Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

I grandi condottieri della seconda guerra mondiale
I grandi condottieri della seconda guerra mondiale
I grandi condottieri della seconda guerra mondiale
E-book3.275 pagine50 ore

I grandi condottieri della seconda guerra mondiale

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Da Rommel a Patton, da Montgomery a MacArthur, da Guderian a Žukov, le imprese, le vittorie e le sconfitte degli uomini che hanno scritto la storia

I capi militari delle principali potenze della seconda guerra mondiale: ecco chi sono i protagonisti di questo libro.
Le loro decisioni, così come le loro incertezze, il loro genio o i loro errori più clamorosi hanno fatalmente segnato le sorti del conflitto dalle cui ceneri è emerso il mondo come lo conosciamo ancora oggi. Per ognuno è stato tracciato un profilo che ricostruisce sia gli aspetti biografici che quelli professionali. E che spiega dal punto di vista tecnico i “segreti” dell’arte militare alla base di molte delle imprese leggendarie di questi comandanti: il lavoro di pianificazione da cui scaturì il “miracolo di Bastogne” di Patton, la preparazione e la competenza di Eisenhower nel guidare grandi e complesse armate “multinazionali” e “interforze” in Europa, il carisma e la determinazione di MacArthur nel guidare complesse operazioni terrestri, anfibie e aeronavali nel Pacifico, o il “comando dal fronte” di Rommel in Francia e Africa settentrionale. Un racconto inedito, documentato ma anche narrativamente ricco, dei generali che hanno fatto la storia

Tattiche, colpi di genio e passioni che hanno guidato le azioni degli strateghi nel più grande conflitto mondiale

Tra i principali personaggi presenti nel libro:
• Erich Von Manstein • Erwin Rommel • Heinz Guderian • Isoroku Yamamoto • Bernard Montgomery • Archibald Wavell • Claude Auchinleck • Hugh Dowding • George Patton • Dwight David Eisenhower • Douglas MacArthur • Omar Bradley • Chester Nimitz • Charles De Gaulle • Georgij Žukov
Fabio Riggi
È un ufficiale dell’Esercito Italiano, appartenente al 174° Corso dell’Accademia Militare di Modena. Nato a Nettuno (Roma) nel 1973, attualmente vive a Rimini. Nel corso della sua carriera ha frequentato corsi di perfezionamento e qualificazione e ha partecipato a numerose attività addestrative, nazionali e NATO. Inoltre ha preso parte a varie missioni all’estero, condotte in diversi teatri operativi. Ha scritto articoli di carattere tecnico e storico-militare per le riviste «Rassegna dell’esercito», «Tecnologia & Difesa» e «Limes». Attualmente collabora con la rivista «Focus Wars». 
LinguaItaliano
Data di uscita24 ott 2018
ISBN9788822716057
I grandi condottieri della seconda guerra mondiale

Correlato a I grandi condottieri della seconda guerra mondiale

Titoli di questa serie (100)

Visualizza altri

Ebook correlati

Guerre e militari per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su I grandi condottieri della seconda guerra mondiale

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    I grandi condottieri della seconda guerra mondiale - Fabio Riggi

    I britannici

    La fucina della Grande Guerra

    L’Inghilterra è stata tra le grandi potenze vincitrici della seconda guerra mondiale e per un intero anno, dal giugno del 1940 a quello del 1941, rimase sostanzialmente da sola a fronteggiare la Germania e l’Italia in Europa, Africa e Medio Oriente. In particolare, i lunghi mesi dell’estate 1940, durante i quali essa fu sottoposta al pericolo mortale di un’invasione da parte della Wehrmacht, sono entrati giustamente nella storia nazionale della Gran Bretagna avvolti dal mito. Quel periodo è diventato così a buon diritto il vero simbolo della tenacia e dello spirito combattivo delle sue genti, che in quel drammatico lasso di tempo seppero scrivere un fulgido capitolo da incidere con lettere di fuoco nella grande tradizione militare britannica.

    Lo strumento militare del Regno Unito è sempre stato quello di una tipica potenza marittima insulare, basato quindi su una potente marina e un esercito professionale di ridotte dimensioni, capace di esprimere quelle capacità che oggi sono definite di proiezione di forza in aree lontane dalla madrepatria. In pratica la configurazione del British Army è sempre stata quella che la moderna terminologia militare anglosassone definisce "expeditionary", cioè in grado di proiettare corpi di spedizione in quasi ogni parte del globo. Questo per l’impero britannico era possibile sfruttando soprattutto il pilastro più importante della sua potenza militare: il dominio dei mari esercitato dalla superiorità della Royal Navy e dalla sua rete di basi sparse in ogni angolo del globo. Era da questo elemento costitutivo che derivava la nota massima: "Britannia Rules the Waves", la Gran Bretagna che «dominava le onde». Quello che aveva plasmato in questo modo l’apparato militare dell’Inghilterra era la necessità di espandere e difendere nello stesso tempo il nucleo centrale della sua forza: il suo immenso impero coloniale, che si estendeva in Africa, Medio Oriente e Asia. In effetti, uno dei grandi paradossi della seconda guerra mondiale è relativo al fatto che proprio nel momento in cui nel 1945 il Regno Unito usciva trionfante dal secondo conflitto mondiale, ebbe inizio la rapida fine del suo impero coloniale.

    La prima guerra mondiale fu un evento molto importante nella storia delle forze armate britanniche, con particolare riferimento all’esercito. Se la marina infatti rivestì il suo ruolo tradizionale di regina dei mari, imponendo il blocco navale agli Imperi Centrali e prodigandosi nella difesa delle linee di comunicazione con il Nord America dalla minaccia dei sommergibili, l’esercito si ritrovò invece a dover prendere parte a una guerra totale sul continente europeo. Si trattava di una sfida ben diversa rispetto alle piccole guerre coloniali che il British Army era abituato a combattere da più di un secolo e che in epoca vittoriana ne avevano plasmata la struttura. Furono quindi le forze terrestri a subire l’impatto più pesante delle grandi prove che quasi subito dovette affrontare tra le trincee del fronte francese. In realtà, alcuni anni prima del conflitto, erano state messe in atto alcune riforme atte a preparare l’esercito a un impegno su vasta scala, un’ipotesi che nei primi anni del ’900 iniziava a delinearsi sempre più chiaramente. Tra le misure più importanti rivolte a trasformare il British Army da una sorta di polizia coloniale – quale era stato per buona parte del xix secolo – a qualcosa di più simile a una forza in grado di affrontare impegni su scala più vasta, vi fu la costituzione, nel 1908, della Territorial Force, che poi nel 1920 cambiò denominazione in Territorial Army. In questo modo fu creata una componente definita e separata, alla quale furono inizialmente assegnati compiti di difesa del territorio metropolitano. In seguito essa fu poi però destinata a svolgere, in caso di conflitto, anche l’importante funzione di affiancare le unità regolari, andando così a configurarsi come una vera e propria forza di riserva. Si tratta di un’organizzazione che con la denominazione di "Army Reserve" esiste ancora oggi, e rappresenta il classico elemento a supporto di un esercito che nell’arruolamento di volontari professionisti ha sempre visto uno dei pilastri della sua struttura tradizionale, e che per tale motivo mantiene una consistenza numerica limitata. Comunque, quando nel 1914 la Gran Bretagna si trovò immediatamente coinvolta nel conflitto, mentre la marina poteva contare sul suo poderoso potenziale, mantenuto costante sin dal tempo di pace, il British Army era pur sempre una ridotta forza di soldati professionisti, che contava su non più di sei divisioni di fanteria e una di cavalleria, delle quali solo quattro furono inviate subito in Francia. Quando sul fronte francese le operazioni si trasformarono nel giro di pochi mesi in una dura lotta di logoramento, inasprita dalla staticità della guerra di posizione, l’esercito britannico dovette dare inizio a una vera e propria trasfigurazione. Dovendo presidiare la parte più settentrionale del fronte, che andava dalle Fiandre alla regione della Somme, esso diede così avvio a un drastico processo di espansione delle sue forze. Nel 1916 anche il governo britannico dovette adeguarsi alla realtà di un conflitto che aveva ormai definitivamente assunto i caratteri di una guerra totale, introducendo la coscrizione obbligatoria per fornire all’esercito gli effettivi necessari per sostenere uno sforzo dalle proporzioni mai conosciute prima di allora. Nel gennaio dello stesso anno, il British Army arrivò a schierare in Francia trentotto divisioni di fanteria e cinque di cavalleria, che formavano a loro volta cinque armate, per un totale di oltre un milione di uomini.

    Questa rapida evoluzione comportò l’immediata esigenza di avere a disposizione un gran numero di ufficiali per inquadrare le unità di nuova costituzione e questo portò a un altrettanto veloce avanzamento di quelli di carriera che provenivano dalle accademie militari. Anche per questo motivo, molti futuri generali del British Army in quel periodo scalarono molti gradini della gerarchia, attraverso un ampio ricorso al sistema dei Temporary Ranks, i gradi provvisori attribuiti senza tenere conto dei normali requisiti di anzianità previsti normalmente. Si trattava di un metodo di avanzamento cui l’esercito britannico faceva ricorso anche in tempo di pace, ma le pressanti esigenze del periodo bellico portarono inevitabilmente a un uso estensivo di tale pratica. Fu in questo modo che ad esempio Archibald Wavell diventò temporaneamente tenente colonnello nel 1916, a 33 anni, entrando a far parte dello stato maggiore di due diversi comandi di corpo d’armata impegnati nella campagna in Palestina, dove ebbe la possibilità di ammirare l’azione di comando e le vittorie di quello che poi riterrà sempre un grande maestro: il General Sir Edmund Allenby. Claude Auchinleck fu promosso al grado temporaneo di maggiore nel 1916, quando aveva 31 anni, e dopo poco tempo diventò comandante del suo reggimento. Questo sistema prevedeva anche la possibilità di rivestire un cosiddetto "Acting Rank, cioè un grado funzionale" strettamente connesso all’incarico assolto in quel momento: se esso prevedeva un grado superiore a quello rivestito dall’ufficiale che era stato chiamato a ricoprirlo, consentiva a quest’ultimo di assumerlo per la durata del suo mandato, anche se poi nella prassi questo tendeva spesso a essere poi confermato. Questa procedura restò in uso anche nella seconda guerra mondiale, e grazie ad essa, ad esempio, quando diventò comandante per il Medio Oriente, Archibald Wavell assunse il grado di General. In un’altra occasione il Major-General Neil Ritchie, che per motivi contingenti era stato messo da Auchinleck alla guida dell’8ª armata, assunse conseguentemente il grado superiore di Lieutenant-General.

    L’esperienza della Grande Guerra incise in maniera molto rilevante soprattutto sulle concezioni dottrinali che ciascuno dei futuri generali dell’esercito britannico riversarono poi sui campi di battaglia della seconda guerra mondiale. Da questo punto di vista, all’atto pratico, le vicende belliche che videro coinvolta la Gran Bretagna nel 1914-18 possono essere considerate come una vera e propria fucina che andò a forgiare la visione strategica e tattica di molti dei più importanti comandanti nel conflitto successivo. Ciò accadde, tra l’altro, anche andando a determinare quelle che poi saranno alcune marcate differenze riscontrabili tra loro stessi, a seconda dei teatri di operazioni dove essi si trovarono a operare. Montgomery è sempre stato un generale noto per la sua enfasi sulla costante ricerca della superiorità materiale e della potenza di fuoco, per la sistematicità delle sue battaglie e per la massima cura posta sulla preparazione e l’addestramento delle truppe. Queste caratteristiche gli erano proprie anche perché durante la Grande Guerra aveva fatto esperienza esclusivamente sui martoriati campi di battaglia del fronte francese, dove imperava la logica della terribile "Materialschlacht", la «guerra di materiali» figlie dalla guerra di posizione. Wavell, oltre al fronte occidentale, aveva invece avuto la possibilità di partecipare alle campagne di Allenby in Palestina, e fu da quel momento che iniziò a maturare il suo convincimento sull’importanza delle misure di inganno e dissimulazione nei confronti del nemico, oltre che sulle tattiche sulla guerra non ortodossa, tutti concetti che metterà in pratica nel conflitto successivo. Auchinleck aveva invece preso parte alle operazioni nelle vaste pianure desertiche della Mesopotamia, ed è soprattutto per questo che nella seconda guerra mondiale fu uno dei generali britannici maggiormente votati ai princìpi della manovra e della mobilità delle forze. Quando assunse il diretto controllo dell’8ª armata nel cruciale trimestre giugno-agosto 1942, tutto questo fu all’origine della profonda differenza tra la sua azione di comando e quella invece poi esercitata da Montgomery, che sarà il suo successore alla testa di quella gloriosa Grande Unità. Dal canto suo, nella prima guerra mondiale la Royal Navy ebbe modo di essere tra le prime a sviluppare l’aviazione navale, cioè la nuova arma che avrebbe in seguito rivoluzionato la guerra sul mare. Una delle tappe più importanti di questo sviluppo si ebbe quando la marina britannica introdusse in servizio, proprio alla fine della guerra, la hms Argus: la prima nave portaerei del mondo. Proprio grazie alle portaerei e all’aviazione imbarcata Andrew Cunningham – che durante la prima guerra mondiale si trovava al comando di veloci cacciatorpediniere, a bordo dei quali iniziò a maturare la sua natura di futuro ammiraglio audace e determinato – coglierà nel Mediterraneo le sue grandi vittorie di Taranto e Capo Matapan, tra le più brillanti ottenute sul mare dalla Gran Bretagna nella seconda guerra mondiale.

    Smobilitazione e nuove teorie

    Negli anni del primo dopoguerra in Inghilterra s’iniziò a respirare, però, un clima di smobilitazione, e dopo le terribili perdite subite nelle trincee del fronte occidentale (anche se in proporzione più ridotte rispetto a quelle di altre nazioni, come la Francia, la Germania o la Russia) iniziò a manifestarsi anche una sorta di risentimento verso le istituzioni militari, in particolar modo verso il corpo ufficiali. Nel 1919, su suggerimento di Winston Churchill, in quel momento segretario di stato per la guerra, il governo britannico fissò il principio della cosiddetta "Ten Years Rule, ovvero la regola dei 10 anni, secondo la quale le forze armate dovevano basare i loro piani sul presupposto che non sarebbero state impegnate in un conflitto su vasta scala per almeno un decennio. Ne derivarono pesanti tagli al bilancio, e in tale contesto quello che soffrì maggiormente di questa situazione fu il British Army, che ripiombò nella sua condizione originaria di ridotta forza di gendarmeria coloniale. La principale conseguenza fu non solo un notevole ridimensionamento delle sue capacità operative, ma anche una riduzione sostanziale delle prospettive di carriera per gli ufficiali. Per questo, in quel periodo, la posizione di capo di stato maggiore imperiale, corrispondente al vertice dell’esercito, era di norma occupata da generali mediamente più vecchi di sette anni rispetto a quelli del periodo antecedente la prima guerra mondiale. A causa di questa situazione di generale ristrettezza, molti ufficiali, tra cui futuri comandanti di alto livello come Wavell e Auchinleck, si ritrovarono nel corso degli anni ’30 nella posizione amministrativa di aspettativa a mezzo stipendio" per mancanza di posizioni organiche da assegnare.

    Ad ogni modo, nonostante le condizioni non facili in cui versava, negli anni ’20 l’esercito britannico riuscì lo stesso ad assumere sorprendentemente un ruolo guida nel processo di meccanizzazione dei principali eserciti, che era scaturito dall’apparizione dei primi mezzi motorizzati e corazzati sui campi di battaglia della prima guerra mondiale. Ciò avvenne soprattutto per merito di due dei suoi ufficiali, che in poco tempo diverranno i più affermati teorici sull’impiego delle unità corazzate a livello mondiale: il colonnello John Frederick Charles Fuller e il capitano Basil Liddell Hart. Il primo dei due era stato ufficiale di stato maggiore dei Tank Corps in Francia e aveva preso parte alla pianificazione del piano per l’offensiva di Cambrai. All’atto pratico quello era stato il grande esordio del carro armato, con il quale il nuovo mezzo aveva dimostrato di essere lo strumento in grado di rivoluzionare la guerra terrestre. Fuller sviluppò subito una teoria nella quale finì con il prendere il sopravvento l’idea di unità basate sul concetto "All Tanks" («tutto carri») fortemente sbilanciate nella componente propriamente corazzata. Liddell Hart invece, era più orientato verso una concezione più equilibrata, che tenesse nel debito conto la necessità di creare un insieme più completo, comprensivo del necessario supporto delle altre armi, in primo luogo la fanteria motorizzata. In questo modo, le sue idee si avvicinarono a quelle che furono poi elaborate con risultati decisivi da Guderian in Germania. Dal punto di vista della forma e dell’atteggiamento, Liddell Hart andò ad assumere un atteggiamento meno radicale, e dai toni meno aspri rispetto a quello di Fuller. Furono poi proprio le sue posizioni eccessivamente radicali che alla fine costarono a quest’ultimo l’influenza che era riuscito inizialmente a guadagnare negli ambienti militari britannici. Stimolato dal lavoro di questi due teorici, e grazie anche all’iniziativa di altri ufficiali non meno convinti della necessità di modernizzare l’esercito in quella direzione, nel 1927 in seno al British Army si costituì l’Experimental Mechanized Force («Forza Meccanizzata Sperimentale») una Grande Unità a livello brigata destinata a mettere in pratica sul campo i vari aspetti riguardanti l’impiego dei reparti motorizzati e corazzati. In ogni caso Liddell Hart – destinato a passare alla storia come il capitano che insegnò la guerra ai generali – non si limitò a occuparsi solo di tattica, ma andò anche a sviluppare una teoria strategica che prese il nome di "indirect approach" («approccio indiretto») basata sull’assioma di cercare di colpire sistematicamente il nemico nei punti in cui era più debole. Con questa elaborazione teorica, il capitano inglese contestò piuttosto apertamente gli insegnamenti di von Clausewitz – il cui pensiero peraltro è ancora oggi molto influente negli ambienti militari di tutto il mondo – con particolare riferimento ai suoi famosi concetti di Schwerpunkt («centro di gravità») e decisione, ampiamente fondati sui princìpi della massa e della concentrazione delle forze. Influenzato anche dai massacri a cui anche lui aveva assistito nelle trincee del fronte occidentale, Liddell Hart sosteneva che la ricerca della battaglia decisiva ad ogni costo poteva essere sostituita con il cercare invece di sbilanciare l’avversario con una strategia volta a colpirlo prioritariamente nelle aree in cui era più vulnerabile.

    Tornando a livello tattico, in realtà, alcuni osservatori ritengono che il pensiero di Fuller abbia in qualche modo influito negativamente sullo sviluppo della componente corazzata dell’esercito britannico negli anni ’20 e ’30. Questo sarebbe avvenuto soprattutto nel momento in cui la sua concezione tutto carri fu probabilmente una delle cause di quello che nella seconda guerra mondiale fu uno dei maggiori punti deboli delle Grandi Unità britanniche, specie in Africa settentrionale: la scarsa cooperazione tra le varie armi, in primo luogo fanteria, reparti corazzati e artiglieria. Un’altra delle cause alla base di questo grave problema è stata poi identificata nel tradizionale sistema reggimentale del British Army. Esso è sempre stato uno dei pilastri della tradizionale organizzazione dell’esercito britannico, ed è basato sul reclutamento diretto da parte dei singoli reggimenti del personale di truppa, e sulla permanenza il più a lungo possibile di ufficiali e sottufficiali tra i loro ranghi. Questo modello ha sempre creato in questo modo una coesione molto forte tra personale abituato a vivere e operare insieme per lunghissimo tempo, rendendo molto spiccato il cosiddetto spirito di corpo di ciascuna unità. D’altro canto non sono mai mancate anche le critiche verso questo sistema, basate sugli inconvenienti che secondo alcuni esso provocherebbe. Queste sono riferite soprattutto al fenomeno provocato da un’eccessiva autonomia e autoreferenzialità dei singoli reggimenti, a danno degli interessi dell’istituzione in generale. Durante la seconda guerra mondiale questa situazione si sarebbe fatta sentire addirittura sul campo di battaglia, provocando una scarsa propensione alla cooperazione tra diversi reparti, un elemento che invece era ormai un requisito imprescindibile alla base del combattimento ad armi combinate, in cui i tedeschi avevano dimostrato invece di essere dei maestri. Il sistema reggimentale aveva naturalmente sempre esercitato un’influenza diretta anche sul percorso di carriera degli ufficiali dell’esercito. Ad esempio, Wavell rimase sempre legato al reggimento scozzese Black Watch, nella cui caserma era cresciuto sin da ragazzo essendo la sede dell’unità ove prestava servizio suo padre. Lui stesso poi, una volta diventato ufficiale, entrò a farvi parte. Montgomery, dal 1908, fu ufficiale subalterno nel Royal Warwickshire Regiment, e nel corso della sua carriera tornò sistematicamente sempre in quest’ unità, ricoprendovi gli incarichi di comandante di plotone, compagnia, e battaglione, fino al grado di tenente colonnello. Di fatto, tra i membri di un "Regiment britannico s’instaurano legami e si tramandano tradizioni e usanze che spesso molti di coloro che hanno vissuto quell’esperienza non hanno esitato a definire tribali".

    Alla vigilia della tempesta

    Un altro aspetto del tutto peculiare dell’esercito di sua maestà britannica durante la seconda guerra mondiale era quello riferito ai cosiddetti ufficiali indiani. Le origini del cosiddetto "British Indian Army" risalgono al 1857, quando a seguito della rivolta delle truppe reclutate tra la popolazione locale – che fino a quel momento erano pagate e dipendevano dalla Compagnia delle Indie Orientali – l’anno successivo la corona britannica decise di porle sotto il suo diretto controllo, unitamente a tutti gli altri aspetti dell’amministrazione del paese. Tuttavia, queste forze continuarono a essere organizzate in contingenti separati fino al 1895, quando con nuovo provvedimento furono riunificate e poste sotto l’autorità di un comandante militare unico. Formato in larga parte da truppe coloniali inquadrate da ufficiali britannici – cui si affiancavano reparti nazionali inglesi di stanza nella colonia – vista la distanza dalla madrepatria e le caratteristiche peculiari dei territori nei quali si trovava a operare, l’Indian Army assunse ben presto delle caratteristiche piuttosto distinte da quello metropolitano, pur rimanendone comunque una diretta espressione. Questo aspetto si andava inevitabilmente a riflettere in maniera significativa anche sul corpo ufficiali. Innanzitutto, spesso l’essere assegnati a quella lontana colonia rappresentava un traguardo ambito, anche in virtù del fatto che per il servizio oltremare si percepiva una paga superiore. Per i giovani subalterni che all’inizio della loro carriera non brillavano per disponibilità economiche, come ad esempio Bernard Montgomery, la destinazione in India poteva così rappresentare una soluzione in grado di alleviare quell’assillo. Capitava poi spesso che un ufficiale continuasse quasi per intero la sua carriera tra i ranghi di quella che in pratica rappresentava una sorta di istituzione separata. Tra l’altro, l’Indian Army andò anche ad aprire dei propri istituti di formazione, come lo Staff College di Quetta, una scuola per ufficiali di stato maggiore specificamente destinata a quelli di stanza in India. Ovviamente, anche le caratteristiche personali e professionali di un ufficiale indiano potevano differire da quelle della parte restante dell’esercito, a volte anche in maniera piuttosto marcata. Tra i generali della seconda guerra mondiale, il più illustre esponente di questo vero e proprio gruppo sociale nell’ambito dell’esercito britannico fu certamente Claude Auchinleck, che vi trascorse, ancora prima dell’inizio del conflitto, non meno di trentasei anni.

    Alla vigilia della seconda guerra mondiale il British Army si presentava quindi come una sorta di strumento incompiuto, che se da un lato aveva perseguito la strada della modernizzazione – riuscendo a diventare anche in qualche modo un modello di riferimento per gli altri paesi – con un particolare riferimento al processo di meccanizzazione, dall’altro soffriva di gravi lacune dovute anche e soprattutto alla perdurante scarsezza di risorse finanziarie. Inoltre, l’evoluzione dottrinaria delle forze corazzate aveva portato questa componente a suddividere sostanzialmente le proprie unità in due categorie: quelle dotate dei lenti e pesanti "Infantry Tanks ovvero i carri destinati all’appoggio della fanteria, e quelle invece equipaggiate con i Cruiser Tanks" («carri incrociatori») inquadrate nelle divisioni corazzate propriamente dette. Archibald Wavell fu tra i protagonisti della definizione di questo criterio, il quale ebbe anche un fondamentale e logico riflesso sui requisiti tecnici sulla base dei quali l’industria produsse i modelli di carri armati con cui l’esercito britannico entrò in guerra. Alla prova del fuoco sui campi di battaglia però, soprattutto nel periodo 1939-42 e poi soprattutto durante la campagna in Africa settentrionale, questo concetto non si rivelò pienamente efficace e rispondente alle reali esigenze operative.

    Quando nella seconda metà degli anni ’30 l’Inghilterra fu costretta a prendere atto del rapido deteriorarsi della situazione internazionale, nel 1937 essa diede inizio a un programma di vero e proprio riarmo, per il quale fu stanziata una somma iniziale di 1500 milioni di sterline, che fu poi aumentata l’anno successivo. In quel periodo, le priorità nelle assegnazioni di bilancio furono comunque assegnate alla marina e all’aeronautica, e di conseguenza l’esercito continuò ad essere svantaggiato. La Royal Navy era ancora la prima forza navale del mondo – anche se dopo la conferenza sulla limitazione degli armamenti navali di Washington del 1921-22 era sancito che dovesse condividere questo primato con la marina degli Stati Uniti – ma per tutti gli anni ’20 e all’inizio del decennio successivo, aveva a sua volta sofferto il processo di invecchiamento della flotta, che per la maggior parte era ancora composta di navi che risalivano al periodo antecedente alla prima guerra mondiale. Il programma di ammodernamento dello strumento navale britannico fu basato su un concetto strategico ben definito: quello delle "two emisphere fleets", le «flotte per i due emisferi». Perfettamente in linea con il tradizionale rango di potenza globale dell’Inghilterra, esso prevedeva l’allestimento e il mantenimento in efficienza di due flotte, organicamente costituite, in grado di condurre contemporaneamente un conflitto sia nell’emisfero occidentale che in quello asiatico. A seguito di questo sostanziale rafforzamento, in quel periodo entrarono così in linea nuove unità in ogni categoria, tra le quali figurarono non meno di nove corazzate e sei portaerei. Analogamente, furono curate e rimodernate anche le infrastrutture e gli organi di sostegno logistico e si ebbe cura di mantenere l’addestramento di comandanti ed equipaggi sui tradizionali elevatissimi standard qualitativi. Per questo, quando nel 1939 scoppiò la seconda guerra mondiale, la Royal Navy confermava la sua posizione di marina più potente del mondo e la Gran Bretagna il suo primato di potenza navale. Nel corso del conflitto questo grande sforzo non impedì però alle forze navali britanniche di trovarsi in alcuni teatri operativi in condizioni di relativa inferiorità, come accadde nel Mediterraneo, soprattutto a causa di sviluppi strategici difficilmente prevedibili come il crollo repentino della Francia nel 1940. Ma in quest’ultimo caso, fu la grande preparazione strategica e tecnica dell’ammiraglio Andrew Cunningham, comandante della Mediterranean Fleet, a permettergli di tenere testa validamente a un avversario teoricamente superiore in molti settori com’era la Regia Marina all’atto dell’entrata in guerra dell’Italia.

    L’evoluzione della Royal Air Force, al pari di altre forze aeree nel mondo, subì il diretto influsso delle teorie sul bombardamento strategico in voga in quegli anni, di cui uno dei principali promotori in Gran Bretagna era stato il maresciallo dell’aria Hugh Trenchard, già capo di stato maggiore della raf negli anni ’20. Di conseguenza, l’evoluzione dell’aviazione britannica fu impostata mirando alla creazione di una forza di bombardieri a lungo raggio e contemporaneamente di una componente da caccia a sua volta in grado di difendere l’isola da quelli in possesso dei potenziali avversari. Questo secondo specifico aspetto nell’estate del 1940 diventerà per l’Inghilterra una vera e propria questione di vita o di morte, e in tale contesto spicca la figura di Hugh Dowding, capo del "Fighter Command", il «Comando Caccia», dalla sua costituzione nel 1936. Questo valente ufficiale non si limitò a curare la preparazione di piloti e l’introduzione di nuovi modelli di aerei (come il celebre Vickers-Supermarine Spitfire) ma si impegnò a fondo nella creazione e lo sviluppo di un vero e proprio sistema integrato di difesa aerea, incentrato su un ritrovato della tecnologia che di lì a poco avrebbe rivoluzionato la guerra nell’aria e sul mare: il radar. Tutto questo portò però nello stesso momento a una struttura dell’aviazione che all’inizio del conflitto era quasi esclusivamente rivolta ai suoi ruoli strategici, difensivi e offensivi, incentrati sul concetto di bombardamento strategico, tralasciando invece quello di supporto aerotattico alle operazioni terrestri per il quale invece, ad esempio, si stava preparando accuratamente la Luftwaffe tedesca.

    Il guerriero Churchill

    Uno degli aspetti fondamentali nella vicenda dei capi militari britannici nella seconda guerra mondiale era il rapporto che ognuno di essi ebbe con una delle figure più importanti in assoluto nella storia di quel conflitto: Winston Churchill. Quest’ultimo non era solamente già da tempo uno degli esponenti di spicco della politica britannica, ma lui stesso era stato un ufficiale dell’esercito, uscito dal Royal Military College di Sandhurst e orgoglioso discendente del duca di Marlborough. Churchill aveva combattuto in Sud Africa, Sudan, India e durante la prima guerra mondiale aveva comandato il 6th Royal Scots Fusiliers Regiment sul fronte francese. Un dettaglio importante è che egli faceva parte dell’arma di cavalleria, e come spesso accade per gli ufficiali di questa vera e propria nobile comunità egli maturò nel tempo una concezione romantica ed eroica della guerra, che lo accompagnerà poi per tutta la vita. Infatti, questa spiccata tendenza a volere spesso a tutti i costi offensive trionfali e operazioni militari che si distinguevano per audacia e spregiudicatezza fu una sua caratteristica anche quando, dal 10 maggio 1940, egli assunse la carica di primo ministro. In quel momento Churchill prese in mano le redini della Gran Bretagna mentre era impegnata da pochi mesi in quello che sarebbe stato il più grande conflitto del xx secolo, e proprio quando la nazione britannica stava per finire nel giro di poche settimane letteralmente sotto assedio.

    Con queste premesse, era forse inevitabile che alla fine Churchill andasse a mettere in atto una costante ingerenza nella condotta delle operazioni militari, nelle quali molto spesso voleva vedere applicati la sua visione e i suoi criteri strategici. Questo innescò un rapporto altalenante con una delle figure più importanti al vertice delle forze armate britanniche, il Chief of the imperial general staff (cigs), il capo di stato maggiore imperiale in carica dal dicembre 1941 fino alla fine della guerra: Alan Brooke. Quest’ultimo, al pari degli altri alti ufficiali britannici, oltre a cercare di frenare in qualche modo le continue interferenze di Churchill sull’azione di molti comandanti sul campo, cercò anche di arginare le vere e proprie intemperanze di quest’ultimo nell’ideare campagne sempre più ardite e temerarie. Nel far questo, Brooke cercava di ricondurre il suo vulcanico primo ministro alla realtà della guerra moderna, con i suoi imprescindibili aspetti materiali, caratterizzati dai condizionamenti dovuti ai rapporti di forze, agli aspetti tecnologici degli armamenti e ai pesanti vincoli imposti dalla logistica. È ben nota la famosa frase del capo di stato maggiore imperiale secondo la quale «Winston aveva dieci idee al giorno, una sola era giusta, ma lui non sapeva quale».¹¹ Ad ogni modo, al di là del caustico commento di Brooke, molti storici militari ritengono che Churchill fosse in realtà uno stratega dalle qualità non trascurabili, che spesso riusciva a cogliere aspetti molto importanti sulla condotta del conflitto che invece spesso sfuggivano ai comitati governativi e agli stati maggiori al più alto livello. In ogni caso, la sua personale visione dell’arte militare e di quella del comando andò inevitabilmente a condizionare e a segnare le sorti di molti tra i più importanti comandanti britannici. Ciò accadde soprattutto durante i fatidici due anni, dal 1940 al 1942, durante i quali si dipanarono le fasi più importanti e altalenanti della campagna in Nord Africa. Sarà infatti nel corso di questa lunga epopea che il rapporto di Churchill con i suoi generali conobbe i momenti più tesi e problematici. A farne le spese furono soprattutto Archibald Wavell prima e Claude Auchinleck poi.

    Un altro aspetto importante dell’interazione tra Churchill e molti capi militari britannici era rappresentato dal fatto che nel valutare il loro operato, egli usava spesso un metro che corrispondeva alla sua personale concezione di come dovesse essere un grande generale: carismatico, impetuoso, energico e sempre votato all’offensiva. Come spesso accade nell’ambito dei rapporti umani, anche tra uomini investiti di enormi responsabilità come quelli che ressero le sorti dell’impero britannico nella seconda guerra mondiale, molto spesso il gradimento di Churchill verso l’uno o l’altro tra i suoi generali e ammiragli era determinato dalla sua vulcanica personalità o da pure sensazioni di gradimento o antipatia personale. A tutti gli effetti, quello che l’impetuoso premier britannico prediligeva sopra ogni altra cosa in un capo militare era il coraggio fisico e la tempra di guerriero di un capo militare, quello che in fondo lui stesso avrebbe voluto essere, in una sorta di frustrazione nel sentirsi una specie di Marlborough mancato, un sentimento che secondo alcuni eminenti storici lo accompagnò per tutta la vita.

    Alla luce di tutto ciò, le costanti insistenze del primo ministro britannico sui comandanti responsabili del fronte africano per ottenere offensive vittoriose da gettare sul piatto della diplomazia, oltre che in pasto agli umori dell’opinione pubblica, saranno il vero leitmotiv della campagna del deserto. Di fatto, sia Wavell che Auchinleck dovettero sopportare quella pressione, ma poi anche Montgomery, l’unico che peraltro riuscì a tenervi testa e uscirne indenne, soprattutto grazie alla sua altrettanto arcigna personalità e soprattutto alla vittoria risolutiva che riuscì poi a cogliere sul campo di El Alamein. Sotto questo aspetto, la spiccata e sistematica tendenza di Churchill a cercare di imporre il suo volere nella condotta della guerra ricorda molto da vicino quella ben più nota e stigmatizzata, verificatasi nel campo avverso, messa in atto da Hitler, un fenomeno il quale, tra l’altro, è doveroso ricordare come abbia prodotto soprattutto nella seconda parte della guerra conseguenze ben più disastrose. Tuttavia, quando il primo ministro britannico all’inizio del suo mandato andò a ridefinire la struttura di comando a livello politico-strategico della Gran Bretagna, non lo fece perseguendo il deliberato scopo di imporre il suo controllo assoluto, tenendo separati i vari organi in modo da limitarne l’accesso a tutta una serie di informazioni. Al contrario, Churchill volle migliorarne le capacità di integrazione, incoraggiando il libero dibattito tra gli uomini chiave e lasciando libero accesso ai più importanti elementi di situazione necessari per implementare i processi decisionali, senza andare mai a esercitare un dogmatico autoritarismo. Uno degli esempi più rilevanti in questo senso ci fu proprio al suo esordio da primo ministro, quando nella drammatica primavera del 1940 diede alla fine ascolto al famoso appello di Dowding di non inviare altri reparti del Fighter Command in Francia, una decisione che poi sarà uno dei punti chiave della successiva battaglia nei cieli dell’Inghilterra.

    Un’alleanza difficile

    Un’altra costante che riguarda la storia dei comandanti britannici durante la seconda guerra mondiale è quella del rapporto spesso difficile, a volte quasi apertamente conflittuale, con i loro corrispettivi americani. Si trattò della diretta conseguenza di approcci diversi alla condotta del conflitto, che furono oggetto di tutta una serie di divergenze tra i vertici politico-militari statunitensi e britannici. Questi ultimi, infatti, con una concezione ancora una volta personificata da Churchill, perseguivano il tradizionale concetto di strategia periferica e indiretta, lo stesso che aveva caratterizzato da secoli la politica estera e militare della Gran Bretagna. In ragione della sua condizione insulare, essa aveva tra le sue principali peculiarità quella di essere una nazione che aveva nel primato della sua marina da guerra uno dei pilastri della sua potenza. Per questo, sin dai tempi di Wellington e Nelson, quando si trovò impegnata in guerre sul continente europeo l’Inghilterra aveva sempre intrapreso campagne che sfruttando il dominio dei mari della Royal Navy si basavano su operazioni di una tipologia piuttosto definita: blocco navale, guerra ai traffici marittimi nemici e azioni anfibie volte a sbilanciare e colpire sui loro fianchi strategici gli avversari. Si trattava di un’interpretazione del pensiero strategico tradizionale britannico che Liddell Hart aveva codificato dal punto di vista dottrinario con la sua teoria dell’"indirect approach. Lo stesso Churchill era il principale promotore di questa precisa visione navale e anfibia" della strategia e lui stesso nella prima guerra mondiale era stato il principale fautore dello sbarco a Gallipoli, in quello che alla fine fu un disastro che rischiò seriamente di mettere fine alla sua carriera.

    Da questa dicotomia scaturì la costante controversia tra i vertici di Londra – con il primo ministro inglese in testa – che dal 1943 spingevano per prolungare il più possibile gli sforzi in atto nel Mediterraneo e in Italia, e quelli di Washington che, invece, premevano affinché si realizzasse il prima possibile il grande sbarco in Francia, seguendo un approccio diretto diametralmente opposto che nella visione degli americani avrebbe permesso di attaccare nel più breve tempo possibile nel cuore del territorio del Terzo Reich. Era dunque questo lo scenario che fece da sfondo ai rapporti che all’indomani dell’entrata in guerra degli Stati Uniti si instaurarono tra i comandanti militari britannici e americani, soprattutto quando le forze guidate da questi ultimi, dalla seconda metà del 1942, fecero la loro apparizione in Europa e nel Mediterraneo. Da quel momento iniziò inevitabilmente la lunga serie di attriti tra molti dei più importanti generali delle due principali potenze alleate, una vicenda che arrivò ad assumere toni anche aspri e si trascinò sostanzialmente fino alla fine del conflitto. Il fatto era che molto spesso – oltre alla divergenza di vedute sulla condotta strategica della guerra – i comandanti inglesi, dall’alto della loro esperienza maturata in tre anni di duro conflitto, non facevano mistero di ritenere i loro colleghi americani inesperti e professionalmente non all’altezza, così come non lesinarono le critiche alle loro truppe. Tutto questo provocò molto di frequente il risentimento dei militari statunitensi, che si videro spesso non solo feriti nell’orgoglio da quest’atteggiamento altezzoso, ma in alcuni casi, specie al loro esordio in combattimento, anche in qualche modo offesi dal deliberato tentativo di emarginarli relegando le loro unità in compiti secondari. Il principale catalizzatore di queste tensioni fu senza dubbio Montgomery, che già durante l’invasione della Sicilia provocò le prime controversie di questo tipo. Sempre lui sarà poi al centro di altre polemiche con gli Alleati statunitensi anche in Normandia e soprattutto quando nelle campagne successive continuò incessantemente a rivendicare per se stesso e per le truppe britanniche sotto il suo comando un ruolo sempre più importante, sia nella complessa catena di comando alleata che nelle operazioni sul campo. Tutto questo, unitamente alle sue improvvide esternazioni nelle quali non perdeva occasione per sminuire le capacità delle forze americane, lo portò rapidamente in rotta di collisione con il principale generale statunitense nel teatro europeo, nonché comandante supremo delle forze alleate nel Mediterraneo prima e in Europa occidentale poi: Dwight Eisenhower. Tuttavia, non sempre i rapporti tra gli ufficiali statunitensi e quelli britannici furono conflittuali. Lo stesso Eisenhower espresse sentimenti di sincera ammirazione per l’ammiraglio Andrew Cunningham, quando lo ebbe ai suoi ordini, e collaborò molto proficuamente con il maresciallo dell’aria Arthur Tedder quando quest’ultimo (che a sua volta disapprovava apertamente gli atteggiamenti provocatori del suo connazionale Montgomery) fu alle sue dipendenze nel Mediterraneo, tanto da volerlo come vicecomandante in Europa occidentale.

    In ogni caso, nella seconda parte del conflitto iniziò a emergere chiaramente che il peso economico e industriale – e di conseguenza le risorse materiali che gli Stati Uniti iniziavano a rovesciare nel conflitto – sarebbero stati gli elementi davvero risolutivi per la vittoria finale. Tutto ciò andò di pari passo con l’esperienza e la fiducia in se stessi che le forze americane e i loro comandanti acquisirono rapidamente sui campi di battaglia. Ben presto questo processo di maturazione li liberò anche da qualsiasi soggezione che alcuni di loro potevano avere nei confronti degli inizialmente più esperti colleghi britannici. Piuttosto rapidamente, tutto questo portò a un inevitabile rovesciamento degli equilibri e dei rapporti di forza, nell’ambito dei quali nella definizione della strategia alleata l’autorevolezza e gli intenti degli alti ufficiali inglesi dovettero cedere il passo sempre più spesso alle volontà dei comandanti statunitensi e agli interessi che questi rappresentavano. Si può riconoscere proprio in questo, il primo importante sintomo del grande paradosso di un impero britannico che dalla vittoria finale del 1945 vedrà anche sorgere l’inizio del suo rapidissimo e inarrestabile declino.

    La catena di comando britannica

    All’inizio della seconda guerra mondiale nella struttura di comando delle forze armate britanniche il livello di vertice si componeva di tre organi. Il primo di essi era il "War Cabinet («gabinetto di guerra»), un comitato interministeriale formato in tempo di guerra secondo una pratica che è ancora oggi in uso nel governo inglese. Esso poteva avere una composizione variabile, ma di norma tra i suoi membri più importanti figuravano il primo ministro, che lo presiedeva, il cosiddetto cancelliere dello scacchiere, corrispondente alla figura di ministro del tesoro, il segretario agli affari esteri, che nel Regno Unito è in buona sostanza l’equivalente del ministro degli esteri e i segretari responsabili delle rispettive forze armate (il segretario di stato per la guerra, quello per l’aeronautica e il Primo Lord dell’Ammiragliato). A queste figure potevano aggiungersi i capi di stato maggiore di forza armata, come fu nel caso del gabinetto di guerra formato dal governo di Neville Chamberlain nel settembre 1939, o altri funzionari governativi. Quando il gabinetto di guerra si riuniva includendo i rappresentanti dei paesi cosiddetti Dominions"¹², formalmente parte dell’impero britannico, esso assumeva la denominazione di "Imperial War Cabinet. Il secondo organo di alta direzione politico-strategica era poi lo Standing Ministerial Committee for the Co-ordination of Defence", cioè il «comitato ministeriale permanente per la coordinazione della difesa» e il Chiefs of Staff Committee («comitato dei capi di stato maggiore») formato dagli alti ufficiali che ricoprivano quella posizione, ed erano quindi a capo dell’esercito, della marina e dell’aeronautica.

    Quando il 10 maggio 1940 Winston Churchill diventò capo del governo, apportò subito una sostanziale modifica a questa struttura. Innanzitutto, eliminò il comitato ministeriale della difesa, di cui era presidente dal precedente mese di aprile, rimpiazzandolo con un vero "Minister of Defence, cioè una sorta ministero della difesa di cui assunse personalmente la guida. All’interno di questo nuovo organo egli istituì due sub-comitati, denominati Defence Committees" uno responsabile per le operazioni e l’altro per la logistica a livello strategico. Entrambi avevano il compito di coadiuvare lui stesso e il War Cabinet sulle problematiche di rispettiva responsabilità. Dopodiché pose anche fine alla pratica di invitare alle riunioni del gabinetto di guerra i capi di stato maggiore delle forze armate, ritenendo che questi ultimi spesso non si limitavano a discutere le questioni di carattere tecnico-militare, ma spesso tendevano a sconfinare in materie di esclusiva competenza del vertice politico. Sotto la direzione di Churchill, inizialmente il punto focale delle decisioni di carattere strategico sulla condotta del conflitto diventò infatti il Defence Committee (Operations), cioè il Comitato della Difesa responsabile per le operazioni, che aveva come suoi membri il vice-primo ministro, Clement Attlee, i tre segretari politici responsabili delle tre forze armate e in seguito anche i rispettivi capi di stato maggiore; in un secondo momento, entrò a farvi parte anche il segretario per gli affari esteri. Con questi cambiamenti il War Cabinet si ritrovò sollevato dalla maggior parte delle incombenze riguardanti il processo decisionale relativo alla strategia bellica complessiva, che passò all’atto pratico nell’ambito della sfera di azione del Defence Committee (Operations). Con il suo consueto piglio decisionista e sempre voglioso di imprimere la sua volontà sull’impostazione delle linee di operazione strategiche seguite dallo strumento militare britannico, Churchill prese l’abitudine di presiedere anche alle riunioni del Chiefs of Staff Committee, il comitato dei capi di stato maggiore, incontrandoli così anche in quelle occasioni oltre che quando questi partecipavano alle riunioni del Comitato della Difesa. Con l’andare del tempo, il premier britannico continuò a snellire e semplificare questa struttura e gradualmente anche il Defence Committee (Operations), inteso in senso formale, fu estromesso dai veri processi decisionali. La sede dove questi iniziarono ad essere sviluppati nel concreto passò infatti a quelle che lo stesso Churchill chiamava le "Staff Conferences", le «riunioni degli stati maggiori», che lui naturalmente presiedeva personalmente. Ad esse, oltre ai capi di stato maggiore delle forze armate che vi partecipavano in modo permanente, erano invitati di volta in volta anche i ministri direttamente interessati alle varie questioni. Fu così che il carismatico primo ministro inglese cercò di applicare il suo concetto secondo il quale le decisioni dovevano essere prese concretamente e nella maniera più veloce possibile, un credo esemplificato dal suo registro, tenuto a margine di quelle riunioni, indicato con il titolo Action This Day («azioni di questo giorno»), dove dovevano essere puntualmente annotate le determinazioni che venivano assunte al termine di quel determinato incontro.

    A livello immediatamente inferiore a questa complessa struttura di vertice politico militare vi erano gli organi di comando delle singole forze armate. L’esercito britannico (British Army) era governato da un dipartimento governativo, rimasto attivo dal 1857 al 1964, che prendeva il nome di War Office («ufficio per la guerra») retto da un ministro espresso dal governo in carica denominato Secretary at War, cioè «segretario per la guerra». All’atto pratico esso svolgeva la funzione di ministero per l’esercito, includendo nella sua struttura l’"Imperial General Staff", cioè lo «stato maggiore imperiale» di quest’ultimo. Il capo di stato maggiore imperiale, subordinato alla figura del segretario per la guerra, era denominato Chief of the Imperial General Staff (cigs), cioè «capo di stato maggiore imperiale», una denominazione mantenuta in essere, anche in questo caso, fino al 1964, e che restò in auge quindi per più di mezzo secolo essendo entrata ufficialmente in uso nel 1909. Durante la seconda guerra mondiale, questa posizione, corrispondente a quella del vertice militare dell’esercito, fu ricoperta inizialmente dal General Sir Edmund Ironside, in carica dal 3 settembre 1939 al 27 maggio 1940, poi dal General Sir John Dill, per circa sei mesi, fino al 25 dicembre 1941 e infine, per quasi tutta la durata del conflitto e oltre, dal Field Marshal Sir Alan Brooke, che vi rimase fino al 25 giugno 1946. La Royal Air Force (raf), cioè la forza aerea del Regno Unito (costituitasi prima al mondo come forza armata indipendente il 1° aprile 1918) sotto la responsabilità dell’Air Ministry («ministero dell’aria») retto da un ministro del governo denominato "Secretary of State for Air («segretario di stato per l’aria»). A capo dello stato maggiore della raf, l’organo di comando prettamente militare, vi era il Chief of the Air Staff" («capo di stato maggiore dell’aria») posizione che nel 1939 era ricoperta dal Marshal of the Royal Air Force Sir Cyril Newall, il cui successore, dal 25 ottobre 1940 fino alla fine del conflitto, fu il parigrado Lord Charles Portal.

    La marina da guerra, la Royal Navy, aveva come organo destinato a esercitare il comando su di essa il plurisecolare "Admiralty («Ammiragliato») le cui origini risalivano al xvii secolo. Esso corrispondeva sostanzialmente, come il War Office e l’Air Ministry, a un ministero della marina al cui vertice era posto un rappresentante dell’esecutivo denominato First Lord of the Admiralty («Primo Lord dell’Ammiragliato»). Si trattava di una posizione che in Inghilterra era ritenuta di grande prestigio e per due volte, dal 1911 al 1915 e poi per otto mesi, dal settembre 1939 al maggio 1940 (prima di salire alla carica di primo ministro) era stata ricoperta da Winston Churchill. Il nucleo centrale della sua struttura era il Board of Admiralty, il «consiglio dell’ammiragliato». Esso era tradizionalmente presieduto dal Primo Lord dell’Ammiragliato e formato da un certo numero di membri, denominati Lord, rappresentati sia da funzionari politici che da ammiragli, questi ultimi denominati Sea Lords («Lord del Mare»). Tra essi il più alto in grado era denominato First Sea Lord, «Primo Lord del Mare», titolo attribuito all’ammiraglio che rappresenta ancora oggi il vertice militare della marina britannica. Nel 1912 fu costituito l’Admiralty War Staff, cioè lo «stato maggiore di guerra dell’Ammiragliato». Si trattò all’atto pratico di un primo tentativo di introdurre un organo di quel tipo, nel senso moderno del termine, poiché nell’ambito del comando di vertice della marina britannica esso ancora mancava. Dopo aver superato le non poche resistenze dei suoi membri più conservatori nel maggio del 1917 nell’ambito dell’Ammiragliato fu introdotta una nuova importante modifica. La denominazione di Admiralty War Staff venne presto sostituita con quella di Naval Staff": un vero «stato maggiore navale» in senso moderno. Esso aveva tra i suoi compiti lo sviluppo della pianificazione operativa e l’impostazione delle linee di sviluppo strategiche della marina. La carica del Chief of Naval Staff, cioè il «capo dello stato maggiore navale», fu unita a quella del Primo Lord del Mare. Con questa configurazione lo stato maggiore navale assumeva una connotazione più spiccatamente rivolta alla gestione degli aspetti prettamente operativi e tecnici della Royal Navy, con al suo interno due importanti figure: il Deputy Chief of Naval Staff e l’Assistant Chief of Naval Staff. Si trattava del «sottocapo di stato maggiore navale» e dell’«assistente del capo di stato maggiore navale», entrambi membri a pieno titolo del consiglio dell’Ammiragliato e ciascuno con delle competenze per quanto riguardava la gestione delle varie componenti della flotta. Al primo fu assegnata la competenza sulle operazioni e i relativi movimenti delle navi di superficie della flotta, mentre al secondo fu attribuita la responsabilità di regolare i traffici del naviglio mercantile e le operazioni dei sommergibili. Alla vigilia della seconda guerra mondiale, dal novembre 1938 al giugno 1939, la posizione di Deputy Chief of Naval Staff venne ricoperta dall’allora Vice-Admiral Andrew Cunningham, che subito dopo andrà a diventare comandante della Mediterranean Fleet, la «Flotta del Mediterraneo», alla guida della quale diventerà uno dei più importanti ammiragli nella storia della Royal Navy.

    Questa struttura di vertice delle forze armate britanniche rimase inalterata nella sua struttura essenziale fino al 1964, quando un’importante riforma istituì, analogamente a molti altri paesi, il "Ministry of Defence" (mod), cioè il «ministero della difesa» quale lo conosciamo oggi. Esso diede così forma definitiva e ufficiale al primo esempio creato in quell’ottica da Churchill nel 1940, andando ad accentrare al suo interno tutte le funzioni prima svolte dal War Office, il ministero dell’aria e l’Ammiragliato, che così andarono a terminare la loro esistenza.

    Dovendo salvaguardare anche e soprattutto l’integrità di un immenso impero coloniale, all’inizio del secondo conflitto mondiale nella catena di comando delle forze armate britanniche c’erano anche dei grandi comandi strategici, che avevano autorità sulla condotta delle operazioni militari terrestri su vaste aree dei territori oltremare sotto il controllo della corona d’Inghilterra. Il "Middle East Command il «comando per il Medio Oriente», più tardi ridefinito Middle East Land Forces" («comando delle forze terrestri nel Medio Oriente») si costituì nel giugno 1939 al Cairo e fu posto agli ordini del General Archibald Wavell. Inizialmente, esso fu formato per porre sotto un controllo centralizzato i comandi delle truppe stanziate in Egitto, Sudan e Palestina/Transgiordania, che in precedenza erano separati. Ma nel seguito del conflitto la sua area di responsabilità andò a estendersi su una vastissima area che comprese l’Africa settentrionale e orientale, la penisola arabica, l’Iraq, le isole del Mediterraneo orientale e la Grecia. Al comando delle forze terrestri nel Medio Oriente, che faceva capo all’esercito, si affiancavano gli altri due preesistenti quartier generali delle altre forze armate, anch’essi competenti sulle operazioni sulle stesse aree geografiche; questi erano il "raf Middle East Command", della Royal Air Force, di cui dal 1° giugno 1941 fu comandante l’Air Chief Marshal Arthur Tedder, e il comando della Flotta del Mediterraneo, corrispondente alla carica di Naval Commander-in-Chief, Mediterranean, cioè «comandante in capo navale per il Mediterraneo», che dal 1° giugno 1939 era rivestita dall’Admiral Andrew Cunningham.

    Per quanto riguardava i territori sotto controllo britannico in Asia, il quartier generale che aveva alle proprie dipendenze le forze dislocate in India, e doveva provvedere alla sua difesa, era quello del "Commander-in-Chief, India" («comandante in capo per l’India») un alto ufficiale dell’esercito che era nello stesso momento comandante in capo del British Indian Army, carica che dal 1935 era ricoperta dal General Sir Robert Cassels, che fu avvicendato poi il 27 febbraio 1941 dal parigrado Claude Auchinleck e il 5 luglio successivo da Wavell, a seguito del suo esonero dal comando per il Medio Oriente. Responsabile delle regioni dell’Estremo Oriente sotto la sovranità britannica, Birmania e Malesia, e delle città di Hong Kong e di Singapore vi era poi il Far East Command, attivato nel novembre del 1940, con sede in quest’ultima località, dove era tra gli anni ’20 e ’30 era stata costruita una munitissima piazzaforte. Dopo l’estendersi della seconda guerra mondiale anche in Estremo Oriente e nel Pacifico, nell’agosto del 1943 si costituì un comando alleato congiunto, il "South East Asia Command" (seac), responsabile delle operazioni nell’Asia sud-orientale dell’Estremo Oriente, che per tutto il periodo in cui rimase attivo, fino al novembre 1946, fu guidato da un ufficiale britannico: l’Admiral Lord Louis Mountbatten.

    La formazione degli ufficiali britannici

    La grande maggioranza dei più importanti capi militari britannici della seconda guerra mondiale proveniva dalle scuole per ufficiali che da secoli sfornavano i comandanti delle forze armate di sua maestà. Il British Army aveva in funzione due principali istituti di formazione, la Royal Military Academy (rma) di Woolwich, per gli allievi ufficiali di artiglieria e genio, e il Royal Military College (rmc) di Sandhurst, per quelli di fanteria e cavalleria. La Royal Navy formava invece i suoi comandanti nel Royal Naval College di Dartmouth, dove gli allievi ricevevano molte delle loro istruzioni a bordo di una apposita nave scuola, il grande veliero hms Britannia. Subito dopo il raggiungimento da parte della raf dello status di forza armata indipendente, una delle priorità del suo primo capo di stato maggiore, l’Air Marshal Hugh Trenchard, era stata proprio quella di istituire il prima possibile un’Accademia Militare per la preparazione dei futuri ufficiali della giovane forza aerea britannica. Questo proposito fu così realizzato in breve tempo, quando il 1° novembre 1919 fu inaugurato il Royal Air Force College di Cranwell. Questa piccola località si trova nel Lincolnshire, in una posizione fondamentalmente lontana da altre grandi città, in conseguenza di una precisa indicazione dello stesso Trenchard. Quest’ultimo infatti, voleva evitare che i giovani cadetti potessero essere tentati dalle distrazioni e dai divertimenti offerti da un grande centro urbano, così come tradizionalmente avveniva, ad esempio, per gli allievi ufficiali dell’esercito del Royal Military College di Sandhurst, che si trova a pochi chilometri da Londra.

    Dopo essere usciti da questi istituti, gli ufficiali britannici prestavano servizio per un certo numero di anni nei reparti operativi dell’esercito e dell’aviazione, o a bordo di unità navali. In un momento successivo della loro carriera, continuavano poi la loro formazione frequentando le scuole che come in altre forze armate nel mondo dovevano abilitarli all’assolvimento di incarichi di stato maggiore. Per quanto riguardava il British Army questi centri erano gli Army Staff Colleges di Camberley, in Inghilterra, e di Quetta, in India (città che attualmente si trova in Pakistan), quest’ultimo riservato appositamente agli ufficiali dell’Indian Army. Gli ufficiali della marina accedevano invece al Royal Naval College di Greenwich, nei pressi di Londra, dove seguivano un iter di studi che li preparava ad assolvere incarichi di comando di livello superiore e all’impiego nell’ambito di stati maggiori navali. Storicamente, la necessità di aprire la scuola di stato maggiore di Camberley fu presa all’indomani della guerra di Crimea, dopo aver preso atto delle mediocri prestazioni dimostrate dalla catena di comando dell’esercito britannico. Così come la Royal Navy alla quale apparteneva, anche il suo Royal Naval College era un’istituzione molto conosciuta e rispettata a livello internazionale, frequentata tra l’altro anche da ufficiali stranieri, alcuni dei quali andranno poi a ricoprire posti di primissimo piano tra i ranghi delle rispettive marine, come nel caso dell’ammiraglio giapponese Heihachiro Togo, che dopo essere stato allievo a Greenwich, fu poi nel 1905 lo storico vincitore della battaglia di Tsushima.

    Per quanto riguardava gli Staff Colleges dell’esercito di Camberley e Quetta, i cui corsi avevano una durata di circa un anno, pare che invece essi non riuscissero a essere altrettanto efficienti e rigorosi. È infatti opinione di alcuni autorevoli storici militari britannici – tra i quali John Keegan – che i livelli qualitativi di queste due scuole non raggiunsero mai quelli che invece erano riconosciuti alla Kriegsakademie tedesca, la quale fino alla prima guerra mondiale era stata il punto di riferimento assoluto per tutti gli eserciti del mondo. Tra quanto non ha contribuito a dare una grande fama a questi due istituti c’è la testimonianza, risalente al periodo del 1920-21, quando tra gli allievi dell’istituto c’era Bernard Montgomery: «Le principali attività del corso erano, come accadeva nell’anteguerra, la caccia e la socializzazione. Nigel Hamilton, il biografo di Montgomery, riferì che esso si limitava a fornire un approccio da gentleman alle funzioni di stato maggiore».¹³ In ogni caso, al di là dei commenti pungenti dei testimoni di allora, che puntano evidentemente l’indice verso l’ambiente spiccatamente aristocratico ed esclusivo al quale in generale era improntato lo stile di vita del corpo ufficiali britannico, esistono degli elementi più tecnici che tendono ad avvalorare questa tesi. All’atto pratico, a Camberley e Quetta l’obiettivo era di formare personale qualificato ad assolvere la mansione di Brigade Major, prevista al livello organico di brigata: il più basso per il quale era previsto uno stato maggiore in quanto tale.

    Il problema di un percorso di formazione che trattasse anche argomenti riguardanti le funzioni dei livelli superiori, e tutti gli aspetti concernenti le più alte funzioni di comando, si pose nella seconda metà degli anni ’20 e portò nel 1927 all’apertura dell’Imperial Defence College di Londra la cui frequenza era prevista per gli ufficiali di tutte e tre le forze armate. Si trattò di una tappa importante, anche per la connotazione interforze, di quell’istituto, cosa che tra l’altro diede un impulso alla già piuttosto consolidata capacità dello strumento militare britannico di condurre operazioni e campagne con un buon coordinamento tra le forze terrestri, aeree e navali. All’atto pratico, quest’ultima fu una qualità che, in effetti, sarà sfruttata con risultati piuttosto positivi anche nella seconda guerra mondiale. A quel punto però non tutti gli alti ufficiali che sarebbero divenuti i principali comandanti in quel conflitto fecero in tempo a frequentarlo e comunque uno dei suoi principali obiettivi era limitato alla trattazione di argomenti riguardanti la difesa dei territori dell’impero britannico oltremare, con l’accesso aperto anche a ufficiali dei cosiddetti "Dominions".¹⁴

    Per quanto riguarda gli ufficiali del British Army, si può dire che in generale essi non avevano la stessa preparazione teorica dei loro omologhi tedeschi, che saranno poi i loro principali antagonisti in Europa e in Africa nel 1939-45. Tuttavia, il far parte dell’esercito di una grande potenza coloniale aveva comunque consentito loro di acquisire un’esperienza con pochi eguali nel mondo, paragonabile forse, ma in misura più limitata, ai casi della Francia e dell’Italia, ma con risultati che poi non furono altrettanto positivi. Infatti, era stato questo fattore che aveva permesso ad esempio già durante la prima guerra mondiale ad Auchinleck di combattere in Mesopotamia e a Wavell di seguire e ammirare le gesta di Allenby in Palestina, passaggi che in entrambi i casi furono molto importanti nel bagaglio di esperienze di questi due futuri generali. Inoltre, anche nel periodo tra le due guerre mondiali le numerose campagne contro-insurrezionali che videro coinvolto l’esercito britannico nei vasti territori dell’impero, come quelle in Iraq, in Palestina, e nella sempre turbolenta frontiera nord-occidentale dell’India, diedero la possibilità a moltissimi ufficiali di fare una diretta esperienza di comando di truppe sul campo. Anche se si trattò di campagne che oggi definiremmo a bassa intensità, con poche analogie con la guerra totale ad alta intensità che si scatenerà nel 1939, tuttavia queste esperienze furono una sorta di tirocinio che in molti casi si rivelerà prezioso. Infatti, la condotta di queste operazioni, che spesso si svolgevano in territori remoti e scarsamente accessibili, diede ad esempio la possibilità a molti futuri comandanti britannici di apprendere e mettere in pratica le conoscenze riguardanti le complesse attività di sostegno logistico a supporto di unità da combattimento operanti a grande distanza dalle loro basi principali. A tal proposito, sarà poi proprio in Palestina che il capitano Orde Wingate, sotto l’impulso di Wavell, ideò i primi nuclei per la guerra non ortodossa, assimilabili alle moderne forze speciali, e li impiegò contro i guerriglieri arabi, e sarà sempre in Medio Oriente. Un discorso a parte può essere fatto per gli ammiragli della Royal Navy, che avevano alle loro spalle l’esperienza e le tradizioni plurisecolari di quella che in quel momento era ancora la prima marina da guerra del mondo.

    Gli stati maggiori britannici

    Il modello strutturale degli stati maggiori britannici nella seconda guerra mondiale derivava fondamentalmente da quello prussiano; tuttavia, aveva delle caratteristiche peculiari, che traevano origine dall’evoluzione storica delle organizzazioni di comando degli eserciti inglesi sviluppatasi dal xvii al xix secolo. Il primo importante passaggio risaliva all’epoca del "New Model Army, «l’esercito di nuovo modello» promosso da Oliver Cromwell all’epoca della guerra civile inglese; in esso, un ufficiale con il titolo di Sergeant Major-General («sergente maggiore generale») assolveva una funzione per alcuni versi simile a quella di un moderno capo di stato maggiore. Mezzo secolo dopo, negli eserciti del duca di Marlborough emerse poi a livello di reggimento la figura del Regimental Major («maggiore reggimentale») al quale era attribuita la responsabilità di sovrintendere alla condotta delle operazioni, il quale aveva a sua volta alle sue dipendenze un Adjutant («aiutante») con la funzione di assistente tuttofare". A livello superiore, iniziò poi a svilupparsi sempre di più la distinzione tra i semplici Adjutant e gli "Aide de Camp, cioè gli «aiutanti di campo», questi ultimi alle dipendenze dirette dei comandanti di alto rango. Un altro incarico, quello del Quartermaster General" («quartiermastro generale»), era poi quello attribuito all’ufficiale responsabile dell’individuazione delle aree più idonee per gli accampamenti e della cura degli altri aspetti logistici.

    Di fatto, dai tempi di Marlborough e fino alla fine del xvii secolo, la struttura di comando dell’esercito inglese non fu sostanzialmente oggetto di particolare attenzione e solo all’inizio dell’800, sotto la guida del duca di Wellington, iniziò ad assumere una sua forma più moderna. Quest’ultimo, forte dell’esperienza fatta combattendo contro i francesi nella penisola iberica, nella campagna peninsulare del 1808-14, attribuì molta importanza ai servizi amministrativi e logistici e volle riorganizzare di conseguenza i suoi quartier generali. Fu così definita la loro suddivisione in tre dipartimenti: lo stato maggiore personale del comandante, lo "Adjutant General’s Department, responsabile delle operazioni e delle informazioni e il Quartermaster General’s Department, che si occupava dell’amministrazione e della logistica. A parte la ristretta cerchia di ufficiali che assistevano Wellington, la suddivisione dello stato maggiore in quanto tale in due sole aree funzionali principali non rendeva necessaria la presenza di un capo di stato maggiore per sovrintenderle ed entrambi i responsabili dei due dipartimenti dipendevano così direttamente, ed in egual misura, dal comandante. La stessa cosa avveniva negli stati maggiori delle divisioni, corrispondenti al livello organico immediatamente inferiore, dal momento che l’esercito britannico di quel tempo, molto più esiguo rispetto agli altri dell’epoca, non riconosceva ancora quello intermedio del corpo d’armata. È da questo modello e da questa evoluzione storica che derivò la sostanziale diarchia in auge negli stati maggiori britannici praticamente fino al 1942, e di conseguenza da ciò discendeva anche il motivo per il quale nel loro ambito non era concretamente prevista la figura di un vero e proprio Chief of Staff", cioè quella del capo di stato maggiore, presente invece in quasi tutti gli eserciti degli altri paesi.

    Successivamente, nella seconda metà dell’800, i seri problemi incontrati dall’esercito britannico durante la guerra di Crimea del 1855 iniziarono però a far ritenere necessaria una modifica a quella tradizionale architettura nella struttura dei comandi. Per questo motivo, uno dei primi provvedimenti presi a seguito delle dure lezioni apprese in quella spedizione fu adottato in base alla precisa esigenza di fornire una specifica preparazione agli ufficiali destinati a operare nell’ambito degli stati maggiori, e a tale scopo fu decisa l’apertura, nel 1858, dello Staff College di Camberley. Questa evoluzione concettuale e organizzativa fu comunque molto

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1