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Il bacio di un visconte: Le Figlie dell'Aristocrazia, #1
Il bacio di un visconte: Le Figlie dell'Aristocrazia, #1
Il bacio di un visconte: Le Figlie dell'Aristocrazia, #1
E-book413 pagine5 ore

Il bacio di un visconte: Le Figlie dell'Aristocrazia, #1

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Info su questo ebook

Un bacio è solo un bacio... o no? Avendo appena ereditato da suo zio il titolo di visconte, George Bennett-Jones viene incoraggiato dalla sua amante a trovare una sposa, preferibilmente la figlia di un aristocratico. Attraverso una serie di lezioni, la donna insegna a George le regole fondamentali per conoscere e corteggiare una dama del ton. E ne ha una in mente proprio per lui.
Quando George vede Lady Elizabeth Carlington ballare con il conte di Trenton, è amore a prima vista. Ma la bellezza dai capelli ramati è abbastanza sicura che il conte chiederà la sua mano, e ha tutte le intenzioni di accettare, anche se il suo bacio è simile a quello del cane della sua migliore amica!
Quando Elizabeth menziona lo sfortunato bacio durante la cena del ballo, George le fa capire che baciare è un'arte e innocentemente si offre di sostituire il ricordo della sua prima, misera esperienza con un vero bacio. Incuriosita e ignara del fatto che George non è solo un visconte ma anche un mecenate segreto del suo ente di beneficenza, Elizabeth accetta la sua offerta. George è più che felice di accontentarla. Il suo bacio ha un effetto così sbalorditivo ed eccitante sulla figlia del marchese, da spingerla a fargli un'altra richiesta piuttosto inaspettata, quella che dà a George una possibilità contro il conte di Trenton dai capelli biondi e dagli occhi azzurri.
La serata che ha programmato per Elizabeth la convincerà ad accettare la sua mano in matrimonio? O semplicemente le lascerà solo il vivido ricordo di cosa si perderebbe se accettasse la proposta di matrimonio del conte? Le lezioni di un'amante si rivelano preziose in Il bacio di un visconte.

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita17 ago 2023
ISBN9781667447537
Il bacio di un visconte: Le Figlie dell'Aristocrazia, #1

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    Anteprima del libro

    Il bacio di un visconte - Linda Rae Sande

    CAPITOLO 1

    UN VISCONTE E LA SUA AMANTE

    Josephine Wentworth stava leggendo l'ultimo saggio sui fallimenti della monarchia in Francia, quando qualcuno si schiarì la gola. Sollevò lo sguardo e vide il maggiordomo in piedi sulla soglia del salotto, le mani unite dietro la schiena.

    «Si, Frederick?» disse, un po' sorpresa dalla sua improvvisa apparizione. Si chiese da quanto tempo stesse cercando di attirare la sua attenzione. D'altra parte, il saggio era interessante e davvero ben scritto.

    «Mr. Bennett-Jones è venuto a farvi visita. Devo dirgli che oggi non ricevete?» le chiese il maggiordomo, sapendo perfettamente che Josephine avrebbe accolto l'ospite, come sempre. In quanto amante dell'uomo, ci si aspettava che lo facesse.

    «Sembra...sconvolto» aggiunse il servitore, la sua esitazione evidente.

    Sapeva che non era suo compito commentare lo stato d'animo dei visitatori, ma pensò che in quel caso fosse meglio avvisarla.

    Josephine mise da parte il saggio e si alzò in piedi, lisciandosi le gonne e sforzandosi di mascherare la preoccupazione. Raramente George si lasciava turbare da qualcosa, dunque, se Frederick aveva visto giusto, allora c'era qualcosa che non andava.

    «Ci penserò io. Potresti portare il tè, per favore? E magari anche del brandy» aggiunse, nel caso fosse davvero necessario. George non era tipo da arrabbiarsi facilmente. Viveva una vita piuttosto tranquilla, se non proprio noiosa. Preciso come un orologio, le sue visite bisettimanali avevano luogo sempre negli stessi giorni e alla stessa ora. Eventuali modifiche a quel programma erano dovute ai suoi viaggi occasionali nella tenuta di famiglia in campagna oppure ad un allenamento di scherma alla Angelo's Academy.

    Forse, era lì per porre fine alla loro relazione, pensò Josephine. Oppure aveva incontrato una donna da corteggiare. Aveva sempre detto che, se si fosse sposato, non avrebbe più mantenuto un'amante.

    Si affrettò verso il piccolo ingresso dell'elegante residenza e trovò George con la schiena appoggiata alla porta, il cappello in mano, gli occhi blu scuro chiusi. Appariva smunto, le guance incavate, le occhiaie. Non era un uomo particolarmente bello, e, con quell'espressione di dolore stampata sul viso, lo sembrava ancora meno. Ma, quando sorrideva, Josephine pensava che fosse uno degli uomini più belli di Londra. Portava i capelli color zibellino tagliati corti: a volte erano pettinati in avanti, a volte erano arruffati per la sua abitudine di passarci le dita. Era alto sei piedi e la corporatura era quella di uno schermidore, magro ma scolpito e muscoloso, le spalle larghe e il petto ampio che si assottigliava nella vita sottile. I calzoni di pelle di daino, quelli che preferiva indossare, gli calzavano come se li avesse cuciti Weston in persona e il soprabito blu navy era di finissima qualità. L'abbronzatura dovuta al tempo trascorso all'aperto gli conferiva un aspetto ben poco aristocratico.

    D'altra parte, George non era un aristocratico. Non fino a quella mattina, almeno.

    Josephine gli volò tra le braccia.

    «Oh, George, cos'è successo?» sussurrò in tono comprensivo. Lo sentì premere il viso contro i suoi capelli, mentre la stringeva così forte da impedirle di respirare. Il suo cuore sembrava battere più veloce del solito.

    La tenne così per diversi secondi prima di risponderle.

    «Mio zio è morto» gracchiò, la voce così roca che Josephine non la riconobbe. Si appoggiò di nuovo alla porta, come se avesse bisogno di un sostegno per restare in piedi.

    Negli otto anni della loro relazione, non lo aveva mai visto così...sconvolto, esattamente come aveva detto Frederick. Lasciò che continuasse a stringerla, proprio come facevano nelle notti che trascorrevano nel suo letto, quando si tenevano stretti dopo aver fatto l'amore in modo frenetico, come se, separandosi, rischiassero di perdersi.

    Le ci volle un po' per comprendere l'implicazione della notizia. Mio zio è morto. Joseph Bennett-Jones, visconte Bostwick. La moglie era morta di parto poco dopo il matrimonio, mentre il figlio, sopravvissuto alla nascita, era perito a causa delle febbri all'età di quattro anni. Il visconte non si era mai risposato, e, per alcune Stagioni, era girata voce che preferisse la compagnia degli uomini. George era il suo unico nipote, ed era orfano da quando aveva dodici anni, dunque era stato l'erede dello zio per quasi vent'anni.

    Adesso, era visconte Bostwick.

    Alzando la testa per guardarlo, Josephine gli strinse gentilmente una spalla, poi gli avvolse una mano intorno alla guancia.

    «Mi dispiace molto per la tua perdita...milord» sussurrò, ricordandosi solo all'ultimo momento di aggiungere il nuovo titolo.

    Irritato, George risucchiò il respiro tra i denti.

    «Josie, per favore, non chiamarmi così» mormorò, nella voce una nota di disprezzo. Una cosa era svegliarsi e scoprire di essere diventato visconte; un'altra affrontare le conseguenze del cambiamento. Non era ancora pronto, neanche a sentire il nuovo titolo accanto al suo nome.

    «Venite. Beviamo un po' di tè» lo invitò, sciogliendosi dall'abbraccio e prendendogli la mano. Ne baciò il palmo, mentre lui le avvolgeva un braccio intorno alle spalle e si lasciava guidare in salotto. Una lista di cose da fare nel caso di morte di un pari del regno le ronzavano nella mente.

    «Avete bisogno di aiuto per organizzare il funerale?» gli chiese a voce bassa, sedendosi su una poltrona. Si aspettava che George occupasse la poltrona vicina, invece si appollaiò tra lei e il bracciolo, stringendola a sè. Josephine considerò l'idea di protestare, ma ci ripensò. Se si fosse allontanata, lui sarebbe scivolato.

    «Se ne sta occupando Peters» rispose lui, riferendosi all'amministratore dello zio «Gli ho chiesto di restare finchè non avrò imparato tutto ciò che mi serve. E, anche in quel caso, potrei aver bisogno di tenerlo con me per gestire le proprietà nel Sussex mentre sono in città. Mio zio era di manica piuttosto stretta, dunque immagino abbiano tutte bisogno di riparazioni. Anche la residenza a Mayfair deve essere ristrutturata. Assumerò qualcuno per supervisionare i lavori il prima possibile».

    Josephine si chiese cosa intendesse George quando parlava di «imparare». A gestire la proprietà, senza dubbio: lo zio possedeva terre nel Sussex, diverse miniere di gesso e una casa in campagna vicino Chichester. La casa di città che aveva menzionato era a Park Lane e, in effetti, richiedeva una ristrutturazione.

    Ma che dire della politica? Con il titolo di visconte, George ereditava anche un seggio in Parlamento, dunque avrebbe avuto bisogno di essere informato sulle questioni di maggior attualità.

    «Allora partirai per il Sussex?» gli chiese, posandogli la testa su una spalla.

    «Tra qualche mese. Io...passerò l'estate lì e tornerò a Londra in autunno, per le sedute del Parlamento. Per allora, la casa di città dovrebbe essere pronta». George fece una pausa per posarle un bacio sui capelli «Ovviamente, verrai con me» dichiarò, e non era un invito.

    Josephine inspirò bruscamente, un po' sorpresa. C'era stata solo un'altra volta in cui lui si era aspettato che lo seguisse. Era capitato all'inizio della loro relazione e l'aveva portata nella tenuta di campagna, dove si erano trattenuti due intere settimane, trascorrendo le giornate a cavallo e a fare lunghe passeggiate, e le notti in camera da letto. Si era chiesta a lungo perchè George avesse ritenuto necessario portarla con sè, ed era giunta alla conclusione che si fosse trattato solo di un capriccio. All'epoca, lo zio era piuttosto severo con lui: gli vietava di frequentare bordelli e case da gioco e centellinava il denaro per assicurarsi che il nipote imparasse a rispettarlo. Al contrario, lo incoraggiava ad imparare a tirare di scherma e a sparare, attività che non costavano molto. Solo dopo qualche anno Josephine aveva capito il motivo.

    Joseph Bennett-Jones era un avaro.

    La sua unica spesa per George, oltre a quelle per mandarlo a Eton e poi a Cambridge, era stata per procurargli un'amante.

    «Sei...sicuro?» gli chiese, la voce appena un sussurro. Oltre a quelle due settimane, Josephine era andata nella sua casa di campagna per altri soggiorni più brevi, ma in quei casi George aveva lasciato a lei la decisione di seguirlo o meno. In quelle occasioni, era stata libera di vagare per la tenuta quando lo zio non aveva ospiti.

    Amava le lunghe passeggiate o le cavalcate sulle dolci colline e nei boschi che circondavano la casa. Diversamente, trascorreva le giornate in una suite che condivideva con George in un'ala al secondo piano, la sua presenza ignota a chiunque a parte George stesso, lo zio e alcuni membri della servitù.

    «Senza di te morirò di noia. Anche se...» George si interruppe, come se avesse appena avuto un'idea «...adesso che ho accesso ad una buona quantità di denaro, suppongo di poter finalmente fare in modo che alcune cose vengano cambiate, laggiù. Migliori alloggi per i minatori, più soldi all'orfanotrofio, sostituzione del tetto della chiesa. Cose del genere». Prese un respiro profondo e annuì a se stesso «Inoltre, devo assumere qualcuno che mi informi su quello che sta succedendo nel governo del paese» concluse, e l'accenno di sorriso che gli curvò le labbra le disse che i pensieri tristi erano svaniti.

    Anche Josephine sorrise. Seguiva tutti gli eventi del Parlamento, era abbonata a tre giornali ed era sempre informata sull'attualità e sugli ultimi pettegolezzi. Se c'era qualcuno in grado di 'istruire' George, quella era lei.

    «Sposami, Josie» disse lui, improvvisamente serio, stringendole una mano tra le proprie «Per favore».

    Non era la prima volta che glielo chiedeva. Josephine raddrizzò la schiena e si voltò per guardarlo negli occhi.

    «George...sai bene che non posso. Sono la tua amante. E ho cinque anni più di te. Devi sposare una donna che possa darti un erede» gli spiegò pazientemente, come aveva già fatto quattro o cinque volte nel corso degli anni. Una di quelle volte, tuttavia, era stata tentata di accettare la proposta, ma solo perchè aveva pensato di essere incinta di suo figlio. Alla fine, si era rivelato solo un ritardo del ciclo mensile, eppure l’aveva aiutata a capire molte cose. La verità era che non intendeva rinunciare alla libertà di cui godeva pur essendo la sua amante da tanti anni, e che non voleva un figlio con lui. Aveva altri progetti per il futuro, un futuro che coinvolgeva un uomo diverso. Se quell'uomo del suo passato l'avesse ancora voluta in moglie, come affermava in ogni lettera che Josephine aveva ricevuto da lui nel corso degli anni, allora avrebbe accettato di sposarlo, una volta sicura che lui si fosse fatto strada nel mondo.

    «Devo?» ribattè George, assumendo di nuovo la sua espressione da cane bastonato.

    Josephine gli rivolse un debole sorriso e annuì.

    «Quando arriveremo in campagna, avremo molto da fare» mormorò, e, davanti all'espressione interrogativa di George, aggiunse «Devi prepararti alla piccola Stagione e a corteggiare una signora rispettabile e influente». Non approfondì l'argomento, ma il fatto che lui fosse diventato un visconte cambiava molte cose, incluso il modo in cui interagire con le signore del ton. Data la sua età e la necessità di iniziare ad avere figli, George avrebbe avuto bisogno di una moglie il prima possibile. Dopo tanti anni con la stessa amante, il suo interesse per le donne si era affievolito ed era il momento che imparasse un po' di più sul genere femminile. Ciò significava che Josephine doveva insegnargli come accontentare una donna a letto -e fuori da esso- per assicurarsi che la moglie non rivolgesse altrove le proprie attenzioni. Come amante, lui era piuttosto abile, questo non si poteva negare, ma mostrava qualche carenza nel modo in cui usava gli occhi e la voce per flirtare. A volte, era molto impaziente nei preliminari. E le sue carezze quando era eccitato erano forse un po' troppo audaci.

    Deglutendo a fatica, George annuì.

    «Allora, fammi una promessa, Josie» sussurrò, posandole una mano sulla vita. Quando lei annuì, disse «Rimarrai la mia migliore amica fino al giorno della mia morte».

    Josephine Wentworth lo fissò a lungo prima di chinarsi per baciargli una guancia. Una richiesta facile da accontentare.

    «Fino al giorno della mia morte» promise. Poi lo baciò di nuovo.

    CAPITOLO 2

    UN CONTE INCONTRA UNA LADY

    Inizio giugno 1815

    Lady Elizabeth Carlington incontrò il conte di Trenton all'ultimo ballo della stagione.

    Dopo averla vista scendere le scale che conducevano nell'elegante sala da ballo, Gabriel Wellingham, conte di Trenton, si fece largo tra la folla per andarle incontro, si inchinò sulla sua mano - che egli stesso recuperò dal suo fianco perchè lei, sorpresa, non gliel'aveva offerta - e la baciò. Prima che Elizabeth avesse il tempo di rivolgergli un inchino, una manovra pressoché impossibile dato che era ancora sull'ultimo gradino e non aveva spazio per muoversi, Gabriel le chiese di riservargli un ballo.

    Lady Elizabeth quasi accettò. Come poteva rifiutare un conte celibe, i cui capelli biondi e ricci, gli occhi azzurri e i bei lineamenti facevano sbattere le ciglia a tante debuttanti che quasi svenivano in sua presenza? Tuttavia, lo aveva visto eseguire la stessa manovra con un'altra giovane donna solo pochi istanti prima dal suo punto di osservazione privilegiato in cima alle scale, quindi decise che sarebbe stato meglio saperne un po' di più sul conte prima di concedergli un ballo.

    Dopo che una delle amiche sposate di Elizabeth ebbe fatto delle formali presentazioni, Gabriel sembrò ancora più interessato. Nel sapere che era la figlia del marchese di Morganfield, il suo volto si illuminò, e una persona più cinica avrebbe riconosciuto quell'espressione per quella che era.

    Predatoria.

    «Lady Elizabeth, è davvero un onore fare la vostra conoscenza» disse, inchinandosi sulla sua mano guantata e sfiorandole ancora una volta le nocche con le labbra.

    «Lo è anche per me, milord» rispose lei, un po' fredda. Sbattè due volte il ventaglio che teneva nella mano sinistra, prima di chiuderlo con uno scatto, mentre sosteneva lo sguardo dell'uomo «Siete in città da poco?». Non l'aveva visto a nessuno dei balli o delle serate che si erano tenuti in primavera. Forse, aveva assunto da poco il titolo di conte.

    «Solo dalla settimana scorsa, milady» confermò Gabriel con un cenno del capo «Ho ereditato la contea di Trenton l'anno scorso, alla morte di mio padre». Davanti all'adeguato sguardo di tristezza di Elizabeth, aggiunse «Ho trascorso il periodo di lutto lontano da Londra, finchè il mio avvocato non ha richiesto la mia presenza qui». Le parole furono pronunciate senza inflessioni di dolore, segno che il periodo di lutto era davvero finito, se mai il conte avesse davvero pianto la morte del padre.

    «Mi dispiace per la vostra perdita» rispose Elizabeth con un cenno solenne. Aveva sentito parlare della contea di Trenton, e sapeva che era una delle più ricche della Gran Bretagna. E poi ricordò come si era affrettato a raggiungerla ai piedi delle scale. L'aveva cercata. Oppure aveva trovato il suo aspetto così gradevole da dare spettacolo davanti agli ospiti di lord Esterly non solo una, ma diverse volte. Considerando buone la sua dizione e le sue maniere, e ritenendolo l'uomo probabilmente più bello che avesse mai incontrato, Elizabeth decise di regalargli il suo miglior sorriso.

    «Spero che troviate il vostro soggiorno qui soddisfacente».

    Il conte lasciò che il suo sguardo vagasse audacemente su di lei, dalla testa ai piedi.

    «Assolutamente sì, milady» rispose, la fronte inarcata come per suggerire di aver trovato in lei la fonte della propria soddisfazione «La vista di così tante belle dame in una sala da ballo è quasi troppo da sopportare. D'altra parte, la mia bellezza ne richiede almeno altrettanta in una donna».

    Un po' scioccata dal fatto che Gabriel Wellingham fosse così audace, sia con le parole che con i suoi modi libertini, Elizabeth si sforzò di mantenere un'espressione impassibile. Lui era troppo bello e probabilmente era anche una canaglia, decise, piegando la testa di lato mentre valutava se presentarlo o meno alle sue amiche.

    «Ci sono altre caratteristiche che trovate difficile sopportare in una donna, milord?» lo derise, chiedendosi se il commento lo avrebbe fatto arrossire oppure se lo avrebbe esortato ad elencare le sue inclinazioni.

    Gabriel raddrizzò la schiena e si portò una mano al petto, come se avesse subito un colpo.

    «Ebbene, lady Elizabeth, la vostra audacia non è una di loro» rispose con un ampio sorriso «Immagino che mi stiate mettendo alla prova, o forse mi state prendendo in giro, tuttavia scopro di non essere minimamente offeso da nessuna delle due possibilità».

    La bocca spalancata, Elizabeth si rese conto troppo tardi che il conte non era il tipo noioso e arrogante che si aspettava. Al contrario, era dotato di un notevole senso dell'umorismo.

    «Vi prendevo in giro, ovviamente» rispose, dandogli un colpetto sul braccio con il ventaglio «Tuttavia, la mia domanda rimane senza risposta».

    Il conte le rivolse un sorriso calcolatore e alla fine sospirò.

    «Nelle donne non gradisco la disonestà, i pettegolezzi e la stupidità. Ma, d'altra parte, non li tollero neanche nel genere maschile» disse, mentre la sua espressione tornava seria.

    Elizabeth percepì il cambiamento in lui ancora prima di sentire le sue parole, e si ritrovò a chiedersi se non fosse proprio questo l'uomo che avrebbe sposato prima di Natale.

    «Ben detto, milord» concordò, annuendo con il capo.

    «Adesso siete più disposta a concedermi un ballo?» le chiese Gabriel, continuando a restare serio, come se il precedente rifiuto avesse ferito il suo ego.

    Per un attimo, Elizabeth restò meravigliata da quel cambiamento, perchè non lo aveva preso in giro con l'intenzione di metterlo di cattivo umore. Poi, sollevò il polso dal quale penzolava il suo carnet di ballo.

    «Credo di avere una quadriglia libera» disse, distogliendo lo sguardo da lui per controllare il cartoncino. In effetti, trovò una riga in cui non era scritto alcun nome «Ecco qua» aggiunse, porgendogli il foglio.

    Con un cenno del capo, Gabriel prese la piccola matita attaccata al carnet e vi scrisse il suo nome.

    «Grazie, lady Elizabeth» disse, con un tono che indicava che la stava congedando «Verrò a cercarvi quando arriverà il mio turno» aggiunse, rivolgendole un profondo inchino.

    Lei rispose con una riverenza e lo guardò allontanarsi.

    C'era sicuramente un'attrazione tra loro, ne era certa, abbastanza da farle decidere di non presentare il conte a lady Hannah. Sebbene l'amica fosse una vera e propria bellezza, con la carnagione di porcellana, gli occhi scuri, le labbra simili a boccioli di rosa e i capelli biondo platino, che la rendevano simile ad una delicata bambola o ad una principessa delle fate, aveva un atteggiamento piuttosto strano quando si trattava di valutare potenziali mariti. Era convinta che gli uomini amassero sempre e solo le loro amanti e si sposassero solo per avere degli eredi. Dopotutto, per suo padre era stato così.

    Quanto a lady Charlotte, era già promessa sposa del conte di Grinstead, quindi non aveva bisogno di un corteggiatore.

    Quando Trenton venne a reclamarla per la quadriglia, il suo umore era decisamente migliorato. Tuttavia, a causa della complessità di quella danza, non furono in grado di scambiare più di qualche frammento di conversazione. Al termine del ballo, Elizabeth sperò che il conte decidesse di trascorrere parte dell'estate in città, in modo da avere la possibilità di rivederlo mentre facevano shopping oppure ad Hyde Park.

    Più tardi, quella stessa settimana, apprese da lady Charlotte che il conte era tornato nello Staffordshire il giorno dopo il ballo. Delusa, ma determinata a rinnovare la loro conoscenza durante la piccola Stagione, Elizabeth mise da parte i pensieri sul matrimonio e sul conte di Trenton, per concentrare l'attenzione su una questione molto più importante.

    La beneficenza.

    CAPITOLO 3

    UNA LADY PROVA A FARSI PRESENTARE UN COMUNE CITTADINO

    Due sere dopo

    La questione beneficenza occupava i pensieri di Elizabeth da quando le era capitata una situazione piuttosto sconcertante, che l'aveva spinta a chiedersi cosa avrebbe potuto fare per alleviare un problema particolarmente fastidioso.

    Si trovava all'annuale serata musicale di lady Worthington in compagnia dei genitori. La loro ospite, Adele Slater Worthington, era la vedova di un uomo che aveva fatto fortuna con i primi piroscafi. Non avendo procurato un erede a Samuel Worthington, era lei a godere delle sue ricchezze e della sua casa, dove ospitava quelle feste per raccogliere fondi per il suo ente di beneficenza preferito.

    Elizabeth, sua madre, lady Morganfield, e Charlotte consegnarono i mantelli ad un valletto e scrutarono la sala.

    «Lady Worthington ospita sempre così tanta gente» mormorò Elizabeth, in modo che solo Charlotte potesse sentirla.

    «Sì» sussurrò l'amica «E mi piace molto che inviti persone che non appartengono all'aristocrazia». Con i suoi modi gentili e la capacità di ricordare i nomi di tutti coloro ai quali veniva presentata, Charlotte faceva amicizia facilmente «Rende le conversazioni più interessanti».

    Elizabeth si rese conto che l'amica aveva ragione quando riconobbe il banchiere di suo padre, un funzionario della compagnia delle Indie Orientali e un chimico ancor prima di raggiungere il grande salotto dov'erano allineate file di sedie.

    «Lo conosci?» chiese, mentre fissava senza farsi notare un uomo impegnato in una conversazione con il duca di Westhaven «Sembra familiare, ma sono sicura che non siamo mai stati presentati».

    Charlotte strinse gli occhi per cercare di distinguere l'identità del gentiluomo in questione. Decise che aveva circa trent'anni e la sua postura eretta faceva pensare che fosse un militare. Era di statura alta, anche se decisamente non allampanato, e aveva una piccola cicatrice, probabilmente una ferita di coltello, che rovinava il suo viso altrimenti bello. La sua caratteristica più interessante, tuttavia, era la mancanza del braccio destro. La metà inferiore della manica della giacca era ripiegata e fissata al gomito.

    «Non ne ho idea» ammise alla fine, ma, quando notò che lady Pettigrew si avvicinava all'uomo e gli toccava la manica con un dito guantato, sbattè le palpebre.

    «Ma lady Pettigrew lo conosce». Fece per trascinare con sè Elizabeth, ma l’amica la fermò.

    «Lady Chichester ti sta salutando» disse, riferendosi alla futura suocera di Charlotte «Va' da lei. Verrò a cercarti più tardi».

    Annuendo, Charlotte si affrettò a salutare la duchessa di Chichester, mentre Elizabeth osservava di nascosto il gentiluomo. Riuscì persino ad avvicinarsi abbastanza per ascoltare parte della sua conversazione con il duca.

    «Sono tornato a Londra la settimana scorsa e mi aspettavo di riprendere il mio posto in banca» disse lo sconosciuto, mentre Westhaven inarcava un sopracciglio «Ma, a quanto pare, pensano che non possa più svolgere il mio lavoro di impiegato perchè mi manca un braccio. E pensare che non l'ho mai usato neanche quando lavoravo lì prima di partire per la guerra».

    «Sono sicuro che troverete un'occupazione da qualche altra parte» rispose Westhaven «Vi assumerei per occuparvi dei libri contabili della mia proprietà, ma so che non avete intenzione di trasferirvi in campagna. Nè io intendo tornare a vivere qui a Londra. Due anni per presentare mia figlia in società sono stati sufficienti».

    L'uomo annuì.

    «Apprezzo molto che lo diciate. Qualcosa salterà fuori, ne sono sicuro» disse, anche se non sembrava molto convinto «Ora che Napoleone è stato sconfitto, tutti i vecchi parrucconi torneranno dalla Francia e dal Belgio. Temo che ci saranno parecchi uomini nella mia situazione: perfettamente in grado di lavorare, ma senza alcuna speranza di essere assunti».

    Vecchi parrucconi? ripetè Elizabeth tra sè e sè, meravigliandosi del termine. Poi, scorse lady Pettigrew che conversava con lady Worthington e attese che la padrona di casa si allontanasse prima di avvicinarsi alla viscontessa.

    «Elizabeth...» esordì Eunice Pettigrew senza nemmeno salutarla «...avete già indossato quest’abito, o mi sbaglio?» le chiese in tono dispettoso.

    «Avete una memoria eccellente, lady Pettigrew» rispose Elizabeth, ignorando l'insulto «In effetti, l'ho indossato ad un ballo proprio l'anno scorso». Si sforzò di sorridere «Mi chiedevo se poteste presentarmi ad uno degli ospiti qui presenti» aggiunse, inclinando la testa in direzione dell'uomo che stava terminando la conversazione con il duca di Westhaven.

    «Mr. Streater?» precisò lady Pettigrew, l'espressione disgustata «Perchè mai volete che ve lo presenti? E' il fratello minore del barone Streater, ma è un comune cittadino» la informò «E' appena tornato dalla guerra. Un ufficiale, credo. Solo il cielo sa perchè Adele lo abbia invitato».

    Elizabeth si ritrasse di scatto come se fosse stata schiaffeggiata.

    «Voglio semplicemente sapere di più di lui» rispose con un'alzata di spalle. Anche se era un comune cittadino -un impiegato, a sentir lui- sembrava essere un conoscente del duca di Westhaven. La curiosità di Elizabeth era stata stuzzicata non solo dall'assenza del braccio, ma anche dai suoi commenti riguardo la perdita del lavoro in banca. Forse, se un membro della nobiltà si fosse interessato al suo caso, avrebbe potuto essere reintegrato.

    Il suono di un gong riecheggiò nella sala, ed entrambe le donne si voltarono verso il salotto.

    Lady Pettigrew sbuffò.

    «Questo è il primo avviso. La musica sta per iniziare. E' ora che andiate a sedervi, ragazza» ordinò ad Elizabeth «Oppure sarete costretta a trovare posto tra gli uomini. Dimenticate mr. Streater, va bene? Non è appropriato che vi facciate vedere con lui». E con ciò, l'anziana donna si affrettò in salotto.

    Incredula, Elizabeth la guardò allontanarsi, scuotendo la testa. Finchè non notò il banchiere del marito della gentildonna che stava finendo il suo drink e lo raggiunse.

    «Buonasera, mr. Whittaker» lo salutò con un lieve inchino.

    Avery Whittaker la fissò un momento, sbattendo le palpebre nel vedersela comparire davanti all'improvviso.

    «Buonasera a voi, lady Elizabeth» disse, ricambiando l'inchino.

    «Cosa deve fare un uomo per guadagnare una posizione da impiegato nella vostra banca? Intendo...qualora sia qualificato e adatto al lavoro?» chiese lei senza preamboli.

    Whittaker sbattè di nuovo le palpebre.

    «Deve presentare una domanda, ovviamente» rispose, scrollando le spalle.

    «E se l'ha già fatto?»

    Il banchiere aggrottò le sopracciglia, proprio mentre il gong suonava di nuovo.

    «Offrirmi una tangente, suppongo» scherzò. E, inchinandosi, aggiunse «Scusatemi, ma mrs. Whittaker si arrabbierà se non mi siedo accanto a lei».

    Proprio come aveva fatto lady Pettigrew, il banchiere si affrettò verso il salotto, mentre Charlotte si avvicinava ad Elizabeth.

    «Sbrigati, o troveremo solo posti in piedi» la avvertì.

    Una volta sedute, Elizabeth si disinteressò completamente dell'esibizione musicale, perchè nella sua mente continuavano a riecheggiare le ultime parole di mr. Whittaker.

    Offrirmi una tangente, suppongo.

    Bene. Gli enti di beneficenza esistevano per motivi onorevoli, pensò Elizabeth. Ma, se una tangente poteva essere d'aiuto a reintegrare i vecchi parrucconi, allora ne valeva la pena.

    CAPITOLO 4

    LE LEZIONI DI UN'AMANTE

    Fine giugno 1815

    «D unque, George, ci sono delle regole che penso dovresti imparare» disse Josephine, rivolgendo quindi un cenno al cameriere che le stava servendo la colazione a base di uova e pancetta.

    George inarcò un sopracciglio, chiedendosi cosa lei avesse in mente per la prossima lezione. Negli ultimi mesi, Josephine aveva lasciato intendere che avrebbe approfittato della loro permanenza ad Horsham per insegnargli come trovare una moglie.

    Trovarla e conservarla.

    Dopo essere riuscito con successo a convincerla a non iniziare le lezioni mentre erano ancora a Londra, George aveva dichiarato di avere invece bisogno di concentrarsi sulle questioni politiche e sul viscontado. Josephine aveva passato quei mesi ad informarlo su tutto ciò che sapeva del Parlamento e dei suoi membri, continuando tuttavia a ricordargli che l'estate era vicina e che per allora avrebbe dovuto essere pronto al corteggiamento.

    Alla fine, gli procurò una pila di libri sull'argomento e un maestro di danza per insegnargli il cotillon, la quadriglia e il valzer. Riguardo alle contraddanze, George annunciò in tono di scherno che non aveva intenzione di usarle nel corteggiamento.

    «Come posso portare avanti una conversazione con una signora se devo cambiare continuamente partner?» volle sapere «Meglio accompagnarla a cena o trovare un angolo tranquillo per parlare».

    Josephine alzò gli occhi al cielo, ma non approfondì l'argomento.

    «Come ti presenterai alla signora?» gli chiese, mentre si portava alla bocca un pezzo di pane tostato.

    «Milady, sono George Bennett-Jones. Al vostro servizio» rispose lui, mimando il gesto di portarsi alle labbra la mano della donna e baciandone il dorso.

    «Oh, sarebbe carino» commentò Josephine, accarezzandogli le nocche «Se non fosse per il fatto che dovrebbe essere qualcun altro a presentarti alla signora. Un accompagnatore oppure un parente. Nessuno deve sapere che hai un titolo finchè non diventa necessario renderlo noto. Bisogna usarlo come ultima risorsa».

    George inarcò un

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