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Le Eruzioni del Permafrost
Le Eruzioni del Permafrost
Le Eruzioni del Permafrost
E-book309 pagine3 ore

Le Eruzioni del Permafrost

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Info su questo ebook

Alcuni virus e dei batteri hanno trascorso 30 mila anni in letargo nel permafrost profondo. Liberati dal cambiamento climatico, ora stanno causando malattie e morte ad una popolazione vulnerabile. Ci vorranno tutte le conoscenze, le abilità e le competenze di cui i dottori Raymond Salazar e Peter Fleming saranno capaci per comprendere e sconfiggere gli organismi mortali prima che il pianeta venga devastato!

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita26 apr 2023
ISBN9781667455419
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    Anteprima del libro

    Le Eruzioni del Permafrost - Louis P. Kicha

    Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico o meccanico, comprese fotocopie, registrazioni o qualunque sistema di archiviazione e recupero delle informazioni, senza il permesso scritto dell’autore, salvo ove consentito dalla legge.

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e episodi sono frutto dell’immaginazione dell'autore o sono usati in modo fittizio, e non vanno interpretati come reali. Qualsiasi somiglianza con eventi, luoghi, organizzazioni o persone reali, viventi o morte, è da ritenersi puramente casuale.

    RINGRAZIAMENTI

    In un’opera di questa portata è necessario affidarsi a competenze di ogni tipo. Sono in debito con i sottonotati per il loro contributo nell’aiutarmi a mantenere la storia realistica. I miei più sentiti ringraziamenti vanno:

    - A Ronald B. Corley, Ph.D., Università di Boston, Professore di Microbiologia e Direttore dei National Emerging Infectious Diseases Laboratories (NEIDL), il cui webinar sui Microbi Emergenti e Ri-Emergenti mi ha fornito informazioni sulla diffusione delle malattie tramite i moderni mezzi di trasporto;

    - Alle sorelle islandesi, Ragnheithur Arna Magnúsdóttir e Bára Magnúsdóttir, per i dettagli sul loro fantastico Paese, l’Islanda;

    - Ai cari amici Fadi G. Assaf e Lina Abou Ezzeddine, per la loro meravigliosa ospitalità e le loro informazioni precise su Abu Dhabi, che hanno ispirato un segmento della storia;

    - Ai miei colleghi scrittori di Scribblers of Brevard, gruppo di commenti e critiche, che hanno aiutato, favorito, incoraggiato e sostenuto questo sforzo con i loro commenti, pensieri editoriali e conversazioni;

    - Alla deliziosa attività di immersioni subacquee chiamata The Dive Bus sull’isola di Curaçao, gestita dal proprietario/Ambassadiver Mark Pinnell, che mi ha gentilmente concesso di usare il loro nome e la loro House Reef, nota come Pierbaai Reef, come sfondo per parte della storia;

    - Alla mia editrice, Elayne Kershaw, per la sua pazienza e competenza nel rivedere e correggere questo lavoro, e per aver migliorato la qualità della mia scrittura e della mia narrazione.

    DEDICA

    Dedico questo libro alla mia amata moglie, Fern L Kicha. Lei è il mio amore, la mia anima gemella, la mia roccia, il mio banco di prova, la mia compagna e tante altre cose. La nostra vita e i nostri viaggi insieme hanno ispirato molte delle azioni e dei luoghi che si trovano in questa storia. Tutta questa impresa non si sarebbe realizzata se non fosse stato per lei.

    Seguite la Scienza

    New England Journal of Medicine 2015; 373:2197-2199

    Anthony S. Fauci, M.D., e Hilary D. Marston, M.D., M.P.H.

    "Io e Pete temiamo che gli esseri

    umani potrebbero non avere

    l’immunità a questi antichi virus"

    Raymond Salazar, MD., Ph.D.

    30 mila anni a. C.

    Futura regione del North Spole dell’Alaska

    ––––––––

    Il vento pungente dell’inverno si era calmato, e le nuvole si infrangevano sul North Spole. All’alba, il capo della tribù guardava fuori dal suo riparo fatto di pelli di animali e, vedendo il tempo sereno, chiamò a raccolta gli altri cacciatori. Quel giorno era l’ideale per cacciare.

    Quel giorno la tribù fu benedetta dal dono di un grosso mammut che era rimasto escluso dal suo gregge. Le guide fra i cacciatori lo abbatterono velocemente e lo uccisero, poi il gruppo trascinò la preda verso il villaggio. Più tardi, quello stesso giorno, le donne della tribù spezzettarono e macellarono la carcassa, e cossero i grossi pezzi di carne.

    Fu una notte di gioia. I membri della tribù si radunarono di fronte al grande fuoco scoppiettante. Mani desiderose strappavano pezzi di carne dalla coscia di mammut arrosto appesa a uno spiedo di legno e si rimpinzavano col banchetto davanti a loro. La tribù non mangiava carne da molto tempo: i venti gelidi e la neve l’avevano tenuta rannicchiata al riparo per settimane e settimane.

    Dopo il pasto gli uomini, saziatisi per la prima volta dalla ultima luna piena, si ritirarono nei propri ripari per riposare. Il capo, sdraiato con la sua donna, pensava: ‘Forse ora gli dei ci daranno del cibo’.

    La mattina seguente la tribù si risvegliò, e la carne rimanente del mammut stava ancora sul fuoco che languiva. Le donne la rimossero e la distribuirono ai membri della tribù, che la infilarono in sacchi ricavati dalla pelle degli animali. La comitiva di cacciatori lasciò di nuovo il villaggio, nella speranza di portare indietro altre prede. Le donne e i bambini raccolsero ortaggi e cereali dalle macchie spoglie della tundra, aspettando il ritorno del gruppo di cacciatori.

    Tre giorni dopo i cacciatori rientrarono all’accampamento che era quasi il tramonto. I venti si erano levati di nuovo e il freddo aspro era tornato, mentre raffiche di neve danzavano nell’aria gelida. La squadra dei cacciatori trasportava il capo che vomitava a più riprese mentre veniva accompagnato all’accampamento. Aveva rivoli di sangue che gli colavano dal naso e dalla bocca. Gli uomini lo adagiarono su una coperta di pelliccia di mammut e lo coprirono per tenerlo al caldo.

    La tribù si mise intorno al capo, perplessa dal suo corpo che si contorceva e che ora trasudava sangue da tutte le aperture visibili: occhi, naso, orecchie e bocca. La donna del capo teneva il suo corpo tra le braccia e gemeva. L’uomo morì mentre la tribù cantava.

    Due giorni dopo la morte del capo, la sua donna iniziò a vomitare e a sanguinare. Ben presto, uno appresso all’altro, tutti i membri della tribù mostrarono gli stessi sintomi di malore. Nell’arco di due settimane quasi tutti i componenti della tribù perirono per la stessa malattia che aveva ucciso il loro capo. L’unico superstite fu il figlio quindicenne del capo tribù; questi morì congelato quando il vento pungente inghiottì il villaggio. Presto le bufere di neve coprirono il minuscolo accampamento e tutte le tracce della tribù scomparvero.

    Capitolo 1

    Il tempo meteorologico era stato bizzarro per parecchi anni a causa del cambiamento climatico. Da una parte all’altra della Regione Artica le temperature calde avevano sciolto lo strato superficiale del permafrost. I valori hanno raggiunto i 35 °C a partire da giugno di quest’anno, e si sono mantenuti elevati fino ad agosto, dando origine ad un fenomeno insolito: il terreno in disgelo ha rilasciato sacche di metano esplosivo. Le eruzioni di metano sono state registrate in tutta l’area; le più intense sono avvenute in Alaska, nel Nord-Ovest del Canada, in Mongolia, in Islanda, in Russia ed in Groenlandia. Simili a vulcani in miniatura, le sacche di gas sono esplose, emettendo suolo, batteri, virus e altri materiali nell’atmosfera. Il volume di detriti lanciati in aria dipendeva ogni volta dalle dimensioni della sacca di gas. E i venti hanno poi trasportato quei detriti in giro per il mondo. È così che è iniziato tutto...

    Capitolo 2

    L’Agenzia per la Protezione della Salute (N.d.T.: Health Protection Agency, HPA), con sede a Colindale, Londra, Inghilterra, disponeva di uno dei migliori impianti a rischio biologico in grado di gestire e studiare i microorganismi che potenzialmente potrebbero essere estremamente patogenici.

    Custoditi nei loro depositi sicuri c’erano campioni carotati di permafrost prelevati da Alaska, Canada, Russia, Islanda, Norvegia, Groenlandia e altre aree artiche.

    Peter Fleming, dottore di ricerca, era il Microbiologo Capo del Dipartimento di Malattie Infettive al HPA. Fleming aveva conseguito il suo dottorato di ricerca presso l’Università di Cambridge, aveva svolto il suo lavoro post-dottorato all’Istituto Francis Crick di Londra e, negli ultimi 12 anni, aveva prestato servizio appunto come Microbiologo Capo al HPA. In quanto uno dei massimi esperti mondiali di microbiologia, era stato nominato in quella posizione con il compito di studiare e caratterizzare la vita microbica (virale, batterica e fungina) rinvenuta nel permafrost. Durante gli ultimi 8 anni aveva scoperto e identificato molte specie di batteri e funghi precedentemente sconosciute. La sua ultima ricerca aveva riguardato i cosiddetti ‘virus giganti’. A causa del possibile pericolo rappresentato da questi virus, le colture erano conservate presso un’unità di contenimento con Biosicurezza di Livello 4 (BSL-4).

    I laboratori BSL-4 sono stati progettati per lavorare con agenti potenzialmente pericolosi, agenti che potrebbero trasmettersi all’interno del laboratorio stesso via aerosol. Essi sono in grado di causare all’uomo malattie da gravi a mortali, per le quali non sono disponibili vaccini o cure.

    Fleming indossò la sua divisa protettiva BSL-4 ed entrò nella camera stagna che si apriva nel laboratorio dell’unità di contenimento. Il laboratorio occupava la parte migliore del quarto piano dell’edificio. La struttura era priva di finestre e piastrellata, consentendo la sterilizzazione a spruzzo con candeggina. La temperatura era mantenuta fredda per inibire indesiderate fioriture microbiche. Il laboratorio conteneva altresì dei banchi con i reagenti e le attrezzature necessari, un microscopio ottico, un microscopio a contrasto di fase e un microscopio elettronico. Una parete sorreggeva una serie di incubatrici.

    George Daltrey, il suo ricercatore associato, che era già nella camera stagna, preparò le procedure di ingresso nel laboratorio. Sigillò la porta e avviò le procedure. I due attaccarono i tubi dell’aria alle loro tute, attivarono i sistemi di comunicazione nei loro caschi e si prepararono ad entrare nel laboratorio.

    Sei pronto, George?, chiese Fleming parlando nel suo microfono e voltando la testa verso il suo collega.

    Pronto come mai, rispose Daltrey facendo un cenno del capo.

    Daltrey premette sulla tastiera al muro accanto alla porta interna, ventilando la camera stagna; così si accumulò una pressione positiva che impedisse la fuoriuscita di aria dall’ambiente del laboratorio. La porta di accesso alla camera di contenimento si spalancò verso l’interno. L’aria li superò con un sibilo mentre entravano e si dirigevano verso la cappa aspirante aperta. Daltrey sigillò la porta della camera stagna del laboratorio dopo che si era chiusa. Sulla panca era poggiata una sezione di permafrost sigillata in un tubo di acrilico trasparente. Sembrava terra grigia.

    George, tu imposta il mezzo di coltura mentre io preparo i campioni, disse Fleming.

    Sto arrivando, dottore. Daltrey si mosse verso l’altro lato del laboratorio.

    Dopo aver rotto il sigillo Fleming rimosse un segmento  del miscuglio di suolo, vegetazione e microbi, lungo più o meno 2 centimetri e mezzo, e lo ripose in una bottiglia contenente una soluzione sterile. Agitò la sospensione per circa un minuto: le particelle più pesanti si depositarono sul fondo del contenitore. Allora Fleming fece scorrere il liquido attraverso un filtro per rimuovere i frammenti solidi, e poi versò la frazione liquida dentro le provette. Infine mise le provette in un’ultracentrifuga e la avviò. Ruotando ad una velocità di 150 mila giri/minuto, l’ultracentrifuga avrebbe separato qualsiasi potenziale particella virale dal liquido. Mentre la centrifuga girava Daltrey localizzò i flaconi di coltura tissutale e caricò il mezzo di crescita per i virus presenti. Egli impiegò colture di ovociti e colture di linee cellulari di mammifero per testare l’impatto dei virus sugli esseri umani. Preparò anche una coltura del genere Acanthamoeba, organismo unicellulare noto per essere infettabile da alcuni virus giganti. Dopo una rotazione di 10 minuti la centrifuga rallentò per poi fermarsi. Fleming e Daltrey tolsero con attenzione le provette dal rotore. Poi pipettarono all’interno dei flaconi di coltura piccole quantità di materiale rimasto sul fondo della provetta della centrifuga. Questa era un’attività noiosa, ma il rischio potenziale la richiedeva. A quel punto piazzarono i flaconi così preparati in un’incubatrice a dondolio lento settata a 37 °C. Una volta terminata l’operazione i due uomini cominciarono a ripulire meticolosamente. Trenta minuti dopo avviarono i protocolli di uscita, si sottoposero alla doccia chimica disinfettante e infine uscirono dall’unità di contenimento. Appena fuori, si tolsero le tute BSL-4; entrambi sudarono parecchio nel rimuoversi le attrezzature e nell’avviarsi alle docce. Dopo il lavaggio andarono a casa per la sera.

    36 ore dopo, Fleming e Daltrey ritornarono al laboratorio BSL-4. Attraverso le pareti spesse di Plexiglas poterono notare dei cambiamenti nel mezzo di coltura. La cosa più evidente era l’opacizzazione del flacone di coltura di Acanthamoeba, che indicava un alto livello di infettività.

    Anche il mezzo di crescita con gli ovociti indicava un certo livello di attività, sebbene minore di quello della coltura di amebe. Ma Fleming rimase colpito soprattutto nel vedere che persino la coltura di cellule mammali mostrava evidenze di un’infezione. Tuttavia, le prove visive erano insufficienti.

    Ci serviranno altri giorni prima di poter studiare le colture al microscopio. Contatta la professoressa Assimoff e dille di prepararsi per le analisi del DNA, disse Fleming.

    Dott. Fleming, ha qualche idea su quello che sta succedendo?, domandò Daltrey.

    Non saprei, George. Sembra che abbiamo un’attività virale che colpisce le amebe. E anche gli ovociti, probabilmente. Ma sono le cellule mammali a rendermi perplesso. Spero che con l’esame al microscopio e l’analisi del DNA riusciremo a rispondere alla tua domanda, replicò Fleming.

    Capitolo 3

    David Waters era in maniche di camicia nel North Slope d’Alaska accanto al suo grande camion fuoristrada. C’era insolitamente caldo, abbastanza da farlo sudare. Aveva lasciato il suo parka nel veicolo. Insieme al suo partner, Barry Lewis, scaricarono dal retro del camion la trivella e ne piazzarono i componenti su una slitta a ruote. I due erano la squadra sul campo fornita dal Dipartimento di Malattie Infettive dell’Agenzia per la Protezione della Salute. La loro missione era raccogliere ulteriori campioni di permafrost dopo aver ricevuto richieste da Peter Fleming.

    Waters girò lo sguardo per ispezionare la tundra e sentì un tanfo disgustoso nell’aria. Puzzava di spazzatura in decomposizione. Lewis annusò l’aria. Cos’è quest’odore, Dave?

    Non ne ho la più pallida idea, rispose Waters, scuotendo il capo, proseguiamo.

    Lewis annuì concordando e i due uomini trascinarono l’unità di perforazione verso la tundra avviandosi verso il lontano luogo di prelievo. Stavano trasportando un nuovo prototipo di apparato di trivellazione miniaturizzato che consentisse loro di prelevare campioni di carote dal permafrost proprio in quel punto. Esso poteva raggiungere la profondità di 10 metri in 2 ore usando un tubo campionatore di 2,5 cm di diametro. Il terreno faceva cic ciac sotto i loro piedi mentre camminavano, e il fetore era opprimente. Il sito del prelievo si trovava nel Rifugio Selvatico Nazionale Artico, nei pressi dell’Oceano Artico. Giunti nel posto designato Lewis rimosse l’unità dalla slitta e sistemò la trivella sul suolo. Waters collegò il modulo elettrico e annotò le coordinate GPS del sito. Caricò le informazioni sul suo portatile, poi tornò al lavoro manuale. Insieme posizionarono il gruppo della trivella e lo accesero. La punta della trivella penetrò negli strati superiori soffici del terreno.

    Un vento caldo e intenso soffiava da Sud quando Waters si accese una sigaretta e osservò lo sbuffo di fumo che si liberava.

    Pensavo che avessi smesso, disse Lewis allontanando il fumo dal suo viso.

    Ah, è difficile smettere. E inoltre, non c’è molto da fare quaggiù, rispose Waters mentre faceva un altro tiro.

    Amico, quelle cose ti uccideranno. Lo sai, giusto?

    Dovrò morire in qualche modo, quindi meglio morire godendomi la vita.

    Lewis scosse la testa. Ti conosco da quanto, tipo 25 anni? Cos’è questo ‘desiderio di morire’?

    Nessun ‘desiderio di morire’, è che non m’importa più di nulla. Ormai sta andando tutto a puttane. Non gliene frega a nessuno dell’ambiente. Abbiamo lanciato mille allarmi per i cambiamenti climatici, gli strani quadri meteorologici e l’aumento delle temperature con le sue conseguenze. Voglio dire, lo stupido permafrost si sta sciogliendo mentre parliamo. Se questa roba si scioglie, Barry, non capiamo che tipo di schifezze ci siano sotto. E questo mi spaventa a morte. Spinse lo stivale nella torba morbida per enfatizzare il suo concetto. Disgustato, gettò la sigaretta sul terreno e la spense con il tacco dello stivale.

    La trivella continuava a ronzare mentre penetrava nel terreno. Dopo 2 ore tolsero l’estrattore e posero il primo campione dentro un congelatore portatile appositamente progettato per il trasporto. In 12 ore avevano ottenuto i loro bei 6 campioni da trasportare. Lewis e Waters disassemblarono la trivella e fecero ritorno al camion. C’era ancora luce quando rientrarono alla base di Prudhoe Bay. Qui scaricarono, imballarono e spedirono i campioni a Peter Fleming, presso l’Agenzia per la Protezione della Salute, a Colindale.

    Capitolo 4

    Le carote provenienti dal North Slope arrivarono al laboratorio di Colindale e furono collocate nel magazzino congelatore accanto al laboratorio BSL-4. George Daltrey le ricevette e chiamò il dott. Fleming. Dottore, oggi abbiamo ricevuto 6 nuovi campioni di carotaggio dal North Slope d’Alaska. Quando vuole iniziare ad analizzarli?

    Prima finiamo le analisi sul lotto di colture che abbiamo ancora in corso. Cominceremo con i nuovi campioni quando avremo completato gli studi in esecuzione, ammesso che da essi non emerga nulla di indicativo. Ci vediamo in laboratorio.

    Si mossero verso il laboratorio BSL-4. Dopo circa 30 minuti entrarono nel laboratorio di contenimento. Il primo ordine del giorno era esaminare i mezzi di coltura sotto la lente di ingrandimento. Il flacone delle amebe mostrava molte cellule distrutte. Daltrey prelevò un piccolo campione di liquido e lo mise su un vetrino da microscopio. Al microscopio ottico poté vedere pezzi di cellule di amebe e altri frammenti. Disse nel suo microfono: Dottore, per piacere venga un attimo.

    Sono impegnato, qui. Che succede, George?

    Dottore, deve vederlo subito!, disse con un tono urgente.

    Fleming sospese la sua analisi e si avvicinò a Daltrey, che si allontanò dal microscopio. Accese lo schermo della TV, che era collegato a una videocamera digitale ad alta definizione, collegata a sua volta al microscopio. Fleming guardò nel monitor con stupore.

    Osservi il gran numero di particelle in questo campione. Non ho mai visto una cosa simile, disse Daltrey eccitato.

    Fleming scrutò lo schermo. Molte particelle strane punteggiavano il campo visivo. Indicò l’angolo in alto a destra: Guardi quella cellula di ameba gonfia, è piena di queste strane particelle.

    Mentre guardavano, la cellula di ameba esplose, rilasciando le particelle nel fluido del vetrino. Fleming afferrò rapidamente una microsiringa e aspirò la ridotta quantità di liquido dal vetrino. Poi portò la siringa verso il lato opposto del laboratorio e la infilò

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