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Corrupti Mores
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E-book324 pagine4 ore

Corrupti Mores

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Una moderna società democratica si fonda sui dettati costituzionali, sul rispetto dell’ordine naturale e dei principi universali di pace, libertà, uguaglianza e giustizia sociale. Caposaldi questi che, se correttamente intesi, costituiscono naturali supporti per percepire il senso della civiltà e far germinare una forte percezione delle regole, cardini della natura umana. Questo testo si concreta in un’aspra critica all’odierno sistema, impostato su mero formalismo, conformismo e convenzionalità, immagini spesso non rispettose dell’essenza dei dettati costituzionali.

Fabio Bortolotti, giurista, docente, saggista, ha ricoperto importanti incarichi nelle pubbliche istituzioni, da ultimo quello di Difensore civico del Trentino. È autore di varie pubblicazioni giuridiche (per lo più orientate verso l’ordinamento della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol). Fa spicco l’imponente opera Thesaurus giuridico e dialettico latino-italiano (MJM Editore, Milano 2009), per la quale il Presidente della Repubblica ha conferito l’onorificenza di commendatore, ordine al merito della Repubblica Italiana. È autore di numerosi saggi di carattere-etico-politologico. Per MJM Editore (Milano): W.W.W.-vizi-virtù-valori (2008); Coscienza e anticoscienza (2011); Schegge di vita etica (due volumi, 2011); Adagia et dicta (2014). Per Tangram, Edizioni Scientifiche (Trento): Parresia (2015); Valori morali (2015); Potere malefico (2015). Per Albatros Edizioni: Ipocrisie del potere (2016); Boni et Mali (2017); Publica honestas (2017); In alto loco (2018); Indignatio (2019); Proditio (2019); Demokratia (2020), Extra Chorum (2021), Ars politica (2022), Moralia (2022); Spiritualia et realia (2022); Natura humana (2023). In dipendenza dei propri saggi, Fabio Bortolotti ha ottenuto numerosi riconoscimenti e premi letterari. Visita il sito: www.fabiobortolotti.it.
 
LinguaItaliano
Data di uscita18 lug 2023
ISBN9788830687363
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    Anteprima del libro

    Corrupti Mores - Fabio Bortolotti

    Nuove Voci – Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Honeste vivere

    Alterum non laedere

    Suum cuique tribuere

    «I politici fanno già tanto di buono quando non fanno nulla di male.»

    (Lev Aslanovic Tarasov)

    Prologo

    Una moderna società democratica si fonda sui dettati costituzionali, sul rispetto dell’ordine naturale e dei principi universali di pace, libertà, uguaglianza e giustizia sociale.

    Questi caposaldi, correttamente intesi, costituiscono naturali supporti per percepire il senso della civiltà e far germinare una forte percezione delle regole, cardini della natura umana.

    I rappresentanti del popolo sono chiamati a gestire il potere nel rispetto dell’ordine naturale e delle regole proprie del sistema democratico, avendo particolare riguardo per la dignità individuale, il sentimento comune e la ragione. Da essi tutti si aspettano onestà, senso di responsabilità, coerenza, equilibrio, intuizione e autocontrollo.

    Nel rapportarsi ai cittadini, devono ispirarsi al metodo socratico perché solo così possono procurarsi ascendente, prestigio e credibilità.

    I cittadini, a loro volta, hanno il dovere di rispettare i dettati costituzionali e i principi propri del sistema democratico, nessuno può arrogarsi il potere di eluderli o interpretarli a piacimento.

    Il fermo e rigoroso rispetto dei dettati e dei principi in questione rappresenta una barriera naturale, non solo per arginare possibili devianze ma anche per tenere a freno fenomeni di corruzione e di degenerazione della democrazia.

    L’odierno sistema politico non rappresenta gli italiani, basti dire che la maggioranza assoluta è costituita dagli astenuti, non dalla destra o dalla sinistra, che ne escono snaturate. In questo senso la democrazia diviene una parola vuota e il quadro politico delegittimato.

    CAPITOLO I – Antica Roma

    Mores maiorum

    Costumi primordiali

    Degenerazione dei costumi

    Satira contro i costumi

    Corrupti mores in epoca imperiale

    Mores maiorum

    Gli storici latini, nei loro scritti, narrano che il mondo arcaico romano era caratterizzato da rigide regole morali, da comportamenti consuetudinari e da una generalizzata dedizione al bene comune. Era poi molto sentito il senso della morale tradizionale, intesa come rispetto per le antiche usanze e per le idee degli avi. Questo insieme di aspetti antropologici erano comunemente conosciuti come mores maiorum.

    L’osservanza delle tradizioni, dei costumi di vita e delle consuetudini era una costante nel mondo arcaico romano, come era una costante la solidarietà e la dedizione al gruppo di appartenenza: tacitus consensus populi longa consuetudine inveteratus – il tacito consenso del popolo reso antico da lunga consuetudine (Ulpiano).

    I mores maiorum, cioè l’insieme dei valori, dei costumi e delle usanze degli antenati, costituivano il nucleo della morale tradizionale della civiltà romana, che comprendeva anche il senso civico, l’honestum, la pietas, il valore militare, l’austerità dei comportamenti e il rispetto delle leggi.

    In breve, il mondo arcaico romano si caratterizzava per il rispetto assoluto degli usi, delle idee, delle tradizioni, delle virtù degli avi, come si desume dal significativo frammento sallustiano: maiorum gloria posteris quasi lumen est – la gloria degli antenati è luce ai posteri (Sallustio, Bellum Iugurthinum, 85) che, implicitamente, esorta a seguire la nobiltà dei sentimenti e l’esempio degli antichi padri.

    Il tradizionalismo era insomma un costante sistema di vita e si concretava: nella solidarietà e nella dedizione al gruppo di appartenenza, nell’attribuire un valore sacro ai mores maiorum, nel profondo rispetto delle comunità e dei gruppi organizzati, nel rispetto delle regole morali, in primis all’interno della famiglia di appartenenza.

    Il pater familias, dal canto suo, doveva rispettare e far rispettare rigidissime regole morali, destinate a disciplinare la pacifica convivenza in famiglia e tra le famiglie.

    Le regole fondamentali poggiavano, almeno in larga parte, sul profondo rispetto per la fides, che consisteva nel tenere fede alla parola propria, alla parola data, dovendosi precipuamente evitare che venisse tradita la fiducia che uno aveva riposto in altri.

    Era poi particolarmente sentito il concetto di honestas privata e pubblica, come attestano numerosi classici: nec census nec clarum nomen avorum, sed probitas magnos ingegnumque facit – né le ricchezze né la fama degli avi rendono grandi ma la probità e l’ingegno (Ovidio, Epistulae ex Ponto, 1, 9, 39); magnos homines virtute metimur, non fortuna – i grandi uomini non si misurano dalla fortuna ma dalla virtù (Cornelio Nepote, Eumene, I).

    Il mondo arcaico romano era anche caratterizzato da una generalizzata dedizione al bene comune, da un sentito senso dell’onore e dell’onestà, oltre che da una morale tradizionale, intesa come rispetto per gli usi e le idee degli avi, i mores maiorum appunto.

    A riguardo dell’honestas, onestà pubblica e privata, è di alto pregio il De officiis di Cicerone, in cui si legge che l’essenza del dovere risiede nell’honestum, ossia in ciò che è moralmente giusto e confacente alla natura, che si basa su quattro virtù: sapienza, giustizia, fortezza, temperanza. I primari doveri, puntualizza Cicerone nel primo libro, sono «verso gli immortali, i secondi verso la patria, i terzi verso i genitori, poi gradatamente verso gli altri». Chi governa, afferma Cicerone, «deve avere a cuore il bene comune, mettendo da parte gli interessi personali, e deve occuparsi di tutto lo Stato, non privilegiando alcune parti e trascurandone altre». Inoltre, chi governa «deve restare attaccato al senso della giustizia e dell’onestà e, pur di mantenerle, affronterà gli ostacoli più gravi e la morte, piuttosto che abbandonare i propri principi». Nel terzo libro Cicerone afferma che «non vi è alcun contrasto tra honestum ed utile, ciò che è onesto è anche utile e ciò che è davvero utile è anche onesto», specificando che «quanto è immorale non può mai essere utile, neppure quando si consegue ciò che si ritiene utile».

    Infine, nell’antica Roma era particolarmente diffuso il sentimento della stima pubblica, comunemente intesa come onore civile, come attesta la fondamentale la massima giustinianea: existimatio est dignitatis illaesae status legibus ac moribus comprobatus – l’onore è una condizione di integra dignità, consacrata dal rispetto delle leggi e dai buoni costumi (Dig. 50, 13, 5). La stima pubblica veniva meno quando il cittadino si fosse macchiato con azioni contrarie al sentimento generale.

    Tanto più profondi erano nei singoli i sentimenti di cui sopra, quanto più forte era l’indignazione provata al verificarsi di corrupti mores e di sfacelo morale. I poeti e gli scrittori latini di tutti i tempi riportano ampie testimonianze in tal senso.

    Ancora oggi, l’integrità morale e con essa il buon nome e la buona reputazione è il fondamento della fiducia e quindi moralmente equivalente a un autentico patrimonio.

    Costumi primordiali

    Nel mondo arcaico romano, come detto alla voce precedente, era molto sentita l’appartenenza alle comunità e ai gruppi organizzati ed era profondamente radicato il rispetto delle regole all’interno degli stessi, in primis della famiglia di appartenenza.

    I costumi primordiali erano caratterizzati da una generalizzata dedizione al bene comune e anche da un sentito senso dell’onore, dell’onestà pubblica e della morale tradizionale, intesa come rispetto per gli usi e le idee degli avi, valori questi conosciuti e definiti come mores maiorum – costumi degli antenati.

    Fin dai primordi era poi molto radicato il principio della bona fides, che assumeva significato di comportamento leale e onesto, di retta coscienza, di operare nella convinzione di non ledere altrui diritti, di dovere di correttezza, di reciproca lealtà di condotta nei rapporti con terzi. Un comportamento difforme da ciò si poneva in violazione del principio della bona fides.

    La bona fides fondava le sue origini storiche nella cultura e nel pensiero degli antichi padri, come ben si comprende dalla definizione di Quintiliano (35-96 d.C.): fides supremum rerum humanarum vinculum est – la fede (fiducia) è il vincolo più sublime delle cose umane.

    Come detto anche più sopra, il tradizionalismo era una costante nel mondo arcaico romano e si concretava nella solidarietà e nella dedizione al gruppo di appartenenza: tacitus consensus populi longa consuetudine inveteratus – il tacito consenso del popolo reso antico da lunga consuetudine (Ulpiano). Inoltre, si distingueva per le rigide regole morali e comportamentali, nonché per la generalizzata dedizione al bene comune.

    Fin dall’antichità si è capita la necessità, per il bene di tutti, di una condotta di vita ideale, anche se l’evoluzione umana e il cambiare dei tempi hanno reso sempre più arduo e difficile tale compito.

    Detti tratti distintivi emergono chiaramente dagli scritti dei classici latini, tra cui si ricorda:

    • il poeta latino Ennio (ca. 239-169 a.C.) moribus antiquis res stat Romana virisque - lo Stato romano si fonda sugli antichi costumi e sugli uomini forti (Annales, 156);

    • lo storico e uomo politico Sallustio Crispo Gaio (ca. 86-34 a.C.): maiorum gloria posteris quasi lumen est - la gloria degli antenati è luce ai posteri (Bellum Iugurthinum, 85);

    • lo storico e scrittore Cornelio Nepote (ca. 100-30 a.C.): magnos homines virtute metimur, non fortuna - i grandi uomini non si misurano dalla fortuna ma dalla virtù (Eumene, I);

    • il poeta latino Ovidio Nasone Publio (ca. 43 a.C.-18 d.C.): nec census nec clarum nomen avorum, sed probitas magnos ingegnumque facit - né le ricchezze né la fama degli avi rendono grandi ma l’onestà e l’ingegno (Epistulae ex Ponto, 1, 9, 39).

    Le regole morali poggiavano, almeno in larga parte, sulla fides, vale a dire sull’onestà pubblica e sulla morale tradizionale, intesa come rispetto per gli usi e le idee degli avi, mores maiorum.

    In senso generale, la fides era sinonimo di fedeltà, di comportamento leale e onesto, di correttezza e di lealtà di condotta. Nei rapporti privati consisteva anzitutto nel rispetto assoluto della parola propria, della parola data, dovendosi precipuamente evitare che venisse tradita la fiducia che uno aveva riposto in altri.

    In tema di fides, comunemente intesa come onore civile, è significativa la massima: existimatio est dignitatis illaesae status legibus ac moribus comprobatus - l’onore è una condizione di integra dignità, consacrata dal rispetto delle leggi e dai buoni costumi.

    Il sentimento del popolo romano rimase pressoché immutato dai primordi fino all’epoca del principato, pur con gli adattamenti resi necessari dalle nuove esigenze di vita e dalle legislazioni restauratrici succedutesi nel tempo.

    Degenerazione dei costumi

    Il passo tacitiano corruptissima republica, plurimae leges – le leggi abbondano in una Repubblica corrottissima (Tacito, Annali, III, 27, 3), riprendendo un adagio della letteratura greca, spiega come gli uomini, allo stato primitivo, non abbiano bisogno di leggi ma poi, corrompendosi, comincino a farne e, man mano che la decadenza avanza, le aumentino e le complichino sempre più, cosicché il proliferare delle leggi diventa sicuro indizio di corruzione dei costumi.

    La situazione di Roma, cui si riferisce Tacito, è quella della fine dell’età repubblicana, caratterizzata da guerre civili e da scontri tra fazioni, i cui rappresentanti del popolo diedero impulso al proliferare di norme specifiche in funzione di interessi di parte (di loro seguaci) più che di effettive necessità della Repubblica.

    Lo storico e uomo politico Sallustio Crispo Gaio (ca. 86-34 a.C.) racconta che l’ultimo secolo dell’età repubblicana fu caratterizzato da crisi politiche di non poco conto, conseguenti alla degenerazione dei costumi, mores maiorum, alla venuta meno dei valori morali, all’espandersi della corruzione e dell’avidità.

    La situazione politica e sociale di quel momento storico è confermata dal seguente assunto:

    sed ego adulescentulus initio, sicuti plerique, studio ad rem publicam latus sum, ibique mihi multa advorsa fuere. Nam pro pudore, pro abstinentia, pro virtute, audacia, largitio, avaritia vigebant. Quae tametsi animi aspernabatur, insolens malarum artium, tamen inter, tanta vitia, imbecilla aetas ambitione corrupta tenebatur; ac me, cum ab relicuorum malis moribus dissentirem, nihilo minus honoris cupido eadem quae ceteros fama atque invidia vexabat –

    quando ero giovane, come molti, la passione politica mi spinse alla vita pubblica ma molte cose mi andarono di traverso. Tra i politici, infatti, non trovai senso d’onore ma impudenza, non probità ma corruzione, non rettitudine ma avidità; e sebbene l’animo mio, inesperto del male, rifuggisse da quelle pratiche riprovevoli, pure l’età acerba fu travolta dall’ambizione e rimasi invischiato in quell’ambiente corrotto. Mi tenevo lontano dal malcostume imperante, ma la smania di salire mi esponeva come gli altri alla maldicenza e al malanimo (Sallustio, La congiura di Catilina, III, 3 4 5).

    Il pensiero di Tacito e di Sallustio sulla situazione dell’epoca esprime una tendenza comportamentale di tempi di degrado politico che, a ben guardare, non è poi molto diversa da quella dei tempi in cui viviamo.

    Oggi come allora, si produce un gran numero di leggi inutili e di leggi che assecondano interessi particolari, più che dell’intera collettività, leggi che ledono il diritto del cittadino a una legislazione giusta e trasparente.

    Il monito tacitiano corruptissima republica, plurimae leges è sicuramente sensato, di immutabile attualità e la situazione è destinata ad aggravarsi se le leggi:

    • sono frutto di orrendi compromessi politici, che comportano deleterie delegificazioni;

    • non sono in linea con i dettati costituzionali;

    • si contrappongono, si sovrappongono e si contraddicono le une con le altre;

    • si rivelano manifestamente torte, contorte e ritorte.

    In presenza di difetti di questo genere ne esce un tal pastrocchio da inorridire che non solo vanifica il precitato principio tacitiano, facendolo divenire utopistico, ma quel che è peggio è che fa venir meno la certezza del diritto.

    In simili situazioni si presentano grossi problemi, posto che le leggi obbligano, indipendentemente dalla loro conoscenza, e si è obbligati a rispettarle anche quando non si conoscono o presentano i gravi difetti di cui sopra.

    Per altro verso, giova tenere presente che la non conoscenza di una norma di legge può arrecare nocumento in triplice senso:

    • per il mancato apporto di possibili benefici;

    • per eventuali effetti pregiudizievoli;

    • per responsabilità che ne conseguono.

    La vita politica è oggi regolata da norme giuridiche, di rango costituzionale, amministrativo, civile, penale, etc., norme che, a loro volta, sono il risultato di determinate scelte politiche e di una determinata politica.

    Nel contesto in cui viviamo, dove le cronache quotidiane parlano di collusioni fra alti poteri, di corruzioni e di degrado morale di ogni genere, chi fa il proprio dovere di persona onesta, chi deve pagare un prezzo per la propria fedeltà ai valori di incorruttibilità, rettitudine e integrità morale, non può che essere considerato un eroe e, in ogni caso, è sicuramente un modello da imitare.

    Gli onorevoli signori dell’Emiciclo, nel corso degli anni, hanno creato una legislazione farraginosa, inadeguata ed estremamente complessa che, gradualmente, ha fatto maturare una nuova concezione della tolleranza. Non avendo un fondamento nell’etica e nella morale, ha reso lecito e possibile ogni comportamento umano.

    In particolare, detti poco onorevoli signori hanno creato un sistema privo di rigore giuridico, caratterizzato da sanzioni inadeguate, da permissivismo generalizzato, che ha contribuito, da una parte, ad abbassare la moralità pubblica e privata e, dall’altra, ad assecondare sopraffattori e prepotenti.

    In tale situazione si avverte un grande bisogno di figure eroiche che sappiano dare prova di straordinario coraggio e valore per rimediare ai corrupti mores e al degrado morale.

    I partiti politici si differenziano non solo sul piano ideologico ma anche per la diversa capacità di interpretare le aspirazioni morali e intellettuali dei cittadini e di tradurle poi in conformi programmi e progetti politici.

    In fatto di idee e progetti, tra i partiti permangono vedute assolutamente inconciliabili sul piano dei valori e dei conseguenti modelli di vita.

    A questo riguardo, non si deve dimenticare che un popolo è saldo e forte nella misura in cui nei partiti e nei cittadini sono saldi e forti i valori, l’onestà, le regole morali, il senso dell’onore.

    Se le cose vanno male è perché, generalmente, si privilegia il manicheismo, a detrimento dei valori (civili, etici, sociali, religiosi), dei principi, degli ideali, delle norme di convivenza, ossia dell’insieme degli elementi e delle qualità morali, considerati il fondamento positivo della vita umana e della società.

    Con la venuta meno dei valori si nota un progressivo arretramento e decadimento generale, che porta a un inarrestabile processo involutivo, a una perdita di vitalità, di slancio, con fortissime ripercussioni sul piano politico-economico-sociale. Per risollevare la situazione non servono arcane leggi e leggine, che i politici sono pronti a emanare per buttare fumo negli occhi, ma si devono creare i presupposti per:

    • il risanamento morale dell’ambiente politico e sociale;

    • il ristabilimento dei valori e della publica honestas.

    Il progetto riformatore deve essere promosso dagli onorevoli signori dell’Emiciclo, con opportune azioni mirate in ogni campo, a iniziare da quello della scuola a quello delle istituzioni, per passare poi agli ambienti sociali. Devono impegnarsi, in primis, a rendere curriculare l’insegnamento dell’educazione civica e dell’etica nelle scuole di ogni ordine e grado, in conformità alla Legge 20 agosto 2019 n. 92. Gli effetti non saranno immediati, serve un po’ di tempo per risanare gli ambienti pubblici ma già dopo qualche anno si potranno registrare i primi benefici risultati.

    Nei Paesi europei a nord delle Alpi, dove sono radicati i valori (civili, etici, sociali), pubblici e privati, le cose vanno decisamente molto meglio.

    Questa è la «prova provata» (benché non ce ne fosse bisogno) che la causa di tutte le magagne e delle italiche vergogne è la mancanza di valori morali, di etica e di publica honestas nella classe politica.

    In assenza di valori morali una nazione non può che essere allo sbando, in mano a corrotti e depravati, intenti ad assecondare fini perversi. Se prevalgono i disvalori una nazione non è governata ma sgovernata.

    Oggi si registra una discordante percezione della vita umana, una differente visione prospettica delle cose, da parte dei partiti rispettosi delle credenze religiose e dei partiti di matrice laicista, le cui ideologie e finalità si pongono in netto contrasto le une con le altre.

    Le inconciliabili diversità di vedute sono causa di conflittualità tra gli uni e gli altri, comportano due diverse visioni della vita, due diversi modi di sentire e di vivere la morale tradizionale.

    Consci di ciò, gli onorevoli signori dell’Emiciclo di radice laicista, ostili alle religioni (a quella cattolica in particolare), tendono a far passare sotto silenzio i valori e la morale tradizionale, preferendo spingersi a cercare consensi sulla base di pseudo «diritti civili», di promesse indifferenziate di soddisfacimento di ogni aspettativa di benessere, in una logica di scambio politico.

    Tra l’altro, oggi notiamo anche la deleteria tendenza politica di puntare a una sempre più capillare penetrazione nei punti vitali della Pubblica Amministrazione, oltre che nei settori economici gestiti o controllati dalla stessa, dando luogo così al c.d. fenomeno della partitocrazia.

    In pratica, attraverso un crescente potere di intervento dei partiti e dei loro apparati nell’esercizio della res publica, gli organi istituzionali vengono per così dire spodestati del loro potere decisionale, con il conseguente rischio di un processo degenerativo dell’intero sistema politico.

    La causa di un simile tralignamento

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