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VIA LACTEA: Trappola di sicurezza
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VIA LACTEA: Trappola di sicurezza
E-book211 pagine2 ore

VIA LACTEA: Trappola di sicurezza

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Info su questo ebook

Cosa succede se si prova a utilizzare una tecnologia aliena di cui si ha una conoscenza molto limitata se non nulla? L'equipaggio della Luce zero-zero-due lo imparerà a proprie spese. Nel tentativo di riparare la loro astronave utilizzando la tecnologia dei Grigi di Z-Reticuli, i fyloniani faranno scattare il sistema d'allarme della base in cui si sono temporaneamente stabiliti, divenendone ostaggi. Fame, sete e mancanza d'aria respirabile incombono. Sbloccare il sistema computerizzato e liberarsi diventa la priorità.
LinguaItaliano
Data di uscita27 mar 2023
ISBN9791221465167
VIA LACTEA: Trappola di sicurezza

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    Anteprima del libro

    VIA LACTEA - Eric Bucci

    1.

    Dall’altra parte della galassia

    La missione organizzata dall’ammiraglio Hinvynth oltre il tunnel spaziale ebbe sviluppi rocamboleschi. L’obiettivo primario di mettere a punto un sistema di difesa contro gli harrathoniani nel caso avessero minacciato il pianeta Terra passò in secondo piano quando la Luce zero-zero-due fu abbattuta e il suo equipaggio fatto prigioniero. Da quel momento, per i fyloniani, la priorità fu di liberarsi e salvare le proprie vite.

    A complicare una spedizione di per sé già molto difficile erano stati gli appartenenti a una specie che i fyloniani ignoravano essersi infiltrati sul pianeta: i Grigi del settore Zeta Reticuli. Questi ultimi, temendo possibili interferenze con la propria missione, tentarono di eliminare coloro che consideravano intrusi, ma senza riuscirci. I fyloniani, anzi, trovarono il modo di liberarsi e mettere in difficoltà i loro carcerieri.

    Considerato compromesso il raggiungimento degli obiettivi che li avevano spinti sulla Terra, i reticolari lasciarono la loro base segreta. I fyloniani, lontani da casa e privi di qualunque tipo di assistenza da parte del loro pianeta, essendo in una situazione di emergenza, decisero di approfittare della struttura lasciata vuota dai Grigi nel tentativo di riuscire a utilizzarne l’avanzata tecnologia per riparare i gravi danni subiti dalla loro astronave e riprendere così la propria missione originaria.

    2.

    Situazione difficile

    L’equipaggio fyloniano, nuovamente al completo, tornò verso l’hangar dov’era custodita la Luce zero-zero-due. Aperta la porta, gli extraterrestri ritrovarono il pessimo spettacolo lasciato poco prima: l’astronave giaceva lì, gravemente danneggiata, come un gigante ferito in attesa di qualcuno che lo aiuti. Scafo lesionato in più punti, pezzi sparsi in giro per la piattaforma d’attracco, molti estratti dall’interno del vascello come rottami, altri evidentemente smontati. Solo in quel momento, senza la pressione dei loro carcerieri e senza il timore di essere uccisi, i fyloniani ebbero modo di rendersi davvero conto di quanto la stessa astronave fosse un riflesso della loro situazione sulla Terra: un vero disastro.

    «Adesso viene il difficile!» pensò l’ammiraglio.

    – Non so a voi, ma a me non sembra che sia recuperabile. – disse Kron rivolgendosi ai suoi compagni.

    – Tenente, faccia silenzio! – lo riprese Barth – Siamo all’interno di una base aliena dotata di tecnologie avanzatissime. Danni che solitamente ci costringerebbero allo smantellamento di una nave, con le attrezzature che ci sono qui potrebbero essere riparabili!

    – A patto di imparare a usarle, queste tecnologie avanzatissime! – aggiunse Tèsar.

    – Basta così, tutti quanti! – intervenne Hinvynth – Abbiamo molti problemi da risolvere e iniziare a fare confusione non ci sarà d’aiuto! Riordiniamo le idee, stiliamo una lista delle priorità e diamoci da fare!

    Seguì un breve silenzio, rotto dal capitano che fece eco al suo superiore: – L’Ammiraglio ha ragione. Manteniamo la calma e restiamo concentrati!

    – Va bene, signore, ma… concentrati su cosa? – chiese Kron.

    – Ottima domanda, Tenente! – replicò Hinvynth – Però, per poterle rispondere, occorrerà qualche informazione in più.

    I presenti si guardarono senza capire cosa intendesse l’ammiraglio.

    L’ufficiale continuò: – Ci servono un rapporto completo sui danni alla nave, verificare cosa sappiamo di questa struttura nonché le condizioni di salute dell’equipaggio.

    – Se posso intervenire, signore…

    – Dica, Dottore.

    – Visto ciò che ha appena detto, le faccio notare che non ho attrezzature mediche a disposizione per visitare l’equipaggio. Nella nostra infermeria di bordo si può a stento entrare… non funziona niente, mentre il mio kit d’emergenza è rimasto a casa degli umani quando sono stato trasportato qui.

    Riguardo alle condizioni dell’infermeria, il medico parlava con cognizione di causa. Vi era entrato poco prima, quando l’equipaggio rovistò nell’astronave alla ricerca di armi funzionanti da usare contro i reticolari. Beskil andò proprio in infermeria, nella speranza di trovare qualche strumento da poter usare come arma, ma senza successo. Essendo già lì, ne approfittò per constatare la situazione: si poteva entrare, ma era già tanto. Le attrezzature mediche erano danneggiate, inutilizzabili; i lettini quasi tutti divelti dal pavimento al quale erano fissati e quelli ancora agganciati traballavano; i pannelli del computer erano in parte saltati per l’impatto e in parte evidentemente smontati dai reticolari per chissà quale motivo.

    La successiva domanda di Hinvynth fu una logica conseguenza di quanto appena saputo: – Allora che facciamo? Iniziamo a lavorare sulla nave e rimandiamo le visite mediche?

    – Assolutamente no! – rispose deciso Beskil – Non si lavora alle riparazioni se non sono sicuro che le vostre condizioni di salute lo permettano.

    Quelle parole dell’ufficiale medico valevano come un ordine anche al di sopra di quelli dell’ammiraglio. Non si sarebbero iniziati gli esami della base o della nave se prima l’equipaggio e gli ufficiali superiori non avessero avuto la conferma di essere in buona salute.

    – Allora come intende procedere? – chiese ancora Hinvynth.

    – Innanzitutto, trasferiamoci nella nostra infermeria. Anche se molto malridotta, credo resti il miglior posto in cui fare il mio lavoro.

    – Anche perché qui finora non ho visto niente che somigli pur lontanamente a un’infermeria.

    – Esattamente, Kron. Per questo preferisco usare la nostra nonostante sia in condizioni pietose. – fu la spiegazione di Beskil.

    – E come pensa di sopperire all’assenza di attrezzature mediche funzionanti? – chiese incuriosito l’ammiraglio.

    – Non posso. Dovrò limitarmi a degli esami obiettivi, sperando che non ci siano problemi rilevabili solo con esami strumentali. E ora andiamo! – concluse il medico invitando gli altri a seguirlo sull’astronave.

    L’equipaggio rientrò in quel che restava del vascello, seguendo il dottor Beskil verso l’infermeria. Una volta a destinazione, il medico entrò per primo, al fine di mettere un po’ d’ordine nel caos di rottami e detriti che si trovava lì. Misàk e Sàbek lasciarono le armi, che avevano in mano da quando i reticolari erano ancora nella base, e si avvicinarono al medico, aiutandolo in ciò che stava facendo.

    Mentre l’infermeria veniva rimessa un po’ in ordine, Hinvynth e Barth raccolsero le poche, altre armi ancora in possesso dell’equipaggio e andarono a riporle in plancia, ritenendola in quel frangente il luogo più sicuro dove custodirle. Quando i due ufficiali tornarono, videro che fu preparato uno dei lettini ancora in piedi, quello che traballava meno, al fine di consentire visite quanto più accurate possibile nonostante la situazione di grave difficoltà.

    – Grazie! – disse il medico ai due ufficiali che l’avevano aiutato.

    – Si figuri! – rispose il comandante.

    – Bene. Ora… uno alla volta, accomodatevi e fatemi vedere se avete qualcosa che non va.

    3.

    In cerca di soluzioni

    Ci volle tempo per completare il giro di visite. Dovendo lavorare senza l’ausilio dei suoi strumenti, Beskil eseguì gli esami visivi e tattili col massimo della cautela, per essere sicuro di non lasciarsi sfuggire niente.

    L’esito delle visite fu generalmente positivo: nessuno dei membri dell’equipaggio della Luce zero-zero-due sembrava aver riportato evidenti lesioni o traumi gravi, anche coloro che, fino al giorno prima, avevano subito forme di tortura da parte di Mor. I sintomi più evidenti erano relativi alla stanchezza dovuta alle disavventure passate, ma apparentemente niente di più, ragion per cui Beskil prescrisse a tutti solo un po’ di riposo.

    In realtà, a preoccupare maggiormente il dottore era ciò che sarebbe potuto accadere successivamente: a differenza di Area 51, ove, nonostante le misure di sicurezza, i fyloniani erano stati trattati più come ospiti che come prigionieri, nel tempo trascorso da reclusi alla base reticolare non avevano avuto mai modo di mangiare o bere nulla. Questo dettaglio allarmò il medico perché, considerando i danni alla nave, se la loro permanenza lì fosse stata lunga così come si prospettava, il primo problema da risolvere non sarebbero state le riparazioni, bensì mantenere l’equipaggio in grado di eseguirle. Fu per questi motivi che, al termine dell’ultima visita, quella dell’ammiraglio Hinvynth, oltre al riepilogo per sommi capi delle condizioni dell’equipaggio, Beskil aggiunse: – Le prime cose da cercare devono essere le scorte d’acqua e cibo. Non sappiamo per quanto staremo qui e credo sia meglio risolvere prima questo problema. I ricambi per la nave possono aspettare. – fu il consiglio dato all’ammiraglio.

    – Ha ragione, Dottore. Vedrò cosa si potrà fare. – rispose l’alto ufficiale.

    Anche se parzialmente inagibili, i fyloniani utilizzarono i loro alloggi a bordo della nave per riposare come ordinato dal medico. La scelta fu dettata più che altro dalla familiarità con l’ambiente e non da una ricerca di comodità quasi del tutto inutile, visti i gravi danni sia esterni che interni che affliggevano il vascello.

    Alcuni fyloniani, molto provati da tante disavventure in così poco tempo, crollarono dal sonno appena poterono rilassarsi un attimo; altri, come l’ammiraglio Hinvynth, ad esempio, non riuscirono a chiudere occhio, a causa della mente impegnata a pensare a come risolvere così tanti problemi senza alcun mezzo per poterci riuscire.

    L’ammiraglio passò la maggior parte del tempo destinato al riposo ordinato dal medico a pensare al lavoro da svolgere: cercò di capire, fra loro dodici, chi potesse essere più utile alle riparazioni della nave e chi all’esplorazione della base reticolare. Quando si addormentò, sopraffatto dalla stanchezza, ormai era già il momento di mettersi all’opera.

    L’equipaggio, ormai sveglio, riposato e anche affamato, si era radunato nell’area comune del ponte alloggi della nave.

    Il ponte alloggi era il primo immediatamente sopra quello d’imbarco, in pratica la zona abitabile dell’astronave posta più in basso, e l’area comune era posizionata a prua, immediatamente davanti la porta d’ingresso. Il corridoio degli alloggi correva alle spalle della colonna che conteneva l’ascensore e la scala di accesso ai ponti, e aveva due file di porte, una a destra e una a sinistra, ciascuna delle quali conduceva a un alloggio a due posti.

    – Ci siamo quasi tutti, manca solo l’Ammiraglio. – esordì Barth rivolgendosi ai suoi.

    – Strano che sia in ritardo. – aggiunse Misàk.

    – Vado a controllare che stia bene. – replicò il medico.

    Beskil era preoccupato che, all’esame obiettivo, gli fosse sfuggito qualcosa e Hinvynth non fosse con loro per via di un qualche malore. Velocemente raggiunse l’ingresso dell’alloggio dell’ammiraglio; fortunatamente, la porta automatica, non funzionante, non era completamente chiusa; il medico, strisciando fra le due ante, entrò nella stanza, si avvicinò al letto dell’ufficiale e iniziò a parlargli: – Signore… Ammiraglio!

    Hinvynth, evidentemente ancora intontito dal sonno, rispose a fatica: – Dottore… Che c’è?

    – Ammiraglio… Sta bene?

    – Sì… sì che sto bene. – rispose l’ufficiale tirandosi su in posizione seduta – Che domande sono?

    – Siamo tutti radunati qui sul ponte alloggi; la stiamo aspettando. Credevamo… credevo non stesse bene.

    – No, è tutto a posto. Sono solamente stanco. Ho faticato ad addormentarmi nelle ultime rotazioni.

    – Capisco. Chiaro sintomo da stress. Resti ancora a riposo, il resto dell’equipaggio proseguirà il lavoro anche senza di lei.

    – Assolutamente no! Uno dei motivi per cui non prendevo sonno era perché ho rimuginato su come uscire da questa situazione. Vorrebbe dire essermi affaticato per niente! – rispose alzandosi definitivamente dal letto – Adesso andiamo!

    – Come vuole. – disse Beskil sospirando, senza provare oltre a convincere il suo superiore.

    Ammiraglio e medico uscirono dalla stanza, riunendosi ai compagni.

    – Signore… ben ritrovato! – esordì Barth appena Hinvynth gli si avvicinò.

    – Ben ritrovato a lei, Capitano. – replicò l’ufficiale – Novità da comunicarmi?

    – Nessuna, signore. Siamo in attesa di istruzioni.

    – Le avrete, ma prima ho bisogno di qualcosa su cui prendere appunti. – disse Hinvynth.

    – Appunti? – chiese incredulo Barth.

    – Sì, Capitano, appunti! Appunti sulle cose che già sappiamo di questa base, così da poterne continuare l’esplorazione! – rispose l’ammiraglio mostrando cenni di nervosismo.

    – Signore, credo ci sia un taccuino elettronico nella sala degli interrogatori. – intervenne Tèsar – Se sa usarlo…

    – Sì… vero! L’ha portato il subcomandante per far leggere a Mor il rapporto sulla nostra intrusione nel loro computer. Venga, Tenente, andiamo a prenderlo! Capitano, lei e tutti gli altri aspettateci qui!

    Barth annuì, facendo capire di aver compreso l’ordine.

    Hinvynth e Tèsar lasciarono quindi i loro compagni, per tornare in quella sala degli interrogatori che li aveva visti ospiti fino ad alcune rotazioni prima.

    Lungo il tragitto, i due ebbero modo di fare conversazione: – C’è una cosa che ancora non ho capito, signore…

    – Dica, Tenente.

    – Mor aveva dato ordine al suo capo della sicurezza di trasferirci in cella fino all’arrivo dei nostri compagni, invece siamo rimasti lì. Perché Saal ha esitato?

    – Sinceramente non lo so, ma ora che mi ci fa pensare… il suo comportamento in quel frangente è stato alquanto strano.

    – Sono proprio le stranezze che ho notato a farmi chiedere: perché?

    – Credo che la risposta l’avremo una volta tornati lì.

    Hinvynth e Tèsar furono nuovamente davanti all’ingresso di quella stanza, ma per la prima volta non come prigionieri.

    Entrati, provarono a ricordare alcuni dettagli: – Vediamo… il taccuino elettronico di Den… dov’è finito? – esordì il tenente guardandosi attorno.

    – Lui entra, lo passa a Mor che legge il rapporto… – continuò Hinvynth.

    – …Mor lo posa e inizia con la sua serie di domande… – disse ancora il tenente, mentre continuava a guardarsi attorno finché i suoi occhi non si posarono su una delle tastiere a scomparsa rimaste aperte dopo l’evacuazione – Eccolo, è lì! – esclamò ancora.

    Tèsar si avvicinò alla postazione, prese il taccuino elettronico e lo consegnò al suo superiore.

    – Grazie, Tenente. – rispose Hinvynth – E ora veniamo a Saal… Anche lui ha armeggiato da queste parti subito dopo che Mor si è allontanato. Per fare cosa?

    – Qualcosa di importante, visto che ha bloccato la serratura ed è stato vicino a questi pannelli molto tempo. – rispose Tèsar.

    – Vero… Probabilmente non voleva che i suoi sottoposti lo vedessero… – ipotizzò l’ufficiale – Cosa avrebbe potuto fare di tanto importante da tenerlo nascosto al resto

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