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Storia segreta di Che Guevara
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E-book368 pagine5 ore

Storia segreta di Che Guevara

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L'uomo al di là del mito

Ernesto Guevara de la Serna, detto “il Che”, è stato un avventuriero, un medico, un filosofo, un rivoluzionario, un ministro, ma anche un simbolo, un’icona, un riferimento politico per generazioni in tutto il mondo. E persino un logo, sfruttato su magliette, poster, manifesti, accendini e innumerevoli altri gadget.
Questo libro tenta di sintetizzare, con chiarezza e completezza, la sua breve ma intensa vita. Le vicissitudini straordinarie di un uomo da scoprire si susseguono con un ritmo tra l’avventuroso e il romantico, in un volume che si propone come strumento per conoscere le tante sfaccettature del Che e l’eredità “pop” e politica della sua figura. Non solo perché Guevara è un personaggio sempre attuale – basti pensare al successo dei film di Steven Soderbergh e de I diari della motocicletta – ma soprattutto perché la sua parabola va ricollocata nel solco della Storia, a maggior ragione oggi, nell’ottica della recentissima apertura epocale tra Cuba e USA dopo più di cinquant’anni di embargo, con conseguenze geopolitiche ancora in via di definizione. Storia segreta di Che Guevara vuole quindi raccontare più di un volto su una bandiera: vuole raccontare un uomo, con tutti i suoi volti, e la sua incredibile vita, appassionante come un romanzo.

Avventuriero, medico, filosofo, rivoluzionario, ministro, simbolo, icona. Chi era veramente “il Che”?
La storia dell’uomo che ha ispirato una rivoluzione

Tra i temi trattati nel libro:

• un ragazzino malato nato sulle rive di un fiume
• il primo diario della motocicletta
• ti presento Hilda Gadea
• una moglie, una figlia, una rivoluzione
• le mani sporche di sangue
• quello scatto che divenne un simbolo
• il deludente ministro Guevara
• la Baia dei Porci
• la svolta maoista dell’ambasciatore Guevara
• destinazione Bolivia
• la cattura e l’esecuzione
• Cuba dopo il Che
Marco Rizzo
Editor e autore trapanese, ha scritto, tra gli altri, per «ANSA», «Wired», «l’Unità», «La Lettura» del «Corriere della Sera» e varie testate siciliane. È autore della fiaba La mafia spiegata ai bambini e ha sceneggiato le graphic novel sulle vite di Che Guevara, Ilaria Alpi, Mauro Rostagno e Peppino Impastato. Ha adattato a fumetti il bestseller Gli ultimi giorni di Marco Pantani e sceneggiato Jan Karski, l’uomo che scoprì l’Olocausto. Nel 2009 ha vinto il Premio Giornalistico “Giancarlo Siani” e il Premio della Satira di Forte dei Marmi. Nel 2011 è stato pubblicato il suo libro-inchiesta Supermarket Mafia. Le sue opere sono state tradotte e pubblicate in Francia, Olanda, Spagna, Stati Uniti e Polonia e pagine dalle sue graphic novel sono state esposte a Napoli, Perugia, Ravenna, Parigi e Seul.
LinguaItaliano
Data di uscita9 gen 2015
ISBN9788854175686
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    Anteprima del libro

    Storia segreta di Che Guevara - Marco Rizzo

    es

    288

    Prima edizione ebook: gennaio 2015

    © 2015 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-7568-6

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Corpotre, Roma

    Marco Rizzo

    Storia segreta di Che Guevara

    L'uomo al di là del mito

    omino

    Newton Compton editori

    A Salvatore Coppola, editore e combattente

    Premessa

    Medico, filosofo politico, rivoluzionario combattente, ministro. Ma anche simbolo, icona, riferimento per generazioni della sinistra (e talvolta della destra!) in tutto il mondo. Persino logo, sfruttato su magliette, poster, manifesti, accendini e fazzolettini di carta. Non basterebbero migliaia di pagine per raccontare la vita avventurosa, romantica, simbolica di Ernesto Guevara detto il Che. Eppure, con il libro che tenete tra le mani tenterò di sintetizzare i principali momenti della sua esistenza, spunti dal suo pensiero, aneddoti derivati dalle sue esperienze, ricadute dell’icona nella società dell’immagine da lui stesso criticata. Questo volume vagherà tra dettagli privati e descrizioni di battaglie, relazioni poco note e discorsi pubblici.

    Di certo, le fonti a cui attingere sono innumerevoli. Le librerie ci offrono una quantità enorme di saggi incentrati sulla figura del Che, raccolte di aforismi ed epistolari, biografie più o meno romanzate. A distanza di decenni dalla morte, ogni anno nuovi volumi vengono dedicati al rivoluzionario argentino che combatté al fianco di Fidel Castro. Questo libro non ha pretese enciclopediche, ma si propone come strumento agile e scorrevole per conoscere le tante sfaccettature del Che e approfondire la sua incredibile vita.

    Inutile dire quanto sia attuale la sua figura e quanto sia dunque interessante continuare a scriverne. Basti ricordarne la presenza sui giornali di Cuba in questi ultimi anni, che si possono dire ancora più interessanti dopo il forzato passaggio del testimone da Fidel Castro al fratello Raúl e gli ultimi sviluppi nel rapporto con gli usa. Il Che resta una delle figure apprezzate anche da alcuni detrattori della dittatura castrista e un’icona che – paradossalmente – ha alimentato il turismo dell’isola, ma si pensi anche all’onda lunga del successo della recente pellicola di Steven Sodenberg con Benicio del Toro. Per non parlare delle proteste che hanno attraversato Spagna, Grecia, Italia, Francia e Inghilterra negli scorsi anni, con immagini del Che su striscioni e bandiere. Come i cortei d’altri tempi, quelli all’indomani della morte del Comandante quando il ricordo del rivoluzionario, con le sue idee innanzitutto, era ancora fresco.

    A tutte le latitudini, il volto deciso e lo sguardo rivolto al futuro del Che – quel combattente che affermava che «bisogna essere duri senza mai perdere la tenerezza» – è inevitabilmente spunto e ispirazione per migliaia di manifestanti. Chissà, magari anche solo moda o marchio politico, forse svuotato di storia e significato, ma per alcuni, certamente, ispirazione. Su queste ricadute comunicative dell’immagine/logo del Che dedicherò diversi paragrafi e interi capitoli. Al di là della storiografia, ritengo infatti sia uno degli aspetti più interessanti dal punto di vista sia della comunicazione che storico in senso stretto, inteso come eredità nei decenni seguenti dell’immagine e delle teorie guevariane, appunto come ispirazione.

    Come è noto, è un’ispirazione che forse a volte ignora (o sottace) alcune ombre nel passato del rivoluzionario. O forse è meglio dire, del guerrigliero. Se da un lato abbiamo l’Ernesto Guevara de la Serna medico di guerra e volontario tra i lebbrosi, esiste anche il Che combattente, teorico della guerra irregolare, con il fucile in una mano e la penna nell’altra. E non serve sfogliare libri neri per rendersene conto. I suoi stessi scritti teorizzano la violenza e la guerriglia (anzi, sono veri e propri manuali per quest’ultima), non è certamente un segreto la sua funzione di carceriere, né lo è la severità assunta nei ruoli di comando. La rivoluzione cubana, anche quando raccontata dai suoi stessi protagonisti, non è mai stata dolce o indolore. Come la stragrande maggioranza delle rivoluzioni politiche, è stata bagnata da sangue e sudore, tanto quanto da spinte ideologiche e, perché no, commerciali e politiche.

    Non credo sia una pulsione alla violenza, né che Ernesto Guevara della Serna sia un mostro represso. Neppure ci si può limitare a definire il Che uno spirito inquieto. Di certo, questa sua irrequietezza lo segnava al punto da non incatenarlo alla noia della vita da ministro, dietro una scrivania. Per amore degli ultimi (questo sì, punto fermo in una vita di lotte) ha scelto di continuare a combattere per un’altra nazione adottiva, quella Bolivia che ha fatto da sfondo alla sua cattura e alla sua esecuzione.

    Un’altra ragione per cui vale la pena continuare a scrivere del Che è legata alla cronaca. Oltre alle novità della Cuba dopo Fidel, se già possiamo osare definirla così, negli scorsi decenni scoperte, interviste, rivelazioni e ritrovamenti hanno arricchito di dettagli la vita del Che. In questi casi, bisogna muoversi con cautela tra millantatori ed esagerazioni. Ancor più quando i dettagli emersi riguardano invece la scomparsa del guerrigliero: i misteri intorno alle sue ultime ore di vita, alla sua sepoltura, alle strade che hanno preso gli oggetti in suo possesso, spesso diventati macabri cimeli o trofei della guerra fredda. Tenterò di fare ordine anche su queste ultime mosse del fantasma di Che Guevara.

    C’è una citazione del Che, tra le tante, che amo molto e che è stata spesso stimolo per quelle generazioni di manifestanti che hanno punzecchiato la politica e la società italiana dal ’68 in poi. Nel mio piccolo, è stata di ispirazione e la cito spesso in altre mie produzioni, specie quando tratto temi importanti come la mafia nelle mie graphic novel. «Si può essere spontanei e allegri, e allo stesso tempo essere profondi», diceva. In questa frase, viene racchiusa l’essenza duplice, complessa e dunque affascinante del Che: rivoluzionario comunista, guerrigliero, politico, assassino, boia ma anche medico, missionario, volontario militare, teorico del comunismo, uomo per gli uomini, contro l’oppressione e a favore degli ultimi. Tante facce di un mito moderno, da scoprire tra queste pagine.

    Parte prima. 

    Infanzia e giovinezza

    1. Un ragazzino malato nato sulle rive di un fiume

    Ernesto Guevara Lynch, ex studente di architettura argentino di origine irlandese, e Celia de la Serna, una bella donna con sangue nobile e basco nelle vene, si sposarono il 10 novembre 1927. Il 14 giugno 1928 le doglie sorpresero Celia mentre la coppia viaggiava lungo il fiume Paraná, e il piccolo Ernesto vide la luce nella città portuale di Rosario. Il bambino sarebbe dovuto nascere a Buenos Aires, così almeno erano stati informati i parenti. Ma evidentemente Ernesto scalpitava per venire alla luce. Anche se sui tempi qualche conto non torna. Secondo alcune fonti, la data di nascita sui documenti ufficiali venne posticipata perché Ernesto e Celia concepirono il figlio prima del matrimonio¹. Ne sarebbe potuto sorgere un piccolo scandalo: il padre del Che, infatti, all’epoca era un possidente terriero, che viveva un buon momento grazie all’investimento in yerba mate, l’oro verde, da cui viene tratto un infuso simile al tè un tempo bevuto dai gauchos e ormai apprezzato in tutta l’Argentina. Gli affari nella piantagione in gestione nell’Alto Paraná andavano abbastanza bene, per la famiglia Guevara, anche se la fortuna non gli avrebbe arriso per sempre. In cerca di tranquillità, Ernestito e la sua famiglia prima si stabilirono in una villetta in cima alla collina che sovrastava la piantagione, poi trascorsero i primi anni nell’elegante quartiere di San Isidro di Buenos Aires. Sarà lì, l’ultimo giorno dell’anno 1929, che nascerà la secondogenita, Celia. Nel 1930, Ernesto mostrerà i primi sintomi dell’asma che lo tormenterà per tutta la vita. Una tosse fortissima, sudore e occhi lucidi, che avevano convinto i genitori che il primogenito fosse ormai perduto. Fu solo la prima delle tante crisi respiratorie che convinsero i genitori a traslocare verso lidi dal clima più favorevole. Dapprima, scelsero un appartamento più ampio, sempre a Buenos Aires, ma vicino al Parco Palermo, uno dei più grandi parchi cittadini del mondo. Vi si trasferirono poco dopo la nascita del terzo figlio, Roberto. Successivamente, si spostarono ad Altagracia, cittadina di villeggiatura nella Sierra di Córdoba, a seicento metri d’altitudine. I genitori di Ernestito sapevano che quella città era adatta alle esigenze del figlio: non a caso molti malati di asma e tubercolosi soggiornavano lì, anche per lunghi periodi, in cerca di sollievo. La famiglia Guevara vi restò fino al 1943. La salute precaria di Ernesto non gli permise di frequentare la scuola, almeno fino al 1937, quando gli attacchi sembrarono diventare più rari e venne iscritto alla José de San Martín. Grazie all’educazione impartita in casa e alle frequentazioni dei genitori, Ernestito era già un bambino colto e sveglio. Amava molto la poesia e la letteratura e si interessava anche di attualità. Ernesto e Celia conoscevano profughi della guerra civile spagnola e uomini con un passato impegnato nella vita politica del Paese, e il piccolo Che raccolse e assimilò così influenze e opinioni. La madre e la nonna paterna lo educarono all’amore per la natura, e il clima liberale che si respirava in famiglia cominciò a formare lo spirito di Ernesto, al punto che il bambino giocava spesso con coetanei provenienti da famiglie povere. Vennero gettate qui, tra l’affetto e l’educazione dei familiari più prossimi e gli stimoli dell’ambiente circostante, le basi del Che campione degli ultimi. Ma per conoscere meglio la sua infanzia e l’esempio dato dai suoi genitori, è necessario fare un passo indietro, e comprendere chi erano Ernesto Guevara Lynch e Celia de la Serna y Llosa.

    Il padre portava due cognomi con una radice bizzarra, ma allo stesso tempo rappresentativa del melting pot culturale argentino in cui il giovane futuro rivoluzionario crescerà. Il cognome Lynch è irlandese e pare sia riconducibile a una ricca famiglia di Lydican, vicino a Galway.

    La nonna paterna del Che e suo personale idolo, Ana Isabel Lynch, sposò Roberto Guevara Castro (cognome ovviamente destinato a tornare nella vita del Che!²), argentino da dodici generazioni, e morì giovanissima per la febbre gialla. Il sesto dei loro undici figli fu Ernesto Guevara Lynch. Nacque nel 1900, e crebbe con un’idea bizzarra dell’aristocrazia argentina a cui sarebbe appartenuto di diritto. Sebbene la sua famiglia rappresentasse l’unione di due delle più facoltose e potenti famiglie del Paese (il suo bisnonno era uno degli uomini più ricchi del Sud America), l’eredità di Ernesto Guevara Lynch si andava assottigliando per colpa di investimenti poco oculati. D’altro canto, il padre lo esortava alla meritocrazia: «L’unica aristocrazia in cui credo è quella del talento», gli disse una volta quello che sarebbe diventato il nonno del Che. Per di più, l’esempio della famiglia del giovane Ernesto era ben distante dalle agiatezze della vita da salotto degli antenati. Già le famiglie dei suoi genitori erano fuggite dall’Argentina durante la dittatura di Juan Manuel de Rosas³. Avevano raggiunto la California nel pieno del periodo della cosiddetta corsa all’oro, ed era lì che erano nati Ana Isabel e Roberto, rispettivamente nel 1868 e nel 1855. Ernesto crebbe con i racconti della giovinezza della nonna, ricchi di aneddoti su avventure negli spazi sconfinati del Nord America, tra sparatorie, carovane, corse a cavallo nel deserto e assalti degli indiani. Forse è per la sete d’avventura indotta, forse è per un retaggio genetico, che il padre del Che – come il figlio, del resto – si è sempre trovato a suo agio con i viaggi e le imprese. Quest’uomo alto e di bell’aspetto, dai capelli neri, dalla mascella importante, e con sul naso degli occhiali da astigmatico che gli conferivano un’aria dotta e sagace, non riusciva a tenersi a freno neanche negli studi. Cominciò in una scuola statale, proprio seguendo alla lettera lo spirito di uguaglianza sociale instillatogli dal padre Roberto, morto quando Ernesto aveva 19 anni. Poi si iscrisse all’Università, studiando architettura e ingegneria, che all’epoca e in quelle terre di frontiera erano sbocchi per professioni a un passo dall’avventura. Il giovane Lynch lasciò gli studi prima della laurea, tanto era la fretta di mettersi in gioco. Investì dunque l’ormai modesta fortuna ereditata dal padre in una fabbrica di yacht, la Astillero San Isidro, dove lavorò come sovrintendente finché non si annoiò, facendosi convincere da un amico a intraprendere una nuova avventura commerciale, puntando tutto sull’yerba mate. Stavolta al fianco di una bella ragazza di cui si era perdutamente innamorato, Celia de la Serna y Llosa.

    Celia era una ragazza colta e anticonformista, nata il 21 giugno 1906. Di certo la sua fortuna economica e intellettuale era riconducibile anche all’agiatezza in cui aveva vissuto, che ha radici antiche. Nelle sue vene scorreva il sangue dell’ultimo viceré spagnolo di stanza in Perú, il generale José de la Serna e Hinojosa, le cui truppe vennero sconfitte nella storica battaglia di Ayacucho nel 1820, una delle grandi campagne per l’indipendenza del Sud America. Lo stesso padre di Celia, Juan Martín de la Serna, era uno stimato docente di diritto, ambasciatore e politico, erede a sua volta di un ricchissimo possidente terriero. Juan Martín aveva sposato Edelmira Llosa, che aveva dato alla luce sette figli. I genitori morirono quando Celia era ancora bambina: il padre, si dice, buttandosi in mare dopo avere scoperto di essere malato di sifilide. Celia e i suoi fratelli crebbero inizialmente grazie alle cure di una zia materna, molto religiosa, e poi potendo contare sulle attenzioni della sorella maggiore, la più grande della famiglia, Carmen de la Serna. Quest’ultima, dopo una militanza attiva nel Partito Comunista Argentino, nel 1928 sposò il poeta Cayetano Córdova Itúrburu, compagno anche nell’impegno politico.

    Se l’educazione che Celie ricevette da bambina era quella classica cattolica della Scuola del Sacro Cuore di Buenos Aires, fu l’influenza di Carmen e Cayetano a plasmare la Celia adolescente. Presto divenne socialista, femminista e anticlericale. Una ragazza fuori dal tempo, espressione della borghesia illuminata dell’epoca: intelligente, preparata e pronta alle sfide.

    Alcuni tratti erano certamente in comune con Ernesto Guevara Lynch, che Celia, già una bella donna dai capelli neri e gli occhi nocciola, incontrò quando non aveva ancora 21 anni. Secondo la legge argentina, solo a quell’età avrebbe potuto accedere alle fortune di famiglia. Eppure, i due avevano proprio bisogno di soldi. La famiglia di Celia non era granché contenta della passione tra la ragazza e quell’avventuriero spendaccione. E a Ernesto, dal canto suo, il denaro serviva per avviare la nuova attività. Guevara Lynch sapeva infatti che nella provincia di Misiones, remoto angolo della nazione incastonato tra il Paraguay e il Brasile, la terra costava relativamente poco. Il clima era l’ideale per far crescere il mate.

    Si aggiunse però un altro intoppo, per così dire, nella vita dei due ragazzi: Celia scoprì di essere incinta del piccolo Ernesto Guevara, l’uomo che passerà alla storia come el Che. La giovane coppia mise in scena una fuga d’amore, finché la famiglia di lei non si convinse ad approvare il matrimonio. Ottenere l’eredità, invece, non fu così facile: i parenti di Celia finirono davanti al giudice, che acconsentì solo al fatto che la ragazza ottenesse in parte le fortune che le sarebbero spettate. Ma bastava per cominciare una nuova vita, per questa coppia di giovani e bei borghesi anticonformisti. Il 10 novembre 1927 Ernesto Guevara Lynch e Celia de la Serna y Llosa si sposarono, nella casa di una delle sorelle maggiori di quest’ultima. Poco dopo il matrimonio, partirono da Buenos Aires verso l’esotica Misiones. Celia, in grembo, portava un rivoluzionario.

    1 Il mistero intorno alla vera data di nascita del Che è approfondito nel capitolo seguente. Si deve a una delle ricostruzioni più discusse di John Lee Anderson nella sua celebre biografia di Guevara ed è stata contrastata da altri biografi, tra cui Paco Ignacio Taibo ii.

    2 Chiaramente, non vi è nessuna parentela con Fidel.

    3 Soprannominato il Luigi xi della Pampa, fu il principale uomo politico argentino nella prima metà dell’Ottocento. Causò numerosi contrasti nel Sud America, all’epoca sconvolta dalle tensioni tra federalisti (di cui fu leader) e unionisti e dalle spinte indipendentiste. Fu dittatore dell’Argentina dal dal 1829 al 1832 e poi dal 1835 al 1852 e responsabile di feroci massacri contro gli indios nativi. Nel ’35 si nominò tiranno unto dal Signore per la salvezza della patria, sciolse il Parlamento e fondò il Partito Conservatore Apostolico, dando inizio a violente campagne contro gli oppositori unionisti. Fu sconfitto nella battaglia di Caseros da unionisti e ribelli e fuggì in esilio, dove morì nl 1877.

    2. Un pasticcio burocratico e un incidente

    Cascate, fiumi, animali selvatici, il cuore del Sud America, una delle foreste più belle del mondo. Solo indios e missionari gesuiti avevano solcato quei sentieri, prima che la provincia di Misiones diventasse meta dei coltivatori di yerba mate come Ernesto Guevara Lynch. Il padre del Che diceva che in quella landa sperduta «ogni cosa ti attrae e ti affascina. Ti attrae come tutto ciò che è pieno di pericolo e ti affascina come tutto ciò che è travolgente. Nulla è familiare, né il suolo, né il clima, né la vegetazione, né la giungla piena di animali feroci, né i suoi abitanti».

    Era un angolo di paradiso distante dall’Argentina del nuovo secolo che sorgeva nelle città.

    Dopo un Ottocento convulso e segnato da conflitti, dittature, dalla ricerca di un’idea di nazione, l’Argentina del xx secolo aveva cominciato a trovare la sua identità. Gli schieramenti politici principali, il Partito Radicale e il Partito Conservatore, cominciavano a essere ostacolati nel loro duopolio dalle nuove idee provenienti dall’Europa insieme ai numerosi immigrati. Italiani, portoghesi, irlandesi, si mescolavano ai locali, mentre i gauchos, i cowboy delle pampas, lasciavano il posto a uomini d’affari, militari e artisti. Sembrava si stesse svolgendo, con più di mezzo secolo di ritardo, la stessa trasformazione che aveva subìto il far west degli Stati Uniti. La modernità, anche sociale e politica⁴, si faceva strada tra la poesia dei tramonti sulla Patagonia, le generazioni di immigrati consolidavano le proprie vite lungo i decenni, i centri abitati si estendevano trasformandosi in città. Il Sud e il Nord dell’Argentina venivano conquistati al prezzo delle vite degli indigeni, mentre la capitale Buenos Aires diventava un interessante crocevia culturale e sociale, sulle note del tango di Carlos Gardel, all’apice del suo successo. Già dagli anni Settanta dell’Ottocento, periodicamente navi cariche di quanto prodotto nell’entroterra, dalla carne al grano, partivano alla volta del vecchio continente e del Nord America, e la città si arricchiva di architetture neocoloniali. Il resto del Paese, però, non teneva il passo della capitale: malattie, epidemie e povertà erano cosa nota a chi abitava nei palazzi di marmo, ma allo stesso tempo distanti. I diritti civili non erano garantiti alle donne, che vivessero in città o in campagna.

    E le foreste del nord rappresentavano, come diceva lo stesso Guevara Lynch, un’attrazione, una Terra Promessa per gli investitori più coraggiosi… e allo stesso tempo un pericolo.

    Fu in quella terra lussureggiante e fuori dal tempo che il piccolo Ernesto nacque e passò i primi mesi di vita. Su quali siano questi primi mesi c’è un po’ di confusione, dovuta, come accennato, alla volontà dei genitori di allontanare le voci di uno scandalo. I due si erano sposati in gran fretta sette mesi prima della nascita di Ernestito, il 14 giugno 1928. Ma il bambino, in realtà, era nato esattamente un mese prima. La coppia si trovava per qualche giorno nella città di Rosario, lungo il fiume Paraná e non molto distante dalla piantagione dei Guevara, per sondare la possibilità di acquistare una fattoria con un mulino. Celia era già vicina al parto, e quando nacque il piccolo Ernesto, lei convinse un amico medico a falsificare la data di nascita sugli atti ufficiali. Solo un mese dopo il padre avvisò le famiglie a Buenos Aires della venuta al mondo del piccolo primogenito, ufficialmente e per i parenti lontani nato prematuro, di sette mesi.

    Per anni la data di nascita del Che restò confermata negli annali e nelle biografie come il 14 giugno. Secondo alcuni testi più approfonditi (su tutti quello firmato da John Lee Anderson), Celia rivelò la verità solo trent’anni dopo, quando un’amica astrologa non riusciva a capacitarsi di come quel giovane già entrato nella Storia potesse essere del segno zodiacale dei gemelli. Quando l’astrologa mostrò l’oroscopo alla madre del Che, Celia rispose con una sonora risata. E confidò un segreto che già aveva custodito malvolentieri e non era certamente più necessario mantenere: il Che era un Toro. Altri storici (come Paco Ignacio Taibo) hanno spesso trovato frivola e infondata questa ricostruzione.

    Questi dibattiti erano decisamente di là da venire e imprevedibili, nei primi anni di vita di Ernestito. Era un bambino vivace e perfettamente in salute, ma dietro l’angolo si nascondeva una tragedia che avrebbe segnato indissolubilmente tutta la vita di Ernesto Che Guevara. Forse più dell’incontro con Fidel Castro o della decisione di partire per Cuba. Ancor più, probabilmente, dei primi viaggi giovanili all’inseguimento delle miserie sudamericane e dell’avventura. Si tratta di un incidente avvenuto da piccolo, all’età di due anni. Un episodio che ha toccato il giovanissimo argentino sul piano fisico e, con il senno di poi, lo ha segnato nella personalità, caratterizzandone la tempra.

    Era il maggio del 1930. I Guevara avevano temporaneamente lasciato Puerto Caraguataí, da dove Ernesto sr. gestiva la piantagione di mate. Nonostante gli affari non andassero benissimo, la famiglia perseguiva l’avventurosa strategia economica di Guevara Lynch. Ma c’era un’altra urgenza, da curare: il cugino e socio cui l’uomo aveva affidato il cantiere sull’estuario del Río de la Plata, il San Isidro Yacht Club, stava per dichiarare fallimento. Alcuni investimenti poco accorti e un incendio non coperto dall’assicurazione avevano praticamente condannato il cantiere alla chiusura. Forse l’incapacità o la sfortuna imprenditoriale era una caratteristica di famiglia. Tutto sommato, il padre del Che era ottimista: tra le proprietà e le rendite di Celia e i possedimenti a Misiones, si poteva andare avanti. La famiglia poteva concedersi dunque un po’ di relax. Celia, ad esempio, grande appassionata di nuoto, portava con sé il figlio allo yacht club. Fu un errore. In questa fase, le testimonianze e le ricostruzioni prendono due strade diverse. Alcuni ritengono che Celia avesse fatto, come avveniva spesso, un breve bagnetto con il figlio, nonostante l’inverno argentino fosse alle porte. Secondo altre ricostruzioni⁵, mentre il bambino giocava con una palla, la inseguì in acqua e finì quasi per affogare. Comunque sia andata, poco dopo il bagno, Ernestito cominciò a tossire. E la tosse non passò per tutta la notte. Il medico che lo visitò diagnosticò una bronchite, ma le cure non bastarono. Celia, che già soffriva di una leggera asma e di alcune allergie, aveva già chiaro tutto: asma cronica. Forse la polmonite che lo aveva colpito da neonato, forse una predisposizione genetica dal ramo materno, forse il clima umido di Misiones. Di certo, la situazione era stata aggravata da quel bagnetto nell’acqua fredda. I tanti medici consultati per curare il piccolo Ernesto erano quasi sconvolti: non avevano mai visto un bambino con attacchi d’asma così forti.

    Eppure, quel bambino che aveva cominciato a camminare sui suoi piedi prematuramente, rialzandosi ostinatamente a ogni caduta, cercava di resistere. Si aggrappava alla vita anche quando sembrava che gli stesse mancando l’aria, mentre la tensione tra Ernesto e Celia aumentava, con il marito che incolpava la moglie per la sua incoscienza.

    Guevara Lynch però era ingeneroso con la moglie, tormentata dai sensi di colpa: fino ad allora il bambino era stato in perfetta salute e probabilmente la malattia era latente. Sarebbe esplosa da un momento all’altro, e chissà, forse molto presto, nel clima umido di Puerto Caraguataí. Per questo, la coppia decise di mollare gli affari e le situazioni in sospeso, di lasciare Misiones e tornare a vivere a Buenos Aires. Vi restarono per poco tempo: l’asma sembrava non voler passare, gli attacchi si placavano solo temporaneamente. I genitori del piccolo Ernesto vivevano nell’ansia, ogni notte si davano il turno per ascoltare il respiro del figlio. Celia, la prima sorella del Che, dirà che «la sua asma era così terribile che i miei genitori pensarono che sarebbe morto». La consapevolezza di vivere tormentato da fortissimi attacchi certamente ha contribuito a rendere il Che uno scavezzacollo. Piuttosto che restare intrappolato nella bambagia e tra gli agi, ha sempre voluto dimostrare di essere in grado di affrontare qualunque cosa. Sia che si trattasse di attività sportive, di avventure nella foresta come negli altipiani, o di guerriglie e traversate in mare.

    In quegli anni, i Guevara non si limitavano a preoccuparsi: annotavano qualunque cosa potesse tornare utile a prevedere o interpretare i sintomi e le condizioni. Ogni giorno, in un taccuino, appuntavano il tasso di umidità nell’aria, la temperatura, l’abbigliamento di Ernestito. Ma «l’asma è una malattia capricciosa», come avrebbe detto anni dopo Guevara Lynch. Ogni asmatico ha caratteristiche diverse, ogni rimedio va soppesato, ogni medico ha una ricetta, ogni ciarlatano ha un miracolo. Come quello che suggerì di infilare un gatto tra le coperte del bambino, mentre dormiva. Il risultato fu che la bestiola morì soffocata e il piccolo Ernesto aveva ancora la sua asma.

    Dopo vari appartamenti a Buenos Aires, la loro casa diventò un hotel ad Argüello, nella provincia di Córdoba. La speranza era che l’aria asciutta proveniente dalle Ande potesse mitigare le condizioni del bambino. Ma anche lì, i Guevara resteranno poco: un medico li convinse a trasferirsi ad Alta Gracia, cittadina termale su una collina ai piedi delle Sierras Chicas⁶, pochi chilometri a sud di Córdoba. Si stabilirono inizialmente in un albergo e le condizioni del bambino migliorarono presto. Ernestito arrivò ad Alta Gracia all’età di cinque anni, per lasciarla quando ne aveva ormai diciassette.

    4 L’Argentina fu il primo Paese del Sud America a introdurre il suffragio universale maschile, nel 1912. Il diritto di voto fu esteso alle donne nel 1947.

    5 Tra queste, segnaliamo quella di Alberto Mattei in Ernesto Che Guevara, una vita per la libertà (Newton Compton, Roma 1997).

    6 Si tratta di una catena montuosa che circonda la città di Córdoba, la cui altezza può raggiungere circa i duemila metri.

    3. Teté e Fuser

    A Córdoba, Ernesto Guevara Lynch aveva ripreso a lavorare, scoprendo ancora una volta una nuova professione. Ripescando le sue esperienze al molo e adattandole alla circostanze, riprendendo la preparazione universitaria come architetto, ottenne un prestigioso incarico da supervisore dei cantieri nella società di un amico. Aveva trovato per la propria famiglia una casa di più piani nel quartiere di Villa Pellegrini, un bel palazzo che sovrastava tutta la via Avellaneda. Poco più in là si estendeva una reducione di indios, un agglomerato di tuguri.

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