezzo, cosa è rimasto del monito inciso sul tempio di Delfi? Ben poco sembrerebbe, visto come inventiamo ogni modo per non conoscerci assolutamente: "[...] e se poi purtroppo dovessi scoprire di essere ben più mediocre di come immagino di essere? Non sia mai [...]".

    Ma anche, e soprattutto, perché crediamo che per conoscerci, invece di scendere² nel nostro più profondo intimo, basti guardare, come Narciso, la nostra immagine riflessa negli occhi degli altri. Così per poter esistere (anche se solo in immagine riflessa) dobbiamo continuamente metterci in relazione con il mondo esterno, in una continua e spasmodica rincorsa di noi stessi, macinando rapporti ed esperienze senza mai fermarci a digerire queste esperienze, unico modo per farle diventare veramente nostre.

    Tutto cessa di avere valore, si disperde e si dissipa, quando noi, per primi, non siamo in grado di darci valore; così l’insoddisfazione produce nuove ricerche esterne, tese a una convalida affettiva o valutativa in divenire che mai potrà sostituire il nostro centro dell’essere (micro e macro-cosmico). Vero e proprio punto unitario, originante ed emanante (condizione necessaria per la piena espressione di una vita cosciente e consapevole) rispetto a una propria circonferenza esterna, rappresentante il mondo circostante, con il quale intrattenere un altrettanto consapevole rapporto di proficuo scambio.

    L’immagine che ne consegue – di un cerchio puntato al suo centro – è quella astrologica, ben nota, del Sole, che simbolicamente conduce il concetto della luce radiante della coscienza, ma anche quella alchemica dell’Oro Filosofale, che rappresenta la trasmutazione somma, in identità cosciente, del valore assoluto (non vi è metallo più prezioso dell’oro...) di quella Grande Opera a cui, come esseri senzienti, siamo chiamati, e di cui, lungo tutto il percorso che tracceremo grazie ai simboli dei Tarocchi, parleremo approfonditamente. Come, per contrasto, ancora più spesso tratteremo dell’immagine del cerchio NON puntato.

    Infatti, nella vita ci troviamo a vivere continuamente il non senso del cerchio vuoto, l’Uroboros, il serpente che, in un moto continuo di disperante dispersione, si morde la coda, inseguendo se stesso all’infinito (immagine del caos). Simbolo che ci rimanda alla frenetica ricerca di un riconoscimento esterno che invece noi, rispetto a noi stessi, spesso non vogliamo o non siamo in grado di darci... Infatti, per poterci riconoscere prima dobbiamo visitarci, nel senso di conoscerci letteralmente viaggiando dentro di noi. E a questo proposito risulta interessante notare come i Latini dividevano il tempo dell’otium, dello stare con sé, dal tempo del negotium, dove vigeva lo scambio, l’azione nel mondo, il lavoro.

    Noi oramai abbiamo quasi completamente perduto il tempo dello stare, irrimediabilmente sostituito dal tempo dall’eterno fare (più che altro di stampo ludico) che ci permette di identificarci, di volta in volta, in qualunque cosa, tutto per sfuggire alla noia... (in realtà al silenzio di sé).

    Così durante una vacanza non si sa più godere la bellezza di un mare in burrasca, troppo presi a riprenderlo con la fotocamera digitale, non si assapora il colore di un cielo, un profumo portato dal vento, uno sguardo intenso che incrocia il tuo, troppo presi dall’incessante andare che tutto macina inesorabilmente. Una vita convulsa, fin dalla più tenera età, in cui ogni istante è sempre pieno di stimoli e impegni: piscina, palestra, scuola, doposcuola, corso di musica, danza, teatro, e poi ancora i compiti a casa, la televisione, i videogiochi, Facebook, Twitter... poi da adulti cambia poco, ci si sente vivi solo se intenti a fare qualcosa il più possibile piacevole... e se poi l’esperienza risulta rischiosa e particolare ancora meglio, così l’adrenalina va a mille.

    In questa incessante rincorsa di continue gratificazioni si finisce per identificarci non con il nostro cuore caldo e senziente³, bensì con il pallido simulacro che è la nostra immagine, esterna, oggettuale, riflessa nello specchio degli altri.

    Saremo così più o meno figli adeguati alle aspettative dei nostri genitori, compagni da amare relativamente alla misura delle gratificazioni che saremo in grado di perpetuare, studenti e poi lavoratori efficaci in quanto rispondenti a qualifiche aprioristiche e ottimizzanti per un mondo che spesso nemmeno ci appartiene... e noi? Nel frattempo dove saremo finiti?

    Essere un’immagine in uno specchio altrui non è esattamente il massimo raggiungimento a cui, come esseri umani, possiamo aspirare.

    Immaginatevi di stare al centro di una stanza circolare, sulla cui circonferenza vi è una successione ininterrotta di specchi, ognuno di colore diverso. Specchiandovi in ognuno di essi la vostra immagine, necessariamente, risulterà leggermente (dal colore) cambiata; in quello rosso vi vedrete (e vi sentirete) più forti, in quello giallo più positivi, in quello grigio più tristi... Poi potrà esserci uno specchio, poniamo quello azzurro, che vi rimanderà un’immagine a cui potreste affezionarvi particolarmente. Bene, se alla fine vi identificate completamente con questa vostra immagine, nel momento che, malauguratamente, questo specchio dovesse andare in mille pezzi voi cesserete di esistere insieme a esso.

    Infatti, tanto necessario risulta, per il nostro sano sviluppo cognitivo, il principio di relazione con il mondo esterno, tanto questa continua ricerca di relazione (e di relativa convalida esterna) diventa lesiva se risulta come la nostra (sola) dimensione d’essere.

    In Alchimia, questa situazione di inutile dispersione, di caos, è chiamata, come abbiamo visto, Uroboros, il serpente che si morde la coda, rappresentato graficamente anche dal cerchio vuoto, senza centro⁴; poiché anche noi, similmente al serpente rappresentato, in questa condizione (di caos) esistiamo solamente rincorrendo senza soluzione di continuità la nostra stessa coda (la nostra vita), divorandola di giorno in giorno perdutamente.

    Ma se, come sappiamo, nel centro del cerchio mettiamo un punto, l’immagine cambia, e abbiamo il simbolo astrologico del Sole (che è anche quello dell’Oro Alchemico), dove impariamo sia il valore del nostro essere al mondo, ma anche il valore di quello che, al mondo, come umile contributo, noi possiamo dare⁵.

    Imparare a conoscere il nostro essere centro di questa circonferenza tuttavia impone delle precisazioni. Il simbolo del Sole (e dell’Oro a esso associato) ha reale valore e significato preso solo nella sua completezza; infatti se noi isoliamo il punto centrale dalla circonferenza che lo contiene simbolicamente agiamo un arbitrio, proponendo uno stato di unicità sé bastante e accentrativa; in pratica l’elegia dell’egoismo (falso oro) come unico centro possibile, unico modo concepibile per raggiungere successo, ricchezza e felicità.

    Per poi accorgersi invece di essere diventati solo un insignificante punto vagante nel nulla... Adoperarsi, tutta la vita, al solo soddisfacimento dei propri bisogni più egoistici, infatti, non solo non ha nulla di nobile (cioè di aureo), ma contraddice il senso stesso della nostra unicità, originale, esclusiva e portentosa.

    Il nostro essere uno per essere davvero come il Sole-Oro deve splendere, cioè emanare da sé, non viceversa inghiottire tutto e tutti come un drago divoratore o un buco nero cosmico. Infatti, solo emanando come una fonte che cerca il proprio mare, il punto centrale, continuamente in contatto (in dia-logos) con la propria circonferenza (mondo esterno), riesce davvero a trovare il proprio senso di esistenza⁶.

    Siamo nati per creare e invece molto più spesso riusciamo solo a distruggere, per prima cosa la vita intorno a noi, senza nemmeno accorgercene.

    Nel mito, questo bisogno incoercibile di trasgredire, distruggendo il creato, è molto ben reso dalla figura dell’avversario, cioè del Diavolo, simbolo di ogni male, in realtà espressione dell’unico male esercitabile direttamente dall’essere umano, quello del tradimento del proprio compito naturale, di piccolo creatore (e difensore) consapevole della vita.

    Così per ricordarci di quanto importante fosse il nostro ruolo, fin dall’antichità sono sempre esistite scuole di pensiero filosofico o/e religioso tese sia all’insegnamento di come riconoscerci questo ruolo (e la responsabilità etica che questo comporta), che alla trasmissione di queste conoscenze nel tempo.

    Per farlo, si è utilizzato spesso un racconto significante (da poter leggere e interpretare a vari livelli), come nel caso dei Libri Sacri (Corano, Bibbia, Vangelo ecc.), oppure attraverso l’insegnamento filosofico di grandi pensatori, ma anche grazie all’apporto vivo, in esperienza diretta, di sciamani, mistici e profeti.

    In questo modo, lungo tutta la storia dell’umanità, vi è sempre stato un sottile filo, a volte quasi invisibile, altre potente e prioritario, che ha legato l’uomo alla propria natura più nobile e intima, indipendentemente dalla cultura, dalla razza o dalla condizione in cui si trovasse.

    Poi è arrivato il tempo della Grande Bestia dell’Apocalisse, il tempo in cui i Figli dell’uomo hanno platealmente perduto (culturalmente parlando) rispetto ai Figli del principe di questo mondo (cioè il Diavolo). Questo ha coinciso con un netto cambiamento dell’orizzonte evolutivo dell’essere umano, che da scambievole e rispettoso nei riguardi del mondo interno ed esterno a sé, è diventato molto più dissacrante, antropocentrico, egoistico e assolutista.

    State forse pensando che ci stiamo riferendo ai tempi attuali? Vi sbagliate, questo cambiamento di rotta è successo un bel po’ di tempo fa...

    In un certo senso esiste anche un sigillo di comprovazione che data in modo sublime questo (triste) passaggio. Ed è l’opera artistica più conosciuta al mondo: la Gioconda di Leonardo da Vinci. In essa troviamo concentrato, in immagine pura, gran parte del sapere esoterico della tradizione più sacra, essenziale e scevra da condizionamenti esterni.

    La Gioconda è una donna, anche... ma è anche Iside, Sophia, la Shekhinah, il Telesma dell’ermetismo, lo Xvarnah iraniano ecc.

    Idealmente la Gioconda è l’ultima testimone di un’interrotta tradizione, ma anche la muta testimone di un nuovo sviluppo del percorso umano che lei, imperturbabile, non sembra temere... Lei no, ma noi forse un poco dovremmo...

    Il Rinascimento non è stato solo bellezza, come il razionalismo non è stato la risposta perfetta a tutti i perché dell’umanità, e la rivoluzione industriale non è riuscita a eliminare la povertà e il disagio materiale dal mondo.

    E soprattutto, il delirio scientista (ma non la vera scienza, che è ben altra cosa) ha dato voce a impulsi irresponsabili e improponibili, privi di ogni limite o etica, francamente terrificanti.

    Infatti la nostra cultura non trova assurdo che possano esistere armi così potenti da distruggere il mondo oppure da ucciderne tutti gli abitanti, non trova allucinante che stiamo avvelenando aria, acqua e terra, che stiamo consumando tutte le risorse come cavallette impazzite... e come potrebbe, se questa cultura è oramai improntata quasi completamente sui dettami del Principe, che non accetta limiti né vincoli per le proprie anime possedute.

    Questa è una cultura basata su sopraffazione e odio, poiché colui che viene illuso di potere tutto ben difficilmente si fermerà davanti al bisogno o davanti alla stessa esistenza di un altro se questa gli diventa d’intralcio.

    E tutto ciò credendo di essere finalmente liberi da ogni possibile condizionamento filosofico, religioso o morale. Poiché questa è la grande menzogna del Principe... che ci fa credere che come figli dell’uomo (da intendersi come esseri consapevoli del proprio ruolo nel mondo) siamo solo inutili schiavi di una divinità gelosa e imperiosa, che non fa altro che imporre leggi e regole, e invece, in quanto suoi seguaci diventeremo unici e liberi arbitri e artefici del nostro destino.

    Mentre è assolutamente l’opposto, dar credito al nostro demone interiore significa porsi in eterna rivalità con un dio fittizio, che sembra ergersi a sovrano assoluto sull’esistente, mentre in realtà il Divino Essere rifugge ogni possesso sull’universo, tanto da essere Egli stesso impossedibile, poiché in realtà già assente (fin dal principio) dalla propria Creazione, per sua scelta, come dono di libertà assoluta.

    Incredibilmente ha molta più necessità di Dio un ateo che un credente; poiché come puoi negare l’esistenza di qualcosa se prima questo qualcosa non l’hai creduto possibile?

    L’odio non è non amore, ma la feroce contrapposizione di colui che urla per imporre il proprio essere al mondo, in assoluto contrasto con il proprio naturale compito esistenziale. Ciò non è un problema se lo fa un bambino di tre anni, ma lo diventa quando diventa il tessuto strutturale di gran parte dell’umanità.

    Dove è finito il filo di Arianna? Quel filo sottile che ci permette di ritrovare l’uscita dal Labirinto, e che ci fa ricordare il senso della nostra stessa vita?

    Certamente nella contestualità culturale attuale non è facile... non perché manchi il materiale conoscitivo (per fortuna questa volta non si è bruciato tutto come ad Alessandria d’Egitto!) ma perché tra i vari sistemi escogitati dal Principe per rendere irrintracciabili certe gemme preziose basta disconoscerle, considerandole obsolete o sbagliate o inutili... molto meglio credere ai segreti dispensati dalla cultura pseudo spiritualista di bassissima lega, che a fronte di un’apparenza cristallina velano un non tanto celato desiderio di onnipotenza manipolatrice.

    Eppure basterebbe leggere una delle tante meravigliose opere, d’Oriente e Occidente, del Nord e del Sud del mondo, che hanno saputo intessere di verità vissuta simboli potenti e visioni immaginifiche, per cogliere quel sentore gentile ma potente che fa comprendere la meraviglia di un’opportunità preziosa come la vita, che se degnamente vissuta sa donare l’inimmaginabile.

    PRIMA PARTE - Il linguaggio simbolico

    Introduzione

    Il vero linguaggio simbolico si distingue in modo evidente e preciso dalle altre tipologie espressive che vengono spesso con esso confuse; anzi, a essere espliciti, la quasi totalità delle tematiche oggi considerate simboliche non lo sono affatto.

    Il motivo è di una semplicità quasi disarmante: il simbolo vero, per propria intrinseca natura, serve a riunire, a ricomporre, a rimettere insieme un qualcosa che antecedentemente era stato diviso, rotto, caduto.

    La riunificazione delle parti, grazie al potere evocativo del simbolo (leggi come memoria di essenza, di appartenenza, di conoscenza), porta infatti a una riconquista della visione d’insieme (non parcellizzata, distante, divisa, dal centro dell’essere), che risulta essere molto diversa dalla visione periferica, egoistica e relativizzante, a cui siamo abituati...

    E qui immediatamente si arriva al punto: come può esistere un vero simbolo se il compito che dispiega non è quello di ricongiungere l’essere manifestato, naturale, tangibile, con la propria radice (parte) luminosa, intangibile, divina?

    Se non accettiamo o addirittura neghiamo l’esistenza, in noi, di un centro unitario, creativo e deliberativo, avente un senso o uno scopo d’essere suo proprio, come potremmo mai immaginare vi possa essere un paritetico senso dell’esistenza nel Tutto? E parallelamente, se non pensiamo che l’esistenza manifestata, nella sua imponente e meravigliosa totalità, abbia un valore in sé, non tanto perché serve a rappresentare qualcosa o qualcuno, ma solo perché incredibilmente esiste, come potremmo rispettare pienamente la stupenda opportunità che ci è stata data con la nostra stessa vita?

    Vita quindi come base, punto di partenza ma anche d’arrivo, nel momento che, accettando il nostro Simbolo Vivente, accettiamo anche il patto che ciò comporta.

    Nell’antichità al simbolo (dal greco syn, insieme e bàllein, mettere) venivano riconosciute infatti due diverse funzioni: la prima, evocativa, che ci richiama al riconoscimento, in essere, del valore e del significato del nostro stato alto, cioè nobile, evoluto, potremo dire (anche se impropriamente) spirituale, e una seconda, certo non meno importante, che ci rende in grado di far agire questo stato alto, in divenire fattivo, qui e ora, in perfetta comunione con il nostro (tendenzialmente molto dissipativo) stato esistenziale naturale.

    Nel primo caso, troveremo dei simboli grafici e geometrici, come la spirale, la croce, la svastica, il cerchio, il triangolo, oppure cromatici (potere evocativo dei colori), o ancora naturali, come l’acqua, il fuoco, la rosa e altre piante e animali sacri, fino ad arrivare alla identificazione simbolica complessa delle religioni e delle figure esemplari a esse connesse. Espressione questa di una simbologia completa, armonica in sé, che si mette in relazione con il mondo attraverso il linguaggio sottile e pervasivo della reminescenza interiore⁷.

    Nel secondo caso, invece, avremo una simbolica da completare nell’atto e nell’essere, cioè attraverso una nostra piena partecipazione attiva e fattiva, per cui potremmo trovare un oggetto simbolico diviso temporaneamente a metà, come una moneta data a compenso di un lavoro da fare; all’inizio una metà, alla fine, solo a lavoro eseguito, la rimanente.

    Ciò conduce a dei sistemi simbolici complessi, intessuti di rimandi e analogie profondamente stimolanti e utili. Di questa categoria fanno parte, infatti, i simboli maieutici, capaci cioè di far nascere al nostro interno le giuste domande, più che le inevitabili risposte... Questi simboli, infatti, contengono in sé non solo un potere rappresentativo, ma anche iniziatico, grazie al quale riescono ad attivare in noi il desiderio di recuperare la nostra posizione agente e creativa all’interno dell’infinito tutto.

    Utilizzo dei Tarocchi

    I Tarocchi sono forse il più completo ed esaustivo esempio di un sistema simbolico avente una spiccata componente iniziatica, o meglio auto iniziatica; sono stati creati, cioè, proprio per assolvere un uso maieutico, e insieme autoconoscitivo, profondo. E come ideali specchi di una particolare situazione o/e modalità d’essere in cui possiamo riconoscerci, e poi reagire, questi preziosissimi strumenti certo hanno ben poco in comune con le frattaglie pseudo magiche che spesso ci vengono propinate come lettura dei Tarocchi... Anzi ne sono il loro esatto opposto.

    Secondo una poetica leggenda si vuole che in origine, nei templi di Sumer, vi fosse una stanza, circolare, alle cui pareti, senza soluzione di continuità, si trovavano ventidue bassorilievi, ognuno rappresentante un simbolo.

    Durante i riti di conoscenza, l’iniziante cominciava a girare su se stesso, in moto orario, finché, stremato, non crollava davanti a una di queste raffigurazioni; ciò indicava che il simbolo vivente a cui fare riferimento, in quell’esatto momento della vita, non poteva essere che quello lì rappresentato.

    Allora l’iniziante lo indossava, cioè lo rendeva suo, partecipandone prerogative e specificità, e utilizzandolo come insegnamento maieutico, cominciava a conoscersi, conoscendolo.

    Quando noi oggi utilizziamo i Tarocchi facciamo la stessa cosa, solo che invece di girare noi, facciamo girare (mescolandoli) loro!

    Ma il senso e la funzione dei ventidue simboli segreti (Arcani) non è affatto cambiato: il loro potere autoconoscitivo è rimasto immutato, e la loro forza maieutica è intonsa.

    Solo che noi abbiamo dimenticato come leggerli davvero. Infatti, risulta essere estremamente riduttivo il semplice ricondurli a squallide formulette che possono dire tutto e il contrario di tutto.

    Troppo facile dire a qualcuno che continua a cadere (cioè gli esce sempre una determinata carta, sia che la scelga da solo, che in sede di lettura tecnica) davanti a un Arcano n. XII, l’Appeso, che potrebbero esserci delle difficoltà e degli ostacoli, quando invece, per prima cosa, l’ostacolo indicato è proprio dentro di lui, nella sua passività dolente, nella sua pigrizia ecc.

    Ripetiamo, i ventidue Arcani Maggiori dei Tarocchi sono dei meravigliosi specchi, che spiazzandoci, ci fanno veramente vedere come siamo fatti dentro e fuori, solo a volerlo... Nessun altro sistema simbolico che io conosca assolve questo compito con tanta deliziosa (ma a volte anche impietosa) perizia.

    Ma non solo, congiungendo in sé le due parti del simbolo micro-macrocosmico, ogni Arcano oltre a far vedere, come specchio nudo e veritiero, la realtà oggettiva, riesce anche a far intuire la nostra parte mancante, potenziale, a volte in fieri, cioè semplicemente in via di ottenimento, ma a volte invece tradita, cioè dimenticata, o peggio confutata e dismessa.

    Questa funzione degli Arcani è preziosissima, poiché rispetta l’unicità personale (anche rispetto al percorso evolutivo); infatti non è assolutamente detto che ciò che per me è una crescita intellettiva e affettiva imperdibile lo sia altrettanto per chi mi circonda. Anzi, il più delle volte il nostro più grosso errore è proprio il pensare che anche gli altri ci somiglino, e cerchino e desiderino le stesse cose che noi amiamo e insieme detestino ciò che anche noi odiamo.

    Ovviamente non può essere così... Come, parallelamente, se è ben vero che il mondo non è fatto a nostra immagine, è altrettanto importante sapere che vale anche l’opposto: noi non possiamo essere fatti a immagine del mondo.

    Poiché non esiste un modo d’essere standard, uguale e giusto per tutti...

    Anche se spesso ci fanno credere il contrario; tanto che il non riconoscere nei nostri desideri (o non desideri) quelli normali, cioè quelli che sono vissuti da tutti, coincide con un senso di inadeguatezza che porta alla nostra lenta demolizione interiore (leggi insicurezza, disistima, incongruità, indecisione, totale mancanza di espressione della propria volontà).

    E invece riconoscere come ognuno di noi possa alloggiare in sé desideri e progetti diversi rende non solo più forti, ma soprattutto più empatici, poiché potremmo accettare in eguale modo le diversità altrui.

    Libertà e differenza, espresse in infinite sfaccettature, poiché ognuno di noi è una gemma che rifrange la luce in modo unico, e unico quindi non potrà che essere il suo divenire evolutivo.

    Voi non avete idea come, leggendo veramente i Tarocchi, si scopra che l’amore può davvero assumere forme e modi infiniti, e che non è così obbligatorio, per poterlo vivere pienamente, essere per forza seduttivi e sensuali. E come una vera realizzazione personale non sempre sia commisurata al conto in banca...

    Noi siamo troppo abituati a sentirci dire cosa è giusto fare (o essere) e cosa non lo è, ma così facendo si dimentica che l’essere umano non è solo uno strumento funzionale a qualcosa (fosse anche un’impostazione economica del mondo), e che può funzionare nel modo giusto (quando è in linea con l’impostazione voluta) oppure nel modo sbagliato (quando non lo è).

    Gli Arcani dei Tarocchi ci ricordano, invece, come il riferimento a cui fare conto sia altro, ed è ben più eterno e importante (anche per la nostra armonia interiore). Il senso del bene e del male, ad esempio, non può essere solo considerato in modo relativo, cioè appunto funzionale, rispetto a una data cultura, situazione, o bisogno. L’essere umano è anche un ente responsabile primario (non dimenticate il Libero Arbitrio) e le sue azioni non possono trovare sempre una giustificazione oggettiva, a lui esterna.

    I Tarocchi indubbiamente, in quanto strumenti iniziatici, danno il massimo valore a quest’ultimo aspetto, ponendo il problema etico come base ponderale di tutto il loro insegnamento maieutico. Poiché senza VERA responsabilità personale non vi può essere nessun avanzamento cognitivo, nessuna evoluzione possibile...

    Come vi può infatti essere reale sviluppo laddove vengono tradite le leggi stesse dell’evoluzione universale? Il principio della distruzione, ad esempio, come vedremo in seguito nella spiegazione degli Arcani che lo ospitano, non è necessariamente in natura associato al male, poiché fa parte integrante di un processo più ampio avente fasi alternate (come in Alchimia) di costruzione (coagulazione) e distruzione (soluzione, dissolvimento).

    Ma se io, in piena coscienza e arbitrio, pongo fine alla vita di qualcuno, chi credo di essere, Dio? Come posso arrogarmi il diritto di togliere vita, alla Vita, senza doverne tuttavia, in alcun modo, rendere conto? Eppure, senza arrivare a questi estremi, è indubbio come il senso etico latiti fortemente tra gli umani di questo terzo millennio.

    E meno male che è iniziata l’Era dell’Acquario! Per chi poi, come la sottoscritta, in questi ultimi anni, inevitabilmente, si è dovuta confrontare (anche solo da ospite curiosa) con le più varie e inconsuete declinazioni del mondo new age, non ha potuto non notare un dato francamente inquietante... l’estrema indulgenza etica di queste discipline che si autodefiniscono sperimentali⁸.

    Ovviamente senza demonizzare nessuno (poiché ovunque è presente pula ma anche buon grano), quello che balza più agli occhi è che, in gran parte di queste scuole di pensiero, teorie, metodi, tematiche, esercizi, riti propiziatori (e molto altro), sono indirizzati solo apparentemente verso un’evoluzione spirituale, ma in realtà servono solo a far star meglio chi questi metodi o culti li pratica. Cioè pura ipocrisia egoistica travestita da bellezza...

    Cosa significa illuminarsi attraverso un esotico sentiero iniziatico (magari con un rito, a pagamento, di due giorni), se poi questo non scalfisce minimamente il nostro magari pessimo rapporto con il mondo?

    Certo, esattamente come una qualsiasi sostanza alterante, per un po’ ci sentiremo meglio (leggi migliori degli altri), ma sarà un sollievo blando, illusorio, compensativo, e solo momentaneo, a cui farà seguito, inevitabilmente, un bel contraccolpo.

    Chi evolve veramente, profondamente, migliora (accrescendolo) il proprio rapporto di responsabilità etica rispetto al mondo (e non solo quello lontano e ideale, ma soprattutto quello vicino, quotidiano); e vi assicuro che chi ha raggiunto questo

    grado evolutivo si vede...

    Bene, i Tarocchi SERVONO esattamente a questo.

    A capire il nostro iato, la nostra distanza, dal nostro essere migliori (oro alchemico), e non solo in senso assoluto, ma anche nelle piccole (o meno piccole) vicende e questioni personali.

    Senza ingannarci, a volte risulta più facile sentirci buoni adottando (cosa per altro comunque meritoria) un bambino a distanza, piuttosto che relazionarci, con altruismo, dono di anima e di tempo con chi ci sta intorno, come ad esempio il nostro compagno/a...

    Se si leggono i Tarocchi per un rapporto, infatti, si avrà innanzitutto la lucida e spietata rappresentazione delle dinamiche che vi circolano al suo interno, e solo successivamente si analizzeranno le variabili, le possibilità evolutive e di cambiamento positivo, le azioni e i correttivi da operare... Ovviamente, prima di tutto, su di noi...

    Come una splendida macchina di tomografia assiale computerizzata (TAC) gli Arcani ci permetteranno infatti di scandagliare minuziosamente (e con una precisione sorprendente) sia la nostra componente più segreta e intima, che quella, ad esempio, del nostro partner, ma tuttavia ciò non ci concederà alcun diritto di utilizzare queste informazioni in modo strumentale e opportunista. Anzi, i consigli dei Tarocchi, essendo su base etica, spesso si trovano a contrastare fortemente con i desideri del richiedente, consigliando magari una soluzione, egoisticamente, a lui totalmente sgradita.

    Certo una macchina simbolica perfetta come i ventidue Arcani, nata per iniziare, misticamente, spiritualmente e cognitivamente, ai fini più alti della vera illuminazione consapevole, sembra sprecata se viene invece utilizzata per conoscere quale può essere il modo migliore per risolvere un semplice problema coniugale... ma non è così.

    I simboli dei Tarocchi uniscono l’Alto con il basso, il noumeno con il fenomeno, l’idea con l’azione e la forma; non esiste un assoluto puro, ma nemmeno un relativo puro.

    Ogni situazione, ogni condizione, ogni azione o/e pensiero è comunque sempre, insieme, dipendente, interdipendente e indipendente da un certo numero di fattori coesistenti.

    Molto meglio allora, giorno per giorno, confrontarmi con pazienza con i miei limiti ma anche con le mie possibilità, crescendo di consapevolezza anche lentamente, ma veramente, senza illusioni, attraverso i miei rapporti reali, nel mondo, siano essi affettivi, lavorativi o altro, piuttosto che rinchiudermi in una bolla di sapone, che forse per un po’ veleggerà tra mille colori, ma che poi, irrimediabilmente si romperà, lasciandomi solo (e pure bagnato).

    Il Grande gioco

    L’approccio a una tematica tanto inflazionata e soprattutto tanto mal interpretata quanto la lettura dei Tarocchi è in realtà molto più difficile di quanto si pensi.

    Va da sé che in merito a questo argomento le sciocchezze si sprecano, e ancor di più risultano frequenti le reinterpretazioni in chiave smaccatamente magica e New Age, che tradiscono completamente la vera natura (e soprattutto lo scopo) di questo perfetto gioco simbolico che sono i ventidue Arcani Maggiori dei Tarocchi.

    Se poi, per scelta, lo studio dei singoli Arcani viene affrontato insieme all’approfondimento della parte più esoterica (cioè nascosta, interiore) della tradizione kabbalistica, nella quale si approfondisce proprio l’aspetto maieutico⁹, direttamente connesso con l’utilizzo del simbolo (e della speculazione relativa) direttamente nella nostra vita reale, è quasi inevitabile cadere nell’illusione della divinazione.

    In realtà l’interpretazione dei Tarocchi personali (la cosiddetta lettura) è esattamente l’opposto della divinazione. Quest’ultima, infatti, si basa sul concetto per il quale, dato che ogni avvenimento della vita umana dipende solamente dalla volontà degli dei, l’unica possibilità per prevenire (o anche procurare) determinati eventi sia leggerli, preventivamente, attraverso l’esame dei segni che esprimono tale volontà; e in questo modo, ipoteticamente, si legge il futuro personale.

    Ma è un futuro destinico, privo di ogni apporto del libero arbitrio; un futuro che si subisce e non si agisce. Direbbero in Oriente... un karma¹⁰ senza riscatto...

    Mentre i veri sistemi simbolici inizianti¹¹ come le ventidue immagini dei Tarocchi, l’Albero della Vita della Kabbalah ebraica, ma anche la semplice Carta del Cielo astrologica, partono da un punto di vista diametralmente opposto.

    Infatti, perlustrando, attraverso lo specchio simbolico di questi sistemi, come con una specie di radiografia dell’anima, l’interno del nostro più intimo essere, saremo in grado di conoscere le nostre reali possibilità, tendenze, le nostre virtù come i nostri limiti e difetti, ma anche (specialmente) il motivo stesso, unico e inconfondibile, per il quale siamo stati chiamati a essere, su questo pianeta, in questo specifico lasso temporale che è la nostra vita.

    Vita che è nostra, ma non solo nostra, essendo noi calati all’interno di un complesso intreccio di interdipendenze, sociali, affettive, culturali e, innanzitutto, biologiche. Tale intreccio ci fa essere parte di un tutto all’interno del quale noi possiamo scegliere di giocare consapevolmente la nostra partita o meno.

    Ognuno di noi partecipa infatti al Grande gioco universale a suo modo, con le sue possibilità e le sue ritrosie, qualcuno può anche decidere di non parteciparvi affatto, o addirittura di remargli contro, ostinatamente e tenacemente; anche questo fa parte del libero arbitrio.

    Si può nascere meli e riuscire, nel corso della vita, aderendo alla propria natura (natura, non destino!), produrre una grande quantità di mele deliziose, oppure opporsi al proprio più intimo essere inventandosi, artatamente, una personalità per esempio da pesco, che mancando ovviamente delle condizioni necessarie per la fruttificazione, non tarderà a portare insoddisfazione e disagio.

    Invece, riuscire a conoscere come siamo fatti dentro veramente, quale sinfonia potenziale possiamo essere, permette un viaggio a ritroso nella poesia della reminescenza, di quel niente luminoso che eravamo prima di esistere...

    Pensate al paradosso, la nostra mente si ferma, per paura, quando ci poniamo il quesito: Che sarà di me quando il mio corpo finirà di esistere?. Le mille risposte possibili possono solo essere intellettuali, ispirate dalla fede o dal pragmatismo, ma sempre tuttavia esterne; possibili, magari sperabili, ma tuttavia, inevitabilmente, mai certe.

    Ma se invece vi domandate: "Io sono cominciato il giorno che sono nato? Esistevo prima?". Provateci, e incredibilmente, a meno non facciate una forzatura, appunto intellettuale, scoprirete con stupore di provare una sensazione di certezza inconfutabile, quella di sentirvi esistenti da sempre, come gli archetipi (e gli ontotipi ) che ci compongono.

    Ma conoscere la nostra vera natura ci permette anche, oltre che a collegarci alle nostre Radici Luminose, di proiettarci verso il nostro futuro divenire, ispirandoci concretamente nelle scelte più opportune per raggiungere la nostra personale realizzazione, facendo il meglio possibile, evolvendo e sviluppando le nostre qualità potenziali e cercando di trasmutare i nostri difetti.

    Colmando così le nostre mancanze e limando gli eccessi, più o meno lentamente riusciremo a coltivare finalmente il nostro melo rendendolo capace di dare ottimi frutti. Fare, non essere soltanto: tutto il progetto evolutivo di questi sistemi simbolici si basa infatti su di un punto incontrovertibile: siamo carne fatta di cielo, non solo materia bruta; per questo siamo chiamati, per similitudine divina, come piccoli creatori, a esprimerci anche nel fare.

    Ma non si parla di un’opera qualunque, bensì di fare della nostra stessa vita, come dice l’Alchimia, una Grande Opera, dove i mattoncini più sublimi (gli ontotipi)¹², diventano attraverso la nostra azione, realtà fattiva, conducente bellezza e bene...

    Ma di quale bene stiamo parlando? Una tendenza ora frequentatissima (per lo meno in una parte del mondo) è quella della ricerca del benessere psico-fisico... termine che spesso serve a coprire un mal celato egoismo e una tendenza a pensare solo a se stessi.

    Sull’aspirazione di uno star bene fisico, niente da dire, ma se qualcuno vi dice che nessuno di noi può dare qualcosa finché non ha raggiunto la sua personale egoistica felicità, sappiate che in questo consiglio non vi è niente di evolutivo e tanto meno di spirituale.

    Anzi, parafrasando, si potrebbe dire che ogni VERO percorso evolutivo cerca l’ESSERE BENE piuttosto che il bene-essere.

    Solo così, grazie a un robusto contributo etico, e supportati da una Stella Polare niente male come sa essere il linguaggio simbolico, potremo davvero iniziare il gioco, con la prima carta, il primo Arcano dei Tarocchi: il MAGO.

    Mazzi e immagini

    Prima di cominciare a trattare compiutamente la tematica dei Tarocchi bisogna tuttavia distinguere innanzitutto di quali Tarocchi stiamo parlando. Attualmente infatti il numero e la tipologia dei diversi mazzi è incalcolabile¹³. Ci sono i Tarocchi maya, quelli celtici, quelli tibetani fino a quelli degli indiani delle praterie, tralasciamo i commenti... Ovviamente nessuna di queste culture ha neanche minimamente a che fare con i Tarocchi.

    Il problema è che ignorando (nel doppio senso di non conoscere e di non considerare volutamente) il valore dei simboli grafici magistralmente occultati¹⁴ (pur rimanendo visibili) nelle immagini originali, negli anni stuoli di studiosi, artisti¹⁵, grafici e illustratori, si sono sbizzarriti a creare immagini di ogni tipo.

    Alcuni di questi mazzi sono molto belli e conosciuti, come quello di Arthur E. Waite, in cui, tuttavia, seguendo la visione di Eliphas Levi (pseudonimo di Alphonse Louis Constant, 1810-1875), esoterista dell’Ottocento, viene invertito l’ottavo Arcano con l’undicesimo, oppure l’altrettanto conosciuto mazzo di Oswald Wirth (1860-1943), ideato alla fine dell’Ottocento, tutto rivisitato in chiave massonica. Anche in tempi recenti questo bisogno di rendere il proprio mazzo distintivo, unico, ha fatto interpretare ad Alejandro Jodoroswky¹⁶ i colori delle figure dei Tarocchi Marsigliesi¹⁷, dove, più che in altri casi, ogni colore e ogni suo posizionamento relativo nell’immagine hanno un proprio preciso significato.

    Tra tutti i mazzi storici¹⁸ infatti, quello che ha conservato (anche se non è possibile realmente valutare in che misura) maggiormente gli assunti simbolici iniziali sembrerebbe essere proprio quello dei Tarocchi di Marsiglia, nella sua versione più popolare, stampata in semplice quadricromia, con i colori pieni (come nel mazzo Grimaud).

    Nel mazzo completo troviamo 22 Arcani, detti Maggiori, e 56 carte chiamate Arcani Minori. Ovviamente noi non ci occuperemo delle 56 carte minori, che corrispondono alle normali carte da gioco, aventi origine e storia diverse, e con cui, per intendersi, si gioca a briscola, tressette o scopa; anche se a dire il vero il mazzo è diverso, perché pur essendo composto dai canonici BASTONI, COPPE, SPADE e DENARI, a differenza del mazzo in uso, per esempio in Italia (composto da 40 carte) troviamo anche gli otto, i nove, i dieci e le regine.

    Risulta curioso come nella trasformazione grafica dei semi (per esempio in Francia) avvenuta in seguito, che ha trasformato i bastoni in FIORI, le coppe in CUORI, le spade in PICCHE e i denari in QUADRI, si sia rispettato il valore simbolico degli elementi, tanto che non risulta difficile collegare il significato accoglitivo, materno, della coppa (tipico dell’elemento acqueo) con quello affettivo del cuore. A seguire avremo i bastoni (fiori), portatori dell’elemento igneo, connesso con la potenza, anche creativa, maschile, poi denari (quadri), espressione della materialità tutta terrestre, e infine le spade (picche), rappresentanti la pervasività incisiva del pensiero, propria dell’elemento aereo.

    Questa simbologia quaternaria formata dai bastoni (fuoco, volontà), dalle coppe (acqua, amore), dalle spade (aria, elaborazione), e dai denari (terra, realizzazione), è così radicata e profonda nel nostro immaginario, che si può facilmente riscontrare anche in altre tipizzazioni dei semi, come ad esempio in quella tedesca.

    Nei semi francesi, inoltre, la dualità riscontrabile tra semi maschili e femminili, è sottolineata addirittura dal colore: nero per i primi, rosso per i secondi.

    Sfruttando queste semplici analogie simboliche c’è chi, con le carte da gioco, fa divinazione...

    Ma i Tarocchi sono un’altra cosa: i veri Tarocchi sono SOLO gli Arcani Maggiori. I quali sono composti da 22 figure ben precise, aventi ognuna un numero e corrispondenze altrettanto puntuali (per intenderci, i Tarocchi si leggono non si interpretano).

    Abbiamo così:

    I il MAGO

    II la PAPESSA

    III l’IMPERATRICE

    IV l’IMPERATORE

    V il PAPA

    VI l’INNAMORATO

    VII il CARRO

    VIII la GIUSTIZIA

    IX l’EREMITA

    X la RUOTA della FORTUNA

    XI la FORZA

    XII l’APPESO

    XIII la MORTE

    XIV la TEMPERANZA

    XV il DIAVOLO

    XVI la TORRE (o CASA DI DIO)

    XVII le STELLE

    XVIII la LUNA

    IXX il SOLE

    XX il GIUDIZIO 0 (Zero) il MATTO

    XXI il MONDO

    La leggenda

    Immaginiamoci per un attimo di essere trasportati, come per magia, tra la fine del XII secolo e l’inizio del successivo, nel Nord della Spagna, in Catalogna, oppure nel Sud della Francia, in Linguadoca o nella Champagne, oppure ancora in Italia, in uno dei tanti suoi bei centri abitati del Nord, ma anche del Centro e del Sud...

    Ora osservate il fermento che quasi si respira nell’aria; un grande scambio filosofico e religioso nutre il fiume sotterraneo che lega i cuori caldi, esoterici e profondi dei vari culti religiosi, iniziando a essere percepibile anche nelle strade, tra la gente comune.

    In particolare, in questo periodo (e in parte nei due secoli seguenti) sono soprattutto le tre grandi tradizioni delle religioni del Libro (Ebraismo, Islam e Cristianesimo) a esserne investite intensamente, grazie ai rispettivi gruppi di natura interna che perseguivano uno scopo comune: trovare la radice unica della conoscenza del divino.

    Così troviamo, in Provenza, e poi in Catalogna, a Gerona, i centri nevralgici della nascente cultura kabbalistica che, perpetuando una tradizione ininterrotta, iniziarono una trascrizione metodologica di opere, come ad esempio il Sefer ha-Bahir, che diventeranno fondamentali per tutta la ricerca kabbalistica successiva.

    Nello stesso tempo, le idee e le opere sufiche di Abu H.M. al-Ghazali (Tus, Iran 1058-1111) iniziarono a viaggiare per il mondo, con tutto il loro apporto di grazia e capacità integrativa tra mistica e ortodossia.

    E anche l’ambito cristiano non era da meno... da un lato si assiste alla formazione di numerose sette, delle quali la più sicuramente conosciuta è stata quella dei catari (lett. Puri), o meno conosciute come i gioachimiti (dall’abate calabrese Gioacchino da Fiore), tese a un ritorno alla purezza originaria; dall’altro, nella Chiesa orientale (vedi la pratica dell’esicasmo sul monte Athos), troviamo la profondità di un pensiero (mistico) che non concede spazio ai compromessi (compromessi invece molto presenti nella spiccata deriva temporale che stava nel frattempo assumendo la Chiesa d’Occidente).

    Se poi a questo si aggiunge la poesia cavalleresca di un Chretien de Troyes e dei suoi epigoni, lo sviluppo della pratica alchemica mediata proprio dal mondo arabo (Giabir al-Sufi, Razi, al-Farabi ecc.), la costruzione delle grandi cattedrali gotiche (come Chartres) dedicate a un Cristo risorto, vivo, agente nel mondo... il quadro è completo. Stava sorgendo nel mondo conosciuto del tempo un qualcosa di nuovo e speciale, una commistione di idee, speranze e suggestioni, tese a uno scambio pacifico, proficuo e bellissimo, che solo Alessandria d’Egitto aveva conosciuto per un certo periodo in epoche precedenti. E ciò ovviamente poteva minare i vari primati... diciamo morali, ad esempio della Chiesa.

    Ma evidentemente la partenza della campagna crociata (1096) che durerà poi ben due secoli (fino alla VII Crociata del 1270-1291), non sarebbe stata poi tanto invisa anche da altri...

    Divide et impera, insegnava Cesare, e la storia ci rimanda molti esempi della messa in opera di questo proponimento strategico.

    La stretta sorveglianza che andò a instaurarsi in quel periodo impedì quindi la continuazione manifesta di quel prezioso travaso di esperienze e di conoscenze che aveva cominciato a contagiare (come peste graalica) tantissimi cercatori.

    Fu così che a qualcuno venne un’idea semplice ma geniale.

    Già nei paesi arabi esisteva un gioco di carte chiamato Naibi (derivato dal termine Na’ib, che significa delegato o deputato) composto da 56 carte divise in 4 semi.

    In ebraico, per altro il termine Nahbi indica un profeta, cioè un ispirato da Dio...

    E qui la leggenda si fa interessante. Quale miglior modo per far passare determinati contenuti a un numero considerevole di persone se non travestendoli (letteralmente) in un innocuo gioco?

    Rendere assolutamente visibile un arcano fa sì che solo colui che sa lo riconosce, per gli altri sono solo personaggi... il papa, l’imperatrice, il sole ecc.

    Così agli Arcani Minori (le 56 carte del gioco originale) vennero aggiunti 22 Arcani detti Maggiori, che racchiudevano in sé tutta la conoscenza iniziatica a cui i vari gruppi e movimenti interni (delle maggiori tradizioni religiose) erano nel frattempo giunti.

    In questo modo tali conoscenze sono riuscite a passare indenni attraverso lotte e guerre, repressioni tremende di stampo politico e religioso (vedi ad esempio l’Inquisizione), ma anche, molto più recentemente, al predominio di una cultura materialista e meccanicista che indubbiamente vede nel ruolo del sacro un acerrimo nemico da combattere...

    Se tutto DEVE essere possedibile, usabile, consumabile, come concepire un qualcosa di altro, che sfugge al nostro controllo, al nostro dominio, perché impossedibile?

    Impossedibile esattamente come il Graal.

    Tarocchi e percorso iniziatico

    Al di là della lettura personale, quindi, non bisogna dimenticare che i ventidue Arcani Maggiori dei Tarocchi compongono un perfettamente ben orchestrato diagramma simbolico teso a rappresentare, con efficacia sorprendente, le varie fasi evolutive (con le rispettive difficoltà e ottenimenti realizzativi raggiunti) a cui l’essere umano è sottoposto durante la sua crescita trasmutativa¹⁹.

    E qui bisogna spiegare; il termine trasmutare deriva dal latino trasmutare, composto da trans – al di là, e mutare, analogo in italiano; per cui il cambiamento trasformativo che si ottiene con la trasmutazione non è necessariamente di questo mondo. O meglio, la motivazioneche ci richiama a compiere questo cambiamento è, necessariamente, al di là" dell’orizzonte solo tangibile e praticabile con il solo apporto razionale.

    Eppure, è proprio dalla razionalissima fisica nucleare (la quale, come gran parte della vera scienza, è in contatto con la propria radice altra, intuitiva, molto più di quanto si suppone) che ci giunge un altro rimando interessante. Infatti la trasmutazione di un elemento chimico in un altro (quando non è naturale) avviene grazie al suo bombardamento con corpuscoli ad alta energia; in questo modo, ad esempio, un atomo instabile (nuclide) tende a trasformarsi in un atomo stabile, come nel caso dell’uranio che dopo aver perduto particelle (alleggerendosi), si trasforma in elementi meno pesanti, fino ad arrivare al piombo.

    Ma questo cosa ha che fare con la nostra, personalissima trasformazione personale? Una simpatica diceria vuole, che un illustre e notissimo psicoanalista italiano, in tarda età fosse solito affermare: [...] diciamo sempre che bisogna crescere, ma in realtà si invecchia senza crescere mai [...].

    Fin da piccoli ci viene chiesto di cambiare: Ma come? Hai già cinque anni e non sai andare ancora in bicicletta?. Poi, più avanti: Hai già quindici anni e ti comporti come un bambino viziato! (Tralasciamo quando gli anni sono ben di più). Quando pensi di crescere?.

    Ma questa crescita richiesta, al di là della spinta verso un giusto apprendimento, scolastico o meno, in realtà, a sua volta, a cosa risponde?

    Sicuramente, innanzitutto, a un bisogno, di stampo sociale, di perpetuamento di determinate tradizioni e schemi comportamentali.

    Io devo crescere per la continuazione della specie, perché altrimenti non ‘metto su famiglia’ e non potrò, con il mio lavoro, mantenerla.

    Il che per altro va benissimo, ma purtroppo non basta. Infatti, se io cambio il mio comportamento, le mie scelte, i miei desideri, SOLO per soddisfare un bisogno esterno da me, che proviene dalla mia famiglia, dalla scuola ecc. potrebbe anche succedere, malauguratamente, che quel progetto vitale che mi viene proposto (imposto) risulti troppo distante, diverso dal mio personale (espresso, come vedremo, dalla Terza Carta dei Tarocchi di Base) e vero progetto.

    A quel punto sarà necessario operare una scelta: o di adeguamento, diventando pesche anche se si è indebitamente mele (soffrendo tutta la vita), oppure (cosa caldamente consigliata), ascoltando i suggerimenti che provengono dal nostro, personale, al di là (di mele perfette), diventarle.

    Solo allora, da elementi instabili, alleggerendoci delle zavorre che ci vogliono ciò che non siamo, potremo lentamente migliorarci, fino a trovare la stabilità del Piombo. Necessaria per compiere la trasmutazione finale, in Oro.

    Ovviamente, ognuno di noi è unico; così pure, unico, sarà il suo percorso evolutivo, trasmutativo.

    Ed è qui che i Tarocchi dispiegano il loro incredibile potenziale simbolico che li rende veramente (se usati adeguatamente) un aiuto prezioso, sia per il riconoscimento del nostro personale e unico tragitto evolutivo, che per il suo giusto sviluppo successivo.

    Seguendo il percorso tracciato dagli Arcani, infatti, incontreremo prove iniziatiche (molto poco magiche e molto reali) che ci permetteranno di affrontare, mano, mano, le nostre paure, i nostri limiti, riconoscendo tuttavia parimenti le nostre qualità e possibilità, per imparare a esprimerle e a usarle al meglio.

    In questo modo il gioco dei Tarocchi diventa un vero e proprio manuale di crescita spirituale, ben lontano dal banale gioco divinatorio a cui quasi sempre lo si riduce.

    Un manuale tuttavia che può anche essere indossato, individualizzandolo sul percorso evolutivo personale; infatti, se da un lato i ventidue Arcani rappresentano il percorso evolutivo perfetto, ideale, a cui ispirarsi filosoficamente, ognuno di noi è diverso, per cui differente (da quello ideale) sarà il nostro iter, come diverso sarà il nostro ottenimento finale.

    In perfetto linguaggio kabbalistico possiamo dire che ognuno di noi è come una pietra di zaffiro²⁰ tagliata in modo unico, e che quindi rifrange la luce della conoscenza²¹ in modo assolutamente originale e irripetibile²².

    Proprio per conoscere questa specificità della nostra sfaccettatura, nei Tarocchi si utilizza una sorta di individuazione simbolica, che viene ottenuta grazie alla scelta di tre carte personali, di base, che si scelgono solo la prima volta che si consultano i Tarocchi (e vanno ricordate!) e poi mai più.

    Infatti, come per la Carta del Cielo di nascita (che viene appunto redatta sull’istante preciso della nostra venuta al mondo), anche l’analisi delle Tre Carte di Base coincide con l’attimo della nostra nascita relativa (che in questo caso corrisponde alla nostra prima scelta) rispetto al sistema simbolico dei Tarocchi.

    A questo proposito è interessante far notare, ai cultori ed estimatori dell’Astrologia, come l’interpretazione di un quadro astrologico natale risulti assolutamente corrispondente (sia per contenuti che finalità) alla lettura di queste Tre Carte di Base. Ovviamente, in quest’ultime, i concetti risulteranno maggiormente concentrati rispetto alla Carta del Cielo di nascita, ma la misura" delle specificità personali non sarà alterata, esattamente come quando si misura la distanza tra due città in chilometri o in miglia. Cambia il sistema simbolico di riferimento ma non la Materia Prima da analizzare.

    Ed è proprio sull’identificazione di questa Materia Prima (cioè il nostro essere di base) attraverso la scelta delle prime Tre Carte che, come vedremo in seguito, si conforma e si modella tutta la nostra progettualità, e a ben vedere anche le nostre scelte conseguenti.

    Non a caso queste Tre Carte individuali sono talmente importanti, che ogni utilizzo dei Tarocchi successivo, sia in senso speculare, oggettivo, attraverso una lettura esterna, che in senso soggettivo, con una lettura diretta, oppure con la meditazione simbolica²³, non potrà non fare riferimento a esse. Infatti, questa individuazio

    ³

    ⁵ Le immagini dei ventidue Arcani Maggiori dei Tarocchi sono glifi simbolici complessi; pur tuttavia è tale la chiarezza contenutistica di ogni singolo Arcano, che anche la semplice constatazione visiva degli stessi può apportare intuizioni e astrazioni inimmaginabili; ma la meditazione sugli archetipi kabbalistici che sostengono (creandoli) i ventidue Arcani può molto di più, è

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1