Fino alla fine
Di I Semi Neri
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Info su questo ebook
La compagnia si scioglie e ciascuno prende la propria strada. Guido diventa un famoso chirurgo plastico, Lidia lavora come parrucchiera, Dario è un tormentato cantante rock, Diana è un’attrice di successo, Tobia prende i voti come Fra Pietro, Sofia è una assistente sociale, Furio un insegnante che vorrebbe diventare scrittore. Nessuno dimentica la tragedia vissuta.
Guido, convinto di essere responsabile dell’incendio, decide di incontrare gli amici superstiti, per confessare la sua colpa e ottenere il loro perdono. Così li invita a festeggiare il suo 50°compleanno a Dragodena il 31 ottobre 2017. Sulla casa rovinata dall’incendio, ora sorge l’agriturismo “Fino alla fine”. È la ricorrenza di Halloween. Tutti accettano l’invito e si mettono in viaggio.
Riusciranno a incontrarsi? Cosa troveranno nella casa?
Mentre gli incubi del passato emergono a mano a mano che ci si avvicina alla casa di Dragodena, quando tutto sembrerà impedire la festa, una verità inquietante travolgerà i destini degli amici, inconsapevolmente coinvolti in un intrigo che si perde nelle storie antiche di queste terre insanguinate da ferocia, odio e faide.
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Anteprima del libro
Fino alla fine - I Semi Neri
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I Semi Neri
Associazione Scrittori
FINO ALLA FINE
Prima Edizione Ebook 2023 © Damster Edizioni, Modena
ISBN: 9788868105259
Immagine di copertina su licenza:
https://stock.adobe.com/
Damster Edizioni è un marchio editoriale
Edizioni del Loggione S.r.l.
Via Piave 60 - 41121 Modena
http://www.damster.it e-mail: damster@damster.it
catalogo su
www.librisumisura.com
I Semi Neri
FINO ALLA FINE
Romanzo
Gabriele Sorrentino
Daniele Biagioni
Marco Panini
Daniela Ori
Indice
PREFAZIONE
PROLOGO
CAPITOLO PRIMO
GUIDO
CAPITOLO SECONDO
LIDIA
CAPITOLO TERZO DARIO
CAPITOLO QUARTO
DIANA
CAPITOLO QUINTO TOBIA
CAPITOLO SESTO
SOFIA
CAPITOLO SETTIMO
FURIO
DISSOLVENZA
EPILOGO
L’ASSOCIAZIONE I SEMI NERI
GLI AUTORI
I LUOGHI DEL ROMANZO
FONTI
I SEMI NERI ASSOCIAZIONE SCRITTORI
CATALOGO
PREFAZIONE
Una delle cose più spaventose di quando si diventa adulti è dover affrontare ricordi, traumi e demoni della propria adolescenza. Ce lo insegnano anche i più grandi scrittori, Stephen King in prima linea, quanto sia dura tornare faccia a faccia con ciò che crediamo di esserci lasciati dietro ma che invece resta lì, appeso alle nostre spalle, sopito in un angolo del nostro cuore, senza mai lasciarti veramente, fino a che non trovi la forza e il coraggio di scendere a patti col te stesso di tanti anni prima, colui che non sei più ma che al contempo ti ha reso ciò che sei. Fino a che non trovi quell’energia nascosta nel tuo animo che ti permette di perdonare, e perdonarti.
Quando la tua infanzia la trascorri con serenità, tutto sommato ricordarla e ripercorrere il filo dei ricordi, insieme o con le persone a cui vuoi bene, è una piacevole passeggiata. Anzi, è persino bello tornare dove hai vissuto le vacanze estive, rivedere coloro che trascorrevano insieme a te tutto il tempo del mondo e che condividevano con te risate, avventure e nuove scoperte. C’è una leggerezza e un affetto che ti permettono di scavallare malinconie e rimpianti, e di mantenere solo le cose belle. Diverso è invece quando nella tua infanzia giacciono ricordi dolorosi, episodi oscuri o situazioni sconvolgenti, che hanno segnato nel profondo non solo il tuo passato, ma hanno determinato e avuto conseguenze pesanti sul tuo presente, tanto da farti sentire spesso inadeguato e fuori posto, o da costringerti a indossare una maschera per sopravvivere tra la gente e non farti travolgere da ferite così profonde che non puoi controllare.
Questo è ciò che accade ai protagonisti di Fino alla fine
, che in un crescendo di colpi di scena e rivelazioni, tra passato e presente, si trovano intrappolati in vite che li hanno distolti, anestetizzati, ma mai allontanati dal trauma condiviso. Vite, le loro, che non hanno mai cancellato il tragico episodio che li ha coinvolti e uniti da piccoli, chiudendoli in mondi all’apparenza normali, fino a quando non comprendono che la loro fuga dal dolore e dalla verità li ha solo allontanati dall’inevitabile. Dunque, ecco che sono costretti a uscire allo scoperto soprattutto con sé stessi, per affrontare i fantasmi che li tormentano e li mettono davanti alle proprie responsabilità.
Come in un film, nella migliore tradizione dei mistery e degli horror, con riferimenti alla cinematografia sulla scia di Manoj Nelliyattu Shyamalan e delle serie televisive nate dallo spirito visionario di J.J. Abrams, i Semi Neri accompagnano il lettore in un viaggio di ritorno misterioso e a tratti allucinato, raccontando attraverso i diversissimi punti di vista dei protagonisti ciò che va affrontato per passare finalmente oltre: a ogni costo, senza fermarsi, fino alla fine.
Eliselle
PROLOGO
La notte sanguinava. Lingue rosse e bollenti squarciavano il suo mantello bruno, invadevano il bosco e dipingevano ombre erratiche tra gli alberi rinsecchiti dal calore. I castagni scoppiavano con tonfi sordi, e il cappello nero del cielo era lacerato dalle evoluzioni del fuoco.
La gola gli bruciava fino in fondo. Aveva sete e il crepitio delle fiamme che pulsavano dal rosso al giallastro gli facevano sobbalzare il cuore. Sopra di lui la luna sembrava un terribile occhio che lo osservava con ostilità.
Guido si guardò attorno per cercare di riconoscere il luogo in cui si trovava.
Perché sono qui? Dove sono spariti tutti?
Era circondato da una mezzaluna di fiamme che sembravano danzare sugli alberi, divorando tutto ciò che incontravano. Il fuoco era uno spettacolo terrificante ma al tempo stesso affascinante, bellissimo. Sembrava un’entità viva che si muoveva e si riproduceva, distruggendo e rigenerando. La casa era una presenza aliena dietro il fumo, appena una serie di ombre cupe che si intuivano in mezzo alle fiamme.
Il ragazzo sentiva in lontananza grida di puro terrore.
Un incubo notturno, uno dei tanti?
Questa volta era tutto vero.
La testa gli rimbombava, le tempie pulsavano senza pietà e, quando chiudeva gli occhi, gli rimanevano impronte rossastre impresse nella retina.
Nonno!
Aveva i capelli brizzolati e un viso gioviale, suo nonno. Era un uomo gentile e capace di grande umorismo. Rideva mentre lo attendeva ogni volta sulla strada sterrata, quando arrivava alla casa. Rideva anche quella sera, quando Guido era arrivato per la festa. E in casa c’era la nonna adorata, rinchiusa in quelle stanze calde a preparare le crescentine per gli amici e le torte profumate. La casa con la nonna dentro era un giardino di dolcezza. Lei diceva che se sei felice e sereno, anche la dimora dove abiti è felice. Perché la casa ha un’anima. Così ripeteva sempre la nonna.
Un albero vacillò a pochi passi dalla legnaia. Era avvolto dal fuoco, tentacoli rossi lo avvinghiarono all’improvviso e lo fecero implodere.
Guido ebbe un sussulto e spalancò gli occhi esterrefatti. Sentì addosso la paura e con essa realizzò cosa stava succedendo.
I miei amici! I miei nonni!
La festa del suo compleanno, gli amici della compagnia. Guido vide se stesso circondato dalle fiamme.
Dove sei Elisa?
Come in un film, Guido assistette alla scena di quella sera da protagonista di una pellicola dell’orrore. Aveva le mani intrise di benzina, bruciate e spellate in diversi punti. Un altro albero scoppiò in lontananza. Vide la catasta di legna, poi il grande falò, come quelli che si ammiravano al cinema.
Elisa, non è bellissimo?
L’amica sorrideva, splendente nel suo cappotto bianco con il cappuccio calato sul capo, era bella, con i capelli lunghi e chiarissimi, quasi bianchi, sembrava una fata.
La gola gli si chiuse mentre le lacrime gli rigavano il viso. Cadde in preda ai singhiozzi.
Suonava Tragedy
dei Bee Gees nell’aria quando il vento spazzò l’aia della casa e spinse il fuoco contro la legnaia. Le fiamme avvolsero tutto. Il nonno corse disperatamente verso il fuoco e cercò di spegnerlo. Si udivano le urla strazianti della nonna, gli amici sparpagliati che tentavano di fuggire dall’inferno che si stava scatenando. Il tetto della legnaia crollò. Elisa era una macchia bianca sotto le macerie scure.
Guido, Guido
.
Un sussurro attraversò a stento il rumore dell’incendio. Era Sofia.
Dove sei?
rispose Guido, con la voce che gli si strozzava in gola.
Quaggiù, vicino al pozzo. C’è anche Lidia con me, stiamo aiutando Tobia che è ferito
.
Un muro mutevole di fiamme separava i ragazzi. Si sentivano solo voci distanti tutto attorno.
Furio, Dario, dove siete? Dove sono gli altri?
.
Io sono qui…ma non trovo più mia sorella…
. La voce di Diana era appena un bisbiglio. Guido la individuò al limitare del bosco. Tossiva e faceva fatica a parlare. Corse da lei e la prese per mano, Diana si copriva la bocca con un fazzoletto. Insieme, giunsero al pozzo dagli altri.
Le fiamme avvolgevano la legnaia che sembrava contorcersi nella notte. Una trave crollò.
Nonno! Nonna!
. Si lanciò verso il fuoco, ma qualcuno lo afferrò e lo tenne fermo. Era Furio. Si lasciò abbracciare dall’amico, che lo stava salvando. Fu in quel momento che Guido vide in lontananza anche Dario, fermo con la schiena appoggiata al tronco di un albero, come impietrito dalla paura, gli occhi spalancati dal terrore.
Qui ci sono dei sopravvissuti! Muovetevi, per l’amor di Dio
urlò una voce sconosciuta dal fitto della boscaglia.
In lontananza si udiva il grido ossessivo delle sirene.
CAPITOLO PRIMO
GUIDO
Il beep ritmato del monitor multiparametrico riempiva la sala operatoria. La luce famigliare delle lampade scialitiche inondava il campo operatorio mentre medici e infermieri, vestiti di verde, armeggiavano intorno all’uomo intubato, coperto dai teli termici.
Ottimo lavoro, ragazzi. Ora potete concludere voi
. Guido Verzalia sorrise dietro la mascherina. Era sempre soddisfatto dopo un intervento riuscito. E quello era stato davvero un capolavoro.
Come vuoi!
rispose il suo aiuto, il dottor Saragat. Stasera è il gran giorno, vero?
.
Cosa succede oggi?
domandò l’anestesista, dottoressa Grazia Bosi. Era una donna segaligna e affidabile.
Come, non ricordi?
rispose l’altro mentre controllava il paziente. Il direttore compie gli anni e ha organizzato una grande festa!
.
È vero! Che sbadata. Auguri, direttore!
si scusò Grazia.
Auguri!
risposero tutti all’unisono.
Vi ringrazio. Ora vado a casa a prepararmi
. Salutò e si allontanò dal campo operatorio. Si diresse negli spogliatoi e cominciò a togliersi i guanti, la cuffia, la mascherina e il camice. Ripose tutto negli appositi contenitori. Nulla era lasciato al caso alla clinica Eterno Incanto
. La sicurezza era la priorità. Guido prese i vestiti dall’armadietto e li indossò. L’orologio digitale sulla porta di accesso allo spogliatoio indicava le 7.00 AM.
Le sette di mattina.
L’intervento era durato due ore e Guido era esausto, sentiva le palpebre pesanti e aveva la necessità di dormire. Un tempo non sarebbe successo. Fino a pochi anni prima era in grado di operare per dieci ore di fila, alzarsi a notte fonda e dormire poche ore. Gli bastavano un caffè e un paio di croissant alla crema per tirare avanti l’intera giornata. Poi era venuta la malattia.
Dannata leucemia.
Era guarito, ma la terapia era stata dura e lui non era più tornato l’uomo di prima. Stizzito, si diresse al lavabo dello spogliatoio e si gettò l’acqua fredda in viso. Si guardò allo specchio e per qualche istante gli occhi stanchi stentarono a riconoscerlo. Quegli occhi grigio-verdi erano ancora lì, così la fronte alta e il naso importante ma proporzionato. Eppure, l’uomo nello specchio sembrava invecchiato di dieci anni rispetto a quello che, tre anni prima, aveva scoperto la sua malattia. Con la mano bagnata si pettinò i capelli brizzolati col ciuffo rivolto verso destra.
Sei stanco, Doc?
. La voce di Callisto Saragat lo trasse dai suoi pensieri.
Un pochino
ammise lui. Conosceva Saragat da quindici anni ed era impossibile nascondergli qualcosa. Questo intervento non era possibile rimandarlo
aggiunse quasi a giustificarsi.
Lo so
sorrise Saragat. Era un uomo che si era ustionato le mani e che aveva bisogno di un trapianto di pelle. Non potevi deluderlo: nessuno cura le ustioni come il dottor Verzalia
lo adulò.
Guido annuì con orgoglio. La telefonata era giunta la sera prima. Eterno Incanto
era una clinica privata che assicurava prestazioni di chirurgia plastica ad altissimo livello, fiore all’occhiello nel campo dell’estetica a livello internazionale, ma Guido era anche uno dei massimi esperti italiani nel curare le ustioni e per questo collaborava con diverse strutture pubbliche.
Dal mio lavoro ho avuto molte soddisfazioni e molti soldi, ora voglio restituire qualcosa alla collettività
.
Sei un vero eroe!
rise l’altro. Ma ora vai a casa e cerca di riposare per qualche giorno. Posso aggiustare qualche naso storto e ingrandire le mammelle di qualche ricca paziente anche senza di te
lo canzonò. Poi si fece serio. Non scherzo. Sei rientrato a lavorare da poco, non esagerare con gli impegni, devi darti tempo
.
Grazie
.
Quando Guido raggiunse il parcheggio alberato della clinica, un’alba violacea pennellava le colline sopra Prignano sulla Secchia. La Maserati Levante l’attendeva, docile. La luce del primo mattino scintillava sulla raffinata carrozzeria blu metallizzata. Disattivò l’allarme e si lasciò cullare dagli interni sontuosi dell’auto che aveva acquistato l’anno prima.
Accese il motore e godette del rombo controllato del biturbo da 350 cavalli. Sembrava il brontolio di un vulcano in procinto di esplodere.
Sfrecciò tra colline e paesi addormentati verso Modena, mentre lo stereo diffondeva una compilation di canzoni che aveva scelto con cura per la guida mattutina. Erano pezzi duri e ricchi di assoli di batteria e chitarra: dovevano tenerlo sveglio fino a casa.
Soprattutto, però, furono i tanti pensieri a tenerlo vigile durante il viaggio. Quella sera stessa li avrebbe rivisti tutti. Per la prima volta dopo trentasette anni, si sarebbero ritrovati nel luogo dove le loro vite erano cambiate per sempre.
Guido sospirò, mentre il motore saliva di giri con una sontuosa accelerazione.
Lidia, Dario, Diana, Tobia, Sofia, Furio. Per anni, da ragazzini, erano stati il suo mondo. Poi la tragedia di quella notte li aveva allontanati.
La scena dell’incendio gli si materializzò nella mente, vivida, così reale che le mani gli parvero bruciare come quelle dell’uomo che aveva operato poche ore prima. Ricordava lo sguardo di approvazione di Elisa, un sorrisetto furbo che lui adorava, che si trasformava prima in dubbio, poi in terrore puro, mentre le fiamme sfuggivano al suo controllo e avvolgevano la casa.
Ricordava l’odore intenso di bruciato, le urla dei suoi nonni, il tetto del fienile che crollava con un tonfo polveroso.
È colpa mia.
Il suono stridulo di un clacson lo riportò sulla provinciale: aveva stretto troppo una curva e si era trovato nella corsia opposta, mentre arrivava un’utilitaria beige. I sistemi di sicurezza dell’auto frenarono più in fretta di lui e Guido riprese il controllo del SUV col cuore che gli rimbombava nel petto. Rallentò e si fermò sul ciglio della strada per riprendere fiato. Poggiò la fronte sul volante e la mente tornò a vagare nel suo passato.
Sì, è colpa mia.
L’inchiesta aveva decretato che si era trattato di una tragica fatalità ma lui non aveva mai avuto dubbi sulle sue responsabilità. Voleva accendere un grande fuoco per illuminare la notte. Lo desiderava perché sperava che Elisa ridesse a quella vista e rimanesse incantata da tanta bellezza. Per questo aveva preso la benzina dalla rimessa dei trattori e aveva acceso una fiamma che non era stato in grado di controllare.
Tragedia a Dragodena. Due anziani e dieci ragazzini morti carbonizzati nella vigilia di Ognissanti
. Così aveva titolato la Gazzetta di Modena il giorno dopo la tragedia.
Quando Guido rialzò il volto dal volante, aveva gli occhi velati di pianto, gli sembrava di vedere attraverso un vetro appannato. Parcheggiò e uscì dall’auto per fare due passi.
Per anni aveva cercato di dimenticare, aveva sperato di rimediare al male che aveva fatto, curando le vittime di ustioni gravi, pazienti che nessuno voleva trattare. Poi la malattia era cresciuta dentro di lui, come una giusta punizione per la sua colpa. Era stato allora che aveva maturato dentro di sé la decisione di confessare. Non sapeva quanto sarebbe vissuto. Le cure contro la leucemia andavano bene ma con quella malattia non si poteva mai sapere, era un medico, conosceva tutti i rischi.
Così li aveva cercati, tutti, uno dopo l’altro.
Con gli amici dell’antica compagnia era rimasto in contatto in tutti questi anni. Qualche telefonata ogni tanto, qualche mail, soprattutto alle solite ricorrenze, Natale, Pasqua, compleanni. Ma solo con qualcuno di loro c’erano stati incontri e colloqui più profondi.
Diana l’aveva operata qualche anno prima, pochi ritocchi per lei necessari per continuare a calcare le scene al massimo della forma fisica, ma era ancora una donna bellissima e un’attrice di successo. Furio non lo vedeva da almeno dieci anni. Qualche volta in passato lo aveva incrociato a Bologna o a Milano, in