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La ninna nanna dei segreti - Parte seconda. I misteri risolti
La ninna nanna dei segreti - Parte seconda. I misteri risolti
La ninna nanna dei segreti - Parte seconda. I misteri risolti
E-book520 pagine8 ore

La ninna nanna dei segreti - Parte seconda. I misteri risolti

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Info su questo ebook

Era stanca di mentire. Le fondamenta di quella casa erano state costruite solo sulle bugie e sui segreti, e forse era tempo che lei aprisse i cancelli di quella villa e spalancasse le finestre per far entrare il sole, e permettere alla verità nascosta di uscirvi. Il suo castello si stava sgretolando e lei sarebbe morta lì dentro, schiacciata da quelle stesse mura e dai suoi segreti. Cosa le importava se il mondo avrebbe saputo? Cosa poteva mai accadere se la gente avesse parlato ancora di loro, se avesse messo insieme i pezzi e avesse scoperto che la felicità di quella famiglia era solo una maschera, la stessa che lei aveva indossato il giorno del suo matrimonio per sentirsi all’altezza, per non dover rinnegare il suo giuramento? Dover ammettere che lei non era mai diventata veramente la moglie di suo marito, ma solo un suo gioiello che ogni tanto sfilava dalla custodia e lasciava che gli amici ammirassero invidiosi, ma che riponeva quando diventava troppo ingombrante e luccicante? Voleva la sua vita, i suoi bambini che giocavano in giardino, le urla di Bice e le risate di Leo, come gli sguardi amorevoli di Ottavio. Rivoleva la sua vita, quella che Edmondo le aveva strappato prima con false promesse, poi con la sua morte.
LinguaItaliano
Data di uscita17 dic 2022
ISBN9791222057842
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    Anteprima del libro

    La ninna nanna dei segreti - Parte seconda. I misteri risolti - richiedei Mara

    Capitolo 39

      «Hai visto come mi ha abbracciato anche questa mattina?» Rebecca si strinse a Gustavo che ricambiò il suo abbraccio, lasciando che le lacrime scivolassero copiose sulle guance arrossate. «Mi ha baciato sulla fronte!» strillò. «È diventato un uomo, Gustavo. Dio, come sono felice! Oggi è il giorno più bello della mia vita!»

      «Ora calmati» si staccò da lei il marito, «o qualcuno potrebbe sentirti.»

      «Sì, è vero» si ricompose la donna. Si rassettò il grembiule e si passò le mani fra i capelli ingrigiti. Con un gesto rapido della mano cancellò le lacrime. «Credi che mi abbia perdonata?» domandò in un sussurro, quasi le parole faticassero a uscirle dalle labbra. «Quando scoprì la verità se ne andò senza neppure salutarmi. Scappò come un ladro.»

      «Come hai detto tu è divenuto un uomo, e dunque credo abbia anche compreso il tuo gesto e quello della signora Ida» commentò solo Gustavo. «Per Ottavio fu uno shock scoprire tutto per colpa di quel certificato di adozione. Devi pensare anche a come può essersi sentito lui.»

      «È pur sempre un Torrigiani!» ribatté decisa lei.

      «Sì, ma a quale prezzo? Se non fosse intervenuta la signora Ida…» le ricordò lui.

      «Lei è sempre stata una donna giusta. Come ha potuto sposare quel mostro?» domandò perplessa Rebecca, nonostante sapesse che il marito non avrebbe saputo trovare risposta. Scosse il capo, cercando di scacciare quei brutti pensieri dalla mente, ed esclamò battendo le mani fra loro: «Oh, Signore! Come vorrei che Ottavio tornasse a vivere qui!»

      «Non illuderti, tesoro. Oramai ha la sua vita, e anche una donna, a quanto ho potuto ascoltare dalla telefonata che ha concluso prima di raggiungere la sua stanza. Una donna che gli vuole molto bene e si preoccupa per lui.»

      «Potrebbe venire anche lei. Credi abbiano dei figli?» Rebecca parve non riuscire più a reggere l’emozione. Trovò posto su una sedia, e si prese la testa fra le mani. «Forse sono nonna e non lo so neppure. Hai visto come ha abbracciato anche la signora Ida?»

      «Tuo figlio sa cos’è la riconoscenza.»

      «Nostro figlio, Gustavo» lo guardo diritto negli occhi. «Sei tu suo padre. Sei stato tu a insegnargli ad andare in bicicletta, ad accompagnarlo a scuola e anche a rimboccargli le maniche della camicia.»

      «Quanti ricordi, vero?» chiese trasognato lui.

       Pareva essere trascorsa un’eternità da quando Rebecca aveva messo al mondo il piccolo Ottavio e la signora Ida le aveva permesso di occuparsi di lui, di vivere sotto lo stesso tetto, nonostante avessero deciso di mantenere il segreto. Edmondo aveva storto il naso quando aveva scoperto che il figlio di una sua domestica sarebbe cresciuto insieme ai suoi legittimi, ma Ida era riuscita a convincerlo. Avrebbe forse preferito che Rebecca se ne andasse e che un giorno Ottavio scoprisse la verità, e tornasse a vendicare la sua paternità? O che qualcuno scoprisse che, in un attimo di follia e di rabbia, aveva abusato di Rebecca, e l’aveva abbandonata con un bambino in grembo? Nessuno avrebbe mai sospettato di nulla. Quando Ottavio era nato lo aveva fatto nella camera di Ida ed era stata lei ad occuparsi del parto, aiutando Rebecca a non soffrire troppo, tamponandole la fronte e lasciandole stringere la sua mano. Nonostante avesse portato il cognome di famiglia, Ida aveva acconsentito che a prendersene cura fossero Rebecca e Gustavo. Loro si erano occupati di controllare che mangiasse e che dormisse a sufficienza, loro avevano pensato ad aiutarlo durante i compiti a scuola, e sempre loro avevano fatto in modo che crescesse seguendo dei valori e dei credi che un giorno lo avrebbero reso fiero della sua vera madre. Tutte quelle convinzioni e quel duro lavoro erano andate in polvere quando Ottavio aveva scoperto in un cassetto della scrivania di Ida il documento firmato da entrambe che pattuiva la sua adozione. Rebecca rinunciava a suo figlio, non avrebbe mai potuto dirgli la verità se non dopo morta Ida, e lei avrebbe permesso che vivessero insieme. Lo avevano fatto entrambe per il suo bene, per garantirgli una vita migliore, e soprattutto per fare in modo che non fossero entrambi cacciati di casa, ma questo un ragazzo di ventotto anni non era riuscito a comprenderlo, e aveva preferito voltare le spalle a tutto e scappare. Trovare un suo mondo, una sua dimensione, anche solo una sua vita lontano dalle menzogne, e soprattutto lontano da sua madre, lontano anche dalla donna che l’aveva cresciuto come tale.

      «Non torturarti, vedrai che prima o poi sarà lui a volerti raccontare tutto. Ora lasciagli il tempo di ambientarsi, e soprattutto di sistemare le cose con Bice. Quella vipera…» s’infervorò Gustavo spostando un cestino d’argento dove erano rimasti gli scarti di pane di varie sfumature di cottura.

       La casa era piombata nel silenzio, dopo che tutti avevano abbandonato la sala da pranzo e avevano raggiunto le loro camere.

       Fino alla fine Rebecca aveva sperato che Ottavio tornasse in cucina e che le concedesse un attimo del suo tempo dopo sette anni che non si incontravano, ma lui aveva audacemente rimandato quell’incontro, uscendo dalla stanza con un braccio sulle spalle del fratello. Si era complimentato con entrambi per le pietanze preparate e servite, congedandosi con un bacio a Rebecca sulla guancia e un cenno del capo a Gustavo.

       Erano molte le cose che Leo e Ottavio dovevano raccontarsi, numerose le spiegazioni, e il maggiordomo era sicuro che non avrebbe abbandonato nuovamente quella casa senza prima sistemare tutto, per evitare di lasciare in sospeso altre domande.  I due fratelli erano sempre stati molto legati, e il loro rapporto era andato oltre il semplice fatto di essere solo consanguinei. L’abbraccio di Ottavio scambiato con Rebecca aveva voluto significare che teneva molto anche a lei. Forse si trattava solo di riconoscenza, ma era stata palpabile nell’aria non appena era entrato dalla porta sul retro, ed era rimasto fermo sulla soglia a guardarli affaccendarsi per servire le portate in tavola. Quando Rebecca aveva scorto l’ombra e aveva alzato lo sguardo, dalle sue labbra era uscito un gemito, mentre le sue mani avevano lasciato cadere a terra il piatto.

      «Oh, Dio. Ottavio…» aveva esclamato, aggrappandosi a Gustavo.

      «Temevo di non trovarvi più qui» aveva sussurrato lui, avanzando verso di lei e abbracciandola, scambiando una pacca sulla spalla con Gustavo, come fossero amici. «Non è ora che andiate in pensione?»

      «Siamo rimasti solo per aspettare il tuo ritorno» aveva bisbigliato Rebecca, slegandosi dall’abbraccio e cercando di sistemarsi i capelli, infastidita che il figlio potesse scorgerla con la capigliatura arruffata e i vestiti sgualciti.

      «Sei ancora più bella di quando me ne sono andato» l’aveva nuovamente baciata lui, indicando la porta che si affacciava alla sala da pranzo: «Sono tutti lì?»

      «È tornato anche Leo» l’aveva ragguagliato Gustavo.

      «Non dubitavo» aveva storto le labbra Ottavio. «Bice ha sempre saputo come incastrare i tasselli al posto giusto.»

      «Non credevo tornassero entrambi, sai?» gli confidò a un tratto Rebecca, distogliendo il marito dai suoi pensieri. «Forse Leo, ma Ottavio…»

      «Lui è quello che ci perde di più in tutta questa faccenda» commentò serio il maggiordomo. «Prima o poi Bice scoprirà che è figlio tuo, e non ci impiegherà poi molto a rivelarlo anche a Leo. Si avvallerà di questo per ottenere una fetta più grande di eredità.»

      «Leo, dunque? Neppure lui…»

      «Calmati, Rebecca. Qualcuno potrebbe sentirti» l’ammonì nuovamente Gustavo.

      «E Leo?» riprese lei tenendo il tono di voce più basso. «Lui non dovrebbe neppure portare il cognome della famiglia. Lui sì che non avrebbe diritto a nulla!»

      «Non ha il sangue di Edmondo, ma quello della madre. Ed è lei che ha redatto il testamento» precisò lui.

      «Credi che la signora permetta a quella piccola vipera di avvalersi di tutto questo per eliminare i fratelli?» Rebecca si strinse nelle spalle, e abbassò gli occhi. «Anche se credo che Ottavio non sia ritornato per prendersi nulla. Vuole solo chiudere con il passato, mettere fine a tutti questi segreti e continuare la sua vita. Bice in fin dei conti l’ha chiamato per questo. Spera che insieme riescano a convincere la madre a portare in un ospedale quella creatura. Lei sì che potrebbe essere cancellata dalla famiglia, del resto per tutti è già morta.»

      «Rebecca, non essere cattiva ora…» la riprese il marito.

      «Non abbiamo forse celebrato il suo funerale nella basilica di Santa Croce anni fa?» le sue labbra tremarono appena.

      «Mi ricordo benissimo di quel giorno, e se non fosse stato per Bice che ficcò sempre il naso dove non doveva, nessuno avrebbe scoperto nulla, né che la sua morte era solo un modo come un altro per non accusarla dell’omicidio del padre» sbuffò, irritato dalla piega che aveva preso quel discorso. «Bice doveva solo sapere che sua sorella era stata rinchiusa in soffitta perché malata di mente, non perché colpevole di un omicidio. Questo le ha permesso di ricattare la signora Ida fino a oggi.»

       Era come se il ritorno di Ottavio e Leo avesse riportato tutto alla luce, fatto riaffiorare segreti che credevano fossero oramai sepolti per sempre. Se Bice fosse riuscita a estromettere dal testamento la sorella dichiarata morta, rivelato che i due fratelli non avevano nelle vene il sangue puro dei Torrigiani mischiato a quello degli Arrigucci, avrebbe potuto impossessarsi legittimamente di tutto. In fin dei conti, era lei la vera discendente della famiglia.

      «Spero solo che Ottavio non si dimentichi di noi quando tornerà in quella città.»

      «Venezia non è male» dichiarò Gustavo. «Ci andresti a vivere?»

       Gli occhi di Rebecca luccicarono di gioia.

      «Dici davvero?» schizzò sulla sedia.

      «Il turismo e tutta quell’arte…» continuò lui con aria sognante.

      «Andrei ovunque se potessi restare vicino a mio figlio e a te» il suo volto tornò a rabbuiarsi. «Credi che ci chiederà di seguirlo?»

       Gustavo si strinse nelle spalle, e rivelò in un soffio:

      «Se non ci volesse con lui non ci avrebbe detto dove abita, non credi?»

      «Mmm…ma come facciamo a lasciare la signora Ida e la piccola Diletta» tornò a puntare gli occhi al soffitto, «proprio adesso? Hanno bisogno di noi. Mi hai detto tu che la signora Ida spera addirittura che noi restiamo a vivere in questa casa anche dopo che se ne sarà andata per sempre.»

        Gustavo si alzò dalla sedia e si diresse alla finestra che si affacciava sul giardinetto. Incrociò le braccia dietro la schiena.

       La notte era scesa lentamente. Presto sarebbe sopraggiunta la bella stagione e le serate si sarebbero allungate, e il giardino avrebbe goduto di altre ore di sole, lasciando germogliare le piante e socchiudere i boccioli dei fiori.

      «Fra non molto, in questa casa, accadrà di tutto» rivelò scuotendo la testa.

      «Cosa vuoi dire con questo? Cosa mi stai nascondendo?» si spaventò Rebecca. «Mi avevi detto che la signora Ida aveva già disposto tutto in modo che non ci mancasse nulla quando lei non ci sarebbe più stata, e che…»

      «Non è quello…» la interruppe il marito. «Non possiamo continuare a restare qui, Rebecca. Hai sentito quel commissario questa mattina. La polizia sta indagando sullo scheletro trovato nella sacrestia della basilica di Santa Croce e ora è morta anche quella giornalista.»

      «Con questo? Noi non c’entriamo nulla. E non penso proprio che la signora Ida o Bice siano invischiate in questi delitti» si alzò dal tavolo e lo raggiunse. Notando il suo sguardo serio, si aggrappò al suo braccio. «Gustavo, perché hai quella faccia?»

      «Sono stato io ad abbandonare lo scheletro di Teodora in quella chiesa» bisbigliò il maggiordomo sconfitto, passandosi una mano tremante sul volto stanco.

      «Oh, Dio del cielo!» arretrò Rebecca. «Mi stai dicendo che… che tu…»

      «No! Non sono stato io ad ammazzarla trentasei anni fa, ma so chi commise il delitto, e prima o poi ci arriverà anche la polizia. E dopo questa mattina, dopo i collegamenti che ha fatto quel commissario fra i due omicidi, presto tornerà a bussare alla porta, e allora scoprirà anche il resto» le afferrò entrambe le braccia, scuotendola: «L’assassino di Teodora è lo stesso di quella giornalista…» rivelò lasciando che la sua voce divenisse quasi un sibilo. «Ne sono sicuro!»

      «Di chi parli, Gustavo?»

       L’uomo le strinse le mani e la condusse nuovamente al tavolo, facendola sedere sulla sedia. Sbirciò nella sala da pranzo, e lungo il corridoio, fino su per le scale di marmo bianco, e poi chiuse la porta che si affacciava sulla cucina, sicuro che nessuno potesse udirli.

      «So perché trentasei anni fa Teodora morì. O meglio…» si passò la mano sulla fronte madida di sudore, «…so perché venne uccisa.»

      «Aveva rubato la collana della signora» rispose risoluta Rebecca.

      «No, no» tornò a scuotere il capo lui, «il furto fu solo un’invenzione di quell’avvocato da strapazzo. Aveva bisogno di trovare una scusa per cacciarla di qui perché conosceva troppi segreti.»

      «Sapeva del bambino morto?» sgranò gli occhi Rebecca.

      «Di quello, come del perché il signor Edmondo era caduto dalla scala, e anche come era scomparso Erik» annuì il maggiordomo. «La sentii minacciare l’avvocato Masi, e anche ricattarlo.»

      «Ricattarlo?»

      «Voleva andare dalla polizia e raccontare tutto» indicò il soffitto con un cenno del capo. «Minacciò l’avvocato di rivelare dove fosse nascosto lo scheletro di Erik e anche del fatto che la sorella fosse stata rinchiusa nella soffitta.»

      «Ma per quale motivo ucciderla? L’avvocato avrebbe sempre potuto negare. Non c’erano prove che…»

      «Negare cosa, Rebecca? Lei aveva la bambina di Diletta, e anziché farla adottare l’aveva nascosta. Era la sua garanzia che la famiglia pagasse il suo silenzio» spiegò ancora Gustavo.

      «Oh, Madonna Santissima!» si coprì il volto Rebecca. «Mi stai dicendo che qualcuno uccise Teodora quella notte in cui anche la piccola venne portata lontano da questa casa, e che non venne mai adottata da nessuna famiglia? Dove sarà adesso? Chi l’avrà cresciuta?»

      «Scomparve. Il giorno dopo che Teodora uscì da questa casa l’avvocato assicurò alla signora Ida di aver sistemato tutto lui, che la bambina era stata adottata e che Teodora, incolpata di furto, aveva deciso di scappare, lasciando per sempre la città, ma non è così. Io ho sentito quell’avvocato chiamare…» Gustavo tacque, portandosi nuovamente la mano davanti alla bocca.

      «Chiamare… chi?» balbettò stupita Rebecca.

       Il maggiordomo scosse il capo.

      «Ora la signora Ida vuole trovare sua nipote» continuò invece, come se non avesse udito la domanda della moglie.

      «Trovarla?» sbarrò le palpebre lei. «Ma dove?»

       Lui si strinse nelle spalle.

      «L’ho sentita parlare questa sera al telefono con l’avvocato, dopo che ha litigato con Bice. Vuole trovare sua nipote e riportarla in questa casa. Non sa che Teodora la nascose e che l’avvocato non riuscì mai a scoprire dove fosse scomparsa» le sue labbra tremarono appena quando aggiunse: «Se Bice scoprisse tutto questo, che Diletta uccise suo padre e vuole uccidere anche la signora Ida perché le strappò di mano la figlia appena nata, credi che non costringerà la madre a fare ciò che vuole? A lasciarle tutto, a estromettere i fratelli dal testamento e soprattutto ad allontanare Diletta da questa casa per rinchiuderla in un ospedale?»

      «Noi cosa possiamo fare per impedirlo?» domandò in un sospiro Rebecca.

      «Prima o poi la polizia scoprirà cosa accadde trentasei anni fa» le afferrò più saldamente le mani, stringendole forte fra le sue. «Non abbiamo altra soluzione che andarcene, Rebecca. Se non con Ottavio ovunque tu vorrai, ma restare qui potrebbe diventare pericoloso anche per noi due» piegò il capo in avanti e per convincerla le ricordò: «In fin dei conti, noi sapevamo tutto, noi siamo stati i complici della signora Ida e dei suoi tranelli, e lo siamo tutt’ora.»

      «Ma chi uccise Teodora?» chiese in un soffio Rebecca. Rabbrividì. Avvinghiò le dita alle mani del marito, lasciandogli i segni nella carne. «Me lo devi dire! Mi hai detto che tu eri presente quando l’avvocato chiamo… chiamò chi, Gustavo?»

      «Fu quel monaco, il cugino del padrone di casa. Sentii l’avvocato dirgli che doveva incontrare Teodora all’ex convento di Santa Maria la notte dopo e sistemare la faccenda, uccidere sia lei che la bambina.»

      «Uccidere la bambina…» sussurrò ancora Rebecca sgranando gli occhi.

      «Ma quella notte Teodora si presentò senza di lei. Voleva i soldi o non avrebbe mai restituito la piccola. Il monaco la colpì… e poi… poi…»

      «Poi?»

      «Scavò una buca nel giardino del convento e sotterrò lì il suo corpo» Gustavo abbracciò forte la moglie, come se avesse bisogno di sentirsi protetto o forse solo di proteggere lei. «Non feci nulla, capisci? Rimasi lì nascosto nei cespugli, mentre quel prete ricopriva il corpo di Teodora e poi chiamava l’avvocato, dicendogli che aveva fatto tutto come era stato deciso, facendogli credere di aver ucciso anche la bambina» si staccò dall’abbraccio con Rebecca e si coprì il volto con le mani.

      «Ma padre Gerardo è…» strillò quasi Rebecca, ma poi si mise la mano sulle labbra, scuotendo il capo. «Ne sei sicuro?» domandò ancora, la voce rotta dalla sorpresa.

      «L’ho visto» annuì ancora il maggiordomo.

      «Ti prego… parla…»

       I due rimasero in silenzio, scrutandosi.

       Non aveva mai raccontato nulla alla moglie, neppure i giorni successivi quando la polizia era arrivata alla villa e aveva rivolto domande su Teodora a tutti i membri della famiglia. Perché era stata licenziata? Dove poteva essere scappata? Ma nessuno sapeva nulla, e lui che invece conosceva la verità era stato costretto a tacere. Edmondo Torrigiani era partito per un altro viaggio, lasciando che la padrona di casa si occupasse di tutto: di far sparire i due bambini appena nati, di mettere a tacere Diletta che gridava e strepitava dalla soffitta, di soffocare tutta quella storia perché mai nessuno, neppure i suoi stessi figli, ne venissero mai a conoscenza. Annuì, cominciando a raccontare ciò che ricordava.

       Quando tacque, Rebecca lo abbracciò forte a sé.

      «Perché hai deciso di dissotterrare quello scheletro proprio adesso, Gustavo? Dopo così tanti anni?» chiese tenendo intrecciate le sue dita a quelle del marito.

      «Perché sono stanco» rivelò in un sospiro lui. «Stanco di seguire di notte Diletta che vaga per la casa in cerca dei suoi bambini o mentre porta i fiori sulla tomba. Stanco che tu ti debba occupare di tutto, che ogni volta che entra qualcuno in questa casa tu debba salire fino lassù e tenerle compagnia o imbottirla di sonniferi perché dorma tutto il giorno e si svegli solo quando cala la sera. Stanco che la signora Bice ci tratti come degli schiavi. Ora che sono stato costretto a seppellire anche i resti di Erik, Diletta non si dà pace e ogni notte vaga per il giardino. Prima o poi qualcuno la vedrà. La signorina Amelia l’ha già scoperta» sospirò pesantemente. «Quanto tempo credi che impieghi prima di capire che le abbiamo mentito e che in questa casa ci sono troppi segreti legati fra loro di cui nessuno deve o può parlare? Se l’avvocato venisse a conoscenza del fatto che ha incontrato Diletta, che ha visto lo scheletro e che sa che lei è ancora viva? Non voglio che quell’uomo le faccia del male come fece a Teodora. Sta diventando tutto troppo difficile per due poveri vecchi come noi, Rebecca…» socchiuse gli occhi, tornando a respirare a pieni polmoni come se si fosse liberato di un peso. «Ho sperato che così facendo la polizia potesse collegare quello scheletro a questa casa, e che cercasse la verità, ma un mese fa nessuno ha seguito le indagini e quei resti sono tornati in una fossa, senza nome.»

      «Perché nascondere lo scheletro di Teodora in quella chiesa?» domandò con voce perplessa Rebecca.

      «Lì tutto ebbe inizio: il matrimonio della signora Ida, il battesimo di tutti i figli dei Torrigiani, il funerale di Diletta e del padrone di casa… Tutto cominciò in quel giorno in cui la signora Ida scelse quella chiesa per celebrare il suo matrimonio. Forse se non avesse mai sposato il signor Edmondo… ora…» tacque, incapace di continuare.

      «Ma lei è l’unica che ha dimostrato un po’ di affetto nei nostri confronti. È sempre stata buona con noi. Tutto ciò che faccio lo faccio per lei, per aver cresciuto il mio bambino senza avergli fatto mancare nulla, anche solo per il fatto che ci lasciò vivere qui tutti insieme» spiegò Rebecca.

      «Sì, ma tu non vuoi un giorno svegliarti al sorgere dal sole e non quando ancora l’alba deve nascere, solo per il desiderio di farlo, senza essere costretta a correre tutto il giorno per servire i capricci di altri?» domandò Gustavo. «Tu non vuoi poter vivere i nostri ultimi istanti da semplici genitori anziché da servi, e soprattutto non sei stanca di tutti questi segreti?»

      «Lo vorrei con tutto il cuore, ma sono troppo riconoscente a questa famiglia per tradirli» ammise Rebecca.

      «Riconoscente di cosa?» scattò nuovamente in piedi Gustavo.

      «Di avermi permesso di vivere insieme a mio figlio e a te» sussurrò lei, e poi chiese: «Credi che padre Gerardo abbia ammazzato anche quella giornalista?»

      «Era pericolosa» rispose solo il maggiordomo. «Continuando ad aggirarsi qui attorno avrebbe potuto scoprire tutto e riportare alla luce anche quell’ omicidio. Quell’avvocato deve aver trovato il modo di eliminare il problema, proprio come fece con Teodora.»

      «E ora?» domandò ancora la cuoca spaventata. «Non voglio che ad Amelia venga fatto del male. È così buona con noi.»

      «Dobbiamo proteggerla» s’impose Gustavo. «Speravo che avesse deciso di andarsene adesso che ha terminato il suo incarico, ma credo che abbia accettato di restare proprio per cercare di scoprire i segreti di questa famiglia. Noi non possiamo lasciarla sola. La proteggeremo, veglieremo su di lei, fino a che la polizia non arresterà l’assassino di Teodora e finalmente metterà fine a tutta questa storia, comunque vada.»

      «Credi che basti?» domandò con voce tremante Rebecca.

      «Se Dio ci aiuta, sì» rispose il marito tornando a stringere fra le sue braccia la donna.

    Il ricatto

    La voce dell’avvocato la paralizzò sulle scale. Le sue dita strisciarono sulla ringhiera di legno lucido. Teodora si volse appena a controllare dietro di sé, ma Diletta non l’aveva seguita. Sospirò decisa a portare a termine la sua promessa.

      «Perché sei tornata? Non ti avevo detto di aspettare che fossi io a rintracciarti?» Alfio Masi raggiunse la tata e la strattonò, costringendola a seguirlo giù dalla scala, fino nella biblioteca.

      «Devo parlare alla signora Ida!» stridette la voce di Teodora, carica di menzogna.

       Non poteva certamente ammettere di essere tornata alla villa solo per incontrare Diletta. Lei lì dentro non avrebbe più dovuto metterci piede. Era stata pagata perché mantenesse fede a quel patto.

      «Taci, stupida! Dormono tutti, e tu parlerai solo con me!»

        Era notte fonda e tutti si erano rinchiusi nelle loro stanze. Erano stati giorni pesanti, e c’erano stati momenti in cui lui stesso aveva fatto fatica a restare in quella casa, a respirare la tensione che vi aleggiava come la mano della morte che soffocava i loro respiri e che li costringeva a fissarsi in silenzio, lasciando che le ore scorressero inutili e senza sosta. Lui e Ida avevano fatto in modo che i bambini non si accorgessero di nulla, che non sentissero le urla di Diletta rinchiusa in quella soffitta quando si era resa conto che non avrebbe mai più rivisto i suoi bambini e che la sua vita si sarebbe ridotta a una clausura forzata perché nessuno sapesse cosa aveva commesso insieme a suo fratello Erik. Finalmente la bambina era stata portata lontano. Era stata Teodora ad occuparsene. Nessuno avrebbe mai scoperto che era figlia di un Torrigiani. Per assolvere a quel compito, Teodora aveva guadagnato una somma consistente che le avrebbe permesso di andarsene dalla città e trovarsi un altro lavoro altrove, dimenticando tutta quella faccenda, e la famiglia avrebbe potuto tornare a dormire sonni tranquilli. Diletta era pazza. Chi le avrebbe mai creduto?

      «Le cose sono cambiate» parlò in fretta Teodora quando l’avvocato la spinse dentro la stanza e la porta della biblioteca si chiuse alle sue spalle.

       Indossava ancora il mantello della sera prima, con la spilla dei Torrigiani fissata all’altezza del petto. Avrebbe potuto venderla e ricavare qualche soldo in più. La nascose sotto la sciarpa così che l’avvocato non potesse scorgerla e la richiedesse indietro. Solo i domestici potevano portarla e lei ora aveva deciso che lì non sarebbe più tornata.

      «Quali cose?» chiese l’avvocato.

      «Non ho consegnato la piccola alla famiglia» rivelò lei voltandosi e affrontandolo per dimostrare che non lo temeva. Un sorrisetto gelido si dipinse sul suo volto. «Ciò che mi avete offerto per adempiere a questo sporco compito è troppo poco, e quei genitori non sono adatti a lei.»

      «Cosa hai fatto?» Alfio Masi si scagliò contro di lei. L’afferrò per il colletto del cappotto e la costrinse a indietreggiare fino a che le sue spalle non toccarono la libreria.

       Teodora lo guardò diritto negli occhi.

      «Conosco troppi segreti di questa famiglia per andarmene con una manciata di soldi che non riuscirebbero a garantirmi di sopravvivere fino all’anno prossimo. Se qualcuno dovesse parlare, se quei genitori adottivi rivelassero di aver comprato una bambina appena nata qui a Settignano, da questa casa, l’unica a rimetterci sarei io, certamente non lei o la signora che se ne sta chiusa nella sua camera da tre giorni con la porta sbarrata» gli sputò in faccia senza paura. «Se devo vendere quella bambina voglio più soldi e la sicurezza che una volta lontano da qui nessuno venga più a cercarmi.»

      «Dov’è ora quella mocciosa?» sibilò l’avvocato stringendo ancora le sue mani attorno al collo della tata.

      «Se mi uccide non lo scoprirà mai…» sussurrò appena Teodora.

       Alfio Masi lasciò la presa. Si sistemò la giacca, passando rabbiosamente una mano sul tessuto stropicciato.

      «Parla!»

      «L’ho lasciata con una persona di fiducia» tornò a parlare Teodora. «Se non mi vede tornare farà sparire la bambina per sempre, ma quando sarà grande le racconterà tutta la verità.»

      «Di quale verità parli?» finse di non capire l’avvocato.

      «So com’è morto l’altro bambino partorito da Diletta, e anche chi ha ucciso Erik» sibilò lei di rimando. «La signora è più sporca e cattiva di suo marito. Almeno lui ha avuto il buon gusto di lavarsene le mani e partire subito dopo la nascita dei bambini.»

      «Tu non sai nulla!» sibilò a denti stretti l’avvocato. «Sei solo una serva e senza più un lavoro! Tu sei…»

      «Ho la figlia di Diletta. Ho in mano più prove di quanto lei creda, avvocato, e non risparmierò nessuno di questa famiglia, come non risparmierò lei. Racconterò tutto, io…»

      «Vuoi altri soldi? È questo che vuoi?» stridette la sua voce.

      «Voglio rifarmi una vita lontano da qui e sicuramente non ho intenzione di andare alla ricerca di un’altra famiglia per la quale lavorare come serva per un misero stipendio» confermò Teodora. «In tre anni ho solo strofinato i pavimenti di questa casa e rassettato le stanze, occupandomi anche di quella piccola serpe di Bice e dei due gemelli senza sosta, senza mai un giorno di riposo, e per cosa? Pochi soldi che neppure mi permettevano di comprarmi un paio di calze nuove al mese, mentre la signora Ida e suo marito offrivano da mangiare a un reggimento intero.»

      «Dov’è ora la bambina?» chiese nuovamente l’avvocato Masi stringendo gli occhi in una fessura, come se volesse incuterle paura.

       Non gli importavano le lamentele di quella domestica, come non lo riguardava il suo risentimento nei confronti della famiglia. Non l’aveva obbligata nessuno a prestare servizio in quella casa, e conosceva fin dall’inizio cosa l’avrebbe attesa vivendo sotto quello stesso tetto.

      «Non lo scoprirebbe mai» ricambiò lo sguardo la tata. «Potrebbe essere scambiata per un’altra bambina o restare a vivere dove io l’ho portata per tutta la vita, ma la persona che se ne sta prendendo cura sa di chi è figlia, e prima o poi potrebbe parlare. Quando la bambina suonerà a questo campanello e vorrà la sua eredità cosa le racconterete?» si allontanò dall’avvocato, ma evitò di voltargli le spalle. «Tutta la famiglia vivrà con la spada di Damocle sulla testa per tutta la vita. Chi può saperlo? Forse un giorno potrebbe diventare l’amichetta del cuore di Bice, oppure…»

      «Tu sei pazza!» ringhiò l’avvocato. «Dimmi dove l’hai nascosta e non racconterò nulla a Ida. Ti lascerò tenere il denaro che ti ho già consegnato e farò in modo che scriva una lettera di referenze, in modo da garantirti un lavoro facile e sicuro altrove, ovunque tu voglia andare.»

      «Non me ne faccio nulla delle sue referenze» scoppiò a ridere Teodora. «Io voglio i soldi, tanti soldi. Ho dei progetti anche io, non solo voi. Voglio una famiglia e dei figli miei, una casa grande come questa dove poter festeggiare il mio matrimonio e voglio la sicurezza che tutta questa storia venga seppellita per sempre. Vi restituirò la bambina, così che possiate consegnarla voi a quella coppia. Io non voglio neppure incontrarli, non voglio che un giorno possano riconoscermi e additarmi come la colpevole.»

      «Credi forse che i padroni accetterebbero mai di pagare il tuo silenzio?» questa volta toccò all’avvocato ridere di lei e di ciò che aveva appena rivelato.

       Come poteva anche solo immaginare che lui le avrebbe permesso di condurre il gioco? Di ricattare la famiglia, di pretendere altri soldi e soprattutto di minare il loro futuro? C’era dentro anche lui in tutta quella faccenda.

      «Farò in modo che tutti sappiano cos’è accaduto in questa casa» promise ancora Teodora. «Dirò alla polizia di cercare nei sotterranei il corpo di Erik, tutti sapranno che non è scappato, ma che…»

      «A chi pensi che crederanno?» domandò a sua volta l’avvocato Masi. «A Edmondo Torrigiani o a una stupida tata accusata di furto?»

      «Furto?» sollevò un sopracciglio Teodora sfidandolo. «Io non ho mai rubato nulla in questa casa.»

      «Ma la signora Ida sarà pronta a dichiarare che è scomparsa la sua collana di diamanti proprio la notte in cui tu te ne sei andata con la bambina. Sei stata tu a rapire la piccola e poi a ricattarci e per il corpo di Erik» la guardò diritta negli occhi, «cancelleremo ogni traccia così che venga dichiarato scomparso per sempre.»

      «Porterò la bambina con me» ringhiò Teodora. «Se non mi darete i soldi che voglio, la farò crescere insieme a me e lontano da qui, e quando sarà maggiorenne le racconterò tutto. Le dirò cosa ha fatto sua nonna e perché sua madre è stata richiusa in quella soffitta» si avvicinò di un passo verso l’avvocato, e aggiunse con aria compiaciuta: «Davanti a un giudice non avrete scampo. Si scoprirà che lei è la figlia di Diletta e un’erede di questa famiglia. Sarete costretti a raccontare tutto anche a Bice, a dirle che all’età di quattro anni era già zia e che quelle strilla di bambino che ha udito l’altra notte non erano altro che vagiti di sua nipote prima che fosse venduta!»

      «Potrei ucciderti questa notte stessa e seppellire il tuo corpo in giardino» la minacciò l’avvocato. «Nessuno saprebbe mai più nulla di te» abbozzò un sorrisetto, convinto di avere il coltello dalla parte del manico.

      «Poi come farebbe a trovare la bambina?» la tata azzardò un ghigno malcelato.

      «Cosa vuoi lurida traditrice?» sibilò l’avvocato.

      «Dieci volte la somma che la signora Ida mi ha già consegnato l’altra notte» rispose in fretta Teodora.

      «Ida non dispone di questa cifra» parve sconvolto l’avvocato.

      «Ma sono sicura che lei farà del suo meglio per trovarla, avvocato» lo derise quasi la tata, avviandosi verso la porta della biblioteca, «o domani notte quando tornerò qui non sarò sola. Mi porterò appresso la polizia e mostrerò ogni cosa, anche i manoscritti del signor Edmondo rinchiusi in quel comò» si volse a guardarlo. «L’ho sentito mentre si confidava con la signora. Sono stati rubati da alcune collezioni private e sono di un valore inestimabile. Può sempre venderne uno per recuperare i soldi. A lei la scelta.»

      «Quali garanzie avremo che tu non racconti nulla di tutta questa faccenda una volta consegnata la bambina e avuto il denaro?»

      «Garanzie? Non ci sono garanzie» Teodora tornò a infrangere il silenzio della casa con la sua risata. «Dovrete fidarvi di me per il resto dei vostri giorni, ma stia pure certo avvocato che manterrò il segreto. Non voglio più avere nulla a che fare con questa famiglia.»

      «Verrà il giorno in cui pagherai anche questo tradimento» ruggì l’avvocato. «Domani sera porta la bambina al convento di Santa Maria. Faremo lo scambio là.»

      «Perché in quel lugubre posto?» si stupì la tata.

      «Perché non c’è posto migliore per sigillare un patto con il diavolo!»

    Capitolo 40

    Camminavano tutti e tre in silenzio procedendo lungo il vialetto che si snodava attraverso il giardino. Bice al centro, trattenendo il braccio di Leo, Ottavio al suo fianco, con le mani affossate nelle tasche dei pantaloni, e lo sguardo rivolto a terra.

       Quella mattina si erano trovati nella sala da pranzo per consumare la colazione che Rebecca aveva preparato e Gustavo servito al tavolo, mentre Fernanda si affaccendava a rassettare le loro camere da letto. Spartaco dormiva ancora, così si era scusata Bice quando era entrata nella stanza e si era seduta al posto di Ida, dove non era stato preparato alcun piatto, segno che la padrona di casa non si sarebbe unita a loro. Era stata Bice a spostare le porcellane dal suo posto a capotavola, versando del tè caldo che si era affrettata a bere, come se fosse assettata. Quando Gustavo aveva lasciato la sala da pranzo, i tre fratelli avevano continuato a restare in silenzio, inzuppando le loro brioches nelle tazze.

       Ottavio aveva aperto il giornale alla pagina di cronaca nera, prestando poca attenzione agli sguardi che gli lanciava la sorella. Solo quando anche Leo si era dichiarato sazio, si erano alzati dal tavolo uno dopo l’altro, ed erano usciti in giardino, consapevoli che fosse giunto il momento di parlare, di scoprire per quale motivo Bice li aveva richiamati con la scusa che la loro madre stesse morendo.

      «Sono così felice di riavervi qui tutti e due» civettò lei, stringendosi ancora di più al braccio del fratello minore. «Mi siete mancanti tanto in questi anni. Per fortuna hanno inventato Facebook così almeno potevo tenervi d’occhio» sghignazzò. «Ottavio dovresti dedicarti di più al tuo profilo. Posti poche fotografie. L’ultima risale a maggio dell’anno scorso.»

      «Dipenderà dal fatto che non ho accettato la tua richiesta di amicizia e che, dunque, vedi solo quelle che rendo pubbliche» storse il naso lui.

      «Non ci capisco molto in fatto di tecnologia» ridacchiò ancora lei per nulla infastidita dalla battuta. «Invece tu, Leo, ne hai a centinaia» si arrestò, riflettendo per qualche secondo, prima di esclamare: «Mi piace da impazzire quella con la ragazza seduta dietro di te in quel bar. Chi è? Ha gli occhi di un blu elettrico.»

      «La fidanzata di quella vestita con la tuta nera che mi fa da ombrellina» rispose con poco entusiasmo lui.

      «Ombrellina!» rise ancora Bice divertita. «Che ridicolo quel soprannome.»

      «Preferivi chiamarle ragazze ombrello?» si aggiunse Ottavio, arrestandosi.

       Erano arrivati alla fine del vialetto, e non avrebbero di certo potuto aprire il cancello e proseguire lungo la strada. Lì non li avrebbe uditi nessuno, se quella era l’intenzione di Bice, e lui voleva sapere cos’avesse da dire di tanto urgente da non poterglielo comunicare per telefono.

       Scrutò la villa da quell’angolazione. Riconobbe il pozzo, e un brivido scivolò lungo la sua schiena. Ricordava ancora quel giorno che Bice li aveva condotti lì davanti, e vi avevano guardano dentro arrampicandosi sul muretto.

      «Io conosco un segreto» aveva canticchiato catturando la loro attenzione.

       Quanti anni potevano avere? Bice forse quindici, lui undici e Leo quasi dieci. Com’era stato semplice per sua sorella persuaderli che ciò che aveva udito nascosta dietro la porta della camera di Ida fosse vero, e che lei conoscesse i segreti confinati in quella casa.

       Era stata lei a raccontare a entrambi che in fondo a quel pozzo era stato nascosto lo scheletro del loro fratello Erik, quello che non avevano conosciuto e che era morto molti anni prima che lui e Leo nascessero. Bice aveva spiegato loro che non era scomparso come invece sostenevano tutti, ma che era morto. Aveva fatto promettere loro di mantenere quel segreto. Lo aveva scoperto origliando sua madre mentre ne parlava con Alfio. Lei era la sorella maggiore, e dunque poteva aggirarsi per la casa anche di notte, mentre tutti dormivano, e andare a curiosare in giro. Sempre lì davanti al pozzo aveva spiegato ai due fratelli chi era Diletta, il fantasma che la notte sussurrava quella ninna nanna che udivano dalla loro stanza e perché fosse costretta a restare chiusa in soffitta. In quel modo loro due avevano scoperto di avere un’altra sorella, con la quale non avrebbero mai potuto giocare o semplicemente parlare perché era malata. Se la incontravano di notte dovevano scappare e chiudersi nella loro stanza, perché era cattiva e pazza.

       Bice l’aveva soprannominata la matta, ma lui non aveva mai compreso veramente il motivo di quella pazzia che stando alla sorella era dipesa da una malattia e dalla morte del suo fratello gemello. Quando poi anche Leo era diventato grande, e papà era morto ruzzolando giù per le scale, Bice aveva rivelato loro l’ennesimo segreto di famiglia: era stata proprio la matta a ucciderlo. Loro dovevano restare lontano dalla soffitta perché era pericolosa.

      «Ha fatto qualcosa di brutto quando era molto piccola» gli aveva spiegato una sera Bice, quando lui aveva chiesto perché non potessero mai incontrare Diletta. «Mamma l’ha messa in castigo per tutta la vita.»

      «Cosa?» aveva chiesto Leo, spaventato.

       Non gli erano mai piaciuti i racconti di paura. Preferiva quelli di avventura con pirati e cavalieri.

      «Non lo so, ma lo dice sempre la mamma. Io conosco tutti i suoi segreti, anche se lei fa di tutto per tenerli nascosti.»

       Ottavio distolse lo sguardo, ma evitò quello di Bice che invece lo fissava in silenzio.

      «Non c’era un ulivo qui?» chiese a un tratto Leo. Si passò la mano fra i capelli, scompigliandoli, e guardandosi attorno con aria perplessa.

      «Il giardiniere l’ha dovuto tagliare» confermò Bice. «Si è ammalato l’autunno scorso.»

      «Ma era un ulivo secolare» protestò il fratello. «Mamma diceva che lo aveva piantato il bisnonno dopo aver comprato il terreno.»

      «Le cose cambiano, Leo» si fece sentire Ottavio.

      «Questa casa è come una capsula del tempo» ribatté il fratello. «Non è cambiata in nulla. C’è addirittura lo stesso silenzio e la stessa pace di prima che me ne andassi.»

      «Io direi che è rimasto lo stesso mausoleo di allora» rispose Ottavio senza battere ciglio.

      «Potremmo piantarne uno noi tre» intervenne Bice avvinghiandosi nuovamente al braccio di Leo. «Ora che siete tornati potremmo decidere di lasciare anche un nostro segno in questa casa.»

      «Non credi che ne abbiamo lasciati abbastanza?» intervenne ancora Ottavio che pareva si divertisse a contrastare ogni sua parola.

      «Tu sicuramente, su quelle scale» scoppiò a ridere lei. «Quasi ogni giorno ti sbucciavi le ginocchia» batté nuovamente le mani. «Dio, che bello riavervi tutti e due qui! Non vi è mancata questa casa? L’aria che si respira, la pace? E io non vi sono mancata?»

      «Bice, dicci il vero motivo per il quale ci hai chiamato!» tagliò corto Ottavio che si era già stancato di tutta quella pantomima.

       Si ripeteva sempre tutto allo stesso modo. Lei spuntava alle loro spalle dichiarando di conoscere un segreto, ma prima di rivelarlo doveva aggiungere qualche commento con enfasi, cercando di catturare la loro attenzione, facendo in modo che loro pendessero dalle sue labbra. Ma solo Leo ci aveva sempre abboccato. Il solito sognatore e romantico, quello che fin da piccolo riusciva sempre a scorgere il lato buono nelle persone e nelle cose, che si fidava ciecamente degli amici e che credeva sempre a tutto ciò che gli veniva raccontato senza mai appurarne la verità. L’unico che si spaventava ogni qual volta Bice raccontava le sue storielle e inscenava una vera catastrofe, infilandoci dentro aneddoti per far perdere la concentrazione a chi l’ascoltava. Lui invece era sempre stato quello più realista e pragmatico, quello che andava diritto al sodo senza tanti giri

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