Criminose illusioni: Delitti e destini
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Un commercialista spietato e impenitente, un magistrato dalle grandi capacità investigative.
Una ragazza scompare e le sue ultime tracce conducono al vagone di un treno; la Clinica del dolce riposo e il suo fatiscente edificio custodi di un segreto ricco di passato e di dolore.
Le città di Milano, Cremona e Lecco fanno da sfondo alle due criminose illusioni da risolvere; le complesse indagini, sinuosamente inserite in un ritmo frenetico di avvenimenti, esauriscono la loro forza trascinante nello stesso punto d’impatto.
E poi: i due fratelli gemelli, la rapina in centro e gli eterei occhi blu...
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Anteprima del libro
Criminose illusioni - Emiliano Caiani
lunga.
CAPITOLO I -Origini-
Giordano Artuni, l’uomo in doppiopetto nella fotografia sul comodino, mostrava austerità, rigore ed eleganza, eppure abbracciava i suoi due figli con grande amorevolezza e protezione.
Suo padre, un proprietario terriero dell’Alta Brianza, era deceduto quando aveva da poco compiuto quattro anni, troppo pochi per riuscire a ricordare il suo viso, un’emozione o qualche momento passato insieme.
Essendo figlio unico, era stato esonerato dalla chiamata alle armi, potendo così rimanere a casa con la madre e dedicarsi interamente alla scuola oltre che alle attività sportive. Il suo impegno negli studi era stato quotidiano, intenso e proficuo tanto da riuscire a laurearsi in ingegneria meccanica con largo anticipo rispetto ai suoi compagni di corso.
Grazie al piccolo patrimonio familiare e al ricavato della vendita di alcuni terreni, aveva aperto nel paese di Desio una piccola fabbrica per la costruzione di macchine tessili.
Nonostante la posizione di comando ricoperta in azienda, era solito trattare con grande rispetto e dignità tutti i dipendenti e riusciva con oculatezza a svilupparne le potenzialità, intuendo da subito le qualità e le competenze di ciascuno.
Era l’anno 1947 e nel mese di febbraio giurava il terzo Governo De Gasperi.
Gli Italiani, con le loro energie e i loro sogni, si dedicavano alla ricostruzione di quanto distrutto nei lunghi e orribili anni della seconda guerra mondiale, onorando i valorosi uomini che avevano dato la vita per la loro nazione e per la libertà delle future generazioni.
I mestieri e le professioni, così come l’economia e il benessere, riprendevano vita in ogni paese e città.
La moda creava nuove tendenze, linee e colori.
Nell’aria il suono malinconico delle canzoni militari aveva lasciato il posto a dolci melodie inneggianti a gioia e amore: Amado mio
di Mara Mauri era uno dei singoli più suonati.
La Lombardia e il Piemonte, regioni trainanti dell’industria italiana, diventavano il modello da seguire in tutta la penisola.
Quell’anno fu indimenticabile per la vita di Giordano Artuni.
Il 13 maggio la sua adorata moglie Clelia aveva dato alla luce due gemelli maschi. Finalmente, come genitore, avrebbe potuto donare ai propri figli quell’affetto che sfortunatamente lui, da figlio, non era riuscito a ricevere.
Come nomi scelse Mario e Matteo, in ricordo del nonno paterno e di quello materno.
Nonostante il loro aspetto, praticamente identico, i due bambini presentarono fin dai primi anni di vita, una diversità caratteriale e comportamentale marcata e ben definita.
Mario era solare, non piangeva mai, dormiva serenamente, mangiava e rideva sempre.
Matteo era invece irrequieto e silenzioso, prendeva sonno con difficoltà e faceva spesso i capricci. Era come se avesse un tormento congenito, che mai nessuno riuscì compiutamente a definire e capire.
Gli anni passarono velocemente e nel 1966 i gemelli tagliarono il traguardo della loro maturità classica, ballando sulle note di Dio come ti amo
e Paperback writer
.
L’ingegnere Artuni voleva il meglio per i suoi due figli, ai quali ricordava però che ogni cosa nella vita andava meritata e guadagnata: il piacere doveva venire sempre dopo il dovere.
Come premio per la promozione regalò a ciascuno una splendida Vespa 50 ss, oggetto del desiderio di ogni ragazzo dell’epoca.
L’azienda ARTUNI MECCANICA S.p.a. andava a gonfie vele, era cresciuta nel numero dei dipendenti e aveva aperto filiali nel Veneto e in Piemonte.
Grazie ai guadagni aziendali costantemente in aumento, si prospettavano molteplici possibilità di investimento: opere d’arte, gioielli, Titoli di Stato, ma soprattutto immobili.
Un pomeriggio di fine settembre l’ingegnere Artuni, percorrendo in macchina la provinciale che collega Casatenovo a Barzanò, vide sulla destra un ampio appezzamento di terra tutto a prato, con alcuni piccoli alberi di betulla e tiglio piantati qua e là; al centro dell’area era collocato un grande cartello in legno con una scritta nera leggibile anche dalla strada: vendesi terreno edificabile numero di telefono 03...
.
Sceso dall’auto, si avvicinò rapidamente al muretto di confine, attratto come da una forza inspiegabile. Subito accanto, dava i suoi frutti una rigogliosa vite di uva nera; i grappoli non raccolti, abbondanti di acini appassiti dal sole, diffondevano nell’aria un profumo zuccherino di nettare e moscato.
Ingolosito, prese una manciata di chicchi ancora succosi: la dolcezza che gli si sprigionò in bocca lo avvolse come in un emozionante abbraccio e lo portò ad immaginare lì, soltanto lì, la sua futura vita familiare.
Iniziò così a misurare il lotto in lungo e in largo calcolandone gli ettari con i passi. Gli piacque subito, sia per la posizione sia per la singolare forma, simile ad un triangolo equilatero che da una base pianeggiante saliva fino alla punta costituita da una piccola collina.
Nel giro di pochi mesi, contattato il venditore e ottenuto un buon prezzo, era pronto per siglare l’atto di acquisto.
Sin dal giorno in cui aveva posato gli occhi su quel cartello, la sua immaginazione creativa da ingegnere aveva elaborato le più svariate soluzioni edificatorie.
Per la realizzazione decise di avvalersi del più famoso architetto della zona a cui conferì l’incarico di progettare due case indipendenti di tre piani e taverna ciascuna, perfettamente identiche nella forma, dimensioni e altezza; una di colore giallo, posta nella parte bassa della proprietà e l’altra blu, situata invece in alto sulla collina.
L’effetto ottico che voleva ottenere era quello di una perfetta sovrapposizione in linea retta delle due abitazioni; ossia, chi si fosse trovato davanti alla casa gialla non avrebbe potuto scorgere la gemella blu se non spostatosi a sinistra o a destra e rivolgendo lo sguardo verso l’alto.
Le due costruzioni gli ricordavano figurativamente i suoi due figli, identici nel fisico ma opposti nell’anima: quella gialla richiamava Mario, persona radiosa, combattiva, sicura di sé e ambiziosa; quella blu invece Matteo, persona tormentata, schiva, plumbea e insicura, che si sforzava di comportarsi come il fratello, dietro al quale era sempre pronto a nascondersi in cerca di protezione.
Purtroppo l’ingegnere Artuni, contratta una grave infezione durante un viaggio di lavoro in Africa, venne a mancare nello stesso mese in cui terminarono i lavori di edificazione.
Non aveva avuto neppure il tempo di festeggiare con la sua famiglia la consegna delle chiavi, gesto che tanto aveva sognato e fantasticato negli ultimi mesi della sua vita.
E così nell’anno 1972, il figlio Mario si mise a capo dell’azienda di famiglia, mentre l’irrequieto Matteo, dopo aver frequentato con poco entusiasmo il primo anno della facoltà di filosofia, svanì nel nulla il 7 novembre 1973.
Nonostante le persone, i mezzi e le forze economiche impegnate, il suo corpo non fu mai trovato. Una scomparsa misteriosa senza colpevole e senza spiegazione
queste le parole degli investigatori al termine dell’incarico ricevuto.
Mario, a quel punto, decise di andare a vivere con la madre nella casa gialla e dopo una decina di mesi attivò la pratica per la dichiarazione di morte presunta del fratello.
Mamma Clelia rimase a fianco del figlio fino alla sua morte, avvenuta nel gennaio dell’anno 2000.
A quel punto Mario, rimasto solo, si rese conto che non aveva più senso vivere in una casa così grande, tra l’altro ricca di ricordi spesso dolorosi per lui.
Decise allora di dare un taglio netto al passato mettendo in vendita il terreno e le due case.
Del resto la casa blu non era mai stata abitata, divenendo con il passare del tempo sempre più fatiscente e pericolante.
Si presentarono diversi potenziali compratori, ma le loro offerte erano sempre troppo esigue per il valore commerciale e soprattutto affettivo che aveva l’intera proprietà.
Dopo ben cinque anni di tentativi e incarichi a svariate agenzie immobiliari, arrivò un’interessante proposta d’acquisto che Mario accettò senza pensarci troppo. Era davvero giunto il momento che altri valorizzassero gli immobili con lo stesso entusiasmo che aveva avuto il padre Giordano nel costruirli.
Gli acquirenti, un gruppo di quattro persone operanti nel settore farmaceutico e sanitario, avevano deciso di investire ingenti capitali nella proprietà trasformandola in un centro per la cura e il ricovero degli anziani. Vista la nobile finalità alla base dell’offerta, Mario accettò di buon grado di concedere uno sconto sul prezzo di vendita; da quel momento, avrebbe finalmente confinato il proprio passato tra le solide mura delle due case, come un prezioso in uno scrigno inabissato in fondo al mare.
CAPITOLO II -Incidente-
18 gennaio 2017, lunedì pomeriggio.
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Terminata la telefonata, Fiorenzo tornò davanti alla scrivania del suo ufficio a studiare il fascicolo di causa. Da alcuni anni esercitava la funzione di magistrato presso la sezione lavoro del Tribunale di Milano.
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