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Frustrati: Uomini e donne che non hanno conosciuto l'amore
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E-book254 pagine3 ore

Frustrati: Uomini e donne che non hanno conosciuto l'amore

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Info su questo ebook

Reprimere il proprio odio per evitare di sfociare nella più becera violenza? Oppure lasciarsi trasportare dalle proprie frustrazioni, per colpire nella carne, matrice di depressione? Uomini sconfitti, donne che credono di aver vinto la loro partita. A perdere ogni sfida, però, sono i sentimenti.
Un libro che ci fa chiedere fin dove può sfociare la frustrazione. Chi massacra a colpi di spranga e chi si diletta nella provocazione online. Una generazione 2000 di sconfitti sotto il peso di ideologie assenti e vite sociali ovattate in una gabbia di solitudine mascherata.
LinguaItaliano
Data di uscita12 nov 2013
ISBN9788897469766
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    Anteprima del libro

    Frustrati - Leonardo Marzorati

    riservati

    Leonardo Marzorati

    FRUSTRATI

    Uomini e donne che non hanno conosciuto l’amore

    Gilgamesh Edizioni

    A te, cara Famiglia, dedico, consacro e dono questo libercolo di miei vernacoli racconti. Scrivendo queste storie, mi sono sentito come l’uomo semplice, senza speranza e solo, ben descritto da un’indimenticabile canzone di Roberta Voltolini. La compianta cantautrice, da donna, riuscì in pochi versi a identificare la malinconia dell’uomo rifiutato. Io ho voluto proseguirne la descrizione con dei racconti sprigionati dalla mia fantasia. Se tuttavia qualche accigliato buonista o deprecabile femminista in malafede alzasse la voce contro il sottoscritto e gridasse «Al maschilista! All’inverecondo! Al lascivo! Al frustrato!», di’ francamente a costui che Leonardo Marzorati ha lavorato con onestà intellettuale, etica cristiana e nel rispetto di qualsiasi lettore e lettrice.

    C’è chi i propri demoni li scatena nelle azioni, non sapendo gestirne il controllo e chi li sa imprigionare sulla carta. Io per fortuna scrivo.

    Stuprare una femminista non è reato

    Spero che ti venga un cancro al pancreas, come è stato per quella troia di tua madre.

    Che pensieri orribili giungono a Protasio. Eppure, anche questa volta, sono arrivati.

    La madre di Eleuteria è morta anni fa, proprio di un male incurabile al pancreas.

    Cammina verso l’auto in quella calda sera di fine agosto. La penultima arma che abbiamo noi uomini non è forse questa? Dare della troia. L’ultima sarebbe la violenza fisica, in tutte le sue sfaccettature.

    Un onesto tecnico del suono che arriva a pensare una cosa simile! La colpa del misfatto è sua? Affatto, è di una donnicciola lurida e spregevole con la quale quel bravo figliolo ha a che fare.

    Non lo pensa per davvero Protasio: gli passa per la crapa così, mentre rimugina sul passato e su ipotetici futuri. Questo bravo figlio della piccola borghesia di provincia per pochi minuti si fa accendere da animo da galera. Violenterebbe e ucciderebbe Eleuteria se ne avesse la cattiveria. Ma gli animi discretamente puri sanno distinguere l’idea dall’azione.

    Si vuole suicidare Protasio. Guarda un sacchetto del discount mentre lotta con se stesso. Lotta per non coprire la sua testa. Un suo istinto masochista vorrebbe che il sacchetto coprisse tutto il capo. Il sacchetto di plastica, questo prolungamento della vagina di Eleuteria. Un coltello può essere un prolungamento del pene. Un sacchetto della vagina. Perché il suicidio arriva quando la donna lo vuole.

    Eleuteria vuole che Protasio si suicidi, così da dimostrarsi di avere un fine nella vita. Vuole avere una personalità. E quindi istiga al suicidio un uomo.

    Eleuteria non aveva certo pianto al funerale della madre. Ora specula sul cadavere della vecchia per ottenere un po’ di compassione e di favori. Questo ha in testa Protasio mentre fissa quel maledetto sacchetto.

    Si vuole suicidare, lo volete capire?

    No, finge. Recita. È un povero frustrato che vuole essere al centro dell’attenzione. Lui sarebbe capace di violentare una donna o di massacrare i genitori in un attimo di follia. Questo passa per la testa di Eleuteria mentre tira un calcio a un gatto.

    Eleuteria si diverte a picchiare gli animali. È più forte di lei. Non può picchiare gli uomini, quindi riversa la sua rabbia su cani di piccolo e medio taglio e su felini. Non tocca gli insetti e i ragni. Ha una fobia anche per i rettili.

    Protasio augura il cancro. Minaccia consapevole di non saper far male a nessuno. Sa di essere vigliacco e quindi getta il sacchetto a terra. Piange.

    Eleuteria non piange mai. Tranne quando ricevette il no da un uomo. Scelta esecranda, ma legittima. Lo è anche la sua di istigare al suicidio un ingenuo? Eleuteria è per il sì. È una donna.

    Protasio prova a chiamarla. Ovviamente non risponde. Ma dove è finita la buona educazione? Le donne orgogliose sono solitamente maleducate.

    Guarda che m’ammazzo.

    Perché questo pietismo stucchevole ce lo riservano gli uomini? Il sesso forte (la donna) non cade mai in questa trappola, se non raramente. Eleuteria non ci casca. L’uomo farebbe del male alla donna, sfruttando la superiorità fisica. Anche ad altri uomini, colpendoli alle spalle. Mai a se stesso. È un uomo, santo Dio. Queste sono le convinzioni di Eleuteria.

    La statistica la smentirebbe. Il caso specifico no. Dà ragione alla donnicciola.

    Gli uomini non si tradiscono. Sono pavidi, tranne quando castigano la fantasia.

    Alla troia. È il brindisi che fa Protasio alla ragazza che l’ha rifiutato. Legittimamente. Quello che è mancato sono state le spiegazioni. Quelle non vengono mai. Le donne hanno paura a dare le giuste ragioni. Anche quando giuste non lo sono.

    Perché? Se lo chiede Protasio. Ora pensa a bere il ragazzo. Bravo: bevi e drogati. Distruggiti così, evitando di pensare al male che una femmina ti ha fatto.

    Mi concentro sul lavoro e sugli studi. Eleuteria ambisce. Fa bene. È il polo dominante di questa storia. E alla fine risulta più simpatica di Protasio.

    Tradimento politico

    Si avvicinava la campagna elettorale. Era quasi un anno che collaboravo alla Gazzetta Brianzola, bisettimanale di informazione del mio territorio. Era un lavoro mal pagato, che non mi avrebbe mai permesso di andare a vivere da solo. Studiando ancora, era uno di quei lavoretti che mi permetteva di raccattare qualcosa senza dover chiedere soldi ai miei. In più, iniziavo ad affrontare il mondo della carta stampata. Studiavo scienze politiche a Milano. Lavorare in una redazione era uno dei miei sogni. Perlustrare la mia Terra non era male. Conoscevo associazioni di cui non avevo mai avvertito la presenza. Facevo amicizie con politici e notabili locali. Seguendo politica e associazionismo, mi facevo conoscere nei piccoli centri della Brianza lecchese.

    Una media di quattro articoli a numero non precludeva la strada dello studio. Parliamoci chiaro: scienze politiche è uno dei corsi di laurea più abbordabili. Scegliere scienze politiche al posto di ingegneria è come se al Milan capitasse nel sorteggio di Champions League l’Az Alkmaar invece del Barcellona. La facoltà di Milano aveva due cancri: i comunisti e i ciellini. Accomunati da un tiepido fancazzismo, i primi vestivano più o meno alternativo e predicavano il loro odio a Berlusconi e al liberismo; i secondi parevano una loggia massonica di nerds. I ciellini in facoltà si dividevano in due tipi: i capetti e i servetti. I primi erano quelli più brillanti, destinati a un posto in qualche giornale o nella pubblica amministrazione. I secondi erano gli sfigati. Lavoravano alla libreria Cusl o al bar della facoltà e, ottenuta la laurea con almeno due anni di ritardo, trovavano subito un posto fisso, grazie alle conoscenze. In tutta questa feccia io mi muovevo discreto.

    Il comune di Cardugo da dieci anni era amministrato da una lista civica di centrosinistra. Il vecchio sindaco cattocomunista aveva terminato il suo secondo mandato e aveva lasciato spazio a un modesto architetto del catasto: Gerolamo Caruso. Questo era stato assessore ai lavori pubblici, ma non aveva grande carisma. Sembrava che il centrosinistra pronosticasse la sconfitta. La Lega Nord aveva tentato un accordo con Forza Italia, ma questi avevano risposto picche. Così lo storico leghista DOC del paese Gervaso Casati Sforza aveva deciso di fare la corsa in solitaria. Quei balordi berlusconiani avevano fatto comunella con il parroco e altri notabili cardughesi per fare una lista civica centrista con candidato sindaco Attilio Vimercati. Il soggetto in questione era un giovane insegnante ciellino di matematica. Assiduo frequentatore dell’oratorio, era stato chierichetto, animatore, volontario della Croce Rossa, tenore nel coro parrocchiale e ovviamente catechista. Vimercati era la carta vincente. Trentasei anni ben portati, capelli a spazzola neri con qualche pelo grigio, occhiali con montatura sottile poggiata con grazia su un naso grifagno, fisico prestante e sempre in rigoroso completo senza cravatta. Le zitelle del paese lo vedevano come un buon partito. Nonostante ciò era ancora scapolo. Io facevo due più due: era ciellino, aveva passato da un pezzo i trenta, non era sposato e di conseguenza non aveva figli. In una sola parola, frocio.

    Da buon leghista disprezzavo gay pride e puttanate varie. In privato, pensavo che uno dovesse essere libero di fare ciò che voleva. L’importante è che lavorasse bene e producesse qualcosa di buono. Uno poteva andare a mignotte, essere omosessuale o bisessuale. Fino a che non venivano toccati i bambini o si lanciavano slogan per i matrimoni tra uomini, accettavo di tutto. In quei giorni ero andato al cinema a vedere Alexander con una ragazza rimediata in chat. Guardando l’attore che interpretava il grande imperatore greco, non potevo non ammirare il suo fascino. Non mi venne in mente di farmi Colin Farrell, tutt’altro. Ma mentre tornavo a casa dal multisala di Vimercate, dopo aver accompagnato a casa la ragazza (che ovviamente non c’era stata), mi restava impresso negli occhi lo sguardo magnetico dell’attore hollywoodiano.

    Abitavo in un comune limitrofo a Cardugo. Mio padre era all’ultimo anno di lavoro, mia madre ne aveva ancora per un lustro. Ultracinquantenni, i miei vecchi guardavano la pensione come un fondista guarda l’arrivo negli ultimi quattrocento metri. Mi sorella era andata da poco a convivere con il suo compagno storico. Stavano insieme da sette anni, ma solo nel momento in cui Serena aveva ottenuto il contratto a tempo indeterminato avevano deciso di farsi un mutuo. Ragionamento corretto, pensavo.

    Il mio redattore mi fece seguire tutta la campagna elettorale di Cardugo.

    «In dieci anni abbiamo ristrutturato tutto il centro» ripeteva Caruso.

    «Stronzate» mi disse Casati Sforza in un’intervista «i marciapiedi sono fermi a via Dante. Poi l’impianto della scuola elementare fa acqua da tutte le parti. Sono due anni che rogno a quel terrone; questo non scriverlo, mi raccomando. Loro, con il lassismo tipico della sinistra che ha mal governato per secoli l’Italia, hanno fatto Cardugo una fogna peggio di Reggio Calabria».

    Non male il riferimento a Reggio: Caruso era di origine calabrese. Il terzo che intervistai fu Vimercati. Era il favorito e il prediletto del mio redattore, quindi a lui spettava l’ultima parola.

    «Tutti noi amiamo Cardugo. Abbiamo dei progetti interessanti da attuare con tutta la cittadinanza.»

    Che razza di parole, pensavo. Ecco il solito politicante che promette la luna senza entrare nello specifico. Era il caso di punzecchiarlo un po’, anche per dare vivacità all’articolo che avrei scritto.

    Domandai: «Nei pressi della cascina Gagina si sono posizionati dei nomadi con tanto di camper, auto e recinzioni improvvisate varie. Come agirete se sarete eletto?».

    «Guarda, io sono per il rispetto della legalità. Non faccio discriminazioni con nessuno. Ma nel nostro comune non si possono accettare edificazioni abusive. Certi comportamenti creano inquietudine nella cittadinanza. Con le forze dell’ordine cercheremo di ripristinare la legalità. È certo che l’attuale giunta non ha fatto nulla in proposito. Il campetto nomade è presente da diversi mesi. Negli ultimi cinque anni ci sono stati diversi furti…»

    Rispondeva sempre così Vimercati: tanto politichese e tante promesse. Non insultava la sinistra e non faceva sparate contro gli zingari. Riflettevo che forse era meglio così: avrebbe favorito la Lega. I fatti mi smentirono. La lista civica Per una Nuova Cardugo stravinse le elezioni e Vimercati divenne sindaco. Tanti leghisti votarono per lui, come pure alcuni vecchi elettori del centrosinistra.

    Il mio primo colloquio privato con il neo sindaco fu apatico. Lui si ostinava a ripetere le cose dette in campagna elettorale, mentre io appuntavo sul mio taccuino. Fu la seconda volta, un incontro quasi casuale a un convegno sulla figura di don Gnocchi, che iniziai a parlare privatamente con lui. Su sua richiesta, inizia a dargli del tu.

    «E così leggi Lovecraft» diceva Vimercati «come me. Io iniziai verso le medie ad affascinarmi alla letteratura horror. Ho ancora a casa i primi romanzi di King e i racconti di Clive Barker.»

    «Però» risposi sorridendo «pensavo che avessi letture più profonde, tipo Dante, Tasso o Manzoni».

    «Ma scusa, il fatto che abbia trentasei anni e sia credente impone certe letture? Dante, Tasso e Manzoni li ho studiati bene al liceo. Nel tempo libero fammi leggere qualcos’altro!».

    «Forse ho un’immagine stereotipata dei ciellini.»

    «Ah, ecco. Pensavi che leggessi solo roba di chiesa e classici. Si vede che ci conoscete poco.»

    «Guarda, io mi limito ad osservare la realtà che mi è davanti. Forse sono solo apparenze, ma i ciellini che studiano a Scienze Politiche mi sembrano tutti dei tipi inquadrati. Uno di loro mi aveva chiesto se andavo a vedere un concerto di canti gregoriani.»

    «Magari in privato ascolta anche Marilyn Manson questo ciellino.»

    «Manson che canta gregoriano.» Questa battuta lo sorprese e lo fece ridere.

    «Beh, meglio non pensarci. Comunque, per far cadere i tuoi pregiudizi, ti posso dire: anch’io ascolto musica sacra. L’immagine di Dio la puoi trovare anche in tanti cantautori italiani. E pure in pezzi rock. Non esistono solo i canti gregoriani per fortuna. Hai mai ascoltato l’Agnello di Dio di De Gregori?»

    «Forse, ma non sono sicuro. De Gregori è un comunista, come tutti i cantautori italiani. Preferisco il rock americano. Non capisco i testi e forse è meglio così.»

    «Ah ah, ma quanto sei ideologico! Più che un giornalista della Gazzetta Brianzola, sembra di ascoltare Belpietro.»

    «Avessi il suo stipendio…» Ennesima risata.

    Eravamo usciti dal salone oratoriale e, in quella calda sera di giugno, ci trovavamo soli nella stradina che conduce al parcheggio. Quella carezza che mi diede mi fece gelare il sangue. Ma fu così solo in un primo momento, poi tutto tornò come prima. Sembrava che la carezza di un uomo fosse quasi un gesto legato alla consuetudine. Era la prima volta, ma avevo capito subito che non sarebbe stata l’ultima. Vimercati iniziava a entrare nella mia testa. Pensavo a lui, senza riuscire a darmi una risposta del perché. Brillante, solare e carico di una recondita ingenuità che fino a qualche tempo prima ricercavo nelle ragazze. Sono frocio? Pensavo. Beh, sì. O meglio, mi piaceva anche il cazzo. Nulla di male, pensavo. Ma in futuro come avrei potuto costruirmi una famiglia normale come fecero i miei genitori? Non ci dormii la notte. Uno degli ultimi pensieri lo riservai all’allora governatore della Lombardia Roberto Formigoni. «Ha quasi sessant’anni, è ciellino e scapolo. Se fosse gay, non sarebbe un fastidio per nessuno, visto che non lo dichiara apertamente. Ci sono tanti gay che non lo dichiarano e fanno una vita normale. Perché dichiararlo? Perché sputtanarmi? Meglio vivere in silenzio le proprie tendenze. E continuare a fare commenti sulle tipe in biancheria intima presenti sui cartelloni pubblicitari. L’importante è che non diventi ciellino. Posso anche farmi un ciellino, ma diventare come Formigoni, in quel senso, mai!»

    Avevo lasciato il mio numero di cellulare quella sera ad Attilio. Glielo avevo dato prima di salutarci. Mi aveva mandato un sms il giorno successivo. Gli avevo risposto subito. Mi scriveva di letteratura horror, con un invito a uno scambio di libri. Mi presentai a casa sua con il primo volume dei racconti del ciclo di Chtuluu. Era quello con la breve introduzione di Gianni Pilo. Quei racconti li avevo letti tutti nel corso della mia adolescenza, alcuni pure due o tre volte. Mi offrì una Beck’s da 33 cl. Parlammo un po’, poi passammo ai fatti. Mi piaceva, non lo nego. Il suo viso prima di tutto. Quella pelle ben rasata faceva contrasto con la mia. Mi radevo quando capitava. Non ero per nulla elegante. Avevo una felpa della Carlsberg color verde militare e dei jeans con i risvolti rovinati. Vestivo da anni così e non avevo né tempo, né voglia di comprare abiti nuovi. Il mio stile era quello, Attilio lo doveva accettare. Pure io accettavo il fatto che fosse un ciellino, seppur atipico.

    Non avevo mai scopato così bene. Le poche tipe con cui ero stato erano le classiche sciacquette che vanno bene giusto per svuotare le palle. Misogino lo ero sempre stato e il fatto di scoprirmi omosessuale rafforzava la mia tesi. D’altronde, se una ragazza etero vuol scopare, alla fine ci riesce senza dover impegnarsi più di tanto. Anche se si tratta di un rottame. Un disperato disponibile lo può trovare anche la ragazza più brutta. Per l’uomo è diverso. Io non ero certo George Clooney, ma sapevo di non essere un rospo. Almeno ascoltando i giudizi di alcune ragazze. Eppure facevo una fatica mortale per trovare una tipa che ci stesse.

    Ragionavo: «Prendo 50 tipe e 50 tipi (rigorosamente eterosessuali). Di queste 50 tipe ce ne saranno una sparuta minoranza (Gruppo A) che è asociale per diversi motivi: problemi psicologici, famiglia invadente, aspetto fisico antiestetico. Questa minoranza valutiamola il 10%, quindi 5 ragazze. Le altre 45 più o meno scopano tutte. Alcune, facciamo 20, hanno il tipo fisso (Gruppo B). Di queste, molte le vedi nei locali, ovviamente accompagnate dal boyfriend. Altre 10 si divertono in rare occasioni (Gruppo C). Escono con le amiche e lo fanno giusto in alcune occasioni, quando trovano un tipo giusto per loro. Sono selettive. Generalmente non fighe, variano dalla bruttina alla carina. Un’altra minoranza, facciamo 5, non ha il tipo ma scopa saltuariamente con un unico ragazzo (Gruppo D). Poi ci sono quelle che si divertono (Gruppo E). Queste ultime 10 trombano sempre con tipi diversi. Sono le classiche maiale da discoteca. Sono definite troie da altre ragazze invidiose, molte delle quali appartengono ai gruppi B e D. Queste però sono generalmente inarrivabili per uno come me. Queste se le fanno solo certi tipi. Passiamo ai tipi. Di noi 50 ce ne sono 20 che stanno con le tipe del gruppo B. 10 Scopano alla grande con tipe diverse, pescate sia dal gruppo E che dal C. Se si tolgono i 5 che stanno con le tipe del gruppo D ne restano 15. Questi 15 con chi trombano? Generalmente con nessuno. Quelle del gruppo A avranno la loro dignità, ma sono o cesse o sfigate quindi vengono escluse a priori. Quindi i casi sono due: o ci sono 10 tipi che fottono per 25, o i conti non tornano. La speranza è che di questi dieci qualcuno sia frocio, così da liberare passere». Invece il frocio ero io. I casi della vita.

    La nostra relazione doveva restare ovviamente un segreto. Entrambi temevamo la condanna del popolino brianzolo. Le voci di paese sono taglienti come lame nel burro. Come possono capire una passione dei bifolchi di collina? Io ero solo un timido cronista, lui era il primo cittadino. Quello che aveva preso i loro voti. Quello che avrebbe pagato maggiormente l’eventuale scoperta.

    Finimmo per farci nel suo ufficio del Municipio. Aveva fatto mettere le foto di Giovanni Paolo II e don Luigi Giussani.

    «Eh no!» dissi «non ti posso baciare con questi due che ci guardano».

    «È un gesto d’amore il nostro. Ricordati gli insegnamenti del cristianesimo.»

    «Sono cristiano, è solo che mi fanno un certo effetto. Mi sembra una mancanza di rispetto nei confronti di queste due persone. Anche se uno dei due mi piace meno, e tu sai quale.»

    «Pensa a me, non alla politica. Fammi un favore: quando stiamo insieme parliamo il meno possibile di politica. Sei più leghista di Borghezio!»

    «Non sono leghista, sono un libero battitore. Poi se il meno peggio è la Lega la colpa non è mia. Comunque mi va bene, cercherò di parlare il meno possibile di politica.»

    Limonare con un uomo sotto il ritratto di due preti mi sembrava ridicolo e piacevole allo stesso tempo. Il fattore erezione immediata ne fu la grande dimostrazione.

    In università tutto procedeva bene. Arrivai a scontrarmi con una veterofemminista sul tema dei diritti civili.

    «Che problema ti fanno le unioni di fatto?» Mi chiese lei.

    «Tanti. Se due persone sono omosessuali possono fare quello che vogliono. Non siamo in un paese islamico. Solo che non vedo perché debbano avere gli stessi diritti di chi procrea. Di chi dà un futuro alla nostra società.»

    «Il tuo è un ragionamento omofobo. Sei intriso di morale cattolica. Ma che

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