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Il Ladro che Leggeva Fredric Brown: Bernie Rhodenbarr, #13
Il Ladro che Leggeva Fredric Brown: Bernie Rhodenbarr, #13
Il Ladro che Leggeva Fredric Brown: Bernie Rhodenbarr, #13
E-book344 pagine4 ore

Il Ladro che Leggeva Fredric Brown: Bernie Rhodenbarr, #13

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Info su questo ebook

Immaginate di essere Bernie Rhodenbarr.

 

Avete un lavoro bellissimo: siete proprietario di un accogliente negozio di libri usati, completa di Raffles, il vostro gatto caudalmente carente. È nel Greenwich Village, e il negozio di toelettatura per cani della vostra migliore amica è solo a un paio di porte di distanza; ogni giorno pranzate insieme e vi trovate in un bar per un drink alla fine del lavoro.

 

Ma avete anche un altro lavoro per guadagnarvi da vivere. Ogni tanto dimenticate l'onestà e vi introducete nella casa di qualcuno altro, e quando ve ne andate avete qualcosa in più di quando eravate entrati. Siete un ladro, e sapete che è sbagliato, ma è una cosa che amate.

 

Avete due modi per sbarcare il lunario, uno letterario e legittimo, l'altro illegale, ma siete bravo in entrambi.

 

Bello, vero?

 

Fino a quando il 21esimo secolo vi taglia l'erba sotto i piedi. Di colpo, tutte le strade della città sono così piene di telecamere di sicurezza che dovete chiudervi in bagno per essere certi di non essere non sorvegliato. E le serrature, che prima offrivano il piacere ricreativo di un cruciverba di media difficoltà, sono diventate totalmente insuperabili.

 

Inoltre, le vendite di libri on-line hanno spinto il vostro onesto lavoro verso l'estinzione. I clienti ora curiosano nella vostra libreria, trovano il libro che volevano, poi estraggono il cellulare e lo ordinano on-line.

 

Bellissimo: avevate due mestieri per sopravvivere, e nessuno dei due è più praticabile.

 

Ma immaginate di continuare a immaginare, ok?

 

Immaginate di svegliarvi una mattina in un mondo come quello nel quale vi eravate addormentati, ma con un paio di differenze.

 

La prima cosa che notate sembra poco di che: La MetroCard, la tessera della metropolitana che tenete nel portafoglio, stranamente ha cambiato colore e si è trasformata in ciò che sembra chiamarsi SubwayCard. Siete perplessi, ma la mettete nella fessura del tornello come al solito; vi lascia passare, dunque perché preoccuparsi?

 

Ma non è la sola cosa che è cambiata. Internet funziona come prima, però sembra che nessuno lo usi più per vendervi libri. E le porte sono chiuse non con serrature elettroniche invincibili, ma con le vecchie care serrature Rabson, che sapete scassinare a occhi chiusi. E le telecamere di sorveglianza, che fine hanno fatto?

 

Di colpo, tornate alla vita alla quale eravate abituati. Il vostro negozio è sempre affollato di clienti desiderosi di acquistare libri, e come potete trovare il tempo per rubare qualcosa?

 

Be', ma immaginate anche che uno dei peggiori esseri umani al mondo abbia appena comprato uno dei più famosi diamanti al mondo. Se il leggendario Diamante Kloppmann può essere rubato, come si fa a non rubarlo?

 

E cosa mai potrebbe andare storto?

LinguaItaliano
Data di uscita18 ott 2022
ISBN9798215653388
Il Ladro che Leggeva Fredric Brown: Bernie Rhodenbarr, #13
Autore

Lawrence Block

Lawrence Block is one of the most widely recognized names in the mystery genre. He has been named a Grand Master of the Mystery Writers of America and is a four-time winner of the prestigious Edgar and Shamus Awards, as well as a recipient of prizes in France, Germany, and Japan. He received the Diamond Dagger from the British Crime Writers' Association—only the third American to be given this award. He is a prolific author, having written more than fifty books and numerous short stories, and is a devoted New Yorker and an enthusiastic global traveler.

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    Anteprima del libro

    Il Ladro che Leggeva Fredric Brown - Lawrence Block

    1

    Erano circa le cinque meno un quarto del pomeriggio di un mercoledì di ottobre. Misi un segno alla pagina alla quale ero arrivato in una edizione economica di Fredric Brown che avevo letto per buona parte della giornata. La cacciai nella tasca posteriore dei pantaloni, poi uscii dal negozio per ritirare dal marciapiede il tavolo dei volumi in offerta.

    Era un buon quarto d’ora prima del solito, ma se si è il proprietario del negozio una cosa del genere si può fare anche per capriccio. È uno degli aspetti positivi nell’essere un libraio antiquario indipendente, e ci sono giorni nei quali sembra sia essere il solo.

    Oggi era proprio uno di quei giorni.

    Normalmente inizio a chiudere verso le cinque, e di solito riesco a far uscire dal negozio l’ultimo cliente per le cinque e trenta. Poi sistemo quello che va sistemato, cambio l’acqua nella ciotola di Raffles, gli lascio dei croccantini, e infine chiudo a chiave la serranda del negozio. Il Bum Rap, dove Carolyn e io abbiamo sempre appuntamento con una bottiglia di scotch, è proprio all’angolo tra la Decima Est e Broadway. A piedi sono cinque minuti e solitamente ne varco la soglia appena prima delle sei.

    Per arrivare al Bum Rap devo passare davanti al negozio di Carolyn, il Poodle Factory, e solitamente è già chiuso, così che quando arrivo la trovo quasi sempre al nostro tavolo abituale.

    Ma non quella sera, dato che ero uscito dal Barnegat Books alle cinque e ventotto. (Non so perché avessi guardato l’ora, o come mai la ricordi ancora. Ma è così). Il Poodle Factory è due negozi oltre la mia libreria, andando verso Est, e quando vi arrivai Carolyn stava scopando peli di cane fuori dalla porta.

    Bernie, non dirmi che stasera non hai tempo per un drink!, disse.

    Perché mai dovrei dirlo?

    Be’, non so, disse. Personalmente, ho sempre tempo per un drink, ma a te potrebbe essere successo qualcosa. Magari la possibilità di vedere e perfino acquistare una promettente raccolta di libri. La possibilità di prendere un drink e cenare con qualche donna attraente e simpatica . . .

    Tu sei simpatica e attraente, le feci notare, e sto per bere un drink con te. Per la cena non so, ma è sempre possibile.

    Una donna, disse, con la quale esista la possibilità di un incontro romantico. Sai cosa intendo, Bern.

    In questo momento, la sola donna della mia vita sei tu.

    Allora non so cosa possa essere. Un’urgenza odontoiatrica?

    Un’urgenza odontoiatrica?

    Be’, può capitare, anche se le mie capitano solo nei weekend. L’ultima volta mi è successo un venerdì, un’ora dopo che il mio dentista era andato a casa, a Mamaroneck; e io ho potuto solo restare ubriaca fino al lunedì mattina.

    Che sacrifici dobbiamo fare . . . !

    Lo so bene. Ma visto che non vuoi annullare il nostro appuntamento, perché ne cerco un motivo? Carolyn aveva terminato il suo lavoro di riordino, e ora chiuse la porta e diede due giri di chiave. "Prossima fermata al Bum Rap", disse.

    Non ancora.

    No?

    È per questo che volevo essere da te prima che tu uscissi, le dissi. Devo prima andare in un posto. È a quattro o cinque isolati da qua, e pensavo che potremmo andarci insieme a piedi.

    Quattro o cinque isolati? Perché no? Non ho i tacchi alti.

    No.

    Cioè, anche quando frequentavo quella donna che voleva trasformarmi in una lesbica chic, non ho mai e poi mai pensato di mettere i tacchi.

    A volte Carolyn afferma di essere alta uno e cinquantasette, ma dovrebbe salire su qualcosa perché fosse vero. Oppure, mettere tacchi da 8 centimetri. Tuttavia, lei è la mia migliore amica – ma questo non lo dissi.

    scene break

    Ecco.

    Eravamo entrati sulla Broadway, avevamo girato a destra e ci eravamo diretti verso il centro. Eravamo passati davanti a I Due Tizi di Luang Prabang, un ristorante del Laos nel quale avevamo preso qualche giorno prima del cibo squisito per il nostro pranzo. Avevamo superato il Bum Rap, camminato per un altro isolato fino alla Nona, e girato a sinistra. Altri due isolati, ed ora eravamo di fronte a un edificio molto alto e molto stretto, tutto acciaio e vetro.

    O cavolo, disse Carolyn. Che ci fa qua questo coso?

    Occupa spazio, dissi, anche se non molto per quanto riguarda la sua area. In base a quella dovrebbe essere alto sette piani, forse tredici al massimo.

    Potrei contare le finestre, disse lei, ma a guardare in su mi viene il mal di testa. Quanto è alto?

    Quarantadue piani.

    Ho letto qualcosa su edifici simili. Li chiamano ‘schegge’ .

    Credo che questo sia una Punta di Freccia’ ".

    Non fa molta differenza, sono fastidiosissime entrambe se ne prendi una. Le agenzie immobiliari comperano un edificio, magari un paio, cacciano tutti gli inquilini che ci vivevano ad affitto bloccato e poi buttano giù tutto. Cosa faranno adesso quelli che abitavano qua?

    "Magari sono al Bowl&Beer. Giocano a bowling e bevono birra. Ah, no, aspetta. Non possono, vero? Perché questi del vetro e acciaio hanno abbattuto anche quell’edificio".

    Il Bowl&Beer che, non vi sorprenderà sapere, era una pista di bowling, era stato un locale in attività per anni, prima che io diventassi proprietario del Barnegat Book. Faceva parte del panorama locale, e vi passavo davanti ogni mattina quando percorrevo i pochi isolati dalla stazione della metro di Union Square al negozio. Poi, circa un anno prima, avevano comprato l’edificio che lo ospitava e lo avevano sostituito con un grande palazzo di uffici, progettato per metterci dentro ditte di software e cose simili.

    Questo era sempre stato il modo di comportarsi nell’isola di Manhattan sin da quando gli Indiani Canarsie l’avevano venduta per ventiquattro dollari, e se n’erano andati congratulandosi con sé stessi per la loro astuzia. Gli edifici vanno e vengono, ma il tentativo di creare una Silicon Alley si era scontrato con il forte movimento conservazionista del Greenwich Village. Benché quegli isolati di University Place si trovino al di fuori del Distretto Storico del Greenwich Village, si potrebbe sostenere che ne facevano pur sempre parte e che fossero abbastanza storici da dover restare intatti.

    Così era stato affermato da persone molto serie e dotate di senso civico, ma le considerazioni economiche avevano fatto pendere la bilancia dall’altra parte, come spesso avviene. E quella era stata la fine del Bowl&Beer.

    Ti dà ancora fastidio, disse Carolyn. Cioè, in fondo ti capisco, Bern, ma dopo tutto che hai mai fatto, più che guardarlo e fargli un piccolo cenno quando gli passavi davanti?

    Ci siamo andati a giocare a bowling, dissi. Non dirmi che non te lo ricordi.

    Mi ricordo. È stato divertente.

    Infatti.

    All’inizio la palla mi finiva sempre nel canalino laterale della pista, ma poi avevo cominciato a farci la mano. Secondo me potrebbe diventare anche uno sport per lesbiche, come la pallavolo. Per quel che ne so, forse lo è già. Magari a Cleveland.

    Ammesso che ci siano lesbiche a Cleveland.

    Amico mio, noi siamo ovunque. Sospirò. Il bowling. Ci siamo andati una volta e poi non ci siamo mai tornati.

    Ma avremmo potuto.

    E ora non possiamo più.

    Proprio. E ci sono state molte volte, dopo pranzo, in cui avevo pensato di lasciare chiusa la libreria per un’ora e andare a farmi qualche tiro. No, non ci sono mai andato, ma fatto sta che ci ho pensato ed è una cosa che avrei potuto fare.

    Potrei, vorrei, dovrei . . . ma ora non è più possibile, e siamo qua davanti a una scheggia, o una freccia, o il diavolo che è. Hanno buttato fuori i residenti, hanno comprato le licenze per costruire e hanno edificato una cosa che arriva fin quasi alla Luna. Non sapevo che vi fossero grattacieli simili in questa parte della città.

    Credo che l’Innisfree sia il primo.

    È così che si chiama? E chi ci abita, Bern?

    In pratica nessuno.

    Non sono riusciti a vendere gli appartamenti?

    Oh, no, a venderli non hanno avuto alcuna difficoltà, le dissi. Erano tutti acquistati prima ancora che l’edificio fosse terminato. Ma per la maggior parte sono vuoti.

    Ci pensò per un attimo. Compratori stranieri, disse.

    Sì, per lo più.

    Che vogliono riciclare il loro denaro e avere un investimento sicuro a New York quando le cose vanno a catafascio a Mosca, o Minsk, o Budapest, o Istanbul, o dove facevano i nababbi. Bern, è ‘oligarchi’ la parola giusta?

    In questi giorni è una parola che si sente spesso, concessi, ma non ne conosco la definizione esatta, e quanto si adatti a molti di essi. Credo vi sia un termine migliore.

    Sì?

    Ricchi bastardi, dissi. È un termine generale e non si limita agli stranieri. Perché vi è almeno un inquilino dell’Innisfree che è straniero quanto può esserlo la crostata di mele. È nato proprio qua, negli Stati Uniti.

    E chi è?

    Qualcosa mi trattenne dal pronunciarne il nome. Se non ti facesse venire il mal di testa, dissi, ti direi di guardare in su, fino all’ultimo piano. Da questa angolazione non è che vedresti granché, ma se lo facessi e in più fossi dotata della vista a raggi X di Superman, potresti vedere una cosa davvero notevole.

    Un ricco bastardo?

    Anche, se fosse a casa in questo momento. Ma vedresti pure il Diamante Kloppmann.

    scene break

    Il Diamante Kloppmann, disse Carolyn. È là, Bern? Proprio in cima all’Innisfree?

    Non proprio sul tetto; ma qualche metro più giù, nell’attico.

    Mi ricordo quando il Museo di Storia Naturale aveva annunciato la propria intenzione di venderlo. Ma avevano usato un termine diverso.

    Cessione. Hanno preso la decisione, difficile ma essenziale, di cedere la loro gemma più preziosa.

    Mi ricordo che molti si erano arrabbiati.

    C’era stata molta agitazione, dissi. Nemmeno avessero messo all’asta la Gioconda.

    Col sorriso e tutto. Mi ricordo che qualcuno su New York One aveva suggerito che Mike Bloomberg, Jeff Bezos, Elon Musk e Bill Gates avrebbero dovuto tutti fare un’offerta a otto cifre, battere tutti all’asta e poi restituire il diamante al Museo. Ma l’idea sembra non aver avuto seguito.

    Cavolo, chissà come mai.

    Forse perché quei quattro miliardari hanno pensato quello che avevo pensato anch’io, ovvero che il Museo avrebbe detto grazie mille, avrebbe aspettato qualche anno e poi l’avrebbe messo di nuovo in vendita. Ma quindi l’hanno veramente venduto?

    Da Sotheby’s, dissi. Due settimane fa.

    Puntai gli occhi al quarantaduesimo piano, ma non ve li tenni fissi a lungo. Non c’era nulla da vedere, solo vetro e acciaio, e la sensazione di vertigine che provai rendeva sfuocata anche quella visione. Abbassai lo sguardo fino al livello della strada, e ancora una volta notai le telecamere di sicurezza installate sulla facciata dell’edificio e su quelle dei due di lato, più bassi e ben meno imponenti.

    E anzi, su quasi ogni palazzo dell’isolato, che in ciò era simile a ogni altro isolato di questa città in cui vivo.

    Carolyn mi stava domandando della vendita, per che cifra era stato battuto all’asta, e dell’identità del vincitore. Hai detto che è un americano, Bern?

    L’ho detto, vero?

    Americano come la crostata di mele.

    Più come le sparatorie nelle scuole, dissi. O il linciaggio.

    Americano quanto il linciaggio. Ma chi è?

    Qualcosa mi trattenne dal dirne il nome. Direi che era l’uomo peggiore che esiste, dissi, ma questo comprenderebbe troppe persone, e vi è un gran numero di pedofili predatori e di serial killer che potrebbero benissimo non essere d’accordo. Ma ho la sensazione che stiamo per vederlo proprio adesso.

    Una lucida limousine argentata, abbastanza lunga da poter contenere un intero gruppo di cheerleader liceali per il ballo di fine anno, si stava fermando davanti all’Innisfree.

    Una portiera si aprì e ne emerse un uomo. La testa rosa aveva la forma e le dimensioni di una palla da bowling, ed era altrettanto priva di peli. Indossava un completo che doveva avere comprato in un negozio per taglie grandi, ma poi aveva evidentemente fatto molta palestra, poiché sembrava che dovesse scoppiarne fuori.

    È lui, Bern? Che se ne fa un uomo così del Diamante Kloppmann? Lo mette sull’anello del mignolo?

    Si aprì un’altra porta della limousine e ne uscì un secondo uomo. Se non era un gemello del primo gorilla era come minimo il fratello, ma con un’altra madre. Stessa stazza, stesso cranio lucido, stesso abito che non riusciva ad adattarsi all’ipertrofia del suo torace.

    Ce ne sono due, disse Carolyn. Non ne basta uno solo?

    Basta e avanza, convenni, ma nessuno di loro sembra l’uomo che ha comprato il Kloppmann. Immagino siano le sue guardie del corpo, e il corpo a cui fanno la guardia è in un sedile posteriore dell’auto, in attesa che uno dei due gli apra la porta.

    Questo fu ciò che accadde, ma dal nostro punto di osservazione fu poco spettacolare, perché uno dei due gorilla aprì una porta posteriore dal lato del marciapiede, e la limousine ci impediva la visione dell’uomo che ne usciva. Quando l’auto ripartì, egli era già prossimo all’ingresso dell’Innisfree, e noi lo vedemmo di sfuggita e di spalle, affiancato dalle sue guardie, mentre l’addetto in livrea cerimoniosamente gli apriva la Porta del Sancta Sanctorum. In un attimo egli la superò ed essa si richiuse dietro di lui. E di Orrin Vandenbrinck questo è tutto, dissi. Ora andiamocene da qua. Mi serve un drink.

    2

    Quando fummo tornati al Bum Rap, al nostro solito tavolo era seduto qualcuno. Una coppia, in effetti, costituita da un uomo sui quaranta con in testa una coppola e da una donna che era stata seriamente danneggiata dalla sua pettinatrice; dalla sua espressione si capiva che ne era consapevole, e non l’avrebbe dimenticata né perdonata. Questo è tutto quello che potrete sapere di loro, perché non li vedemmo mai più, e li ho ricordati solo perché si trovavano là, al nostro tavolo.

    Ma non faceva nulla, dato che al Bum Rap un tavolo vale l’altro. La sola ragione per cui ci sediamo sempre al medesimo è che ci risparmia di dover decidere ogni volta dove metterci; ma se è occupato, come capita, ne troviamo un altro.

    Non è il tavolo che importa: è quello che c’è nel jukebox e quello che c’è nel bicchiere. Nel jukebox c’era Kris Kristofferson che cercava la camicia meno sporca, che va sempre bene, ma a me serviva ancora un drink.

    Quando entrammo, Maxine stava servendo una birra a un tizio in fondo al locale, ma non le ci volle molto per arrivare da noi. Grazie a Dio sei venuta. Io prendo il mio solito scotch con ghiaccio, e Bernie anche, solo che magari lui lo vuole con acqua. O forse con soda.

    Chiediamolo a lui, suggerii. Potremmo scoprire che non vuole affatto dello scotch.

    Guardai il soffitto. È uno di quelli vecchio stile, coperto di lastre di metallo incise, e chi guarda il soffitto potrebbe fare anche di peggio, ma io fingevo solo di riflettere sulla questione. Un Martini, decisi. Molto secco, molto freddo, e molto presto.

    Gin o vodka?, chiese Carolyn.

    Gin, disse Maxine, perché se lo volesse con vodka avrebbe detto ‘un vodka Martini’. Ma nessuno dice ‘un gin Martini’. Sarebbe . . . comesichiama.

    Eh?

    Oh, sai, come dire un neonato giovane, o un politico corrotto. C’è un termine . . .

    Ridondante, dissi.

    Proprio. Qualche marca di gin in particolare?

    Scossi la testa, e lei se ne andò a preparare i drink. Il mio era in un bicchiere a calice con un’oliva. Ho pensato liscio, perché se l’avessi voluto col ghiaccio lo avresti detto.

    Ben fatto.

    Lo stesso se l’avessi voluto con la scorza di limone, perché il gin standard è liscio e con l’oliva, capisci?

    Bravissima, dissi, e lei se ne andò sorridente dopo averci lasciato i bicchieri. Li sollevammo, ma non li facemmo battere, né pensammo a cosa brindare. Carolyn bevve una sorsata di scotch e io esitai per una frazione di secondo, poi la imitai col mio gin freddo.

    Non so se fosse stato agitato o solo mescolato, ma perché mai dovrebbe importare?

    Carolyn stava trattenendo il fiato, osservandomi, e tornò a respirare dopo avermi visto bere.

    Le chiesi che cosa avesse.

    "Cos’ho? Siamo al Bum Rap, a rilassarci dopo una lunga giornata passata a lavare cani e a vendere libri . . ."

    Più che altro a non venderli, dissi.

    Quel che vuoi. Siamo qua, abbiamo dell’alcol nei bicchieri e ne abbiamo appena trasferito un po’ nello stomaco, e com’era quella battuta che ti piace sul malto e Milton Berle?

    Dovetti capire a cosa si riferisse. Non Milton Berle, dissi. John Milton, il poeta.

    Quello che intendevo. Com’era quella sua rima?

    "Lui scrisse Il Paradiso Perduto", oltre ad altre cose, ma quei versi a cui pensavi furono scritti da A. E. Housman. Più di Milton il malto può fare – per i piani di Dio giustificare".

    Proprio quelli. E qualunque cosa faccia il malto, Bern, lo scotch la fa più velocemente. Bevve un altro sorso. Mi sento già meglio. E tu?

    Sto benone, dissi, e bevvi ancora un po’ del mio Martini. L’ultimo di cui mi ricordavo l’avevo preso prima di pranzo con Marty Gilmartin al suo club, The Pretenders. Era in primavera, mi sembrava. Forse in aprile, e ora era ottobre, quindi faceva sei mesi prima.

    A meno che fosse stato l’aprile dell’anno precedente, cosa che mi sembrava anche possibile, nel qual caso era trascorso un anno e mezzo. In ogni caso, si poteva ben dire che fosse passato un bel po’ di tempo tra i due Martini.

    Ho bevuto un goccio del mio drink, dissi, e quella rilassata sei tu. E lo si vede.

    "Embè? Siamo vicini, Bern. Come i Fratelli Corsi, come siamesi separati. Tu bevi, e io mi rilasso".

    La fissai.

    Okay, disse. In realtà, tu hai detto che non volevi lo scotch, e io mi ero preoccupata. Temevo che volessi ordinare una Perrier, e sappiamo bene che cosa avrebbe significato.

    Quello che avrebbe significato una volta, nei bei (e nei brutti) tempi andati, sarebbe stato che volevo essere lucido in vista di una notte dedicata al furto con scasso. Ma non avevo commesso più nulla di simile da ben prima del mio ultimo Martini, che fosse stato sei mesi prima, o un anno e mezzo.

    Riflettei. Ti ho portata a vedere l’Innisfree, dissi, ti ho parlato del Diamante Kloppmann, ti ho fatto vedere Orrin Vandenbrinck . . .

    E ho sentito quanto tu desiderassi rubarlo, Bern.

    Be’, certo, dissi. Sono un ladro nato e amo rubare. È un difetto di natura, non l’ho mai negato, ma non è una fase che passerà. È parte di ciò che sono.

    Esatto.

    E il Diamante Kloppmann è quanto di meglio esista nel campo delle pietre preziose, e l’uomo che lo possiede è uno dei più spregevoli del pianeta. E invece di metterlo in una banca, come farebbe chiunque con un briciolo di cervello, ha annunciato a tutto il mondo che lo terrà nel proprio appartamento, un appartamento che si trova a quattro passi da dove siamo seduti in questo momento.

    Dio mio, Bern, lo vorresti veramente rubare, vero?

    Certo che lo vorrei. Ma non accadrà. Posso essere matto, ma non sono stupido. Sai, non ho scassinato una serratura e non sono entrato da una finestra da secoli, e non perché mi sia riabilitato. È che sono stato reso obsoleto.

    Obsoleto.

    In che altro modo potresti dire? Hai visto le telecamere di sorveglianza all’Innisfree. E hai visto tutte quelle davanti a cui siamo passati tornando qua.

    "Solo perché me le hai indicate, Bern. ‘Guarda, eccone un’altra! Sorridi, Carolyn . . . sei su Candid Camera!’ "

    Ed erano soltanto quelle che ho visto. Probabilmente ve n’erano altrettante che non ho mai notato. Pare che nel Regno Unito sia anche peggio, e che se un londinese non si trova nella sua residenza è quasi sicuro di essere nel raggio di una telecamera. E New York non è molto diversa.

     ‘Commetti un crimine, disse Carolyn, e la terra si fa di vetro’ .

    E non aveva ancora visto il resto.

    Chi era, Bern?

    Ralph Waldo Emerson, dissi. È lui che stavi citando. Sì, il mondo è di vetro, e il vetro è l’obiettivo delle telecamere. E non sono solo quelle. Ti ricordi di quando quella ditta si vantava a gran voce della sua serratura antiscasso?

    Carolyn se ne ricordava. E tu ne avevi comprata una, solo a scopo di sperimentazione; ti eri messo a lavorarci, e quanto ci avevi messo ad aprirla? Due minuti?

    Forse un po’ di più, ma si è visto che il termine ‘antiscasso’ era una pubblicità ingannevole. Solo che questo accadeva una volta. Adesso ci sono queste serrature elettroniche davanti alle quali io sarei del tutto impotente. Non saprei nemmeno da dove cominciare.

    Portai alla bocca il mio drink, ma scoprii che, senza saperlo, lo avevo terminato. Mi guardai intorno, catturai lo sguardo di Maxine, notai che anche il bicchiere di Carolyn era vuoto quanto il mio, e feci quel gesto ruotando la mano per indicare che volevamo un altro giro.

    Mentre attendevamo, estesi le mie lamentele. Avevo due vocazioni, dissi, ed era il termine giusto perché non rappresentavano soltanto un modo per guadagnarsi da vivere, ma erano entrambe delle vere predisposizioni dell’animo. Ladro e libraio, non troppo distanti in un dizionario, erano entrambe occupazioni del Ventesimo secolo che stavano letteralmente diminuendo e scomparendo nel nuovo millennio.

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