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I dissipati: La prima indagine di Umberto Soccodato
I dissipati: La prima indagine di Umberto Soccodato
I dissipati: La prima indagine di Umberto Soccodato
E-book406 pagine4 ore

I dissipati: La prima indagine di Umberto Soccodato

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Info su questo ebook

Roma, 1938. In un rinomato Collegio il giovane prete Stefano Facchinetti muore in circostanze sospette. La polizia liquida il decesso come “accidentale”, ma due studenti, Umberto e Mimmo, si mettono a cercare altri indizi. Purtroppo, però, la loro indagine si arena a causa di reticenze e pressioni da parte di influenti personaggi del regime fascista.
Dieci anni più tardi, l’Italia è Repubblica e Umberto è diventato poliziotto. Coincidenza vuole che, lavorando a un caso, Umberto si ritrovi a scoprire i tragici risvolti e le scomode verità celati dietro la dubbia fine di don Stefano.
Il romanzo ci riporta indietro nel tempo, a un’Italia irregimentata e sprezzante che sta per essere travolta dalla II Guerra mondiale. Nel Collegio dove studia Umberto, si percepisce fin troppo bene la connivenza con il regime, tant’è che gli alunni definiscono le tonache dei preti “camicie nere appena un po’ più lunghe”. I ragazzi mostrano maggior giudizio di coloro che li invitano ottusamente a non essere “dissipati” e si oppongono, sia pur con ingenui lazzi e dispetti, a una società sempre più ingiusta e dissennata che con la promulgazione delle leggi razziali si sta avviando verso il baratro.
LinguaItaliano
Data di uscita12 set 2022
ISBN9788855392440
I dissipati: La prima indagine di Umberto Soccodato

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    Anteprima del libro

    I dissipati - Emanuele Gagliardi

    Personaggi

    Umberto Soccodato – Cioè io. Frequento il liceo Scientifico nel rinomato Collegio*** di Roma e quest’anno ho l’esame di Maturità. Non so se da grande farò l’attore o il poliziotto;

    Domenico Garretto, detto Mimmo – Mio cugino. Studia nello stesso Istituto e pure lui non ha idea di cosa farà dopo il liceo. Nel frattempo, inventiamo lazzi e dispetti a danno dei superiori;

    Gaetano Garretto – Padre di Mimmo. Quindi mio zio. Come tutti, a casa, è repubblicano, ma l’idea se la tiene per sé. La discrezione, il grado di capitano riservista e la tessera (obbligatoria) del Partito Fascista gli permettono di lavorare al ministero dell’Interno a stretto contatto con il prefetto;

    Padre Innocenzo Albino Menegon – Rettore-preside del rinomato Collegio***. Trevigiano di Riese come Papa Pio X, sottolinea orgoglioso;

    Padre Vittorio Aniceto Cappellari – Vicerettore. A differenza del blando Padre Menegon, ostenta ferrea fede fascista;

    Padre Leone De Robertis – Docente di Italiano e Latino. Tronfio come solo i bassi sanno essere. Anche per lui la tonaca è una camicia nera un po’ più lunga;

    Prof. Gabriele Spadini – Insegnante di ginnastica. Cavaliere di Vittorio Veneto e croce al merito ottenuta in azione sul Grappa dove, però, ha lasciato la gamba destra, ragion per cui lo chiamiamo Zampa-di-legno;

    Padre Stefano Facchinetti – Ventitré anni. Appena ordinato sacerdote, è il più giovane tra i docenti e da assistente al doposcuola è stato elevato al ruolo di supplente al bisogno, leggasi: tappabuchi;

    Ponziano – Factotum d’Istituto. Noi cattivi lo chiamiamo Ponziano-meno-un-quarto per via di un ritardo mentale. Gigante grasso come un’oca da fegato ma dotato di forza erculea;

    Gen. Dott. Calpurnio Ubaldi conte di Montazzoli – Corpulento, invadente ufficiale medico. Benefattore del rinomato Collegio***. Non perde occasione di rievocare come qualche anno fa abbia guarito il principino da un’insidiosa malattia tropicale e per tal merito il Re lo abbia fatto conte. Galeazzo Ciano lo ha battezzato Pico della Girandola per la facilità con cui va dove tira il vento;

    Giulio Ubaldi – figlio del generale-conte. Pallido, mingherlino e taciturno, frequenta il V Scientifico in sezione A.

    1

    Sentite che ve dice er Sor Capanna

    che la migragna c’è arrivata all’osso,

    nemmanco pasta e broccoli se magna,

    tutti li giorni l’hai da fa’ la giostra.

    Co’ ’sta guerra è ’na gran pena,

    si tu magni nun fai cena,

    t’empi la trippa

    coll’aria fresca e ’r fumo de la pippa… ¹

    Roma, 2 marzo 1938 – mercoledì (Collegio*** – Classe V Scientifico sez. B)

    «Vi invito a osservare, cari figlioli, quanto ridicola, direi financo grottesca, sia la pretesa ebraica di esser ‘popolo eletto’! Come possono gli ebrei ritenersi razza superiore, precursori, sommi civilizzatori nella nostra Italia che con assoluta ragione si proclama essa stessa nazione eletta, origine e faro di civiltà, in virtù dell’Impero, del diritto, del pensiero romano e della Chiesa?! Scipione, Cesare, Traiano, Virgilio, Sant’Agostino, San Tommaso, Dante, Machiavelli sarebbero forse eredità ebraica?!»

    Don Leone De Robertis, occhi cerulei, capelli a spazzola bianco-neve, tronfio come solo i bassi sanno essere, si drizza sulle punte dei piedi per dar forza all’oratoria, secondo lui pregna di raffinato sarcasmo, che sfoggia per indicarci il libro che dovremo leggere nelle prossime settimane: Gli ebrei in Italia di Paolo Orano.

    Di Veroli, che sta al secondo banco insieme con De Vergottini, quello che ha perso il babbo in Abissinia, ciancica un vaffa… che don Leone, in esaltazione tribunizia, non coglie. Di Veroli ce l’ha con il Rettore e con tutti i superiori da quando don Stefano Facchinetti, il più giovane tra i docenti, s’è lasciato scappare che il professor Zarfati, insegnante di Fisica di origine ebraica, assente da metà febbraio, non è in sanatorio malato di petto come c’è stato detto, ma confinato a causa di imprudenti considerazioni sull’atteggiamento che il regime tiene da un tempo a questa parte verso i cittadini ebrei. Zarfati, mentre si trovava con amici in una pizzeria del centro, avrebbe dichiarato a voce troppo alta che si sentiva italiano e non capiva perché lui e tanti come lui dovessero diventare estranei alla Patria solo perché il duce aveva deciso di calarsi le braghe davanti a Hitler e di rimangiarsi le proprie idee sulla razza per scimmiottare l’antisemitismo e l’ideologia ariana dei tedeschi. La mattina successiva due sgherri dell’OVRA hanno bussato alla porta dell’appartamento in cui il professor Zarfati abitava in subaffitto…² Anche Di Veroli, come il professor Zarfati, è di origine ebraica e non vede l’ora di far l’esame per andarsene dall’Istituto che, tra l’altro, ha deciso di non rinnovare per l’anno venturo la convenzione di fornitura dei materiali di cancelleria con la Cartoleria Risparmio di Piazza Vittorio Emanuele, proprietà dei Di Veroli da tre generazioni.

    Il nome del giornalista Paolo Orano, ieri socialista, oggi deputato fascistissimo, alla ribalta da quando è uscito il libro sugli ebrei che ci toccherà leggere, ricorre spesso nelle "giaculatorie" di zio Gaetano. Mio zio, come tutti a casa, è repubblicano, ma l’idea se la tiene per sé e la prudenza, il grado di capitano riservista e la tessera (obbligatoria) del Partito Fascista gli permettono di lavorare al ministero dell’Interno a stretto contatto con il prefetto Senise³.

    Le tesi di Orano – che padre De Robertis riassume con esorbitante fervore – non brillano per originalità: gli ebrei, i perfidis Judaeis di una delle nove preghiere speciali del Venerdì Santo, «razzisti, massoni e accumulatori di oro, vogliono subdolamente prevalere e fondare la Nuova Sion grazie alle ricchezze, alle posizioni di prestigio e alla diffusione delle più deleterie mode e idee straniere come il marxismo e l’anarchismo di Stirner, appoggiati per bieco interesse imperialistico dalla Granbrittannia», cioè l’Inghilterra, che dal 1920 governa la Palestina Mandataria. «La Santa Croce e il fascio littorio» padre De Robertis parte in quarta e continua a citare Orano «uniti dal più intimo spirito, oggi si trovano dinanzi a un’Inghilterra ebraizzante e a un ebraismo britannizzante!»

    * * *

    (qualche settimana dopo, a casa di Mimmo)

    «Luoghi comuni rimasticati che da un po’ di tempo rimbombano sulle pagine di giornalacci tipo Il Tevere, il Quadrivio, Il regime fascista…» brontola zio Gaetano.

    Lui che ha due lauree e possiede più libri della storica libreria Tombolini, ha pure il libro di Orano. Lo ha letto e non gli piace: «Bisogna ammettere che c’è qualche osservazione valida, ma non credo sia sincera l’imparzialità che ostenta Orano e ancor meno autentica è la sua pretesa di apparire lontano da preconcetti antisemiti».

    «Padre De Robertis, invece, dice che la posizione di Orano è innovativa…»

    «Apparentemente! O meglio, la si potrebbe ritenere tale per il fatto che, oltre a polemizzare contro i sionisti tout court, lui attacchi gli ebrei fascisti. Quelli, cioè, che non si riconoscono nel sionismo e che si son comportati e si comportano da ottimi italiani…»

    «Se si comportano da buoni italiani… perché attaccarli?»

    «Perché secondo Orano, ed è qui che il suo antisemitismo becero getta la maschera, anche gli ebrei fascisti peccano seguitando a… sentirsi ebrei! A suo dire, essi, per il solo fatto di essere di origine ebraica, non si sentono moralmente obbligati a condividere e a votarsi alla causa degli interessi nazionali, oppure lo fanno obtorto collo con il solo intento di mostrarsi degni di encomio e di riconoscenza più di chiunque altro.»

    «Morale della favola: gli ebrei… come fanno, sbagliano!»

    «Appunto! Orano non solo esige che gli ebrei italiani prendano posizione contro il sionismo, ma pretende che rinuncino a ogni loro specificità che non sia quella squisitamente religiosa.»

    «Sì, infatti: a un certo punto nel libro, mi pare verso la fine, Orano afferma che non dovrebbero più esistere le comunità, le organizzazioni differenziate…»

    «Proprio così! Dice espressamente che per le comunità è arrivato il giorno del redde-rationem, che la sinagoga deve bastare al coro discorde. Con prosa più o meno elegante, richiede, in sostanza, che gli ebrei cessino di essere tali! Una pretesa gravissima che può comportare drammatici sviluppi.»

    «Del tipo?»

    «A gennaio è uscito un trafiletto su Il Tevere intitolato, se non ricordo male, Quelli che arrivano o Quelli che vengonoun titolo del genere, insomma. Il succo dell’articolo è che gli studenti ebrei profughi nel nostro Paese costituiscono una minaccia perché, una volta laureati, rimangono in Italia e sottraggono lavoro e impiego ai veri italiani…»

    «Assurdo!»

    «Assurdo, certo! E il peggio è che certe tesi sono accolte con gran favore, specie dal popolino. Tant’è che altre testate hanno fatto eco al Tevere chiedendo la chiusura delle Università italiane agli studenti stranieri ebrei e proponendo di impedire che questi, una volta laureati, esercitino le varie professioni in Italia. Un giornale, adesso non ricordo quale, è arrivato a dire che bisognerebbe negare la cittadinanza italiana a questa gente, indipendentemente dagli anni vissuti nel nostro Paese»⁴.

    «Ha detto bene Umberto: gli ebrei come fanno sbagliano! Ecco perché il povero professor Zarfati è stato mandato al confino!» s’inserisce mio cugino Mimmo che, stranamente, se n’è stato zitto zitto ad ascoltare gli sfoghi miei e di suo padre.

    «Don Leone dice pure che gli ebrei fanno il gioco dell’Inghilterra…»

    «Proprio come sostiene Orano: attraverso il sionismo, la protezione e il sostegno che le comunità israelitiche italiane offrono ai correligionari che scappano dalla Germania, gli ebrei agiscono in contrasto con lo spirito del regime e con la generosità di Mussolini. Secondo lui, gli ebrei sarebbero a favore dell’Inghilterra che ci affama con le sanzioni e contro la Germania con cui siamo alleati. Sconsideratamente alleati, non lo dirò mai abbastanza!»

    «Una vera e propria serpe in seno!»

    «Secondo Orano e compagnia, sì. Affermazioni che fomentano odio e ostilità! Potremmo passare la notte a citare esempi di simili idee deliranti che circolano da un annetto a questa parte: Radius ha fatto tutto un elenco degli errori degli ebrei sul Corriere della Sera; Il Giornale d’Italia definisce intollerabile l’attività delle comunità ebraiche; La Stampa ha pubblicato pseudo-inchieste che auspicano lo scioglimento delle comunità e tuona contro il meticciato ebraico che inquina la vita italiana. E non manca chi sostiene, più o meno apertamente, che la strada da seguire sia quella indicata dai tedeschi…»

    «Tutto dipenderà dal Puzzone…»

    «In effetti, parecchi, anche non ebrei, sperano si tratti di una delle solite operazioni finalizzate a orientare l’opinione pubblica. Roba che lascia il tempo che trova. Il cinismo, secondo alcuni, o la saggezza, secondo altri, del Puzzone, come lo chiami tu, resta la chiave di volta…»

    «Lui, però, non s’è mai pronunciato apertamente contro gli ebrei, o sbaglio?»

    «Apertamente no. Però… una recensione del libro di Orano sul Popolo d’Italia, che in sostanza è il megafono del duce, definisce problema nuovo quello degli ebrei in Italia perché negli ultimi dieci anni lo spirito degli ebrei italiani, che in precedenza sono sempre vissuti in perfetta armonia con il resto della popolazione, sarebbe mutato…»

    «Ma è cambiato davvero l’atteggiamento degli ebrei?»

    «Questo non so dirtelo. Può darsi sia cambiato, e in tal caso bisognerebbe capire il perché, come può darsi che non sia mutato e si tratti solo di un pretesto. Ciò che deve preoccuparci, per via dei possibili scenari che si possono delineare, è la risposta all’interrogativo che il giornale di Mussolini prospetta: gli ebrei italiani si considerano ebrei in Italia o ebrei d’Italia? Gli ebrei, insomma, si ritengono ospiti o parte integrante della popolazione? Una domanda insidiosa che lascia trapelare l’idea che Mussolini abbia già risposto al dilemma con un no

    «Un no che può significare discriminazione…»

    «Discriminazione, esclusione… anche persecuzione, Dio ce ne scampi! Naturalmente, i fanatici antisemiti hanno interpretato quella sciagurata recensione come un segnale di via e la campagna antiebraica s’è inasprita. È partita la gara a chi è più bravo e più duro in questa nuova battaglia del regime.»

    «Un esempio è il nano De Robertis che ci ha imposto di leggere ’sto libro!»

    «E l’esempio di uno che ne ha fatte le spese è il vostro professore di Fisica…»

    «Che si può fare per fargliela scontare ai leccapiedi?» si domanda Mimmo. È la seconda volta che sentiamo la sua voce in tutto il tempo che parliamo. Mimmo non è tipo da star zitto. E se sta zitto è perché ha in mente qualcosa…

    * * *

    (6 maggio 1938 – venerdì – Rinomato Collegio***)

    Basta avvicinare un occhio ai forellini della grata del confessionale per intravedere la faccia del prete a cui si devono rivelare, o meglio: si dovrebbero rivelare, le proprie malefatte.

    Padre Maximilian Lahaye, vice cappellano del rinomato Collegio***, è fiammingo e l’olandese che gli scorre nelle vene si rivela nelle spigolosità e nell’accento irrimediabilmente crucchi. Antipatico pure visto attraverso la grata, dopo il Da quanto non ti confessi? di rito, il suddito di Leopoldo III tace. Occhi rivolti al cielo, labbra schiuse in una muta preghiera farfugliata tra i dentoni da porchetta, inspira a fondo col nasone adunco e si massaggia il mento al suono delle mie mancanze. Vuole siano i penitenti a sciorinare le cagioni del mea culpa. Atti di impazienza a casa e a scuola... Scarsa diligenza a studio... Parolacce, che per lui definisco turpiloquio... Invidia per i compagni più bravi... qualche Messa saltata… Cerchiamo tutti di allungare il brodo, per essere credibili. Ma Padre Lahaye t’aspetta al varco. Implacabile. E come percepisce una minima esitazione, tira il grilletto: Fatto zozzerie?

    Abituato agli eufemismi del vecchio cappellano, – Contro la purezza c’è stato niente?la prima volta sono rimasto di stucco. Ho dichiarato un deciso no! avendo cura, prima dell’Actus contritionis, di chieder perdono per i peccati che potrei non aver ricordato. Padre Lahaye mi ha dato l’assoluzione, ma verso il Padre Eterno mi sono sentito un verme. Alla confessione successiva, deciso a non mentire, a domanda ho risposto con un possibilista qualche volta. È stato allora che il belga ha rivelato tutta la sua nequizia rimpallando: da solo o in compagnia? Ma, perché, fa differenza?! La prima domanda può pure aver senso, ma quest’altra è davvero pretestuosa. Maliziosa, a pensarci bene. Viene il sospetto che insista perché gli piace immaginarle certe zozzerie e magari, chissà, ci darebbe volentieri… una mano!

    Oggi non fa eccezione: «Allora, Zoccodato, hai zentito kosa ho kiesto? Solo o in kompagnia?»

    Oggi, però, ho la risposta acconcia: «Dipende dalle occasioni».

    «Ah!» esclama il prete, senza altro aggiungere.

    E sono a posto: non ho mentito!

    «Tre Pater, Ave e Gloria. Ego te absolvo a peccatis tuis…»

    * * *

    «Umberto! Umberto!» mio cugino Mimmo fa capolino dietro la fila dei gabinetti vicino alla fontana con i pesci rossi e la statua della Madonna di Lourdes. Il ritrovo per i convegni carbonari e le sigarette di noi liceali.

    «Ah, ci sei! Non ti ho visto a Messa…»

    «Infatti non c’ero!»

    «Che scusa hai inventato con padre Vittorio?»

    «Gli ho detto che mi sono sentito male in tram.»

    «E l’ha bevuta?»

    «Pare di sì. Ho bussato al suo ufficio, sono entrato con la faccia cupa e le braccia ciondoloni, ho finto di sforzarmi per mettermi un po’ più dritto e l’ho salutato romanamente. Pensa, s’è preoccupato e mi ha tastato la fronte per sentire se avessi la febbre!»

    «Sei pessimo!»

    «Lo so. Dimmi un po’, il Rettore ha fatto la solita predica?»

    «Altroché! Sempre le stesse cose, con la solita cantilena… Visto che le vacanze sono alle porte, s’è raccomandato di non esser dissipati e di far buon uso del tempo libero. Poi ha raccontato per l’ennesima volta la facezia di Pio X cappellaio…»

    «Oh, Signoresanto!! Tanto per ribadire che la sua famiglia era in amicizia con quella del Papa…»

    «Difatti l’ha detto: Quando vivevo a Riese, i miei parenti e i Sarto… il resto lo sai. Che lezione avete adesso?»

    «Francese. E voi?»

    «Ginnastica.»

    «Ah! Con Zampa-di-legno… Occhio, Umbe’, arriva Ponziano!»

    «Ahò! Che... che state a fa’ qua voi due? Non c’avete lezione?»

    «C’è stata la Messa: è il primo venerdì del mese. A proposito, te sei confessato, Ponzia’?»

    «Io? Io la Comunione la faccio tutti i giorni! L’ho fatta stamattina presto! La faccio sempre de mattina…»

    «Bravo! La notte ti fai le pippe e la mattina ti penti…»

    «Che? Che so’ le pippe?!»

    «So’ le mogli dei Pippi, Ponzia’…»

    «Me prendi in... in giro?»

    «Per carità, Ponzia’! E chi ci prova a fatte incazza’! Te sei forte...»

    «È vero, io so’ forte! Ahò, mo’ vado a sona’ la campana, ché è ora...»

    «Giusto. Vai a tira’ la cordicella, va’…»

    «Che c’hai là, Garre’? Un… un disco? Io metto i dischi quando ce so’ le cerimonie. Devo sta’ sempre attento a non romperli...»

    «Sì, è un disco. I professori, però, non devono vederlo, sennò me lo sequestrano… è musica americana!»

    «La musica americana non si deve sentire! Mussolini non vuole…»

    «Per questo nessuno deve vedere ’sto disco! E che vogliamo far torto al fondatore dell’Impero?!»

    «Allora perché ce l’hai, se non si può?!»

    «Ponzia’, famo così: tu devi suonare la campanella e noi dobbiamo rientra’ in classe… ti bastano due Nazionali per dimenticare il disco?»

    «Sì, vabbè, però… padre Vittorio non vuole che fumo…»

    «Che te frega di padre Vittorio! Dai, su, te ne do tre. E spicciati, ché sei in ritardo!»

    «Dammele, va’... So’ buone le Nazionali…»

    «So’ buone, sì! Ah, mi raccomando, fumatele dopo le seghe, così domattina te confessi tutto…»

    «Grazie, Garretto!... Mo’ scappo: devo suonare…»

    «Suona, Ponzia’, suona…»

    «Te lo ripeto, Mimmo, sei il peggio! Ma, piuttosto, che disco è?»

    «L’ho trovato in cantina, nascosto sul fondo del baule militare di papà. Guarda: l’Internazionale! Ho un’idea maiuscola... il giorno della premiazione faremo drizza’ i capelli pure al duce!»

    «Cavolo!! Altro che musica americana! Certo che zio Gaetano rischia a tenere ’sta roba a casa! Ma... che vorresti fare?! Mica vorrai convincere Ponziano a metterlo?! Se quello fa il tuo nome finisci in casa di correzione e tuo padre a Carbonia!»

    «Nooo! E che so’ scemo?! Però… ho scoperto dove il vicerettore tiene la chiave del vano nel piedistallo della statua del Fondatore…»

    «Il vano dove c’è il microfono collegato agli altoparlanti?»

    «Ci stanno pure il grammofono e i dischi per le cerimonie. Per facilitare il compito a Ponziano, padre Vittorio ha appiccicato su ogni disco un’etichetta con il titolo del brano scritto a macchina: Marcia Reale, Giovinezza, Inno a Roma… Incollerò su questo disco un’etichetta uguale a quelle fatte dal vicerettore, così quest’anno al posto di Sole che sorgi… si beccheranno Compagni, avanti, il gran partito… alla faccia loro e di quello che hanno fatto al professor Zarfati!»

    «Tu sei matto! Io c’ho la maturità…»

    «Mica lo devi fare tu! Devi solo tacere e aspettare la festona. Ci sarà da ridere!»

    «Sicuro che starò zitto, non sono un infame! Anzi, se ti serve aiuto…»

    «No, ti ringrazio. Sgamare due persone potrebbe essere più facile. Il giorno avanti della premiazione, mentre starete tutti in chiesa, scambierò i dischi.»

    «La campanella ha suonato. Andiamo.»

    «Ci vediamo più tardi in refettorio, Umbé…»

    «D’accordo, ciao…»

    «Ah, a proposito, quasi dimenticavo: mentre don Vittorio annotava sul registro il mio ritardo, gli ho infilato tra gli ingranaggi della macchina da scrivere una fialetta puzzolente…»

    «Hai fregato l’idrosolfuro di ammonio nel laboratorio di chimica?!»

    «Macché! Tutta roba genuina, fatta in casa: uovo, latte, aceto mischiati e tenuti una settimana a decantare sul tetto del palazzo, dietro alle fontane, dove batte il sole…»

    «E come si romperà?»

    «La fialetta è di vetro fragilissimo. Una di quelle per profumi che mamma usa quando si va in viaggio. Basterà che il bacarozzo si metta a scrivere… Lo sai quanto gli piace battere a macchina le sue dispense scopiazzate dalla Treccani!»

    «Te cerchi proprio rogna! A più tardi, Mimmo.»

    «Ciao, ciao.»

    * * *

    «Unò-duì… unò-duì… unò-duì… Pèrfilasinist… Sinìst!... Unò-duì… unò-duì…»

    Il professor Spadini, Zampa-di-legno, ritto, scattante, con piglio da ducetto, ci fa sudare senza misericordia. È incazzato perché attendeva la visita di Hitler in Italia, eccitato come un’educanda in calore, ma oggi che i due caporali tornano a Roma dopo esser stati a Napoli, non gli hanno dato il permesso di correre a sbracciarsi alla parata di Via dell’Impero⁸. Pare ci sia andato, invece, padre De Robertis. Non siamo stati precettati, per fortuna, perché il rinomato Collegio *** dipende dal Vaticano che per l’occasione si sta comportando in modo egregio: Pio XI ha fatto spegnere tutte le luci della Santa Sede, ha ordinato di serrare le persiane del Palazzo Apostolico, di chiudere i Musei Vaticani e se n’è andato a Castelgandolfo. Ha proibito ai vescovi di partecipare ai ricevimenti in onore del führer e all’Osservatore Romano di menzionare la notizia, come aveva fatto l’anno scorso quando Mussolini è andato in Germania e allo stadio di Berlino, sotto una pioggia battente, ha tenuto quel buffo discorso in tedesco che i cinegiornali Luce e l’EIAR propinano in tutte le salse⁹.

    S’avvicina il giorno del saggio ginnico e il mutilatino pregusta la rivincita affannandosi per galvanizzarci e infondere ardore fascistissimo nei nostri giovani cuori! Quando racconto agli amici di Trastevere che abbiamo il professore di ginnastica con una gamba di legno, tutti si scompisciano. Proprio quello di ginnastica! È come se Dracula portasse la dentiera! dice l’amico mio Marcello.

    «Dietrooo-front!... Forza, pelandroni! Unò-duì… unò-duì…»

    Il ritmo scandito da Spadini viene interrotto dalla porta della palestra spalancata con veemenza: «Professore, faccia allineare questa classe alla parete!»

    È padre Cappellari, vicerettore. Livido. Mi sa tanto che il tiro di Mimmo è andato a segno…

    «At-tenti…» grida Zampa-di-legno.

    In religione il vice ha voluto aggiungere Vittorio al suo nome Aniceto, che vuol dire invitto. Tale si sentiva e si sente, evidentemente, sebbene da un po’ l’artrosi gli renda l’incedere impacciato. Si avvicina e ci squadra minaccioso, glaciale. I pavidi sbiancano. Fatichiamo a trattenere le risa. Chi guarda a terra, chi studia l’architettura del soffitto…

    «Qualcuno, e ho ragione di credere che sia tra voi poiché siete stata l’unica classe a lasciare l’aula, ha voluto fare una prodezza occultando nel mio ufficio un ordigno con un composto mefitico…»

    Ordigno! Ma si rende conto?! Chiama ordigno, un liquido che puzza di scorreggia!

    «...Questo qualcuno ha voluto attentare alla mia persona, ma dovrebbe sapere che io sono un chimico e pertanto ho l’olfatto perfettamente avvezzato a certi miasmi! Il suo atto criminale, quindi, non ha alcun significato…»

    Attentare!!... Atto criminale!!! Ma come gli viene in mente!?! Di certo l’invitto anela a una Violet Gibson tutta sua! Chissà che darebbe per farsi vedere in giro col naso incerottato, come il Puzzone nel ’26! ¹⁰

    «Si faccia avanti il responsabile!»

    Silenzio.

    «Ho detto: fuori il colpevole! Pusillanimi! Sarò costretto a punire tutti!»

    Ci fulmina con occhi spiritati cercando di indovinare un’espressione che tradisca il reo. Ma dopo imbarazzanti minuti la nostra omertà lo riconduce alla porta, fumigante e impotente.

    Mimmo 1 – Aniceto 0. Palla al centro…

    Zampa-di-legno, rimasto zitto in presenza dell’autorità stropicciata, adesso dice la sua: «Il dileggio d’un superiore è un gesto vile e incivile! Ricordate: il tradito potrà pur essere un ingenuo, ma il traditore sarà sempre un infame!» La frase su tradito e traditore l’ha rubata para, para a Crapa pelada¹¹.

    2

    Appena cominciò l’inno reale

    la gente ner teatro s’arzò in piedi,

    soltanto Giovannino lo speziale

    perch’era socialista, restò a séde.

    Tutti dissero: Alla porta!

    Lui rispose: Che m’importa?!

    Io c’ho piacere

    conservo li principi ner sedere… ¹²

    11 giugno 1938 – sabato

    In collegio l’anno scolastico si conclude con una solenne cerimonia in due tempi alla presenza di autorità ecclesiastiche, politiche e militari, recita il cartoncino d’invito per le famiglie. Prima il Saggio ginnico – esibizione di disciplina, entusiasmo e granitica gioventù – poi la Premiazione, durante cui vengono consegnate agli allievi più meritevoli medaglie d’oro, d’argento, di bronzo e altri attestati di encomio e benemerenza.

    Assiso su una poltrona barocca al centro del palco allestito nel cortile grande, spicca, cito sempre il foglietto d’invito, Sua Eminenza Rev.ma il Signor Cardinale Francesco Valsetti Marcheggiani – Vicario Generale di Roma – Arciprete della Basilica di San Giovanni in Laterano. Alto, secco, incartapecorito, avvolto nel mantello purpureo più lungo dello strascico di una sposa.

    La lugubre figura alla destra del prelato è il rappresentante del governo: ancora una volta l’Eccellenza Renato Circi, già Sottosegretario all’Educazione Nazionale, oggi alle Corporazioni. Colui che, per leccare il c... al Lazzarone, aveva avuto l’idea del Colosso littorio da erigere

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