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Uluç Alì: Il rinnegato
Uluç Alì: Il rinnegato
Uluç Alì: Il rinnegato
E-book222 pagine2 ore

Uluç Alì: Il rinnegato

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Info su questo ebook

Tommaso Perri, professore universitario e archeologo, entra in possesso di un antico diario che ha come protagonista Giovan Dionigi Galeni, nato a Le Castella nel 1519 e catturato dai turchi in una delle tante scorrerie che hanno insanguinato le coste del Mediterraneo. Affascinato dal personaggio, passato alla storia come Uluç Alì, decide di ripercorrere i luoghi delle vicende narrate. Ben presto si renderà conto di essere sulle tracce di un misterioso tesoro, un libro e una pergamena, mentre intorno a lui si stanno muovendo individui nascosti nell’ombra che ambiscono allo stesso obiettivo. Alla narrazione al presente si sovrappone quella del condottiero turco, il quale ricorda la storia della sua vita ambientata nel XVI secolo, periodo di grandi battaglie e lotte tra due poteri ma anche tra due religioni, cristiana e islamica, che costringono le persone a schierarsi, combattere e morire in nome della fede.
LinguaItaliano
EditoreDialoghi
Data di uscita5 set 2022
ISBN9788892792371
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    Anteprima del libro

    Uluç Alì - misiti nicodemo

    Capitolo 1

    L’assassino

    Gerusalemme, maggio 2018

    «Ecco il suo caffè, signore» disse il giovane cameriere del più prestigioso caffè turco della città, rivolto all’anziano signore seduto al tavolino. L’uomo, alzando gli occhi dal giornale, fece un lento respiro e, guardando il giovane, notò che appariva un poco impacciato, quasi nervoso, come se volesse trovarsi in quel momento da un’altra parte.

    Lungo il viale alberato la gente sostava sulle panchine e nei bar scambiando quattro chiacchiere in attesa di rientrare a casa per il pranzo e la tiepida aria primaverile rendeva piacevole il passeggio lungo le strade della città mentre i negozi del centro attiravano folle di clienti in cerca di offerte e novità.

    Il cameriere, posato sul tavolino il vassoio, rimase in attesa di essere congedato dal cliente.

    «Grazie ragazzo» disse l’anziano uomo osservandolo con attenzione «tu sei nuovo qui, non ti ho mai visto prima, e dire che è da molti anni che ogni mattina vengo qui a prendere il caffè. Sai, sono le abitudini della mia giovinezza. Un tempo abitavo a Costantinopoli e mi mancano le visite al vecchio bazar e le chiacchiere con gli amici seduti ai tavolini».

    «A Istanbul volete dire, signore» disse il cameriere incuriosito.

    «Per me rimane ancora Costantinopoli, caro ragazzo, per cinquecento anni la mia famiglia è vissuta nei territori dell’Impero Turco e alcuni erano stimatissimi medici che lavoravano nella grande città. Poi per sfuggire ai rastrellamenti dei nazisti molti si rifugiarono in Palestina. Noi invece rimanemmo perché ritenevamo di essere al sicuro ma negli anni Settanta il sentimento antiebraico si fece più forte e decidemmo che era meglio per noi trasferirci a Gerusalemme».

    Con un cenno della mano congedò il cameriere, il quale si affrettò a rientrare nel caffè, per poi dirigersi verso l’uscita posteriore dove un’auto scura di grossa cilindrata lo stava aspettando.

    «Ho fatto come hai detto, adesso dammi i soldi» disse il giovane all’uomo seduto al volante.

    «Certamente» disse questi. Senza perderlo di vista scese dall’auto e mise la mano sotto la giacca tirando fuori dalla fondina una pistola col silenziatore.

    «Apri il bagagliaio ed entra dentro» disse al cameriere.

    Il giovane spaventato obbedì e dopo che questi si fu rannicchiato nell’angusto spazio l’uomo gli sparò un colpo alla testa uccidendolo. Avrebbe fatto sparire il cadavere senza lasciare nessuna traccia.

    Vestito di bianco, con un cappello a larghe tese e occhiali da sole, l’anziano uomo al tavolino sorseggiava il suo caffè e si godeva il tepore primaverile guardando la gente passeggiare.

    Dopo aver finito alzò una mano e un altro cameriere gli si avvicinò; pagato il conto, si avviò verso casa ma fece pochi passi e sentì che il suo vecchio cuore iniziava a fare i capricci, il dolore al petto si fece opprimente e la vista cominciò a offuscarsi.

    Calmati bello mio, disse tra sé, non ti mettere a galoppare adesso, non è proprio il momento.

    Cercò di prendere dalla tasca della giacca il suo cellulare ma non ci riuscì e si accasciò sul marciapiede. Si avvicinarono alcuni passanti che chiamarono i soccorsi, ma quando l’ambulanza arrivò lui era già morto.

    L’uomo dell’auto scura osservava da lontano tutto questo, prese il cellulare e fece una chiamata.

    «L’ostacolo è stato rimosso, passo alla fase due del piano».

    * * *

    Costantinopoli, 21 giugno 1587

    La giornata si presentava splendida, il cielo sopra il vecchio bazar era di un azzurro intenso e le persone, accalcate davanti alle bancarelle, sciamavano in tutte le direzioni indaffarate negli acquisti. Si potevano vedere passare nobili dignitari della corte del Sultano, con il loro seguito di servitori, che venivano a scegliere le prelibatezze che avrebbero inviato al Palazzo, così come gli abitanti dei quartieri periferici che si recavano al bazar per comprare il necessario per la sopravvivenza.

    Numerosi mendicanti, ai margini della grande piazza, mostravano neonati smagriti o monconi di arti per attrarre l’attenzione dei visitatori e sperare di ricevere un obolo.

    Un uomo camminava nervoso sotto un portico, cercando di passare inosservato, guardava con falso interesse le bancarelle mentre si girava intorno in attesa di incontrare colui che lo aveva contattato tempo prima.

    I due si erano incrociati diverse volte nel bazar fino a quando il misterioso personaggio, con una banale scusa, aveva iniziato un dialogo: «Io ti conosco, Alì, così come conosco il tuo padrone» gli aveva detto «e so bene quanto ti pesi essere un suo schiavo. Mi piacerebbe aiutarti a ottenere la libertà, mi troverai qui ogni venerdì dopo la preghiera se avrai voglia di ascoltarmi».

    Detto questo l’uomo si era allontanato immergendosi nella folla di acquirenti e venditori.

    Alì ci aveva pensato a lungo, il sogno della libertà lo portava a sperare in quell’uomo ma la paura delle conseguenze era tale da fargli rimandare ogni volta la decisione.

    Fu dopo l’ennesimo rimprovero del suo padrone, per avergli sporcato le vesti con delle gocce di vino rosso cadute dal bicchiere che gli stava porgendo, che scatenarono in Alì una rabbia tale da convincerlo a prendere la sua decisione.

    Attese con ansia il venerdì e all’ora convenuta si recò al bazar; l’uomo lo stava aspettando e vedendolo tra la folla sorrise tra sé, sapeva che sarebbe venuto.

    Cercando di non farsi vedere, il misterioso personaggio passò nelle mani di Alì una fiala col veleno e un sacchetto con delle monete d’oro. Alì le nascose in una delle sue tasche e disse: «Lo farò questa sera stessa, mio signore».

    «Ricordati che qualsiasi cosa succederà io interverrò per proteggerti» rispose il suo interlocutore.

    «Se mi dovessero scoprire verrei messo a morte immediatamente. Il mio padrone è di animo buono ma sa essere spietato e il veleno deve essere molto lento altrimenti capiranno chi glielo ha fatto bere» continuò l’uomo.

    «Non ti preoccupare, nessuno collegherà un malore del tuo padrone a te. Il veleno che ti ho dato agisce così lentamente che ci vorrà tutta la notte per ucciderlo ma tu avrai il tempo necessario per fuggire e salvarti» rispose l’altro uomo. «Adesso vai e cerca di non destare sospetti, ci rivedremo quando tutto sarà finito».

    Salutato con un cenno del capo colui che lo aveva ingaggiato, si diresse verso il palazzo dove abitava il suo padrone. Entrò con aria furtiva cercando di non essere visto dagli altri servitori e si diresse subito verso le cucine.

    «Alì, ma dove eri finito?» gli chiese il cuoco. «Il padrone sta aspettando il vino».

    «Scusami, non mi ero accorto dell’orario» rispose l’uomo prendendo il vassoio su cui era poggiata una bottiglia con del vino rosso e un bicchiere.

    «Dice di essere musulmano e beve vino» disse sottovoce per non essere udito dagli altri e uscito dalla cucina sputò dentro il bicchiere, poi versò il contenuto della fiala nella bottiglia e cominciò a salire le scale che dalle cucine portavano al piano superiore.

    Il suo padrone lo stava aspettando nel grande salone, steso su un morbido sofà abbracciato a due giovani schiave che a turno lo baciavano e lo accarezzavano. Anche se aveva quasi raggiunto i settant’anni ed era molto più grasso di quanto lo fosse stato da giovane, manteneva ancora una vitalità e una lucidità invidiabile.

    Ma nonostante avesse tutto, potere, denaro, fama, i suoi occhi erano come velati da una profonda tristezza e gli eccessi di vino e donne servivano solo a stordirlo, per fargli dimenticare un attimo quel dolore che lo lacerava dentro ormai da molto tempo.

    Il servitore, cercando di nascondere dietro un’espressione neutra i suoi pensieri, gli si avvicinò poggiando il vassoio su un tavolino basso, riempì il bicchiere dalla bottiglia e lo porse al suo padrone.

    Si inchinò e indietreggiando si avviò verso la porta, era quasi fatta, solo pochi passi e avrebbe guadagnato la sua libertà, sarebbe stato un uomo libero e non più lo schiavo di un miscredente.

    Udì alle sue spalle un rantolo e poi la voce del suo padrone: «Fermatelo, quel figlio di cagna mi ha versato del veleno nel vino».

    Le giovani schiave si misero a urlare dal terrore, mentre gli altri servitori bloccarono immediatamente il traditore e dopo averlo immobilizzato lo trascinarono ai piedi del loro padrone.

    Questi era pallido e stava seduto sul sofà, ogni tanto mostrava un’espressione di dolore a causa dei terribili spasmi ma restava fermo come una statua e con gli occhi stretti per la rabbia osservava il servitore.

    «Perché mi hai fatto questo, ho sempre trattato tutti i miei schiavi con magnanimità e tu sei stato sempre uno dei favoriti» disse rivolto all’uomo.

    «Padrone, io non ho fatto nulla, ve lo giuro» cercò di giustificarsi questi.

    Venne bloccato a terra e perquisito dagli altri servi, uno degli uomini mostrando la fiala e il sacchetto di monete disse: «Guardate, padrone, che cosa aveva in tasca».

    «Tagliategli la gola e buttatelo nella fossa degli escrementi, tanto so già chi lo ha mandato a uccidermi. Andate a chiamare Avraham, il mio medico personale» disse ai servitori che trascinavano via il traditore.

    «Padrone, ti prego perdonami, mi hanno costretto» urlò Alì prima di essere colpito in faccia da un pugno.

    Dal fondo della sala in mezzo a quel trambusto si avvicinò un uomo: «Padrone, eccomi, ero venuto per farti visita e quando ho sentito le urla sono corso qui».

    «Dimmi, Avraham, di che veleno si tratta?» disse l’uomo anziano.

    Il medico prese la fiala e si mise a odorarne il contenuto.

    «Arsenico, sicuramente» rispose rivolto al suo padrone «e non esiste antidoto. È un veleno inodore e insapore, molto lento. Ma tu, padrone, come te ne sei accorto?».

    «Il vino aveva un qualcosa di strano che non riuscivo a comprendere e poco dopo sono cominciati gli spasmi, allora ho capito di essere stato avvelenato. Quanto tempo mi resta, amico mio?» disse l’uomo mentre gli altri servitori lo aiutavano a distendersi sul sofà.

    «Non saprei, dipende dal fisico della persona, forse arriverai a vedere l’alba di domani ma è un veleno inesorabile, prima o poi raggiungerà il tuo cuore e lo fermerà» spiegò Avraham.

    «Allora non ho molto tempo, prendi quel piccolo libro con le pagine bianche che c’è sul tavolo e procurati dell’inchiostro e delle penne, poi torna qui vicino a me, ho bisogno che tu trascriva fedelmente tutto quello che ti dirò» disse l’uomo.

    «Come desideri, mio signore» rispose il medico.

    * * *

    Istanbul, maggio 2018

    «Dimmi, Selim, come è morto?» chiese l’uomo anziano seduto alla scrivania.

    «Ufficialmente è stato un infarto, anche se gli dovessero fare l’autopsia non potranno scoprire che è stato aiutato, la sostanza che il cameriere gli ha versato nel caffè è difficile da scoprire, inoltre il suo cuore era già molto malandato, era solo questione di tempo» rispose l’uomo più giovane in piedi.

    «E il cameriere?».

    «Sciolto nell’acido».

    «Il libro lo avete trovato?» domandò l’uomo.

    «Purtroppo no» rispose a disagio il giovane «un suo parente è arrivato prima di noi e si è preso tutti i volumi che erano nella biblioteca del vecchio. Si tratta di un antiquario specializzato in libri antichi che ha diverse filiali in Europa».

    «Seguitelo, vedete dove va e se porta il libro con sé. Alla prima occasione recuperatelo a qualsiasi costo» disse l’uomo alla scrivania; l’aura di potere che emanava gli consentiva con poche parole di smuovere anche le montagne se lo avesse desiderato.

    «Non si preoccupi, signore, ho già allertato tutte le cellule in modo che ovunque vada in Europa ci siano sempre occhi e orecchie e, all’occorrenza, possiamo attivare l’intervento di diverse squadre armate» disse il giovane cercando di recuperare un atteggiamento di sicurezza e professionalità.

    «Non deludermi» disse l’uomo alla scrivania «oppure è meglio che tu non ti faccia più vedere davanti a me e ti tiri un colpo di pistola in testa. Non ammetto fallimenti e non perdono gli incapaci» concluse il vecchio, gli occhi erano diventati delle strette fessure e all’uomo gli si gelò il sangue.

    «Non succederà, signore, glielo prometto» disse sempre più a disagio. Con un cenno salutò il suo capo e uscì dalla stanza.

    L’estate era in anticipo a Istanbul e nonostante il caldo provò una sensazione di sollievo per essere ancora vivo e nelle grazie dell’uomo più potente della città. Aveva molto lavoro da fare, operazioni da organizzare e voleva che tutto andasse sul giusto binario, come aveva detto il suo capo, l’errore non era consentito e il fallimento non era contemplato all’interno dell’organizzazione.

    Il suo cellulare squillò, una voce disse: «Si è imbarcato su un volo per Napoli. Abbiamo due a bordo che lo tengono d’occhio».

    «Bene, fatemi sapere dove va e chi incontra» rispose l’uomo. Chiuse il cellulare e salì sulla sua auto, sorrise tra sé pensando che il meccanismo era già in moto e presto ci sarebbero state novità.

    Capitolo 2

    Il manoscritto

    Napoli, giugno 2018

    L’ultimo mese di impegni era quasi terminato e il professor Tommaso Perri, seduto alla sua scrivania, stava firmando dei documenti per gli studenti che avevano superato il suo esame. Archeologo e scrittore, insegnava Storia medievale alla Federico II di Napoli e adesso, finiti gli impegni all’università, pensava a come godersi una meritata vacanza in qualche spiaggia poco affollata.

    Proprio in quel momento sentì bussare allo stipite della porta spalancata per il caldo torrido: «Shalom, carissimo professore».

    «Shalom a te, caro Avraham, da quanto tempo non ci incontriamo, qual buon vento ti porta da queste parti?».

    Avraham ben David era un antiquario israeliano che da tempo aveva aperto a Napoli una filiale dedicata ai libri antichi.

    «Sono arrivato da poco in città dopo una lunga permanenza in Israele e ho pensato di venirti a fare una visita. Con la scusa di rivederti ne approfitto per portarti una sorpresa che spero gradirai. Tu ricordi la parabola del rabbino Eisik che viveva nel ghetto di Cracovia?».

    «Quello che aveva sognato un tesoro in un castello di Praga e quando arrivò, dopo un lungo viaggio, una guardia gli disse di aver sognato di un tesoro nascosto dietro la stufa di un rabbino di Cracovia?».

    «Esattamente, amico mio. Come ben sai, io sono sempre in giro per il mondo alla ricerca di libri e manoscritti antichi, ma non avrei mai immaginato di avere dei parenti che custodivano nella loro biblioteca degli esemplari molto interessanti. Alcune settimane fa è morto un mio lontano zio e i suoi figli mi hanno chiamato per dare una valutazione ai libri della sua biblioteca. Avendo poco tempo a disposizione ho comprato in blocco tutti i

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