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Figlia unica
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E-book215 pagine2 ore

Figlia unica

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Info su questo ebook

Matilde e Rachele sono due sorelle inseparabili di nove e undici anni. Vivono in una baita con i loro genitori a Cadria, in alta montagna. La neve, come ogni inverno, blocca le famiglie in casa, costringendo le bambine a passare tutto il tempo insieme, in compagnia di Sibilla e suo figlio Stefano, trasferitisi lì per rimediare alle lezioni scolastiche interrotte.
Matilde è entusiasta di avere per sé la sorella maggiore e le giornate scorrono serene, a dispetto della tormenta di neve oltre le mura della loro casa, fino al giorno in cui i genitori Christopher e Brigitte non affrontano con la piccola un discorso molto serio: Rachele non esiste, è pura immaginazione, e le sue fantasie sono diventate inaccettabili.
Il mondo di Matilde si frantuma in quel terribile momento. Lei non può credere alle parole dei suoi genitori perché Rachele è vera: la vede, la sente e condivide con lei ogni ricordo della sua vita. Allora perché gli adulti si ostinano a definirla una sorella immaginaria e tentano di reprimere la sua esistenza imponendo la presenza di Stefano?
Venti gelidi, notti in cui il silenzio bisbiglia ed eventi angoscianti si abbatteranno sulla famiglia e metteranno a dura prova l’equilibrio e la mente di tutti: anche la più razionale vacillerà incerta di fronte alla terribile verità.
LinguaItaliano
Data di uscita7 nov 2022
ISBN9791281026032
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    Anteprima del libro

    Figlia unica - Sunny Valerio

    PARTE I

    1

    La fioca luce pomeridiana stagliava profili taglienti sulle assi del pavimento: parevano falangi ossute, in paziente attesa di afferrare la loro preda, ma le bambine erano indifferenti a quella minaccia. L’aria era gelida, tanto da alterare i colori della camera condivisa dalle due sorelle. Niente era risparmiato da quel velo smorto che si adagiava ovunque lo sguardo mirasse, ma anche ciò non turbava le bambine. Loro continuavano a giocare in apparente serenità.


    «Fa’ piano, che la mamma si sveglia! Sta riposando!»

    «Ma come faccio a fare la Regina di Cuori sottovoce? Urla: tagliatele la testa!»

    Matilde arricciò il naso e socchiuse gli occhi in due sottili fessure in cui le iridi quasi non si scorgevano più. Rachele non tardò a imitarla.

    «Io non ci vado in punizione un’altra volta per colpa tua.»

    «Ma se la mamma ti perdona sempre tutto!» la liquidò Rachele minimizzando il tono polemico di sua sorella.

    «Non è vero, è sempre solo me che rimprovera, a te non dice mai niente.» Matilde tentò di respingere quel nodo fermo in gola, ma la sua voce minacciò di lasciarsi andare alle lacrime.

    Non le piaceva bisticciare con Rachele. Quando la mamma la puniva, doveva trascorrere ore e ore in soffitta, da sola, e lì non c’era niente che le interessasse: solo disordine, oggetti vecchi e sfasciati e tanta polvere che la faceva starnutire di continuo. Le era concesso un solo libro, ma non era la stessa cosa leggere le favole ad alta voce senza sua sorella. Rachele quasi sempre pretendeva per sé le parti più belle perché era la maggiore. In fondo, però, Matilde si divertiva un mondo quando faceva la voce grossa per interpretare i personaggi cattivi: doveva ammettere che la Regina di Cuori le veniva proprio bene.

    «Hai controllato se la mamma ha chiuso la porta della camera da letto?»

    Matilde si voltò in cerca dello scorcio da cui avrebbe visto la stanza dei genitori. L’ora del riposo pomeridiano era sacra.

    «Mi sembra di sì!»

    Non potevano ancora andare a giocare in giardino. Fuori faceva molto freddo e la loro baita era affogata da una coltre di neve intatta. Matilde non vedeva l’ora di tornare a spaventare Rachele con i grilli che catturava sui fili d’erba.

    Una volta, quando erano più piccole, le aveva addirittura fatto trovare nel letto una scatola piena di quegli animaletti. Aveva atteso che Rachele sollevasse il coperchio della cassettina, mentre lei se ne stava rintanata in silenzio tombale nell’armadio a muro, sbirciando tra le ante schiuse. Quando aveva scorto la faccia inorridita di sua sorella che fissava il fondo della scatola era uscita allo scoperto. Non capiva come mai i grilli non eseguissero il suo ingegnoso piano per spaventarla.

    Rachele poi aveva cominciato a urlare, e lei aveva sentito le lacrime scivolarle lungo il viso. I grilli erano tutti morti. Non doveva andare così, non voleva certo che morissero per colpa sua, ma ormai era troppo tardi.

    A quel ricordo Matilde perse un po’ la voglia di tornare a cacciare d’estate i piccoli insetti salterini. Non le era mai stato chiaro se quelli marroni fossero maschi e quelli verdi femmine, comunque le piaceva immaginare che fosse così. Le cavallette no, quelle le facevano proprio schifo e non aveva il coraggio di toccarle.

    «Alice, vuoi rispondere o no alla Regina di Cuori, che ti taglia per davvero la testa se non dici niente?» La voce di Rachele la richiamò mentre fissava sovrappensiero il paesaggio oltre le tende. Matilde trasalì, attraversata da un brivido.

    «Sì…»

    E tornarono alla loro favola.

    «Matilde! È pronto, scendi!»

    La voce della mamma riecheggiò nella camera qualche ora dopo, mentre se ne stavano tranquille, guardando le immagini dei grandi libri di favole.

    Erano intente a scrutarne una del Pifferaio Magico che suonava il suo strumento seguito dalla scia di topolini. A Matilde non era mai andata molto a genio quella storia, invece a sua sorella piaceva tanto.

    Al richiamo della mamma, abbandonò per terra il tomo poggiato sulle gambe e si voltò verso Rachele, solo per incitarla a far presto. Ma sua sorella le fece segno di andare per prima.

    «Vengo subito,» le bisbigliò.

    «Dai, vieni con me! La cena poi si raffredda e la mamma si arrabbia!» Matilde, nel frattempo, fu già fuori dalla camera.


    «Ti sei lavata le mani?» domandò Brigitte versando nel piatto di sua figlia la zuppa di quella sera. Poi sorrise a suo marito Christopher e afferrò anche il suo piatto.

    «Sì mamma.» Matilde suonò poco convincente.

    Brigitte temeva che da un momento all’altro la sua bambina cominciasse a parlare di Rachele o la richiamasse a gran voce, ma con immenso sollievo non accadde ancora. Negli ultimi tempi stava diventando il suo tormento. Si lasciò cadere sulla sedia sgangherata, rimasta da tempo in attesa delle cure del falegname di casa. Sospirò, tentando di rilassarsi; augurò buon appetito per scrollarsi di dosso gli occhi fissi su di sé dopo quel cenno di stanchezza.

    Brigitte prese a scrutare con attenzione la piccola, seduta di fronte.

    «Ti piace, tesoro?»

    Non era mai abbastanza riempirsi gli occhi della meraviglia di cui sembrava fatta.

    Le aveva tagliato i capelli. Matilde aveva insistito per la frangia e le stava davvero bene: incorniciava il viso perfetto punteggiato dalle lentiggini. Quelle le aveva prese da lei, come in parte il colore dei capelli, ramati. Occhi grandi e castani, carichi di quell’ingenuità infantile che Brigitte si domandava se crescendo l’avrebbe mai abbandonata. Sembrava fatta semplicemente in quel modo: dolce e ingenua.

    «Allora, come stanno le mie donne? Matilde! Non mi hai neanche salutato,» fece notare il papà.

    Le narici di Brigitte erano solleticate dall’odore di segatura, impregnato com’era negli abiti di Christopher: aveva una falegnameria. Nella piccola Cadria suo marito era l’unico a svolgere quel mestiere e riusciva a mantenere la famiglia più o meno senza difficoltà.

    Matilde, trasalendo per la sua dimenticanza, abbandonò le posate per alzarsi e correre ad abbracciarlo.

    «Ciao papino!» Si strinse a lui, affondando il viso nel suo ampio torace. Christopher contraccambiò la stretta, poi le diede qualche colpetto per farla tornare alla cena.

    «Oggi sei stata piuttosto silenziosa Matitina, cosa hai fatto tutto il pomeriggio? Hai ancora letto favole?»

    Brigitte si portò il cucchiaio alle labbra che di riflesso si contorsero in un’espressione afflitta scontrandosi con la zuppa ancora bollente.

    «Mamma, ti sei dimenticata di soffiare!»

    La madre annuì tentando di mandar giù il cibo. Poi sorrise e bevve un sorso d’acqua fresca.

    «Io e Rachele abbiamo giocato ad Alice Nel Paese delle Meraviglie. Poi a Barbablù e poi a Raperonzolo!» Matilde subito si coprì la bocca con le mani, parve pentita di ciò che aveva appena detto.

    Ogni traccia del buon umore di Brigitte, che con fatica aveva cercato di mantenere quella sera, scomparve, lasciando spazio alla familiare angoscia, costante delle sue giornate da quando il nome di Rachele balzava fuori dalle labbra di sua figlia.

    Brigitte scambiò un’occhiata carica di mille interrogativi con suo marito. Erano ormai numerose le notti in cui i suoi incubi non le lasciavano spazio per riposare. Di nuovo Eva con i suoi disegni e le sue mani magre, cadaveriche, che si muovevano spasmodiche su innumerevoli fogli sparpagliati ovunque, in cui non faceva altro che ritrarre sempre e solo gli stessi soggetti: due bambine, Matilde e quella che sapeva portare il nome di Rachele. Peccato che non esistesse nessun’altra bambina in casa sua.

    Ormai una nuova notte era alle porte. Brigitte stava imparando a temere il momento in cui socchiudeva le palpebre per lasciarsi cullare dal sonno. Non voleva rivedere Eva, era stata spaventosa in vita, la sua immagine onirica da defunta era ancora più intollerabile.

    Ma tutto dipendeva da quella Rachele.

    Finirono la cena in un innaturale silenzio.

    Matilde corse in camera sua. Sua sorella non era scesa per cena e doveva dirgliene quattro, l’aveva dovuta coprire tutto il tempo.

    Varcò la soglia della stanza e la trovò dove l’aveva lasciata.

    «Ma mi dici cosa hai fatto? Perché non sei scesa per cenare?» Fissò Rachele, che non accennò a cambiare espressione. «Per fortuna che mamma e papà non se ne sono accorti. Non penso che siano arrabbiati con te. Ma io ti ho coperto, sappilo. Mi devi un favore!»

    «Va bene, quando capiterà, anch’io ti aiuterò. Come ho sempre fatto, sorellina.» Rachele sorrise tranquilla, non sembrava affatto preoccupata.

    «Vogliamo darci la buonanotte io e la mia principessina?»

    Il papà si presentò sulla soglia della loro cameretta e attese un fragoroso «Sì!»

    Matilde si tuffò sul letto morbido e attese che lui la raggiungesse. Rachele rise, assistendo alla scena; si scambiarono un’occhiata di intesa.

    Il rito della buonanotte seguì il suo naturale corso: fecero naso-naso, si abbracciarono e ricordarono l’un l’altra quanto bene si volessero. Poi fu il turno della mamma, che prima di lasciarla dormire le domandò se si fosse lavata i denti.

    «Sei arrabbiata?»

    «Perché dovrei? Tesoro mio…»

    Matilde accettò di buon grado la risposta della mamma. Poi vide i genitori dirigersi fuori dalla camera.

    «Mamma, papà, non date la buonanotte anche a Rachele?»

    Rachele la guardò sgranando gli occhi e Matilde le sorrise, fiera di aver provveduto a quella dimenticanza dei genitori.

    La mamma aveva sempre quella strana espressione.

    «Buonanotte, tesoro.»

    «Buonanotte!» risposero in coro le sorelle.

    Prima di spegnere l’abat-jour attesero cinque minuti. Giusto il tempo di guardarsi ancora negli occhi.

    2

    «P ss! Rachele, dove sei?»

    Matilde aveva la bocca impastata dal sonno, si stropicciò gli occhi per mettere a fuoco la vista.

    Non chiudevano mai gli scuretti delle finestre per la notte. A entrambe era sempre piaciuto intravedere la tenue luce lunare quando il cielo era sereno: disegnava una delicata ombra sul pavimento. La mattina il sole rischiarava ogni angolo della stanza, anche nelle giornate più nuvolose come quella la luce non mancava.

    Matilde cercava il viso della sorella, non era lì. Provò allora a chiamarla con più voce.

    «Buongiorno sorellina!»

    Si voltò e la vide. Faccia a faccia si sorrisero.

    «Ciao… Io ho tanta fame.» Si stiracchiò rilassata. Scostò la coperta e l’aria gelida della casa la investì. «Sento un buon odore, forse la mamma ha preparato la ciambella!» Spinse il nasino nell’aria, come un cane segugio. «Sì, penso proprio di sì,» e saltò giù dal letto.

    «Nevica ancora tanto… Non credo che oggi la scuola verrà riaperta.» Rachele aveva raggiunto la finestra, la sua espressione era diversa dal solito, era quasi malinconica.

    Matilde a quella notizia si illuminò.

    «Che bello, così verrà ancora Sibilla a farci recuperare un po’ di lezioni!»

    Carica di energia, schizzò fuori dalla stanza, e fece un gran baccano scendendo la scala in legno.

    «Buongiorno Matitina mia!»

    La mamma le impresse le labbra sulla fronte, stringendola forte al petto, poi prese la ciambella dal piano della cucina per posarla sulla tavola già imbandita.

    «Hai dormito bene?»

    Matilde intanto era passata tra le braccia del papà, che non perse occasione di stritolarla per bene.

    «Sì, mamma, ho dormito benissimo. Ma è vero che anche oggi non si va a scuola? Rachele dice che nevica ancora tanto. Torna Sibilla?»

    Notò un brusco cambiamento sul sorriso di sua madre: i suoi occhi si erano fatti duri e Matilde temette che sua sorella non avesse ragione.

    Sentiva già la mancanza della sua adorata Sibilla. Le piaceva andare a scuola, ma fare lezioni a casa con lei era molto più bello. Per non parlare del fatto che poteva studiare con Rachele e fingere di avere undici anni come sua sorella.

    In quel paesino di montagna capitava spesso che la neve li costringesse a rimanere in casa, e anche la scuola giù a valle restava chiusa per settimane. Così la sua famiglia aveva rimediato alla loro istruzione con Sibilla che viveva a pochi metri di distanza.

    Matilde fantasticava spesso di averla come maestra per tutto l’anno. Un tempo Sibilla insegnava in una scuola vera. Aveva anche un figlio della sua stessa età, Stefano.

    «Mangia, su! La scuola è ancora chiusa, arriva Sibilla tra non molto.»

    Il viso le si irradiò di gioia. Afferrò l’invitante fetta di dolce che la mamma le porgeva, e la preoccupazione per Rachele, che ancora una volta non si presentava a tavola, passò in secondo piano.


    Finalmente sua sorella fece capolino in cucina.

    «Rachele! Avevi ragione, oggi torna Sibilla perché la scuola è ancora chiusa! Evviva!» Dall’eccitazione Matilde sbatteva mani e piedi.

    «Sì, lo so, viene anche Stefano…» commentò sua sorella con tono meno eccitato.

    Matilde ne rimase spiazzata.

    «Non sei contenta di studiare con me anche oggi?»

    «Matilde, mangia.»

    Il rimprovero rimbombò nell’aria, mettendo fine alla conversazione. E ancora una volta a tavola calò il silenzio.

    Il campanello di casa suonò. Sapevano tutti chi fosse: con quel tempo non attendevano altre visite. Persino il papà non era andato al laboratorio, per i mesi invernali ne aveva uno più piccolo in cantina.

    Matilde attraversò in volata il salotto e raggiunse il piccolo ingresso di casa. Guardò prima fuori dalla finestra, scorse le figure di Stefano e Sibilla e aprì la porta. Una ventata gelida la investì facendola rabbrividire. I due arrivati sgattaiolarono subito dentro casa, fuori la neve pareva aumentare d’intensità.

    Le nuvole serrarono il cielo sulla baita. Si cominciava a udire il tetro sibilo dell’aria.

    Sibilla aveva fatto appena in tempo: rischiava di scoppiare una bufera.

    La piccola sperò che si fermassero anche per la notte. Capitava spesso che rimanessero da loro quando il tempo rendeva difficoltosi anche solo pochi passi. C’era spazio a sufficienza e le stanze non mancavano.

    Sibilla era affannata, ma il suo sorriso la illuminava anche dopo quella fatica.

    «Ciao stellina mia, come stai? Chiudi, prima che si raffreddi tutta casa!»

    Matilde rimase incantata qualche istante osservando la nuvoletta grigia che la donna soffiava fuori dalla bocca. Poi ricordò di chiudersi

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