Il Pianeta di Zeist
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Il Pianeta di Zeist - Marco Alfaroli
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1. Preludio
Sulla stazione commerciale Taurus, il corridoio dell’hangar era deserto. Ossian Larsson teneva sotto tiro l’ingresso restando coperto dietro alcune casse, pronto a fulminare chiunque fosse entrato con intenzioni ostili.
Dietro di lui, appoggiati alla parete, c’erano i magazzinieri, legati e imbavagliati.
«Mi dispiace. Sarete liberi fra poco, appena ce ne saremo andati» disse, cercando di scusarsi in qualche modo. Loro non risposero. Avevano gli occhi pieni di paura, erano poveri diavoli che con l’Impero avevano poco a che fare.
Larsson distolse lo sguardo e tornò a puntare l’entrata. Uno dei suoi uomini arrivò correndo e si chinò accanto, affannato. «Siamo quasi pronti, Ossian!».
«Ma quanto ci vuole a far salire tutti? Più tempo passa e più si moltiplicano i rischi».
«Praticamente si sono portati dietro casa... Lo sai che è gente comune, non sono mica soldati».
Era vero, non erano soldati.
Ossian rabbrividì. Quanto sarebbe stato meglio che almeno lui lo fosse stato! Lui che li aveva convinti a seguirlo. Lui che si era preso sulle spalle la responsabilità delle loro vite. Lui che adesso sentiva una tremenda fitta al cuore, perché esisteva la possibilità che tutti potessero morire per colpa sua.
Non doveva finire così.
In passato molti ci avevano rimesso la pelle, ma questa volta le cose sarebbero andate diversamente. Ne era convinto. Il piano l’avevano preparato con attenzione, non poteva fallire. Stavano sfruttando la guerra che teneva impegnato l’Impero ormai da anni contro Luyten. Negli ultimi tempi gli scontri si erano inaspriti e quasi tutte le forze imperiali erano fuori dal sistema solare. Le poche corvette spaziali lasciate al controllo in entrata e uscita le aveva ingannate Wilson.
Quel vecchio era veramente troppo vecchio per scappare e si stava sacrificando per loro. A bordo del suo Fendi Stelle si era già tirato dietro i mastini imperiali che pattugliavano il quadrante. E non l’avevano ancora preso.
«Se la fortuna ci arriderà ancora per poco, avremo la nostra via di fuga completamente libera» rimuginò a voce alta Ossian.
«Non ne sarei così sicuro. Stiamo semplicemente rubando un cargo».
«Certo, è un cargo, ma il vantaggio che abbiamo accumulato è sufficiente per trasformare la Terra in un brutto ricordo».
Ossian scrutò oltre il vetro del corridoio. La sagoma del trasporto mercantile che sarebbe diventato la loro Arca della salvezza
si stagliava sullo sfondo. Il suo nome, Conestoga, gli fece venire in mente i pionieri partiti alla conquista dell’America, quando ancora si chiamava America.
Il comunicatore che teneva in mano l’uomo accanto a lui cantò: «Tutti a bordo! Possiamo partire!».
«Bene. Dì a Zac che arriviamo. E digli di attivare i motori».
L’altro riferì. Poi entrambi iniziarono a correre verso l’hangar.
***
«Corvetta di Sorveglianza 23 a stazione Valhalla. Abbiamo quasi raggiunto la posizione. Potete fornirci ulteriori informazioni?»
«Non ce ne sono, capitano Castillo. È solo un sospetto, sulla Taurus sono confluite troppe piccole navette private. Temiamo un concentramento di dissidenti e un tentativo di fuga».
«Eravamo impegnati in un’operazione di inseguimento e ho perso la mia preda. Voglio sapere se questi nuovi ordini arrivano dal Comando di Flotta».
«Negativo, Capitano. Seguiamo le direttive della Polizia Speciale. La marina spaziale è esonerata da qualsiasi decisione finché non avremo bloccato i fuggitivi. Ammesso che ce ne siano».
«Ricevuto, Valhalla. Raggiungeremo le coordinate fra quindici minuti».
Il capitano Alejandro Castillo chiuse la comunicazione e tornò a sedersi sulla poltrona di comando. Davanti a lui, sullo schermo video, le stelle venivano incontro, vomitate dal cosmo nero.
«Dobbiamo prenderli vivi, colpite la nave solo per fermarla. Intesi, Capitano?»
L’uomo che aveva parlato stava in ombra alle sue spalle. Era il commissario politico, seduto su una delle poltrone per gli osservatori e unico a non essere impegnato con gli strumenti di navigazione.
Il Capitano si voltò. Non cercò neppure di nascondere la sua espressione di disappunto. Ogni nave pattuglia aveva a bordo uno di quei tizi, non poteva farci niente. Ma lo sopportava a malapena.
«Non avevo intenzione di distruggerli, Commissario».
«Qualche capitano troppo zelante l’ha fatto. Non è uno sbaglio, in fondo sono fuorilegge. Però io devo interrogarli, possono parlare e denunciare qualcun altro che ancora sfugge ai nostri controlli».
«Capisco» sibilò Castillo e gli dette le spalle. Sapeva quali erano i metodi dei commissari per far parlare i prigionieri. E lui, questo, non riusciva a digerirlo.
«Che c’è, Capitano? Noto poco entusiasmo in lei. Pensa forse che quei traditori abbiano il diritto di difendersi in un processo, sulla Terra?»
Non gli rispose, non subito almeno.
Come sembravano lontani i tempi in cui era imbarcato in qualità di primo ufficiale sulla Chronos e combatteva contro gli insettoidi Arghass che erano armati e potevano difendersi. Da quando era stato promosso, invece, l’avevano assegnato al servizio nelle retrovie e tutto era peggiorato. Non gli piaceva fare il lavoro sporco nel perseguitare civili che avevano idee diverse, che cercavano solo di fuggire. Specialmente quando c’era la possibilità che fosse lui a consegnarli nelle mani di quei macellai della Polizia Speciale.
Continuò a dare le spalle al suo interlocutore e rispose seccato. «Li prenderemo vivi, non tema...».
***
Gli ormeggi del Conestoga saltarono e la nave iniziò a muoversi. Dapprima lentamente, poi acquistando sempre più velocità.
«Cargo Conestoga! Non avete l’autorizzazione al lancio! Voglio il comandante in comunicazione!» urlò qualcuno dalla torre di controllo.
Naturalmente non ricevette risposta. Larsson e i suoi compagni, attraverso i finestrini del trasporto, guardarono sfilare l’immensa stazione, le sue trenta navi commerciali ormeggiate e la miriade di piccoli velivoli d’assistenza che si muovevano intorno. Chissà quante delle dodicimila persone che la popolavano si erano accorte della loro fuga?
«Motori al massimo» ordinò Ossian. «Dobbiamo allontanarci in fretta per fare il salto».
Zac abbassò tutte le leve di potenza e una luce intensa abbagliò il retro della nave. I motori a impulso si caricarono.
«Fatto, Ossian. Ce ne andiamo».
Il Conestoga accelerò in modo impressionante, si lasciò alle spalle la stazione con la gente che si parava gli occhi accecata. E, soprattutto, si lasciò alle spalle la Terra.
Marte, Giove, Saturno... la fuga era iniziata, Wilson aveva fatto la sua parte e non avevano alcun mastino alle calcagna. Tutto filava liscio.
Una luce rossa s’illuminò sulla consolle.
«Ossian... ci sono problemi».
«Imperiali?».
«Sì. Una corvetta... distanza 2.3 in avvicinamento».
La faccia di Larsson divenne funerea. «Imposta le coordinate per il salto, presto!».
«È troppo rischioso, con questa ferraglia... senza essere usciti dal sistema solare...».
«Sempre meno pericoloso che farsi raggiungere».
L’espressione cupa di Ossian convinse il pilota. Non c’era altro da fare e bisognava farlo in fretta. La fronte di Zac s’imperlò di sudore e le sue dita corsero veloci sulla tastiera. Attraverso il vetro della plancia, videro diventare sempre più grande ciò che all’inizio era solo un puntino. Riconobbero una corvetta imperiale, ormai troppo vicina per riuscire a scappare.
Due lampi saettarono micidiali. La struttura del cargo fu scossa dai colpi andati a segno, non avrebbe retto a un secondo attacco. I fuggiaschi furono costretti a fermarsi.
«Catene magnetiche!» ordinò Castillo sulla corvetta.
E una serie di fulmini azzurri scaturirono dalla prua avvolgendo il Conestoga.
«Ci hanno presi!» gridò Zac. «Non posso eseguire il salto, altrimenti metà della nave resterebbe qui, ancorata a loro».
Larsson si sentì addosso gli occhi di tutti. Girò di poco la testa e li guardò: uomini, donne, bambini, li aveva condotti in una trappola; lesse sulle loro facce la disperazione.
«Esplodere è l’ultima cosa che voglio. Prendiamo le armi e prepariamoci alla difesa».
Non riuscì a dire altro.
***
Sulla corvetta il Commissario esultò vittorioso: «Bene, Capitano. Prepari l’abbordatore, andrò là con i miei uomini e porterò ordine. I superstiti saranno interrogati sul posto».
«Quei disperati si difenderanno» ribatté Castillo.
«Lo faranno, ma noi siamo più forti.» L’ufficiale politico traboccò di sdegno. «Avrebbero potuto continuare a vivere tranquillamente sulla Terra, seguendo la legge... Invece, hanno rifiutato la nostra società per ricominciare da un’altra parte.» Sibilò. «Ricominceranno da un’altra parte... sì, all’inferno!»
E rise di gusto.
***
Castillo entrò nella sua cabina e si fermò davanti allo specchio. Si chiese chi fosse l’uomo che vedeva riflesso. Un ufficiale dell’Impero terrestre? Un guerriero che aveva combattuto mille battaglie contro nemici bellicosi? Un soldato? Da quando comandava la corvetta, aveva intercettato tre navi cariche di civili. Ogni volta, il commissario politico e i suoi sgherri avevano abbordato la nave e quelli tra i fuggitivi che non erano morti subito, tentando di resistere, avevano subito ignobili torture, inflitte senza neppure l’obiettivo di estorcere informazioni. I pochi superstiti, e fra questi non aveva mai visto bambini, erano stati inviati sulla Terra per un processo farsa seguito dalla fucilazione. Quindi lui chi era? Un soldato? No, non più. Piuttosto il complice di un aguzzino. Anzi, forse era lui stesso un aguzzino.
Anche questa volta il copione si sarebbe ripetuto. E lui che avrebbe fatto? Niente! Perché opporsi avrebbe significato finire davanti alla corte marziale.
Si lavò la faccia con acqua fresca. Osservò ancora il viso riflesso e si rese conto che non bastava l’acqua a pulire la coscienza.
***
L’abbordatore era un’unità autonoma che funzionava scorrendo in mezzo ai quattro fulmini azzurri delle catene magnetiche. Esse lo portavano, come antichi binari ferroviari, dalla corvetta al mezzo abbordato. Non aveva alcun sistema di propulsione e alcuna possibilità di essere guidato. Una ventosa permetteva l’attracco e un perforatore meccanico apriva un varco nella struttura permettendo l’ingresso dei soldati.
L’abbordatore si sganciò dalla corvetta e lentamente iniziò la sua corsa verso il Conestoga. Gli uomini della Polizia Speciale controllarono le armature e caricarono le armi a raggi, il Commissario accese il monitor interno.
«Capitano Castillo, si prepari a inviare sulla Terra il mio rapporto e le prime immagini dei prigionieri».
«Non è qui, Signore» rispose imbarazzato il secondo pilota. «Non riusciamo a trovarlo».
«Come sarebbe a dire non riuscite a trovarlo?».
«Il suo comunicatore è spento».
«Allora invierà lei il rapporto e le immagini. Quanto al Capitano, sarà meglio che trovi una giustificazione valida per la sua assenza, perché informerò direttamente l’Imperatore».
***
La porta pneumatica della sala magnetica s’aprì scorrendo. Castillo entrò, regolò il raggio della sua pistola a bassa intensità e fece fuoco sugli addetti. Caddero a terra tramortiti.
Lucido nella sua azione disperata, afferrò un’ascia dalla sezione antincendio e poi s’avventò sulle tubazioni dell’energia. Con fendenti micidiali tranciò anche i cavi più grossi, scintille divamparono ovunque.
Alla fine, il sistema andò in crisi. Castillo abbandonò l’ascia e trascinò fuori gli uomini svenuti, prima uno e poi l’altro. Richiuse in fretta la porta e si gettò a terra con loro aspettando l’esplosione.
Ed essa arrivò.
La struttura della corvetta vibrò forte per il boato, in plancia le relative spie d’emergenza e d’avaria si accesero. Fuori, nello spazio, le quattro scariche azzurre si interruppero di colpo e l’abbordatore, senza più guide, finì alla deriva.
Attraverso il monitor interno, il Commissario urlò di rabbia.
«Voglio sapere cosa diavolo è successo! Chi ha sbagliato pagherà!»
Non ebbe il tempo per una risposta. Procedendo per inerzia, l’abbordatore finì addosso al Conestoga, fracassandosi. Il Commissario morì all’istante con tutti i suoi uomini. I loro corpi straziati per l’effetto atmosfera zero uscirono lentamente fuori, poco dopo.
***
«È accaduto qualcosa» disse esultante il pilota del cargo. «Le catene magnetiche si sono spezzate, possiamo iniziare il salto!»
«Qualcuno, su quella nave, ci ha dato una mano» sospirò sottovoce Larsson.
Il pilota azionò la sequenza di tasti per il salto e una lunga scia di LED s’illuminò in successione, poi, il Conestoga sfrecciò via, più veloce della luce.
***
La sala magnetica era in fiamme, Castillo si alzò a fatica e chiamò la plancia col suo comunicatore.
«Incendio in sala magnetica, ho con me due feriti. Inviate soccorsi. Appena saremo fuori darò l’ordine di togliere l’ossigeno».
«Ricevuto Capitano, arriviamo subito».
Il capitano Alejandro Castillo pensò a quanto aveva fatto e si chiese se ne fosse valsa la pena. Sorrise. Sapere che il commissario politico era diventato un corpo celeste vagante nello spazio lo mise di buonumore...
Forse, ne era davvero valsa la pena.
«Terza stella a destra... e poi dritto fino al mattino. È la nostra stella, la terza del sistema Alfa Centauri, è Proxima! Finalmente siamo arrivati. Non ce l’avremmo mai fatta se non fosse stato per gli scrupoli di qualcuno che su quella nave imperiale doveva intercettarci e arrestarci.
Non l’ha fatto e forse gli è costato caro. Dobbiamo tutto a lui. O lei. È bizzarro che chi doveva perseguitarci ci abbia salvati... e pensare che non sappiamo neanche il suo nome».
Ossian Larsson
2 giugno 2667 (anno standard)
diario di bordo,
astronave commerciale Conestoga.
2. Migranti
Quando gli esuli della Terra arrivarono, Zeist avvertì la loro presenza. Li sentì avvicinarsi nello spazio. Vide che viaggiavano a bordo di uno strano ammasso metallico e li osservò mentre entravano in orbita attorno al suo mondo. Attese per capire quali fossero le loro intenzioni, quindi per qualche giorno non successe niente.
Percepì che stavano raccogliendo informazioni biologiche e ambientali. Immaginò che fossero esploratori.
Fu