Maggie. Ragazza di strada e altre storie newyorkesi
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Stephen Crane
Stephen Crane (1871-1900) was an American poet and author. Along with his literary work, Crane was a journalist, working as a war correspondent in both Cuba and Greece. Though he lived a short life, passing away due to illness at age twenty-eight, Crane’s literary work was both prolific and highly celebrated. Credited to creating one of the earliest examples of American Naturalism, Crane wrote many Realist works and decorated his prose and poetry with intricate and vivid detail.
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Anteprima del libro
Maggie. Ragazza di strada e altre storie newyorkesi - Stephen Crane
Stephen Crane
Maggie. Ragazza di strada e altre storie newyorkesi
DARCY
Collana di anglistica
Direzione
Alessandro Gebbia (Università La Sapienza
di Roma)
Fiorella Gabizon (Università La Sapienza
di Roma)
Comitato scientifico
Gioia Angeletti (Università di Parma), Roberto Baronti Marchiò (Università di Cassino), Beatrice Battaglia (Università Alma mater studiorum
di Bologna), Riccardo Capoferro (Università La Sapienza
di Roma), Franca Dellarosa (Università Aldo Moro
di Bari), Keir Elam (Università Alma mater studiorum
di Bologna), Hans Ulrich Gumbrecht (Stanford University), Tiziana Morosetti (Goldsmiths, University of London), Enrico Terrinoni (Università per stranieri di Perugia)
I testi scientifici della collana sono sottoposti a double blind peer review
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Ottobre 202 2
Rogas Edizioni
© Marcovaldo di Simone Luciani
viale Telese 35
00177 – Roma
e-mail info@rogasedizioni.net
sito web: www.rogasedizioni.net
Facebook: Rogas Edizioni
Instagram: @rogasedizioni
ISBN: 9788845294778
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Indice
Introduzione - di Mario Maffi
Nota alla traduzione
MAGGIE. RAGAZZA DI STRADA
STORIE NEWYORKESI
Il furgone guasto
Un bimbetto preoccupante
Un grosso errore
Quando cade qualcuno, si raduna una folla
Un esperimento in tema di miseria
Un esperimento in tema di ricchezza
Uomini nella bufera
Introduzione - di Mario Maffi
I
Tra la fine di febbraio e i primi di marzo del 1893 (la data esatta risulta incerta), uscì a New York, per i tipi di una piccola casa editrice specializzata in testi medici e opuscoli religiosi, un breve romanzo intitolato A Girl of the Streets. A Story of New York. Costava cinquanta centesimi e a pubblicarlo a proprie spese era un autore sconosciuto, certo Johnston Smith. Il romanzo non ebbe successo e, delle 1100 copie stampate, l’autore ne tenne una per sé, ne regalò un centinaio ad amici e parenti, distrusse le rimanenti.
Johnston Smith in realtà non esisteva. Esisteva però il giornalista nemmeno ventiduenne Stephen Crane, che – dopo aver proposto invano il romanzo a editori e direttori di riviste – aveva deciso di ricorrere a quello pseudonimo: «Johnston», perché aveva un amico di nome Johnson (al quale volle semplicemente aggiungere una t), e «Smith», perché – disse – così sarebbe scomparso nella folla di chi portava un cognome tanto comune. Nella vita come nell’opera, il modo di fare ironico e fuori dagli schemi avrebbe sempre costituito la cifra di Crane.
Il motivo principale dei rifiuti e dell’insuccesso iniziale, al di là della problematica identità dell’autore, della sua giovane età e della sua ancora verde carriera di giornalista, è presto detto: il tema trattato era quello, certo non nuovo, ma per la prima volta affrontato senza il sentimentalismo allora dominante in questo genere, della progressiva discesa nella prostituzione di una ragazza dei bassifondi newyorkesi.
Poco più di due anni prima, un immigrato dalla Danimarca di nome Jacob A. Riis aveva pubblicato un ampio reportage, accompagnato da sconvolgenti fotografie, sulla vita in quegli stessi bassifondi – testo e immagini destinati a restare famosi nella storia sia dell’indagine sociologica sia della fotografia sociale: How the Other Half Lives. E, tra il 1889 e il 1890, prima a puntate su «Harper’s Weekly» e poi in volume presso la Harper & Bros., era uscito un romanzo-chiave nella narrativa sulla città americana: A Hazard of New Fortunes, scritto da un autore e critico già celebre nel mondo delle lettere statunitensi, William Dean Howells, che in seguito sarebbe diventato uno dei sostenitori più convinti del giovane autore sconosciuto. La metropoli moderna, in quegli anni di fine secolo, occupava sempre più il centro della cultura americana.
Dopo quel primo infelice tentativo, Stephen Crane non smise di scrivere: tornò al giornalismo, collaborò ad alcune testate importanti, pubblicò articoli e sketches. Passarono due anni, e il giovane autore si ripresentò al pubblico con il proprio nome e con un romanzo di tutt’altro argomento (sebbene fra le due opere non mancassero punti di contatto): The Red Badge of Courage. Questa volta, il successo arrivò e fu grande: il romanzo, ambientato all’epoca della Guerra Civile (1861-1865), di cui Crane aveva potuto solo leggere e udire i racconti scritti e orali, colpì pubblico e critica per lo stile adottato e per la storia narrata – quella di un semplice soldato travolto dal vortice bellico e impegnato a sopravvivere a esso, sia fisicamente che psicologicamente [1] .
A quel punto, la sfortunata opera prima uscì dal dimenticatoio: con sparse modifiche per lo più linguistiche, che comunque non intaccavano la prepotenza della vicenda e la novità dello stile, nel 1896 il romanzo fu ripubblicato, questa volta da una casa editrice importante nel panorama editoriale newyorkese (la Appleton), con il vero nome dell’autore e con quello della protagonista aggiunto al titolo originario: per l’appunto, Maggie. Al di là del rinnovarsi dello scandalo, la critica non tardò a indicare in Crane un’autentica promessa, in un mondo delle lettere americano che stava affrontando, non senza difficoltà, il difficile trapasso (economico, sociale, ideologico) da un secolo all’altro, e da una società essenzialmente agricola a una urbana.
Nello stesso 1896 che vide il riaffiorare di Maggie, un altro romanzo e un altro autore s’imposero al pubblico e alla critica, di nuovo sollecitata da Howells: Yekl. A Story of the New York Ghetto, di Abraham Cahan – un romanzo che, esplorando dal di dentro il territorio fisico, culturale, linguistico dell’immigrazione nella metropoli statunitense di fine Ottocento, è unanimemente considerato il punto d’avvio della narrativa ebraico-americana. E appena quattro anni più tardi, un coetaneo di Crane, Theodore Dreiser, dovrà battersi con decisione per riuscire a pubblicare, contro i ripensamenti e il vero e proprio boicottaggio da parte dell’editore che pure aveva inizialmente accettato il romanzo, un nuovo, drammatico ritratto di donna, destinato alla fama: Sister Carrie.
Ma chi era Stephen Crane?
II
Nato a Newark (New Jersey) nel 1871 in una famiglia di stretta osservanza metodista, non priva però di aperture al mondo, e nono e ultimo sopravvissuto di una nidiata di quattordici fratelli e sorelle falcidiati da malattie e morti, Stephen detto Stevie, gracile e malaticcio, rivelò un’intelligenza viva e precoce. Rimasto orfano di padre all’età di otto anni, fu allevato dalla sorella Helen, maestra, e dal fratello Townley, giornalista, ad Asbury Park, sempre nel New Jersey. Altri lutti familiari si susseguirono in quegli anni, mentre Stephen affrontava, a fasi alterne, il curriculum scolastico e in seguito universitario: prima al seminario di Pennington, poi al collegio militare di Claverack (dove si distinse soprattutto nelle esercitazioni e nel gioco del baseball) e infine alla Syracuse University, che abbandonò però nel 1891. Nel frattempo, aveva cominciato a lavorare nell’agenzia giornalistica del fratello Townley, e a scrivere articoli di vario interesse per la stampa locale e per il «New York Tribune»; ed era diventato amico dello scrittore realista Hamlin Garland, che, insieme al critico e scrittore William Dean Howells, ebbe un ruolo decisivo nell’indirizzarlo verso la letteratura. Nei primi anni Novanta, Crane visse fra Paterson, Asbury Park e New York [2] e cominciò la stesura del romanzo che sarebbe diventato Maggie: a New York, aveva preso a frequentare la bohème artistica e l’universo irregolare dei quartieri immigrati e popolari, traendone intense suggestioni, condividendone aneliti e frustrazioni e criticando con forza la gonfia ma vuota retorica del giornalismo contemporaneo.
L’ultimo decennio del secolo, che sarebbe stato anche l’ultimo suo decennio, lo vide coinvolto in almeno tre scandali: una relazione con una donna sposata, un «caso giudiziario» in cui prese apertamente le parti di una giovane accusata di adescamento subendo poi le conseguenze di quest’atto coraggioso e infine l’incontro con Cora Taylor, donna ribelle e avventurosa, già proprietaria di un postribolo di lusso in Florida, che diventerà la sua compagna di vita, condividendone molte delle esperienze degli ultimi anni, oltre alla passione per la scrittura e il reportage [3] .
A Maggie, seguirono dunque il celebre The Red Badge of Courage, che nel 1895 gli guadagnò l’amicizia di importanti scrittori americani e inglesi, il romanzo George’s Mother (1896), due raccolte di racconti ( The Open Boat del 1898 e The Monster del 1899) e due di poesie ( The Black Riders, del 1895, e War Is Kind, del 1899)… Anni d’intensa produzione letteraria, dunque, ma anche di intense esperienze. Lottando contro l’incipiente tubercolosi, Crane non s’impegnò solo in un faticoso tour attraverso gli Stati Uniti (e il Messico), ma anche in una rischiosa attività di corrispondente di guerra sui fronti caldi del tempo (nel 1897-98, il conflitto ispano-americano e, nel 1898, quello greco-turco), traendone reportage efficaci per le principali testate dell’epoca. Durante il primo, l’imbarcazione su cui Crane viaggiava diretto a Cuba naufragò e lo scrittore rimase per due giorni in balia delle onde – vicenda che tradusse poi letterariamente nel racconto The Open Boat; durante il secondo, Stephen e Cora viaggiarono insieme in Grecia e furono testimoni di alcune delle battaglie principali (con lo pseudonimo di «Imogene Carter», Cora divenne una delle prime corrispondenti di guerra, per il «New York Journal»).
Di ritorno dalla Grecia e da Cuba, i due si sistemarono in Gran Bretagna, a Brede Place, un maniero costruito nel Sussex nel XIV secolo, dove furono spesso ospiti Joseph Conrad, Henry James, Herbert G. Wells, e altri artisti inglesi, amici ed estimatori di Crane. Ma le condizioni di Stephen peggiorarono velocemente: con Cora, si traferì, nel maggio 1900, a Badenweiler, nota stazione termale della Foresta Nera, in Germania, nella speranza di riprendersi. Ma il 5 giugno, Stephen Crane si spense, lasciando incompiuto il suo ultimo lavoro, The O’Ruddy. Non aveva ancora ventinove anni.
III
Maggie. A Girl of the Street, il romanzo che lo seguì ( George’s Mother) e numerosi fra gli sketches urbani pubblicati da Crane in quegli stessi anni, sono ambientati nel Lower East Side di New York, il «cancello d’ingresso all’America»: l’ampia area di Manhattan compresa fra la East 14th Street, l’East River, le rampe d’accesso al Brooklyn Bridge e le arterie della Bowery e della Third Avenue. Per decine di migliaia di immigrati, questo esteso quartiere fu il luogo in cui confrontarsi con l’America: un territorio di affollati casermoni popolari ( tenements), di inevitabili tensioni, di intenso sfruttamento di uomini, donne, bambini nella miriade di laboratori, fabbriche e fabbrichette o nella cosiddetta «industria domestica»; ma anche, oltre gli steccati rappresentati da differenti lingue, tradizioni, provenienze, età, un territorio di diffusa combattività e di straordinaria vitalità artistico-culturale.
In particolare, la lunga arteria della Bowery rappresentava una sorta di emblematica sintesi delle contraddizioni del quartiere, e più in generale di downtown Manhattan. Già via ricca ma da tempo abbandonata da una upper middle-class in ascesa, la Bowery era divenuta un’area di disperata marginalità, punteggiata da flop/houses, dormitori e «case di carità» per senzatetto, vagabondi e alcolizzati all’ultimo stadio, da banchi di pegno, bordelli d’infimo grado e fumerie d’oppio – spesso, il porto finale per un’umanità svuotata, maciullata ed espulsa dai meccanismi del mercato [4] . Ma era anche sede di una ribollente cultura popolare, che annoverava – insieme a birrerie tedesche, trattorie italiane e cinesi, saloons irlandesi, sale da ballo con o senza particolari connotati etnici – teatri importanti come il Thalia, il Bowery Theatre, il Miner’s: palcoscenici dove si alternavano celebri attori shakespeariani, interpreti di melodrammi d’importazione, nomi noti del teatro yiddish, personaggi del West come Buffalo Bill e Wild Bill Hickock. E poi music-halls, musei di attrazioni varie (dai piccoli dime museums al grande American Museum di P. T. Barnum), le penny arcades e i primi kinetoscope e nickelodeon, avventurosi precursori del cinema… E proprio la Bowery e gli immediati dintorni, Crane frequentò per lunghi periodi, assorbendone lo «spirito», i drammatici contrasti e in particolare l’irrisolto conflitto fra culture popolari nate dall’incontro e dall’intersezione di tante tradizioni e suggestioni, e cultura dominante [5] .
Furono anni di trapasso convulso, nelle metropoli statunitensi come in quelle europee: e artisti e intellettuali, giornalisti e sociologi, riformatori e predicatori di varie confessioni, scoprivano gli slums, i bassifondi, i «quartieri poveri» [6] . Molto spesso, questo slumming era caratterizzato dalla propensione (sovente carica di ipocrisia e sensi di colpa, di malcelata preoccupazione o addirittura di aperta ostilità) al sentimentalismo e al sensazionalismo. Crane seppe tenersi lontano da entrambi: volle anzi, con la sua vita e con la sua opera, combatterli con decisione. Dopo di lui, e con accenti diversi, si sarebbe sviluppato il filone del muckraking, il giornalismo d’indagine e denuncia che tanto influenzò la letteratura del tempo (si pensi all’indagine appassionata di Jack London sull’East End londinese The People of the Abyss, del 1903, e al poderoso romanzo di Upton Sinclair The Jungle, del 1906, ambientato a Chicago) [7] . E, ormai dentro al Novecento, ci sarebbe stato il fiorire della bohème letteraria, artistica, teatrale del Greenwich Village (per esempio, nell’opera del primo John Reed si possono cogliere punti in comune con quella di Stephen Crane) [8] .
IV
All’uscita di Maggie, Crane fu salutato (e in parte continua a essere considerato) come un antesignano del naturalismo nella letteratura statunitense: un seguace, insomma, di Zola [9] . Non c’è dubbio che nel romanzo si narri di un ambiente che, in un procedere inarrestabile di disgrazie (la miseria, l’alcolismo, la