Con le unghie e con i denti: La Resistenza delle donne in Palestina
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Ma se il lungo corso delle battaglie combattute in questo angolo di mondo ha anche contribuito a trasformare la stessa Palestina nella madre di tutte le resistenze all’oppressione, una parte enorme di un simile merito deve essere riconosciuta alle donne.
Nella prima come nella seconda Intifada o, in modo meno appariscente ma inesorabile, nella fitta rete di associazioni dedicate allo studio, all’incontro interculturale e all’emancipazione, la Resistenza delle donne in Palestina è un punto fermo nelle agitate acque mediorientali.
Miriam Marino, grazie alla sua esperienza sul campo, racconta la guerra partigiana dal punto di vista delle sue protagoniste, dando finalmente voce a una storia delle donne molto più intensa rispetto a quanto sia dato immaginare agli osservatori distratti dalla solita informazione mainstream.
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Con le unghie e con i denti - Miriam Marino
Miriam Marino
Con le unghie e con i denti
La Resistenza delle donne in Palestina
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INDICE
INTRODUZIONE
LE ASSOCIAZIONI FEMMINILI DURANTE IL MANDATO BRITANNICO
LA NAKBA E GLI ANNI SUCCESSIVI
DOPO L’OCCUPAZIONE DI GAZA E CISGIORDANIA DEL 1967
LE ORGANIZZAZIONI FEMMINILI E LA LORO ATTIVITÀ NELLA PRIMA INTIFADA
IL FALLIMENTO DI OSLO
DALLA «GENEROSA OFFERTA» ALLA NUOVA INTIFADA
CONSIDERAZIONI SULLA SECONDA INTIFADA IN UNO STUDIO DI EILEEN KUTTAB E PENNY JOHNSON
L’IMPATTO DEL CONFLITTO ARMATO SULLE DONNE PALESTINESI
LA PRIGIONE
GLI ANNI SUCCESSIVI ALL’INTIFADA AL AQSA
INCONTRO CON LE DONNE DELL’UNIONE GENERALE DONNE PALESTINESI
LA TRAGEDIA DI GAZA
RESISTENZA NON-VIOLENTA
CAMPAGNA PER IL BOICOTTAGGIO
INTIFADA DI GERUSALEMME
CON GLI OCCHI DELLE SCRITTRICI
APPENDICE
BIBLIOGRAFIA
SITOGRAFIA, SAGGI, ARTICOLI
Note
INTRODUZIONE
Quando c’è una situazione di guerra e di occupazione sono le donne coloro che ne sopportano il peso maggiore, esse vengono investite da nuove responsabilità e gravate da maggiori difficoltà, ma spesso sanno reagire con coraggio e determinazione mettendo le proprie energie e le proprie competenze al servizio della società. Ciò è stato particolarmente vero per le donne palestinesi che molto prima della Nakba si sono mobilitate e organizzate portando avanti un’eroica resistenza, diventando un esempio per le donne del mondo arabo all’interno del quale sono sempre state le più libere e le più istruite. La lotta delle donne è un capitolo fondamentale della resistenza palestinese che dura da 68 anni, esse hanno portato all’interno della resistenza i contenuti e le richieste di democrazia della società civile, hanno costituito reti di solidarietà, hanno elaborato progetti per la crescita individuale e collettiva e hanno messo in rilievo la dignità della donna e la necessità dell’uguaglianza nella lotta e nei diritti, fattori imprescindibili per la nascita di quello stato palestinese democratico che esse contribuiscono a costruire.
In questo libro scrivo diffusamente della storia generale della Palestina per la necessità di contestualizzare all’interno di essa la resistenza delle donne. Questa mi è parsa una necessità in considerazione delle modalità specifiche che ha assunto negli anni la resistenza femminile, la quale trovandosi a operare in un contesto di occupazione militare ha avuto spesso carattere nazionalistico. Ogni volta che ne hanno avuto la possibilità le donne palestinesi hanno affrontato i problemi specifici delle donne, ma la repressione, le incursioni, gli attacchi continui alla sopravvivenza e alla vita stessa di tutto il popolo palestinese le ha sovente costrette a concentrarsi sulle emergenze.
Dopo gli accordi di Oslo sembrava essersi aperto uno spiraglio di speranza, ma presto queste speranze sono naufragate di fronte alla realtà concreta di maggiore impoverimento e maggiore confinamento, fattori che portarono allo scoppio della seconda Intifada. Negli ultimi 15 anni altre enormi tragedie hanno colpito il popolo palestinese. La più drammatica ha riguardato la Striscia di Gaza sottoposta a un crudele embargo che ha prodotto centinaia di morti tra i bambini e i malati a cui sono state negate le cure più elementari e la possibilità di uscire per curarsi altrove. Mentre la popolazione di Gaza viveva questa situazione di assedio nell’indifferenza della comunità internazionale, assedio che solo alcuni coraggiosi gruppi di pacifisti hanno cercato di rompere, Israele, prendendo a pretesto alcuni lanci di missili da parte di Hamas, ha scatenato un attacco senza precedenti colpendo con sofisticate armi da guerra, alcune proibite dalle leggi internazionali come le bombe Dime e il fosforo bianco, l’inerme popolazione già stremata dall’embargo. In pochi giorni sono state uccise in modo orribile più di 1500 persone e migliaia sono state ferite. Tutto ciò che era rimasto ancora in piedi è stato distrutto, Gaza è stata ridotta a un cumulo di macerie. L’estrema crudeltà dell’aggressione era aggravata dall’impossibilità per la popolazione di fuggire perché le frontiere erano chiuse e di poter trovar riparo in luoghi neutrali, perché l’esercito israeliano ha bombardato anche le scuole dell’Onu e ha sparato su donne e bambini che sventolavano stracci bianchi. Dopo l’attacco la popolazione ha dovuto affrontare difficoltà insormontabili: ogni famiglia aveva almeno un morto o un ferito. È facile immaginare che questo peso gravoso sia caduto ancora una volta soprattutto sulle spalle delle donne. Ma non bastava, nel 2014 una nuova e ancora più letale aggressione alla popolazione di Gaza ha prodotto un numero ancora maggiore di morti, feriti e senza tetto, e raso al suolo interi quartieri.
Non per questo l’embargo è cessato, esso continua tuttora. Malgrado l’efferatezza del crimine non ci sono state sanzioni a Israele da parte della comunità internazionale e ciò sebbene nel frattempo il quadro politico fosse cambiato. Negli Stati Uniti infatti era stato eletto Obama il cui progressismo aveva suscitato molte speranze. Presto Obama si è rivelato più amico di Israele che della verità e della giustizia e ha ceduto alle pressioni di Netanyahu sull’espansione delle colonie a Gerusalemme e nella West Bank. Anche in Israele il quadro politico è cambiato ma in peggio, sebbene sia difficile stabilire quando ci sia stato in Israele un governo che si potesse definire migliore riguardo alla volontà di pace e al rispetto dei diritti umani dei palestinesi. La situazione della Palestina rimane drammatica, non solo per la scarsa considerazione della comunità internazionale, ma anche per le carenze della sua leadership. Malgrado tutto le donne di Palestina assieme a tutto il popolo palestinese continuano la loro resistenza, spesso in forma non violenta come nelle lotte di Bil’in e Ni’lin e nella stessa Fatah si moltiplicano le richieste di unità e di rinnovamento, ma questa lotta coraggiosa ha bisogno dell’aiuto esterno, della società civile internazionale e della comunità internazionale perché si facciano pressioni e si prendano provvedimenti nei confronti di Israele che lo costringano a porre fine all’occupazione e all’apartheid.
LE ASSOCIAZIONI FEMMINILI DURANTE IL MANDATO BRITANNICO
Nel 1920 nacque la Società delle Nazioni, ne facevano parte ancora pochi paesi europei ed era una sorta di antenata dell’Onu, dopo la guerra istituì il sistema dei mandati
. Erano tali mandati dei tutori o controllori di popoli che «non avevano ancora la necessaria maturità per diventare nazioni indipendenti». Con questa visione razzista e coloniale il Vicino Oriente fu spartito, alla fine della prima guerra mondiale, tra la Francia e la Gran Bretagna. A quest’ultima fu affidato il mandato sulla Palestina.
La Gran Bretagna era interessata al controllo del Vicino Oriente e in questo senso vanno lette le promesse fatte ai sionisti con la dichiarazione Balfour nel 1917 di un «focolare ebraico in Palestina». Fin dal 1882 gli immigrati ebrei erano affluiti in Palestina provenienti soprattutto dall’Europa dell’est. Nel 1924 arrivarono 67mila sionisti, a quell’epoca avevano già comprato il 4% della terra. L’affluenza continuò ininterrotta e ciò assieme alle promesse fatte dalla Gran Bretagna ai sionisti preoccupava moltissimo i palestinesi cui sempre la Gran Bretagna aveva promesso l’indipendenza. Per tutto il periodo mandatario i sionisti si organizzarono politicamente e militarmente. Nel 1931 viene costituito l’Irgun, formazione paramilitare terrorista che compirà alcuni attentati sanguinosi, ma già nel 1920 era nata l’Haganah, un’organizzazione militare clandestina ebraica che diventò poi un agguerrito e potente esercito.
Agli inizi del secolo scorso si determinarono alcuni cambiamenti entro la struttura sociale palestinese. La crisi economica portata dal primo dopoguerra investì soprattutto la classe contadina. I proprietari terrieri cominciarono a vendere la terra agli ebrei facoltosi e molti furono costretti a trovare lavoro nelle città, dove però le attività di maggior reddito erano già svolte dagli ebrei. Fu in questo periodo che sorsero le prime associazioni femminili. 1 Si caratterizzarono subito in senso nazionalistico, ciò non permise di far venire alla luce i problemi sociali delle donne. Ma questa sarà una difficoltà che le donne palestinesi incontreranno anche in futuro, quando l’urgenza della lotta di liberazione metterà in secondo piano richieste più specifiche. In questo periodo le donne avvertivano soprattutto la minaccia dell’occupazione britannica e poi dell’invasione dei sionisti e delle loro rivendicazioni sulla Palestina.
Le militanti di queste associazioni appartenevano spesso alle classi più benestanti, erano colte, parlavano almeno un paio di lingue, sovente avevano parenti che erano politici in vista. Nella lotta nazionalistica rivendicarono un ruolo pubblico organizzandosi autonomamente.
Inizialmente cominciarono a fondare organizzazioni di beneficenza che sostenevano soprattutto anziani e malati. A Gerusalemme le prime organizzazioni furono collegate alle varie comunità religiose. A Haifa, Sadij Nassar dirigeva l’Arab Union che coordinava le associazioni femminili delle città del nord della Palestina. A Jaffa, Ephtine Azar dirigeva una delle più vecchie organizzazioni femminili che si occupava soprattutto dell’istruzione femminile. A Gerusalemme nel 1921 fu fondata la prima organizzazione politica femminile che si chiamava Palestine women’s union e che impostò la propria attività per migliorare le condizioni di vita dei più poveri e per organizzare le donne su temi di carattere nazionale. Il fulcro dell’impegno delle donne coincise con le manifestazioni popolari del 1920 e del 1929-30, queste lotte portarono le donne sempre più vicine a temi politici ed esse cominciarono a protestare contro le condizioni di vita dei contadini, la mancanza di lavoro e il trattamento privilegiato riservato agli ebrei. Le rivolte del 1920 si svolsero a Gerusalemme durante la celebrazione della festività di Nabi Musa. Tra il 4 e l’8 di aprile le provocazioni sioniste trasformarono la festa in rivolta che poi dilagò per tutto il paese. L’insurrezione del 1929 invece si verificò a causa di una disputa sul muro occidentale. Il 15 agosto i sionisti marciarono da Tel Aviv a Gerusalemme, ma il giorno dopo, che coincideva con la celebrazione della nascita del profeta Maometto, all’uscita dalla preghiera i palestinesi organizzarono una manifestazione in risposta, a cui seguirono scontri che si allargarono a macchia d’olio. Da tempo i palestinesi erano amareggiati per i risultati del sodalizio britannico-sionista che stava levando loro il paese da sotto i piedi. Una commissione militare d’inchiesta ordinata dalle autorità britanniche all’indomani della rivolta del 1920 attribuiva le ragioni della rivolta «alla disperazione della popolazione araba nel non veder realizzate le promesse di autodeterminazione, al presentimento che la dichiarazione Balfour violasse i suoi diritti e al timore che la creazione di un focolare nazionale ebraico determinasse alla fine la sua sottomissione agli ebrei». Questo rapporto però non fu reso pubblico in quanto contrastava con la politica britannica che, causa la dichiarazione Balfour, appoggiava il progetto sionista. Alla fine degli scontri del 1929 i britannici convocarono un tribunale di guerra per giudicare entrambi le popolazioni coinvolte. Il tribunale condannò a morte tre palestinesi e ne incarcerò 800, degli ebrei fu condannato a morte un poliziotto che aveva sterminato un’intera famiglia palestinese. Ma la sua condanna fu commutata in dieci anni di pena che l’omicida non scontò neppure. I palestinesi invece vennero uccisi tutti e tre. Furono celebrati e onorati come martiri ed eroi dal loro popolo e diversi poeti scrissero per loro dei versi.
L’evento centrale del periodo del mandato britannico fu il Congresso delle donne palestinesi che si tenne a Gerusalemme il 26 ottobre 1929. La conferenza fu organizzata dopo i disordini del 1929 e fu considerata come la prima apparizione ufficiale delle donne sulla scena politica. Vi aderirono più di 300 delegate cristiane e musulmane che venivano da tutta la Palestina. Le partecipanti presentarono tre risoluzioni: una chiedeva l’abolizione della dichiarazione Balfour, un’altra esprimeva l’impegno delle donne nel sostenere gli organi nazionali arabi perché costituissero un governo responsabile di fronte a un’assemblea del popolo palestinese e l’ultima incitava gli arabi a promuovere ed espandere un commercio e un’economia nazionali senza cedere più terra agli ebrei.
Inoltre ribadirono la necessità per le donne di avere un maggior peso e di contare in tutti i campi della vita pubblica. Queste risoluzioni si rivolgevano al primo ministro inglese, al segretario per le colonie, alla Commissione d’inchiesta, alla stampa locale ed estera e alla Lega nazionale delle donne di Londra. Una delegazione nominata dal Congresso ebbe un incontro con l’alto commissario Lord Chancellor. Le partecipanti al Congresso infine organizzarono una manifestazione per le strade di Gerusalemme e presso ogni consolato si fermarono per consegnare una copia delle risoluzioni. Prima di chiudere la seduta il Congresso nominò una commissione esecutiva chiamata Women’s executive committee, si trattava di 14 donne cui veniva affidata l’amministrazione del movimento femminile che doveva lavorare perché queste risoluzioni si concretassero.
Successivamente la Women’s excutive committee cambiò nome in Arab women’s association (Awa) e la sua attività si svolse principalmente tra il 1929 e il 1938. Un importante impegno di questa associazione fu la campagna contro le condanne a morte e a favore dei prigionieri che erano stati accusati di essere responsabili dei disordini del 1929. L’Awa fece pressione presso il governo mandatario per ottenere la grazia per i condannati, lottò in difesa dei contadini sommersi dai balzelli e costretti a lasciare la terra. L’associazione produsse appelli e petizioni che inviò agli organi mandatari per chiedere la fine dei licenziamenti di palestinesi dalla pubblica amministrazione a favore di stranieri e inglesi, infine denunciò con forza il contrabbando di armi da parte dei dirigenti sionisti che armavano le organizzazioni giovanili ebraiche paramilitari.
Le donne palestinesi dimostrarono di sapersi organizzare e lottare per la vita e la libertà del loro popolo come soggetti politici attivi.
Il 1939 fu l’anno in cui si produsse una crisi all’interno dell’associazione che portò alla sua spaccatura in due tronconi. Una delle due formazioni conservò il vecchio nome e in seguito si occupò soprattutto di beneficenza, l’altro troncone prese il nome di Arab women’s union e i suoi obiettivi furono più specificamente politici. Probabilmente una delle ragioni della crisi fu la rivalità tra due potenti famiglie a cui appartenevano le attiviste. Ma se le rivalità tra le famiglie potevano creare attriti, le donne pur consapevoli di queste rivalità, lavoravano insieme e il loro lavoro servì ad attenuare i possibili settarismi.
A Gerusalemme nel 1930 fu fondata un’altra importante associazione l’Arab women’s society e gli obiettivi di questa organizzazione erano tanto politici, in sostegno delle rivendicazioni nazionalistiche, quanto sociali, sulle questioni che riguardavano specificatamente le donne. Le attiviste erano sia musulmane sia cristiane. Non si occupò solo di attività di sostegno e assistenza, ma promosse e appoggiò le iniziative nazionaliste e per far questo aiutò le famiglie delle vittime del 1929 concretamente, acquistando e cedendo loro appezzamenti di terra. Un’importante attivista di questa organizzazione affermava che se le donne palestinesi avevano lavorato fino a quel momento nell’ombra era perché i tempi non erano maturi, ma gli avvenimenti di quegli anni le avevano spinte a lottare in prima persona per il bene di tutto il paese.
L’attività delle donne preoccupava molto le autorità inglesi, ma quando nell’aprile del 1936 fu fondata la Suprema commissione araba che avrebbe organizzato lo sciopero e poi diretto le lotte fino al 1939, a esse non furono affidati incarichi importanti. Questo non scoraggiò le donne che continuarono la loro lotta con un’incessante attività di petizioni, lettere ai giornali e alle autorità e alcune di loro furono perseguitate e arrestate.
L’eco di tale attivismo raggiunse le donne egiziane che nell’ottobre del 1938 organizzarono la prima Conferenza pan-araba delle donne sulla Palestina. Alla conferenza erano presenti, con la delegazione palestinese, rappresentanti dall’Iraq, Egitto, Libano, Iran e Siria. Questo evento ebbe un’enorme importanza sulla stampa egiziana.
Una figura interessante di questo periodo è Esther Azhari Moyal, 2 che prefigura la successiva interazione e solidarietà che si svilupperà in futuro tra le