Triangolo
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Anteprima del libro
Triangolo - Daniele Gonella
Il Posatore
Lo chiamano il Posatore. Lo chiamano così perché nessuno conosce il suo vero nome ma in qualche modo dovevano pur chiamarlo e i giornalisti hanno sempre molta fantasia quando si tratta di inventare appellativi. Lo chiamano così perché è uno che si dà delle arie, che si atteggia, posatore nel senso di poseur appunto, non di muratore. La sua professione è ben diversa e ben più redditizia. Lo chiamano così perché Inafferrabile o Imprendibile sarebbe stato banale e scontato. Qualcuno ci aveva provato ad azzardare un Arsenio Lupin ma ci deve essere stato qualcun altro che lo ha guardato storto all’istante e così anche quello era stato archiviato in fretta. Lo chiamano così per la sua firma, quella che lascia dopo avere svaligiato ogni casa e ogni villa dei quartieri bene di Dressano. Una breve sosta davanti a una delle telecamere di sorveglianza dell’abitazione, una qualsiasi, è lo stesso, tanto sa sempre esattamente dove ciascuna è ubicata, sia che sia in vista oppure nascosta. Una rapida piroetta con la mano, un’aria eseguita con grazia e poi un inchino, sincero e profondo. L’artista ringrazia e saluta alla fine della sua esibizione, con il fare tronfio di chi sa di essere il più furbo, il migliore, il più grande. Di chi sa di averla fatta a tutti ancora una volta. Poi si rialza, guarda in camera solo qualche altro secondo e se ne va, con la sacca piena della refurtiva e del suo ego. La pubblica opinione si è scatenata su quello che avviene in quei pochi secondi ma la versione più accreditata è che l’uomo sorrida. Non lo si può dire con certezza per via della calzamaglia nera che lo ricopre dalla testa ai piedi ma è ragionevole pensare che se la goda un mondo.
Il Posatore è un ladro professionista in attivo ormai da molti anni nella provincia ma che ha sempre gestito bene la sua impresa, dilazionando i colpi nel tempo (a volte passa anche un anno tra un furto e l’altro) e concentrandosi su degli obiettivi che possono sempre garantirgli notevoli incassi. Ha preferito puntare sulla qualità piuttosto che sulla quantità e offrire così meno elementi e occasioni alla polizia per trovarlo. Un uomo intelligente e paziente che anche nel pianificare le sue sortite programma tutto fin dove gli è possibile e a volte anche oltre. Le autorità rimangono sempre perplesse dalla quantità di informazioni di cui sembra disporre, che gli permettono di andare e venire come se ogni casa fosse la sua. Sa sempre quando l’abitazione è vuota e per quanto tempo lo rimane, conosce persino i codici dei sistemi di antifurto, mai una volta ha avuto bisogno di neutralizzarli, li ha semplicemente disinseriti con la disinvoltura di chi li aveva inseriti solo poco prima di uscire. Ma più di tutto è la sua firma a disturbare il sonno di chi lo insegue, quegli spettacoli davanti alle telecamere. Come fa a sapere dove si nasconde l’obiettivo, anche quando è perfettamente mimetizzato? Questo suo vezzo ha indotto la polizia a pensare che l’inattività fra un colpo e l’altro sia una necessità tecnica, per permettergli di studiare a fondo le abitudini degli inquilini e la struttura delle case. A sua volta questo li ha spinti a cercare fra quei professionisti che per via del loro lavoro hanno modo di frequentare abitazioni estranee. Un lavoro di copertura onesto e rispettabile è apparso via via come la pista più promettente fino a far restringere il cerchio alla categoria dei liberi professionisti. Dove restringere e categoria sono naturalmente due eufemismi piuttosto accomodanti. L’idraulico, l’elettricista, il tecnico della caldaia improvvisamente sono diventati figure losche e delle quali diffidare, spingendo i cittadini a una psicosi collettiva che li ha costretti a improvvisarsi tuttofare. Per non parlare poi dei rappresentanti, quelle importune creature che trascorrono davvero il loro tempo a cercare di entrare nel tuo soggiorno per organizzare una delle loro dimostrazioni. Trovare un comune denominatore tra i vari furti, con questi presupposti, è stato praticamente impossibile e alla fine la pista li ha condotti nel deserto. Una strada bianca che a un certo punto si slarga e si fonde con il paesaggio, e non va più da nessuna parte. Fin lì erano giunti e poi si sono persi. Una alla volta le congetture sono state abbandonate e l’indagine si è ridotta a un meccanico inseguimento, un fiutare le tracce lasciate da qualcuno che tanto sai che ha come minimo una settimana di vantaggio su di te. Lo sforzo più grande della polizia ormai è sperare che prima o poi commetta qualche errore e si scopra.
Ma intanto il Posatore è là fuori da qualche parte e sta preparando il suo prossimo numero.
L’Appuntamento
La serata più breve della sua vita. Questo era stata, una farsa, una timida sortita ma niente più. Non che abbia mai fatto molta strada per divertirsi, le escursioni più lunghe lo hanno portato al massimo ai confini della provincia. Nemmeno il lavoro è mai riuscito a sradicarlo dalla sua territorialità, né le poche vacanze che si è concesso; non è mai saltato da un continente all’altro rischiando di contrarre qualche malattia o di rimanere intossicato da qualche pietanza indigena, o di finire sequestrato da un gruppo terrorista impegnato in chissà quale guerra esotica. Certi desideri non gli sono mai appartenuti, i suoi sono sempre stati molto più casalinghi. Peccato che negli anni si sia lasciato prendere un po’ troppo la mano da questa filosofia fino a restringere il perimetro dei suoi spostamenti nello spazio compreso fra la casa, il lavoro, il pub e le sale buie e fumose dove si organizzano le serate che piacciono a lui. Quattro punti di riferimento come i punti cardinali, la simmetria gli era sembrata quasi divina per definire la sua vita per i prossimi trenta o quarant’anni. Non aveva messo in conto gli effetti collaterali. Ragionando in piccolo aveva creduto di potersene stare tranquillo e al sicuro ma evidentemente qualcosa non aveva funzionato. Che diavolo, lui non aveva funzionato. Si augura solo per il futuro, semmai qualcuno gli chiederà raccontami le tue avventure
, magari quel figlio che è ancora lì che aspetta la donna che voglia concepirlo insieme a lui, di avere qualcosa di meglio di ah, quella volta che ho sboccato giù dalla collina, dietro al cesso del pub!
. Che emozioni ragazzi, che brividi.
Ma, a volte, anche i piccoli viaggi possono trasformarsi in avventure. Emilio ci ha riflettuto quando è entrato nella rotonda e se l’è fatta tutta senza spostare il volante di un millimetro fino a ritrovarsi di fronte alla strada dalla quale era venuto. Lì aveva sterzato tutto a destra, attirandosi le ire degli altri automobilisti. Tornava a casa. Tornava alla sua routine che a quanto pare non riusciva ad abbandonare, per quanto tossica potesse essere. Mentre se ne allontanava aveva provato un senso di liberazione, come se metro dopo metro il corpo si tonificasse, riprendesse a respirare aria pulita nonostante la pianura veneta sia una delle poche zone d’Italia che a fatica si distingue dallo spazio, a causa della coltre di smog che perennemente la ricopre. Gli era già successo una volta, in passato, di provare la stessa sensazione ed era stato bellissimo. Allora si era promesso che avrebbe cambiato vita, che sarebbe diventato un altro. Era durata dieci minuti. Adesso la storia si ripete, in tutte le sue sfaccettature. Ancora una volta ha l’occasione di finirla per sempre con le cattive abitudini e ancora una volta gli viene chiesto di pagare un prezzo per ottenere tale privilegio. Solo che ogni volta la posta in gioco è sempre più alta e con essa sale anche il prezzo. Stavolta non deve fare cazzate, potrebbe essere l’ultima.
Non arriva fino a casa con l’auto, la lascia all’ingresso del quartiere, nei parcheggi in grigliato erboso che corrono di fronte alle sonnolente villette. La sera è fresca, l’autunno è alle porte e se ancora non è arrivato il momento di dormire con le finestre chiuse, quantomeno i condizionatori per quest’anno hanno ronzato il loro ultimo alito di vita. Lui non ama passeggiare e di sicuro non ama farlo col buio ma stasera non ne può fare a meno. Ha da pensare prima di varcare la soglia e lasciarsi il passato alle spalle, deve avere ben chiaro cosa fare e come. Ha paura. Pensa alla sua ex moglie, anche lei entrata inaspettatamente a far parte del suo piano di rinascita. Pensa al suo ex migliore amico, quello con cui è cresciuto fin da ragazzo. Pensa al fatto che sono diventati suoi ex quando si sono messi insieme e che lui annegasse pure da solo nella palude dei suoi guai. E pensa a come proprio quei guai, che ha coltivato con tanta caparbietà e dedizione, adesso stiano volgendo le carte a suo favore. È stato quando la sua salute è peggiorata all’improvviso che Barbara si è decisa a rifarsi viva. Di nascosto dal suo uomo d’accordo, ma lo ha fatto. Figurarsi se perdeva l’occasione di rinfacciargli tutti gli errori, tutti i fallimenti che lo avevano condotto fino a quel punto. Quando aveva avuto il primo tracollo il dottore gli aveva detto che le lunghe giornate in barca al lago a pescare, in compagnia degli amici, delle birre gelate e delle zanzare, molto presto si sarebbero trasformate in un letto d’ospedale, pere cotte e minestrine. Nella sua diagnosi aveva omesso le cause dell’insonnia e dell’ipertensione solo per il fatto che non riusciva a spiegarsele, né mai avrebbe potuto. L’altra vita di Emilio è un po’ meno tranquilla di questa e siccome le sue finanze a malapena gli permettono di avere le aspirine per il raffreddore, Barbara, dubitando che avrebbe mai cambiato abitudini o che si sarebbe dato allo sport, alla tenera età di cinquantaquattro anni e alla morbida taglia di centodieci chili, era corsa da lui. E così era ricominciata. Niente di che, d’accordo, solo telefonate clandestine e incontri fugaci per sincerarsi delle sue condizioni, ma era un inizio e non era affatto scontato considerato com’era finita. Forse col tempo sarebbe tornata da lui comunque ma un aiuto non si butta mai via. Non era durata a lungo la luna di miele col suo amico di un tempo, si era resa conto che mollare tutto per trasferirsi in un’altra città e stare con lui era stata una decisione dettata più che altro dallo sconforto, dal bisogno di avere due braccia forti che la sostenessero nel momento in cui il suo matrimonio andava a rotoli. D’accordo, magari anche il fatto che fosse bello e dannato aveva aiutato, è pronto ad ammetterlo. Lui in quel campo non ha mai potuto competere, per quanto la sua attuale stazza sia una conquista del tutto recente. Si era resa conto che oltre a un bell’involucro c’era poco altro, che i due vecchi amici potevano giocarsela in quanto a meschinità e che forse fra i due non era Emilio il campione assoluto. Non ha mai capito i gusti della moglie in fatto di uomini e, per quanto gli costi ammetterlo, questa considerazione fa di lui un esemplare quanto mai discutibile. Se solo lei sapesse quanto il suo attuale compagno gli somiglia...
Il corso dei suoi pensieri è interrotto dal bisogno impellente di orinare, per la quinta volta da quando è uscito. Sì sono cinque, le ha contate. Si ferma dietro a un platano a svuotare la vescica.
– Tu e le tue tisane drenanti – sorride. Una premura, non richiesta, di Barbara e non prescritta dal dottore. Tu pensa a ripulire la tua vita, al tuo corpo penso io
aveva detto. Lui ingenuo aveva accettato, perché non si immaginava di trasformarsi in distributore automatico di piscio. Cosa non si fa per amore.
E mentre con sommo piacere osserva il calore liberarsi in volute di vapore, il pensiero riparte e corre al motivo del suo viaggio, un appuntamento inderogabile al quale non poteva mancare.
Ore 00:10
Quando arriva a casa l’effetto della venefica tisana sembra essersi temporaneamente placato ma non si sente bene.
È nervoso, è guardingo. Sulla strada aveva cominciato a voltarsi indietro sempre più spesso, per controllare di essere solo. Non che si aspettasse di trovare qualcuno, l’ora è tarda e il quartiere è esclusivamente residenziale, non vi sono locali nei quali fare mattino. Però più si avvicinava, più lo tormentava il pensiero di essere seguito. Addirittura la mente ha cominciato a giocargli quegli scherzi che le menti sono solite giocare quando ci si lascia suggestionare troppo. Un fruscio lì dove non deve esserci, perché il marciapiede è pulito e non ci sono foglie per terra; un passo stonato là, fuori tempo col suo e quindi per forza di qualcun altro; un’ombra in più quando passa sotto a un lampione. Ma ogni volta alle sue spalle non c’era nessuno, naturalmente. E ora che è finalmente a casa, invece di dissiparsi la sgradevole sensazione ha raggiunto il suo apice, come catalizzata dalle mura.
Gli unici suoni sono il suo respiro e la delicata brezza di settembre. Le grandi arterie del traffico sono lontane, grilli e cicale hanno deciso che per quest’anno basta così. La facciata della casa è rischiarata dalla luce dei lampioni ma oltre si perde nell’oscurità. Se non sapesse che dietro l’edificio continua, gli sembrerebbe di guardare un muro con le finestre aperte sul buio. Non è bello stare lì impalati a fissare il nulla, perché va a finire che dentro quel nulla cominci a vederci davvero di tutto. Come sta succedendo a lui che inizia a temere che qualcuno nascosto là nell’ombra si sia accorto della sua presenza. Ma non ha senso. Conosce bene quelle strade, sa esattamente cosa si vede da ciascuna delle finestre di casa sua, è una notte senza luna e lui non sta sotto alla luce. E non ha fatto alcun rumore mentre arrivava. È praticamente invisibile. Quante volte si è ritrovato a fantasticare di rientrare in casa e sorprendere un intruso, di ingaggiare una lotta selvaggia e di dargliele di santa ragione. Di fargli sputare sangue e ristabilire così l’antico ordine che vuole la proprietà privata sacra e inviolabile e la rottura di tutte le ossa di chi si azzarda a sovvertirlo. L’occasione di essere un eroe e proteggere la sua bella dal pericolo. Non immaginava che sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe dovuto farlo davvero ma a differenza del sogno adesso se la sta facendo sotto. E poi manca la bella da salvare ma gli sembra brutto chiamare Barbara a quest’ora e chiederle se può venire per cortesia che c’è bisogno di un ostaggio. Dulcis in fundo, come prova finale che la realtà e i sogni non hanno proprio niente in comune, si accerta che la pistola sia al suo posto. Un’arma di piccolo calibro che ha acquistato ormai molti anni addietro, quando ha cominciato a frequentare personaggi poco raccomandabili e che lo accompagna sempre ogni volta che esce di casa. Un’arma che non ha mai sparato un colpo. Quindi alla fine non ci sarà neanche l’epica lotta ma una più prosaica sparatoria. Scruta la casa alla ricerca di un segno, un indizio che possa confermare o smentire le sue sensazioni, qualcosa che...
Là! Una tenda! Una tenda si è mossa!
Abbassandosi più che può e prendendola alla larga fa il giro fino al retro rasentando il muro ed entra dalla porta della cucina, in silenzio. La casa è intatta, immobile. Muta. Perlustra il piano terra senza accendere le luci, certo di essere stato abbastanza cauto da non avere svelato la sua presenza. Una volta che gli occhi si sono abituati al buio non ha problemi a muoversi, se ce l’ha fatta un estraneo che non conosce l’abitazione può farcela anche lui. Appurato che dabbasso non c’è nessuno, sale di sopra. La camera da letto è deserta, come ormai da molte notti, da molti anni a questa parte, la finestra ancora sprangata. Un rumore imprudente, un fruscio alle sue spalle. La porta della camera più piccola, dall’altra parte del corridoio, è aperta. Non la lascia mai aperta. La stanza che non è mai servita al suo scopo perché non hanno avuto figli e che un tempo Barbara aveva adibito a spazio personale per le sue pause salva matrimonio, come le chiamava. Non era servita neanche a quello. All’occorrenza diventava una specie di sala da tè, per lei e le sue amiche giulive. Poi, quando si era levata dai piedi lui si era riappropriato di quello spazio trasformandolo in un rifugio peccatorum che aveva l’ardire di chiamare studio. Ora c’è di nuovo un intruso lì dentro ma è fatto di una pasta del tutto diversa.
– Stai calmo – esordisce. Si rende conto che non è la frase più adatta alla circostanza ma siccome il suo scopo non è farlo scappare ma impedirgli di fuggire, ha optato per la diplomazia.
Colto di sorpresa l’intruso si volta di scatto facendo cadere un paio di raccoglitori dal tavolo, in mano regge una torcia. Con la luce contro Emilio non riesce a distinguere bene ma gli sembra che il tizio porti una specie di calzamaglia scura anche sulla testa. Non dice una parola e di lui si sente solo il respiro, sorprendentemente regolare e controllato nonostante lo spavento. Il suo cuore invece sta galoppando per la rampa di scale che ha appena fatto e per il terrore di quello che deve fare. Decisamente nel confronto non parte avvantaggiato.
– Lo so chi sei – continua Emilio –, sei quello che si è ripassato tutte le case del paese. E tutte quelle della provincia negli ultimi anni. Sei quello che non sono mai riusciti a prendere.
L’intruso non sembra sconvolto da quella constatazione, anzi gli appare la deduzione più logica del mondo. Emilio prova ad accennare un sorriso, per farsi coraggio.
– Dovrò consegnarti io allora. Che smacco per gli sbirri. Adesso aspetti qui da bravo finché loro non arrivano.
L’unica altra via di fuga sarebbe la finestra ma sono al primo piano e a meno che l’uomo non sia molto atletico non la sceglierà. E la porta non c’è più, al suo posto c’è Emilio che riempie tutto lo spazio a disposizione. Ma evidentemente, per essere imprendibile il ladro ha dalla sua un certo bagaglio di risorse. Muovendo appena il polso dirige il fascio di luce verso gli occhi di Emilio e facendo scattare l’interruttore passa a una potenza più elevata. Stavolta la sorpresa è di Emilio che istintivamente serra gli occhi e alza le mani a proteggere il volto. Fa un solo passo indietro ma è sufficiente perché l’altro passi al contrattacco. Approfittando del momento gli salta addosso con tutto il peso della sua esile figura e lo manda a terra. La caduta è poderosa. Rialzatosi cerca di darsi alla fuga ora che la via è libera ma Emilio lo trattiene per un piede facendolo cadere di nuovo. Mentre tenta di rimettersi in piedi una seconda volta, Emilio cerca di riprendere fiato, i suoi polmoni non hanno gradito che il suo dolce peso si sia scaricato in maniera così violenta su di loro, e a quel punto estrae la pistola. Lo scatto della sicura sortisce il suo effetto, congelando l’altro all’istante. In ginocchio e ansimante lo tiene in pugno e lui sembra non sapere cosa fare. Il suo piano non prevedeva ci fosse qualcuno in casa, è un’eventualità alla quale non era preparato per il semplice fatto che non avrebbe dovuto verificarsi. Le informazioni che aveva erano precise e ha impiegato giorni per verificarle, rimanendo appostato lì fuori ad accertarsi che fossero esatte e lui non commette errori. Quell’uomo non dovrebbe essere lì. Ce l’ha alla sua destra con l’arma in pugno, di fronte a sé la balaustra del corridoio che si affaccia sul salotto di sotto. Anche il grassone per qualche oscura ragione appare in difficoltà. Non spara e in effetti ha detto che il suo obiettivo è di trattenerlo ma non sembra nemmeno intenzionato a chiamare aiuto. Se ne sta fermo con la pistola puntata su di lui a non fare niente, forse bloccato dalla paura che qualsiasi azione intraprenda possa avere delle conseguenze imprevedibili. Non passa più di qualche secondo a interrogarsi sulle sue motivazioni, decide semplicemente di approfittarne. Se non ricorda male, piazzato proprio sotto di lui c’è un soffice divano. La geografia domestica è materia obbligatoria nel suo mestiere, mai muoversi in una casa della quale non conosci i potenziali ostacoli e le vie di fuga. Con un balzo scavalca il parapetto e si lascia cadere di sotto certo che l’altro non reagirà. Atterra sul morbido davanti allo stupore di Emilio e scatta di nuovo in piedi, quasi in un unico sinuoso movimento. Senza sfiorare nessun mobile o suppellettile fila alla porta sul retro, quella che ha usato per entrare e la stessa dalla quale è entrato Emilio. Abbassa la maniglia ma è di nuovo chiusa. Il bastardo l’ha richiusa a chiave! I passi pesanti di Emilio scendono sulle scale. Quell’uomo fa paura a sentirlo e anche a vederlo, ma non è un pericolo. È solo una messinscena. Gliene ha dato la prova e se è lo scontro che vuole peggio per lui. Peggio per lui. In una casa buia non è difficile, per qualcuno vestito di nero, trovare un posto in cui nascondersi. Improvvisamente a Emilio appare come un territorio sconosciuto, un intero continente con mille spazi vuoti sulla mappa, e in ciascuno di quegli spazi minacce sconosciute e mortali. Non sembra più fatta di mura ma di ombre, ancora ombre. È tutta la sera che lo perseguitano ma adesso lo sa che lì da qualche parte ce n’è una che potrebbe fargli del male per davvero. Procede con cautela, con la pistola spianata in una parodia di minaccia. Quando raggiunge la posizione giusta, il profilo del frigorifero si allunga in alto come un’ombra cinese e diventa qualcosa di molto più minaccioso. Una mano cala su di lui e lo tira con violenza contro lo sportello. Il colpo è abbastanza forte da farlo rimbalzare indietro. I piedi si rincorrono cercando di mantenere l’equilibrio ma è una battaglia persa. Alla fine hanno la peggio ed Emilio è di nuovo a terra, la pistola perduta chissà dove. Le immagini gli rimbombano davanti agli occhi e tutta la testa pulsa con lo stesso violento ritmo. Si porta la mano alla tempia e scopre di avere un taglio sulla fronte, il sangue che gli cola nell’occhio. È disarmato e troppo intontito per tentare una qualsiasi reazione. Ora è in balia del suo aggressore, che ha fama di non essere un violento ma forse lui è riuscito a fargli cambiare idea. Lo vede allungarglisi sopra, ombra indistinta fra tante altre. È la fine
pensa. Questa è la fine
.
Poi, un telefono suona.
Nel silenzio della casa è come un tuono e l’intruso, preso alla sprovvista, distoglie per un attimo l’attenzione da Emilio. Anche lui ha un mezzo infarto quando lo sente, si era completamente dimenticato dell’esistenza del secondo telefono. È un fisso di ultima generazione, di quelli che funzionano solo con una sim e un modem acceso, che aveva comprato ancora ai gloriosi tempi del suo matrimonio nel caso in cui, per una malaugurata coincidenza, entrambi i cellulari dei coniugi avessero fuso nello stesso giorno, proprio quando la cara suocera aveva deciso di chiamarli. A pensarci non ricorda di averlo mai sentito suonare prima, tranne quando qualche operatore aveva da proporgli un’offerta molto (ma davvero molto) conveniente. Stavolta il vantaggio è suo, è il suo telefono, nella sua casa. Chissà, magari un giorno potrà raccontare di essere stato salvato da un centralino automatico, sempre meglio della storia della colata di vomito giù dal monte. Qualche secondo è tutto quello che gli serve, non chiede altro. Il ladro aspetta prudente che chi sta all’altro capo del filo si stanchi e riappenda la cornetta, scandendo ogni squillo con la regolarità soprannaturale del suo respiro. Intanto Emilio individua l’arma, appena oltre il bordo del divano. Schiacciando oltre il limite dell’umanamente possibile l’enorme ventre si allunga e l’agguanta, si rialza e inquadra il bersaglio. Gli rimane un solo occhio operativo, ma sarà più che sufficiente.
Il telefono lancia l’ultimo grido e poi tace. L’intruso rimane ancora un attimo a fissarlo, poi si volta. Emilio gli appare come un grosso bambino imbronciato che stringe la pistola sul petto con